RITENUTO IN FATTO
1. Il Tribunale di Lecce, con sentenza in data 23 Settembre 2016, condannava I.F. e L.F. alla pena ritenuta di giustizia per il reato di appropriazione indebita aggravata ai sensi dell'art. 61 c.p., n. 7 e n. 11), oltre al risarcimento del danno in favore delle parti civili, con liquidazione di una provvisionale.
Il tribunale riteneva comprovata la condotta illecita contestata consistita nella sottrazione della somma di Euro 1.530.000,00, presente sul conto della società SACA Costruzioni Aeronavali s.r.l. ed accantonata per il pagamento di eventuali oneri fiscali della società da parte di I.F. seguita dalla collaborazione di L.F. il quale, contestualmente, acquistava la società al fine di appropriarsi di tali somme, in particolare evidenziando che si era verificata la distrazione delle somme sociali oggetto di specifica delibera della menzionata società per scopi estranei a quelli previsti, distrazione posta in essere con due distinte condotte, preordinate fra loro, per cui il primo nella veste di amministratore della società aveva prelevato le suddette somme trasformandole in 31 assegni ed il secondo, nuovo amministratore, li aveva negoziati nell'arco di tre mesi.
2. Proposti appelli da parte di entrambi gli imputati la Corte d'appello di Lecce, con sentenza in data 12 Giugno 2019, in parziale riforma della sentenza di primo grado, assolveva I.F. dal reato di concorso in appropriazione indebita per non aver commesso il fatto, revocando le relative statuizioni civili; dichiarava non doversi procedere nei confronti di L.F. perché il reato era estinto per prescrizione e confermava le statuizioni civili nei suoi confronti.
In particolare la corte territoriale, quanto alla posizione di I.F., ha ritenuto che nella fattispecie in esame non poteva configurarsi in capo al predetto la condotta di cui all'art. 646 c.p., in quanto l'accantonamento di Euro 1.530.000,00, presente sul conto della società SACA Costruzioni Aeronavali s.r.l., per quanto sebbene trasformato in 31 assegni era rimasto nella disponibilità della società in quanto gli assegni erano stati emessi in favore della società medesima mentre non vi era prova alcuna del suo concorso nella monetizzazione di detti titoli né dimostrazione che egli avesse ricevuto in tutto ovvero in parte tale denaro.
2. Contro la sentenza propongono ricorsi per cassazione le parti civili I.M. nonché C.C. e C.M. quali eredi di I.E. a mezzo dei rispettivi difensori e procuratori speciali.
2.1. I.M. propone sei motivi.
2.1.1. Con il primo motivo deduce, ai sensi dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), travisamento della prova quanto alla indicazione di " I.M." quale autore del cambio degli assegni in questione.
Assume che, come era dato desumere alle pagg.1/4 della sentenza impugnata, la corte di appello aveva attribuito la materialità del fatto relativo al cambio degli assegni all'odierno ricorrente parte offesa e non all'imputato I.F., travisamento questo che aveva indotto i giudici di merito ad assolvere quest' ultimo.
2.1.2. Con il secondo motivo deduce, ai sensi dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), erronea e falsa applicazione della legge penale in ordine all'individuazione del momento consumativo del reato ed alla esatta individuazione della condotta appropriativa.
Rileva che, nella fattispecie in esame, la interversione nel possesso delle somme in questione era stata portata a compimento da I.F. in data (OMISSIS) h. 12.54 allorquando lo stesso si era attivato affinché le somme portate sul conto corrente della società venivano cartolarizzate in 31 assegni circolari di Euro 50.000,00 ciascuno ed uno di Euro 30.000,00 al fine di sfuggire ai controlli antiriciclaggio, titoli che, sebbene intestati alla società, si trovavano nella materiale disponibilità di I.F. e che, poi, erano transitati nelle mani nel nuovo amministratore che aveva provveduto a monetizzarli, sottraendoli definitivamente alla società.
