RITENUTO IN FATTO
1. La Corte di appello di Roma, con la sentenza emessa il 15 marzo 2023, confermava quella del Tribunale per i minorenni capitolino, che aveva accertato la responsabilità penale di C.M., in relazione al delitto di omissione di soccorso ex art. 593 c.p., comma 2.
A C., veniva contestato di aver omesso di dare avviso all'autorità dell'avvenuto incidente, nella qualità di passeggero a bordo del veicolo Smart Forfour, a seguito dell'investimento del pedone N.E., che in conseguenza subiva lesioni personali.
2. Il ricorso per cassazione proposto nell'interesse di C.M., consta di un unico motivo, enunciato nei limiti strettamente necessari per la motivazione, secondo quanto disposto dall'art. 173 disp. att. c.p.p..
3. Il motivo deduce violazione di legge e vizio di motivazione in ordine all'art. 593 c.p., comma 2.
Lamenta il ricorrente che la motivazione resa dalla Corte territoriale sia apparente in ordine al motivo di appello.
La Corte capitolina - dopo aver ritenuto corretta l'applicazione della fattispecie di omissione di soccorso, essendo l'imputato da qualificarsi come terzo trasportato e non come conducente o concorrente con il conducente, cosicché non doveva trovare applicazione la disciplina dell'art. 189 C.d.s. - non avrebbe chiarito quale era la condotta esigibile da parte dell'imputato, limitandosi a evidenziare che lo stesso imputato aveva riferito che "poteva fare di più". Si verterebbe in apparente motivazione analoga a quella del giudice di primo grado: entrambe le sentenze non si sarebbero confrontate con la circostanza che C. era a bordo di una autovettura condotta da un maggiorenne, cosicché non poteva arrestare il mezzo, né far desistere il conducente dalla fuga, tanto più che non sarebbe comunque bastato contattare l'autorità di polizia e quelle sanitarie, essendo necessario presidiare il luogo dell'incidente e limitare il danno alla vittima anche dall'arrivo di altri veicoli.
4. Il Pubblico ministero, nella persona del Sostituto Procuratore generale, ha depositato requisitoria e conclusioni scritte - ai sensi del D.L. 127 del 2020, art. 23 comma 8, - con le quali ha chiesto il rigetto del ricorso.
La difesa del ricorrente ha replicato insistendo per l'accoglimento del ricorso.
5. Il ricorso è stato trattato senza intervento delle parti, ai sensi del D.L. n. 137 del 2020, art. 23, comma 8, disciplina prorogata sino al 31 dicembre 2022 per effetto dell'art. 7, comma 1, D.L. n. 105 del 2021, la cui vigenza è stata poi estesa in relazione alla trattazione dei ricorsi proposti entro il 30 giugno 2023 dal D.L. 10 ottobre 2022 n. 150, art. 94, come modificato dal D.L. 31 ottobre 2022, n. 162, art. 5 duodecies convertito con modificazioni dalla L. 30 dicembre 2022, n. 199.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
2. A ben vedere, il motivo lamenta esclusivamente l'assenza di motivazione in ordine alla circostanza che l'imputato non era in condizione di porre in essere condotte tese a far arrestare il conducente, al fine di prestare soccorso alla vittima, investita dall'autovettura sulla quale si trovava, come passeggero, lo stesso ricorrente.
E' noto che le due sentenze di merito, conformi, formano un unico impianto motivazionale. Infatti, le sentenze di merito possono integrare la cd. doppia conforme, ai fini del controllo di legittimità sul vizio di motivazione, in quanto la sentenza di appello, nella sua struttura argomentativa, si salda con quella di primo grado sia attraverso ripetuti richiami a quest'ultima sia adottando gli stessi criteri utilizzati nella valutazione delle prove, con la conseguenza che le due sentenze possono essere lette congiuntamente costituendo un unico complessivo corpo decisionale (Sez. 2, n. 37295 del 12/06/2019, E., Rv. 277218; Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013, Argentieri, Rv. 257595 - 01; Sez. 3, n. 13926 del 01/12/2011, dep. 12/04/2012, Valerio, Rv. 252615 - 01).
E così, a fronte della doglianza proposta con il motivo di appello, che anticipava il tema della inesigibilità della condotta del passeggero, una adeguata motivazione si rinviene nella sentenza impugnata, allorché ravvisa come C., avesse ammesso di non essersi attivato per far arrestare l'autovettura e assicurare il soccorso, per il timore di essere scoperto così pregiudicando il buon esito del proprio progetto di messa alla prova, al quale era sottoposto.
