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Omissione di soccorso: escluso il dolo in caso di errore sulla percezione del pericolo o sulle modalità di aiuto

Omissione di soccorso

Cassazione penale sez. V, 14/02/2013, n.13310

Nel reato di omissione di soccorso non ricorre il dolo, quale necessario elemento soggettivo dello stesso, qualora l'omissione sia dovuta ad un errore, ancorché colposo, compiuto dall'agente in ordine alla valutazione della situazione di pericolo percepita ovvero allorquando lo stesso agente, pur avendo riconosciuto la stessa, abbia poi errato nell'elezione delle modalità di soccorso pur poste in essere.

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La sentenza integrale

RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza del 22 novembre 2011 la Corte d'appello di Perugia, in riforma della pronunzia assolutoria di primo grado impugnata dal pubblico ministero e dalle parti civili, condannava, alla pena di giustizia ed al risarcimento del danno in favore di queste ultime, L.P. per il reato di omissione di soccorso nei confronti di un minore infortunatosi allo sterno svolgendo un esercizio ginnico nel corso di una lezione di educazione fisica dalla stessa condotta. 2. Avverso la sentenza ricorre a mezzo del difensore l'imputata articolando tre motivi. 2.1 Con il primo motivo il ricorrente ripropone l'eccezione, già respinta dalla Corte territoriale, sulla nullità della notifica all'imputata del decreto di citazione per il giudizio d'appello, in quanto eseguita non a mani della stessa, bensì a mezzo fax presso il difensore di fiducia, sostanzialmente eletto d'ufficio quale domiciliatario della stessa invocando formalmente l'art. 158 c.p.p. e comunque nonostante si trattasse della prima notifica nel grado. Il ricorrente censura altresì la motivazione adottata dalla medesima Corte per rigettare l'analoga eccezione che, come detto, era stata sollevata nel corso del giudizio d'appello, rilevando come sostanzialmente i giudici territoriali, ritenendo il riferimento all'art. 158 c.p.p. frutto di un mero errore materiale, abbiano proceduto alla sua correzione senza osservare le disposizioni all'uopo dettate dall'art. 130 c.p.p. e comunque abbiano erroneamente interpretato l'art. 157 c.p.p., comma 8 bis, ritenendo legittima la domiciliazione legale dell'imputata presso il difensore in riferimento a tutte le notifiche successive a quella del primo atto del procedimento e non a quella del primo atto di ogni grado di giudizio. 2.2 Con il secondo motivo si lamenta la violazione dell'art. 589 c.p.p., in quanto i giudici d'appello non avrebbero, errando, considerato le conclusioni assunte dal Procuratore Generale nel corso della discussione finale (con le quali lo stesso chiedeva la conferma del verdetto assolutorio emesso nel primo grado di giudizio) come vera e propria rinunzia all'impugnazione del pubblico ministero. 2.3 Con il terzo motivo il ricorrente denuncia invece vizi motivazionali della sentenza impugnata in ordine all'affermazione di responsabilità dell'imputata, rilevando come, contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte territoriale, l'imputata abbia invero prestato idonea assistenza al minore dopo il suo infortunio e comunque abbia immediatamente avvisato l'autorità nella persona del dirigente scolastico, come doveroso atteso che l'infortunio si era verificato all'interno di una scuola e nel corso di una lezione. Non di meno i giudici d'appello avrebbero contraddittoriamente ritenuto la sussistenza dell'elemento soggettivo tipico del reato contestato pur riconoscendo, nel concedere all'imputata le attenuanti generiche, che la L. avesse tenuto un comportamento premuroso nei confronti del minore, senza dunque porsi il problema dell'effettiva ricognizione da parte della medesima della situazione di pericolo da cui sarebbe scaturito l'obbligo di attivarsi invece asseritamente omesso. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Le eccezioni processuali sollevate con i primi due motivi del ricorso sono manifestamente infondate. 1.1 Quanto all'eccepita nullità della notifica all'imputata del decreto di citazione per il giudizio di appello deve rilevarsi che questa è stata invece legittimamente eseguita, come rilevato dalla Corte territoriale, mediante consegna dell'atto al difensore di fiducia ai sensi dell'art. 157 c.p.p., comma 8 bis, norma che costituisce lo stesso difensore quale domiciliatario legale dell'imputato per tutte le notifiche a quest'ultimo destinate e successive alla notificazione del primo atto del procedimento eseguita nei suoi confronti ai sensi dei precedenti commi dello stesso articolo. 1.2 La tesi difensiva per cui la disposizione citata farebbe riferimento alle notifiche successive a quella del primo atto comunicato all'imputato in ogni grado di giudizio è destituita di qualsiasi fondamento, risultando in contrasto sia con la lettera della norma, sia con la sua ratio, tesa alla semplificazione delle procedure di notifica una volta accertato che il rapporto informativo sulla pendenza del procedimento nei confronti del medesimo imputato si è correttamente instaurato ed egli abbia assunto l'iniziativa di costituire un difensore di sua fiducia. Del resto mal si comprende quale sarebbe la ragione sottesa alla ripetizione della sequenza descritta in ogni grado di giudizio, non sussistendo più, una volta eseguita la prima notifica del procedimento, l'esigenza di un accertamento circa l'effettiva consapevolezza da parte dell'imputato dell'esistenza dello stesso al fine di garantire il concreto esercizio dei diritti di difesa. 