Osserva che dal momento che tali assegni avevano costituito lo strumento fraudolento per sottrarre il denaro alla società doveva ritenersi accertato che in data (OMISSIS) l'imputato, di fatto, si era appropriato della cassa della società, consegnando, quindi, segretamente i titoli al coimputato L.F. il quale ne aveva tratto certamente vantaggio.
Assume che poiché la cartolarizzazione della somma di Euro 1.530.000,00 non rispondeva ad alcun interesse per la società ed il comportamento di I.F. era del tutto estraneo a quanto deliberato dall'assemblea dei soci in data 3 Giugno 2009 allorquando era stato stabilito che dette somme dovevano essere destinate a ripianare i debiti tributari - posto che le somme in questione erano state smobilizzate dall'imputato, cartolarizzate e consegnate fraudolentemente al L. risultava pienamente integrata la fattispecie di cui all'art. 646 c.p..
2.1.3. Con il terzo ed il quarto motivo, da esaminare congiuntamente in quanto fra loro connessi deduce, ai sensi dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), erronea e falsa applicazione dell'art. 646 c.p., e D.P.R. n. 602 del 1973, art. 36, comma 3, circa i soggetti tenuti al pagamento delle imposte nonché illogicità della motivazione ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e).
Osserva che l'affermazione della corte di appello secondo cui era difficile ricondurre alla sola volontà fraudolenta dell'imputato I.F. l'intera operazione in quanto dagli atti risultava che tutti i soci volevano utilizzare un escamotage volto al risparmio fiscale ed a fare in modo che l'onere del versamento delle imposte si spostasse dai soci alla società era erronea non avendo i giudici considerato che, tenuto conto del disposto di cui al D.P.R. n. 602 del 1973, art. 36, comma 3, i soci, avendo in precedenza percepito degli utili, erano coobbligati al pagamento delle imposte sicché il cambio del tipo di società (da società di persone a società di capitali) era del tutto indifferente rispetto agli obblighi fiscali.
Conseguentemente dal momento che due ore prima della vendita delle quote della società SACA Costruzioni Aeronavali s.r.l. I.F., in qualità di amministratore della società, aveva svuotato le casse della stessa attraverso l'emissione di assegni circolari di lì a poco consegnati al nuovo amministratore della società e titolare dell'intere quote della stessa L.F. appariva evidente che non sussisteva una volontà di tutti i soci di eludere il pagamento delle tasse ma che l'originario amministratore, in concorso con il futuro amministratore, si era impossessato in modo fraudolento delle somme accantonate al fine specifico di pagare le imposte.
Assume che, pertanto, la mancata corretta disamina della normativa fiscale sopra indicata aveva reso illogico il ragionamento della corte la quale non aveva considerato che dalla trasformazione della società da società di persone in società di capitali i singoli soci non traevano alcun beneficio sul piano fiscale.
2.1.4. Con il quinto ed il sesto motivo, fra loro connessi, deduce, ai sensi dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), ulteriori profili di manifesta illogicità della pronunzia assolutoria.
Rileva che atteso che il prelevamento degli assegni era intervenuto alle ore 12.54 del (OMISSIS) e che i soci aveva approvato lo stesso giorno alle ore 15.30 il rendiconto alla data del 22 Giugno 2009 illustrato dall'amministratore, appariva palese l'intento fraudolento di I.F. il quale si era ben guardato dall'esporre la situazione finanziaria della società alla data del 23 giugno, giorno della data di approvazione del rendiconto.
Osserva, ancora, che in modo del tutto illogico e contraddittorio, i giudici territoriali non avevano considerato che vi era una evidente correlazione fra il comportamento fraudolento di I.F. che aveva consegnato quegli assegni al nuovo amministratore che li aveva monetizzati, dovendosi, pertanto, correlare il momento consumativo dell'appropriazione indebita alla consegna degli assegni al L..