Tale motivazione, a ben vedere, si integra con quella del primo giudice, che aggiungeva come, nel corso delle dichiarazioni rese in udienza, C., avesse riferito di avere chiesto al conducente di arrestare la marcia, ma il suo invito era stato vano. Aggiungeva, inoltre, l'imputato: "potevo anche fare di più per fermare la macchina, non ho fatto niente perché ho avuto paura che potessero esserci delle conseguenze sulla messa alla prova che stavo svolgendo".
Il Tribunale rilevava come C. si fosse reso conto che era stato investito un pedone e, nonostante ciò, "non si era fermato, né aveva chiesto con sufficiente determinazione al conducente di fermarsi, né aveva allertato qualcuno, anche telefonicamente, affinché si desse soccorso alla persona offesa".
La ricostruzione e motivazione della sentenza di primo grado rende del tutto inammissibile le censure sul punto rivolte con l'atto di appello, in quanto assolutamente aspecifiche, lamentando il motivo di impugnazione che non fosse stata evidenziata quale doveva essere la condotta esigibile, mentre la stessa era già stata indicata dal Tribunale.
Ciò spiega anche la motivazione succinta della Corte di appello, sui correlati motivi, cosicché il motivo di appello risultava inammissibile. A tal proposito, va richiamato il principio affermato dalle Sez. U., n. 8825 del 27/10/2016, dep. 2017, Galtelli, Rv. 268822 - 01, che in motivazione hanno precisato come la declaratoria di inammissibilità possa essere adottata anche d'ufficio in sede di legittimità, qualora l'inammissibilità stessa non sia stata rilevata dal giudice d'appello. Dall' art. 591, comma 4, e art. 627 c.p.p., comma 4, infatti, emerge che l'inammissibilità può essere dichiarata in ogni stato e grado del processo, se non rilevata dal giudice dell'impugnazione, salvo che nel giudizio conseguente ad annullamento con rinvio, in cui è invece preclusa la rilevazione delle inammissibilità verificatesi nei precedenti giudizi o nel corso delle indagini preliminari.
Pertanto, l'originario motivo di appello è inammissibile in quanto non si confrontava con la motivazione della sentenza di primo grado. Difatti, Sez. U., Galtelli, ha affermato come l'appello, al pari del ricorso per cassazione, è inammissibile per difetto di specificità dei motivi quando non risultano esplicitamente enunciati e argomentati i rilievi critici rispetto alle ragioni di fatto o di diritto poste a fondamento della decisione impugnata, fermo restando che tale onere di specificità, a carico dell'impugnante, è direttamente proporzionale alla specificità con cui le predette ragioni sono state esposte nel provvedimento impugnato. (Sez. U, Sentenza n. 8825 del 27/10/2016, dep. 2017, Galtelli, Rv. 268822)
3. D'altro canto, osserva il ricorrente, il soccorso doveva essere effettuato personalmente e sul posto. A fronte di tale esigibile condotta, il ricorrente lamenta di non averla potuta assicurare, in ragione del ruolo di passeggero.
Va premesso che il principio della non esigibilità di una condotta diversa - sia che lo si voglia ricollegare alla "ratio" della colpevolezza riferendolo ai casi in cui l'agente operi in condizioni soggettive tali da non potersi da lui "umanamente" pretendere un comportamento diverso, sia che lo si voglia ricollegare alla "ratio" dell'antigiuridicità riferendolo a situazioni in cui non sembri coerente ravvisare un dovere giuridico dell'agente di uniformare la condotta al precetto penale - non può trovare collocazione e spazio al di fuori delle cause di giustificazione e delle cause di esclusione della colpevolezza espressamente codificate, in quanto le condizioni e i limiti di applicazione delle norme penali sono posti dalle norme stesse senza che sia consentito al giudice di ricercare cause ultralegali di esclusione della punibilità attraverso l'"analogia juris" (Sez. 3, n. 38593 del 23/01/2018, Del Stabile, Rv. 273833 - 01; tale principio viene richiamato anche da Sez. 5, n. 21133 del 25/03/2019, C., Rv. 275315 - 03).
Di fatto ciò che prospetta il ricorrente è una situazione di forza maggiore non vincibile, nella species della forza maggiore consistente nel costringimento fisico previsto dall'art. 46 c.p..
