RITENUTO IN FATTO
1. Con la sentenza sopra indicata la Corte d'Appello di Ancona, in parziale riforma di quella emessa dal Tribunale di Camerino in composizione monocratica il 5/5/2011, confermava la condanna di V.M. alla pena di un anno e due mesi di reclusione in relazione ai reati di maltrattamenti, minacce aggravate, ingiurie, lesioni personali in danno della moglie convivente B. A. nonchè di violazione dell'art. 189 C.d.S., commi 6 e 7, ritenuti avvinti dal vincolo della continuazione e con condanna al risarcimento del danno e rifusione delle spese processuali in favore della parte civile costituita; in accoglimento dell'appello del Procuratore Generale, la Corte territoriale disponeva, inoltre, la sospensione della patente di guida dell'imputato per la durata di due anni e sei mesi.
La Corte territoriale confermava le valutazioni del giudice di prime cure, in quanto fondate sulle dichiarazioni, ritenute logiche e pienamente attendibili, rese dalla parte offesa e riscontrate da quelle rese dai testimoni escussi, nonchè dalla risultanze di una consulenza disposta dal PM che aveva ritenuto la dichiarante persona pienamente capace ed esente da patologie psichiatriche; accoglieva l'appello del Procuratore Generale inerente la sanzione accessoria della sospensione della patente di guida; respingeva le doglianze dell'imputato, quasi tutte incentrate su profili di merito ad eccezione di quella relativa alla condanna asseritamente intervenuta unicamente per la contestazione di cui al capo A) (maltrattamenti, minacce, ingiurie, percosse e lesioni) ed esclusione invece dei reati contestati ai capi B), C), D) ed E).
2. Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione l'imputato, deducendo plurimi motivi di censura: 1) nullità della sentenza impugnata ai sensi degli artt. 161 e 179 c.p.p., per omessa notificazione all'imputato del decreto di fissazione dell'udienza d'appello al difensore e non al domicilio dichiarato in tutto il corso del procedimento; 2) violazione di legge in relazione all'art. 546 c.p.p., per assoluta indeterminatezza del dispositivo e della sentenza di primo e secondo grado in ordine ai reati di cui ai capi B), C), D) ed E) della contestazione ed omessa pronuncia su detto motivo dalla Corte d'Appello; 3) vizio di motivazione in ordine al capo C) della decisione, implicante l'annullamento anche dei capi D) ed E) riferiti al preteso investimento della persona offesa, in realtà mai avvenuto; 4) violazione di legge in ordine all'erronea valutazione della deposizione della persona offesa sull'episodio di cui ai predetti capi d'imputazione nonchè a quelli di cui ai capi A) e B); 5) violazione di legge in relazione all'art. 572 c.p., per la ritenuta sussistenza dell'abitualità delle condotte anche successivamente alla separazione personale dei coniugi; 6) violazione di legge in relazione alla ritenuta sussistenza dei reati di cui all'art. 189 C.d.S., commi 6 e 7, per non essere occorso alcun incidente stradale costituente occasione per l'insorgenza degli obblighi di legge ivi stabiliti.
Con memoria del 28 febbraio u.s., il difensore della parte civile costituita B.A. ha riepilogato i distinti motivi di ricorso, prospettando specifici argomenti di confutazione.
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. Il ricorso risulta parzialmente fondato.
3.1 Va tuttavia preliminarmente disattesa l'eccezione di nullità della decisione impugnata per omessa notifica all'imputato del decreto di fissazione dell'udienza d'appello al domicilio dichiarato, eseguita invece preso il difensore di fiducia.
La giurisprudenza di questa Corte ha già affermato il principio che la nullità, derivante dall'esecuzione della notificazione del decreto di citazione per il giudizio di appello presso il difensore di fiducia, anzichè nel domicilio dichiarato o eletto dall'imputato, deve ritenersi sanata quando risulti provato che essa non gli ha impedito di conoscere l'esistenza dell'atto e di esercitare il diritto di difesa ed è comunque, priva di effetti se non dedotta tempestivamente, essendo soggetta alla sanatoria speciale di cui all'art. 184, comma 1, alle sanatorie generali di cui all'art. 183, alle regole di deducibilità di cui all'art. 182, oltre che ai termini di rilevabilità di cui all'art. 180 c.p.p. (Cass. Sez. 4, n. 15081 del'08/04/2010, Cusmano, Rv. 247033), trattandosi del resto non già di notificazione del tutto omessa e quindi inesistente, bensì eseguita irregolarmente e cioè secondo forme diverse da quelle in base alle quali avrebbe dovuto perfezionarsi.