2.2. C.C. e C.M." quali eredi di I.E., propongono quattro motivi.
2.2.1. Con il primo motivo deducono, ai sensi dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) e e), violazione dell'art. 646 c.p. nonché contraddittorietà e manifesta illogicità della pronunzia assolutoria.
Nel rilevare che secondo quanto evincibile in atti in data 3 giugno 2009 l'assemblea dei soci aveva approvato il bilancio al 31/12/2008 con la previsione dell'accantonamento, a titolo prudenziale, della somma di Euro 1.141.350,00 destinata al pagamento delle imposte aventi scadenza 16 Giugno 2009, assume che la corte di appello non aveva considerato che le condotte di I.F. (mancato pagamento delle imposte e trasferimento ad un terzo del denaro lascatogli dai soci con il preciso incarico di impiegarlo per l'adempimento degli obblighi fiscali) comprovavano che questi aveva tenuto un comportamento che oggettivamente eccedeva ed era incompatibile con le facoltà ricomprese nel titolo del suo possesso, così integrando una vera e propria interversio possessionis nell'accezione di cui all'art. 646 c.p..
Assumono che avendo il predetto violato il vincolo fiduciario e destinato le somme a scopi differenti da quelli preordinati, sulla scorta dei principi fissati dalla giurisprudenza di legittimità, doveva ritenersi integrata la condotta appropriativa.
La trasformazione delle disponibilità finanziarie vincolate della SACA s.r.l. da liquidità di conto corrente in 31 assegni avvenuta poche ore prima dell'assemblea tenutasi in data (OMISSIS) non solo di fatto aveva spogliato la società ed i soci della materiale disponibilità della somma concretamente finite in mano all'amministratore ma non poteva, infatti, trovare altra spiegazione logica se non in una volontà appropriativa di I.F..
2.2.2. Con il secondo motivo deducono, ai sensi dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e), erronea e falsa applicazione dell'art. 646 c.p. e D.P.R. n. 602 del 1973, art. 36, comma 3 circa i soggetti tenuti al pagamento delle imposte nonché illogicità della motivazione.
Osservano che posto che avendo i soci percepito degli utili, tenuto conto del disposto di cui al D.P.R. n. 602 del 1973, art. 36, comma 3, gli stessi erano tenuti al pagamento delle imposte appariva illogico sostenere, come affermato nella sentenza impugnata, che ove avessero avuto contezza che le somme appositamente accantonate per il pagamento delle imposte sarebbero state trasferite al L. unitamente alle quote societarie avrebbero ugualmente proceduto alla vendita, dovendosi, per contro, valutare il silenzio maliziosamente serbato da I.F. il giorno dell'assemblea del (OMISSIS) in ordine al mancato pagamento delle imposte ed alla emissione dei 31 assegni nonché circa la destinazione degli ultimi.
Rilevano che la corte di appello era pervenuta ad una pronunzia assolutoria sulla scorta di un ragionamento illogico e contraddittorio che non aveva tenuto conto di una serie di dati significativi quali: l'immutata responsabilità dei soci diversi da I.F. per il pagamento de debiti della società; l'oggettiva non convenienza per i soci di un cessione delle loro quote con il trasferimento al L. delle ingenti somme destinate al pagamento dei debiti fiscali; il sostanziale svuotamento delle casse della società con la cartolarizzazione nei 31 assegni delle somme destinate agi adempimenti fiscali; il silenzio maliziosamente serbato da I.F. circa l'omesso pagamento delle imposte; l'avvenuta emissione degli assegni e la destinazione degli stessi; l'avere I.F. sottoposto all'approvazione dell'assemblea la situazione contabile al 22/06/2009 che non poteva dare conto dello "svuotamento della cassa".
2.2.3. Con il terzo motivo deducono, ai sensi dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e), erronea e falsa applicazione di lege nonché illogicità della motivazione in relazione all'omessa riqualificazione della condotta in termini di truffa ex art. 640 c.p., art. 61 c.p., n. 7) e 9), con la precisazione che non sussisteva alcuna delle condizioni ostative di cui all'art. 521 c.p.p..