A ben vedere, però, una è la condotta omissiva tenuta per forza maggiore, in ragione della impossibilità assoluta di poter intervenire e soccorrere, anche rispetto all'avviso a darsi nelle forme possibili l'autorità, essendo impedita la predetta condotta ai sensi dell'art. 46 c.p. per l'opposizione ferma, e non vinta, del conducente ad arrestarsi presso la vittima della strada; altra la determinazione volitiva dell'imputato di rinunciare a soccorrere, circostanza ammessa (poteva "fare di più") quanto al convincere R. a fermarsi o, evidentemente, al provvedere altrimenti ai doveri di soccorso, anche anonimamente, contattando le autorità sanitarie e di polizia, perché impossibilitato a fare altro.
In vero, l'esimente dell'art. 46 c.p. è species di quella relativa alla forza maggiore, di cui all'art. 45 c.p., che sussiste in tutte le ipotesi in cui l'agente abbia fatto quanto era in suo potere per uniformarsi alla legge e che per cause indipendenti dalla sua volontà non vi era la possibilità di impedire l'evento o la condotta antigiuridica (Sez. 5, n. 23026 del 03/04/2017, Mastrolia, Rv. 270145 01: fattispecie in cui la S.C. ha rigettato il ricorso dell'imputato, condannato per l'allaccio abusivo alla rete di distribuzione dell'energia elettrica, il quale aveva eccepito la forza maggiore, da lui individuata nel fatto che non era riuscito ad ottenere un regolare contratto di fornitura elettrica, malgrado i plurimi solleciti, e che inoltre aveva subito un guasto del generatore di cui si era munito per far fronte alle esigenze del suo locale).
Il costringimento fisico si caratterizza in quanto la violenza irresistibile promana da fattori esterni all'agente (non agit, sed agitur), individuabile nella condotta di un altro uomo e deve consistere in una forza assoluta, non contrastabile né aggirabile, che annulli la volontà impedendo qualsiasi scelta a chi la subisce.
Nel caso in esame, a ben vedere, certamente C. non si è trovato in una situazione di costringimento fisico, intesa come vis absoluta esterna proveniente dal conducente dell'autovettura che lo abbia determinato detta di in modo irresistibile alla omissione, impedendogli di prestare il soccorso imposto dalla norma incriminatrice.
Ne' per altro nel caso di specie sussisterebbero neppure i presupposti per l'applicazione dell'art. 54 c.p., che regola casi di coazione relativa, per i quali occorre che si verta in contesti nei quali sussista un pericolo attuale di un grave danno alla persona o in minacce rivolte al soggetto da coartare, non risultando né l'esistenza di queste ultime da parte del R., né il pericolo nei termini indicati per C., che mantenne la possibilità di scelta, tanto da aver deciso di non insistere ulteriormente per convincere il conducente ad arrestare la marcia e prestare soccorso.
Ne consegue, pertanto, anche la manifesta infondatezza del motivo di ricorso.
4. Pertanto, può affermarsi il principio per cui il costringimento fisico, ai sensi dell'art. 46 c.p., sussiste solo se l'agente abbia fatto quanto era in suo potere per uniformarsi alla legge, confrontandosi con una forza assoluta, non contrastabile né aggirabile, che promana da un fattore esterno all'agente individuabile nella condotta di un altro uomo, di tale intensità da annullare la volontà dell'agente, impedendogli qualsiasi altra scelta e determinandolo irresistibilmente alla azione o alla omissione integrante la condotta di reato.
5. Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso non segue la condanna alle spese, né la sanzione pecuniaria in favore della Cassa delle ammende, trattandosi di indagato minorenne. Ed infatti, questa Corte ha già affermato che la declaratoria di inammissibilità del ricorso per cassazione per reati commessi da minorenne non comporta la condanna al pagamento delle spese processuali, né al versamento di una somma a favore della Cassa delle ammende, trovando applicazione la disciplina di favore dettata dal D.Lgs. n. 272 del 1989, art. 29, in relazione a sentenze di condanna a carico di minorenni (Sez. U, n. 15 del 31/05/2000, Radulovic, Rv. 216704 - 01; Sez. 1, n. 26870 del 03/10/2014, dep. 2015, S., Rv. 264025).
6. Segue ex lege l'oscuramento dei dati attesa la minore età all'epoca del fatto dell'imputato.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso.
In caso di diffusione del presente provvedimento andranno omesse le generalità e gli altri dati identificativi a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52, in quanto imposto dalla legge.
Così deciso in Roma, il 12 ottobre 2023.
Depositato in Cancelleria il 18 dicembre 2023