Tanto nella vicenda processuale occasione dell'affermazione del suddetto principio, quanto in quella in esame, la notificazione ha, infatti, comunque determinato l'effettiva conoscenza dello atto da parte dell'imputato ed il difensore comparso all'udienza dibattimentale nulla ha eccepito al riguardo, come si ricava dall'analitico elenco dei motivi d'impugnazione a pag. 3 della decisione impugnata, in cui non figura la doglianza in questa sede per la prima volta formulata.
3.2 Deve essere disatteso anche il motivo di censura afferente la pretesa indeterminatezza del dispositivo e della sentenza di primo e secondo grado in relazione ai reati di cui ai capi B), C), D) ed E) della contestazione e di omessa pronuncia su detto motivo ad opera della Corte territoriale.
Come, infatti, si ricava dalla lettura dal dispositivo della decisione di primo grado e come rilevato dai giudici d'appello ed evidenziato nella memoria presentata dalla parte civile, deve escludersi che sia intervenuta assoluzione implicita per i reati diversi da quello di maltrattamenti contestato all'imputato al capo A) del decreto che disponeva il giudizio.
Ed infatti, nel citato dispositivo il ricorrente è stato dichiarato responsabile "dei delitti ascrittigli" con implicito ma chiaro riferimento a quelli di cui ai capi B, C, D ed E, oltre a quello di cui al capo A espressamente menzionato.
Quanto alla motivazione sul punto, le argomentazioni integrate delle sentenze di primo e secondo grado evidenziano indiscutibilmente quali siano state le determinazioni dei giudici del doppio grado di giudizio e quali le ragioni (sicuramente più diffuse nella sentenza d'appello) poste a loro fondamento.
3.3 Del pari prive di pregio si rivelano le dedotte violazioni di legge circa la pretesa erronea valutazione della deposizione della persona offesa, nonchè in relazione all'art. 572 c.p., sotto il profilo della ritenuta sussistenza dell'abitualità delle condotte anche successivamente alla separazione personale dei coniugi.
Trattasi in verità di questioni di fatto già esaminate dai giudici di merito, concernendo l'attendibilità delle dichiarazioni provenienti dalla parte lesa B.A., questione su cui la Corte d'appello ha ribadito le valutazioni del primo giudice quanto al positivo apprezzamento della relativa deposizione, anche perchè riferita ad una situazione familiare globale perdurante da diversi anni, non omettendo di dare conto pure della denunziata discrasia di orario dedotta dalla difesa dell'appellante con riferimento all'episodio che sostanza i fatti oggetto dei capi d'imputazione sub C), D) ed E) (pag. 13 sentenza d'appello).
Non possono del pari essere rimesse in discussione le valutazioni dei giudici di merito circa il carattere continuativo ed abituale delle condotte al ricorrente ascritte, come del resto la struttura stessa della contestazione - concernente episodi dipanatisi in un arco temporale andante dal 2002 all'epoca della relativa formulazione - anche visivamente rende manifesto.
3.4 Risultano, invece, fondate le censure attinenti la formulazione dei capi d'imputazione sub D) ed E), ancorchè articolate sub specie di difetto di motivazione connesso a pretesa erronea valutazione delle dichiarazioni della persona offesa, che invece deve, per quanto anzidetto, escludersi.
Al V. sono stati contestati i delitti di cui al D.Lgs. n. 285 del 1992, art. 189 commi 6 e 7, Codice della Strada per non avere ottemperato all'obbligo di fermarsi e prestare assistenza alla parte lesa, rimasta ferita per effetto della condotta ascrittagli al capo C).
Tale imputazione concerne la volontaria collisione provocata dal ricorrente, il quale nel pedinamento ossessivo della coniuge, la urtava deliberatamente con lo specchietto retrovisore della propria autovettura, attingendola al braccio sinistro, scaraventandola contro un secchio di raccolta della nettezza urbana e facendole battere la testa ed il fianco destro, in tal modo provocandole lesioni guaribili in sette giorni: trattasi all'evidenza di comportamento doloso, che ha per l'appunto dato luogo all'imputazione di lesioni personali di cui all'art. 582 c.p..