Osservano che le condotte sopra indicate relative allo svuotamento delle casse, al silenzio maliziosamente serbato da I.F. nell'avere sottoposto all'approvazione dell'assemblea la situazione contabile al 22/06/2009, costituivano una condotta fraudolenta che aveva prodotto un ingiusto profitto al L. con danno per gli ex soci.
2.2.4. Con il quarto motivo lamentano, ai sensi dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), travisamento della prova quanto alla indicazione di " I.M." quale autore del cambio degli assegni in questione.
Assumono che, come era dato evincere della sentenza impugnata, la corte di appello aveva attribuito la materialità del fatto relativo al cambio degli assegni ad I.M. e non all'imputato I.F., travisamento questo che aveva indotto i giudici di merito ad assolvere quest' ultimo.
3. Il difensore di I.F. ha depositato memoria in data 17 Settembre 2021 con la quale ha chiesto disattendersi i ricorsi e confermare la sentenza impugnata precisando che non era configurabile a suo carico il reato di appropriazione indebita in quanto il denaro era rimasto nel patrimonio e nella disponibilità della società e tenuto conto della circostanza che il coimputato L.F. nel corso del suo esame aveva affermato dopo l'acquisizione della partecipazione societaria aveva avuto rapporti con il solo I.M. e non anche con l'imputato.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. I ricorsi devono trovare accoglimento apparendo fondati i motivi di censura con i quali i ricorrenti hanno contestato vizi motivazionali in ordine alla esclusione della configurabilità di una condotta illecita nella fattispecie in esame.
2. Ad avviso di questa Corte i giudici di appello sono pervenuti ad una pronunzia assolutoria, in riforma della sentenza di primo grado, sulla scorta di considerazioni in parte carenti ed in parte gravemente illogiche e contraddittorie.
2.1. Occorre premettere che in tema di possesso di somme di denaro la Suprema Corte, con affermazione risalente nel tempo ma ancora valida stante l'immutabilità del quadro normativo di riferimento, ha affermato che la specifica indicazione del "denaro", contenuta nell'art. 646 c.p., rende evidente che il legislatore ha inteso espressamente precisare, allo scopo di evitare incertezze e di reprimere gli abusi e le violazioni del possesso del danaro, che anche questo può costituire oggetto del reato di appropriazione indebita, in conseguenza del fatto che anche il danaro, nonostante la sua ontologica fungibilità, può trasferirsi nel semplice possesso, senza che al trasferimento del possesso si accompagni anche quello della proprietà.
Ciò di norma si verifica, oltre che nei casi in cui sussista o si instauri un rapporto di deposito o un obbligo di custodia, nei casi di consegna del danaro con espressa limitazione del suo uso o con un preciso incarico di dare allo stesso una specifica destinazione o di impiegarlo per un determinato uso: in tutti questi casi il possesso del danaro non conferisce il potere di compiere atti di disposizione non autorizzati o, comunque, incompatibili con il diritto poziore del proprietario e, ove ciò avvenga, si commette il delitto di appropriazione indebita (Sez. 2, n. 4584 del 25/10/1972, Rv. 124301).
Ne deriva che ove il mandatario violi il vincolo fiduciario che lo lega al mandante e destini le somme a scopi differenti da quelli predeterminati può astrattamente integrarsi una condotta di appropriazione indebita.
2.2. In particolare i giudici di appello hanno trascurato di verificare, ai fini di una corretta ricostruzione degli accadimenti, la valenza di una serie di elementi in questa sede evidenziati dalle difese della parti civili quali: la circostanza che la cartolarizzazione della somma di Euro 1.530.000,00 non rispondeva ad alcun interesse per la società e che il comportamento di I.F. era del tutto estraneo a quanto deliberato dall'assemblea dei soci in data 3 Giugno 2009, allorquando era stato stabilito che dette somme dovevano essere destinate a ripianare i debiti tributari; l'immutata responsabilità dei soci diversi da I.F. per il pagamento de debiti della società; l'oggettiva non convenienza per i soci di un cessione delle loro quote con il trasferimento al L. delle ingenti somme destinate al pagamento dei debiti fiscali; il sostanziale svuotamento delle casse della società con la cartolarizzazione nei 31 assegni delle somme destinate agli adempimenti fiscali; il silenzio maliziosamente serbato da I.F. circa l'omesso pagamento delle imposte; l'avvenuta emissione degli assegni e la destinazione degli stessi; l'avere I.F. sottoposto all'approvazione dell'assemblea la situazione contabile al 22/06/2009 che non dava conto dello "svuotamento della cassa"; la mancanza di una giustificazione alternativa dell'imputato il quale nel corso del giudizio nulla ha chiarito in ordine al suo, quanto meno anomalo ed ingiustificato, comportamento.
Invero in tema di appropriazione indebita, il fondamento del reato di cui all'art. 646 c.p., deve essere individuato nella volontà del legislatore di sanzionare penalmente il fatto di chi, avendo l'autonoma disponibilità della "res", dia alla stessa una destinazione incompatibile con il titolo e le ragioni che ne giustificano il possesso, anche nel caso in cui si tratti di una somma di danaro. (In applicazione del principio, la S.C. ha ritenuto configurabile il reato nella condotta del depositario di assegni destinati alla purgazione delle ipoteche gravanti su un bene immobile oggetto di preliminare di vendita che, invece di destinarli al predetto utilizzo, li consegni, contro la volontà del promissario acquirente, al promittente venditore il quali li incassi utilizzando il denaro per propri fini personali, così rendendosi concorrente nel medesimo reato. (Sez. 2, Sentenza n. 12869 del 08/03/2016 Ud. (dep. 30/03/2016) Rv. 266370 - 01.
2.3. Nel caso in esame la corte di appello ha, quindi, finito per trascurare una serie di elementi idonei a fondare una responsabilità per fatto illecto dell'imputato, quanto meno a titolo di concorso, non tenendo conto che nella specie si era verificata la "distrazione" delle somme sociali oggetto di specifica delibera della menzionata società per scopi estranei a quelli previsti, distrazione collegata a due distinte condotte per cui I.F., nella veste di amministratore della società, aveva prelevato le suddette somme trasformandole in 31 assegni ed il nuovo amministratore L. li aveva negoziati nell'arco di tre mesi.
In un simile contesto, tenuto conto dell'evolversi degli accadimenti conclusisi con il definitivo svuotamento delle casse sociali e l'omesso versamento delle imposte: con oneri conseguenziali gravanti sugli altri soci, non appare decisiva la considerazione della corte di appello secondo cui la somma di Euro 1.530.000,00, presente sul conto della società SACA Costruzioni Aeronavali s.r.l., era stata trasformata in 31 assegni rimasti nella disponibilità della società in quanto i titoli erano stati emessi in favore della società medesima e che non vi era prova che l'imputato si era appropriato personalmente di somme di denaro della società, trascurandosi di considerare il ruolo decisivo avuto dallo stesso rispetto agli esiti finali dell'operazione.
4. In conclusione va disposto l'annullamento della sentenza impugnata limitatamente agli effetti civili, con rinvio per nuovo giudizio - al fine di colmare le suindicate lacune motivazionali sulla scorta dei principi richiamati - al giudice civile competente per valore in grado di appello, cui va rimessa anche la liquidazione delle spese tra le parti per questo grado di legittimità.
P.Q.M.
annulla la sentenza impugnata limitatamente agli effetti civili con rinvio per nuovo giudizio al giudice civile competente per valore in grado di appello, cui rimette anche la liquidazione delle spese tra le parti per questo grado di legittimità.
Così deciso in Roma, il 23 settembre 2021.
Depositato in Cancelleria il 26 novembre 2021