Respingendo la censura difensiva dell'impossibilità di configurare i contestati reati stradali in relazione al predetto reato di natura dolosa, la Corte territoriale ha replicato che l'uso da parte dell'art. 189 C.d.S. del termine "incidente" comporta la punibilità delle condotte ivi contemplate in ogni caso di sinistro causato a mezzo di autoveicolo, indifferentemente a titolo di dolo o per colpa.
Il principio così affermato non trova, in realtà, fondamento nel sistema sanzionatorio penale e non solo limitato alle previsioni sanzionatorie contenute nel Codice della Strada.
Come recita la stessa rubrica, l'art. 189 C.d.S., contempla infatti specifiche norme comportamentali, stabilendo al primo comma l'obbligo generale per l'utente della strada di fermarsi e prestare assistenza a quanti abbiano eventualmente subito danni alla persona in caso d'incidente comunque ricollegabile al proprio comportamento, obbligo che trova sanzione a livello generale nell'art. 593 c.p..
Ciò premesso, che il suddetto comportamento debba essere conseguenza della violazione di regole cautelari contemplate dal Codice della Strada e quindi sorretto da elemento soggettivo colposo (implicante prevedibilità o addirittura previsione dell'evento però non voluto), è esplicitato dallo stesso art. 189, comma 8, che stabilisce che il conducente che si fermi e occorrendo presti assistenza a coloro che hanno subito danni alla persona, mettendosi immediatamente a disposizione degli organi di polizia giudiziaria, quando dall'incidente derivi il delitto di omicidio colposo o di lesioni personali colpose, non è passibile di arresto in flagranza di reato di cui all'art. 380 c.p.p..
L'art. 189 costituisce, infatti, norma di chiusura del micro sistema delle sanzioni penali previste dal Codice della Strada, contemplando comportamenti di natura dolosa che presuppongono violazioni di regole cautelari poste a presidio della circolazione stradale, danti a loro volta luogo a responsabilità di tipo colposo (artt. 589 e 590 c.p.), che ove tali non fossero - bensì sorrette da atteggiamento psicologico doloso - determinerebbero all'evidenza responsabilità a titolo di diversi e più gravi reati (artt. 582, 583, 583 quater, 584 e 575 c.p.).
Argomentando nei termini prospettati dalla Corte territoriale, si dovrebbe infatti parimenti ritenere punibile per omissione di soccorso (art. 593 c.p.) anche il responsabile di tentato omicidio, allorquando trovandosi al cospetto della persona ferita o altrimenti in pericolo a causa della sua pregressa condotta, ometta di prestarle l'assistenza occorrente o di darne immediatamente avviso all'autorità.
Risulta, tuttavia, evidente l'insostenibilità di detta tesi, posto che il reato di omissione di soccorso trova fondamento nella violazione del principio solidaristico espresso dall'art. 2 Cost., che s'impone indistintamente ai consociati, sempre che gli stessi non si siano già resi responsabili della sua violazione in termini ancor più radicali, attentando alla vita della persona cui dovrebbero portare soccorso, venendo in tali casi sanzionati a titolo di più diverse e più gravi figure di reato e sovvenendo, in caso di condotte analoghe a quelle prescritte dall'art. 593 c.p., quelle specifiche previsioni che contemplano diminuzioni di pena in caso di ravvedimento (art. 56 c.p., u.c., nel caso di impedimento dell'evento a seguito di omicidio tentato; art. 62 c.p., n. 6, nel caso di spontanea ed efficace attivazione al fine di elidere o attenuare le conseguenze del reato).
4. Deve, dunque, la sentenza impugnata essere annullata limitatamente ai capi d'imputazione sub D) ed E), con rinvio alla Corte d'Appello di Perugia - attesa l'unicità della sezione penale della Corte d'Appello di Ancona - per la rideterminazione della pena, che si impone per effetto dall'elisione dei predetti capi d'imputazione.
P.Q.M.
annulla la sentenza impugnata limitatamente ai capi D) ed E) dell'imputazione e rinvia per la rideterminazione della pena alla Corte d'Appello di Perugia; rigetta nel resto il ricorso.
Così deciso in Roma, il 18 marzo 2014.
Depositato in Cancelleria il 22 aprile 2014