1.3 Circa poi l'evocazione nel decreto notificato dell'art. 158 c.p.p. anzichè della norma sopra richiamata, correttamente i giudici d'appello hanno ritenuto tale indicazione non solo il frutto di un mero errore materiale (evidente, atteso che l'articolo citato disciplina la notifica al militare in servizio), ma altresì la sua ininfluenza. Infatti una volta che la notificazione venga disposta con le modalità dettate dalla legge processuale per la sua esecuzione (com'è avvenuto nel caso di specie, dove il decreto presidenziale specificava come la notifica dovesse essere effettuata presso il difensore nominato di fiducia, circostanza che ulteriormente dimostra la natura materiale del suddetto errore) è del tutto irrilevante l'eventuale errore nell'individuazione delle norme giuridiche di riferimento, la cui menzione non è peraltro nemmeno necessaria. Non dì meno deve rilevarsi che la Corte territoriale non ha commesso alcuna violazione dell'art. 130 c.p.p., atteso che per l'appunto essa si è limitata a rilevare l'irrilevanza dell'errata indicazione dell'art. 158 c.p.p., senza procedere a correzioni di sorta, come fantasiosamente sostenuto dal ricorrente. 2. Come accennato, anche l'ulteriore eccezione sollevata con il secondo motivo di ricorso deve ritenersi manifestamente infondata. Va infatti ribadito che la rinuncia all'impugnazione è atto formale che non ammette equipollenti e che pertanto non equivale ad una rinuncia all'impugnazione la richiesta del rappresentante della pubblica accusa che, nel giudizio d'impugnazione proposto dal pubblico ministero, solleciti la conferma del provvedimento di assoluzione impugnato (Sez. 3, n. 1591/10 del 29 ottobre 2009, Calbejan e altri, Rv. 245754; Sez. 1, n. 4512 del 21 gennaio 2011, Buonaiuto e altri, Rv. 249496). 3. Prima di esaminare il terzo motivo di ricorso deve essere evidenziato come, successivamente alla pronunzia della sentenza impugnata, si sia compiuto (il 3 maggio 2012) il termine di prescrizione del reato in contestazione. Peraltro il giudice di legittimità, nel dichiarare estinto per prescrizione il reato per il quale nei gradi di merito è intervenuta condanna, è tenuto a decidere sull'impugnazione agli effetti delle disposizioni dei capi della sentenza che concernono gli interessi civili ed a tal fine i motivi di impugnazione proposti dall'imputato - se non ritenuti inammissibili - devono essere esaminati compiutamente, non potendo trovare conferma la condanna, anche solo generica, al risarcimento del danno dalla mancanza di prova evidente della innocenza degli imputati secondo quanto previsto dall'art. 129 c.p.p., comma 2, (Sez. 6, n. 3284/10 del 25 novembre 2009, Mosca, Rv. 245876). 3.1 Ciò premesso deve rilevarsi che il suindicato motivo di ricorso è fondato nei limiti di seguito illustrati e in relazione ai profili di doglianza che verranno considerati con effetto assorbente degli altri pure prospettati dal ricorrente. 3.2 In proposito va innanzi tutto ricordato che il delitto di omissione di soccorso è imputabile soltanto a titolo di dolo, il quale si atteggia come generico e nel cui oggetto - con riguardo alla fattispecie di cui all'art. 593 c.p., comma 2 ritenuta dalla Corte territoriale - rientra anche lo stato di pericolo in cui versa il soggetto passivo, che è elemento costitutivo del fatto tipico e più precisamente il presupposto dell'obbligo di attivarsi la cui omissione determina l'illiceità penale del fatto medesimo. Perchè, dunque, tale omissione possa ritenersi volontaria è dunque necessario che l'agente si sia effettivamente rappresentato la situazione di pericolo come tale. Deve pertanto reputarsi escluso il dolo, anche solo nella forma eventuale, qualora l'omissione del soccorso sia dovuta ad un errore (ancorchè colposo) compiuto dallo stesso agente in ordine alla valutazione della reale natura della situazione percepita attraverso i propri sensi. E parimenti non può ritenersi integrato l'elemento soggettivo del reato in contestazione qualora lo stesso agente, pur avendo riconosciuto la situazione di pericolo, abbia poi errato nell'elezione delle modalità di soccorso che pure abbia posto in essere (Sez. 5 n. 703/10 del 17 novembre 2009, S., in motivazione). 3.3 Nel caso di specie la Corte territoriale ha ritenuto sussistere il dolo del delitto in contestazione sulla base del fatto che: - le modalità con cui il minore si era infortunato imponevano una particolare attenzione nella sua assistenza, essendo l'incidente conseguito allo svolgimento di un esercizio ginnico che implicava l'esecuzione di una capriola, coinvolgendo dunque parti particolarmente sensibili del corpo; - al persistente dolore e alle difficoltà respiratorie lamentati dal minore non corrispondevano ferite evidenti, circostanza che avrebbe dovuto allarmare la L., facendole sospettare la gravità dell'infortunio, rivelandole l'insufficienza delle cure pure prontamente prestate e concretizzatosi nella prestazione di un massaggio e nel far riposare il bambino; - l'imputata avvertì dell'accaduto al termine della lezione sia le insegnati delle ore successive, chiedendo loro ti tenere sotto controllo il minore, sia la direttrice della scuola, segno evidente che ella si era resa conto della gravita della situazione e del carattere non risolutivo delle cure prestate. Le suddette argomentazioni non appaiono peraltro sufficienti a fondare il giudizio sulla colpevolezza dell'imputata formulato dai giudici d'appello, giacchè le stesse rivelano semplicemente la sottovalutazione da parte della medesima della situazione di pericolo pure percepita ovvero l'elezione di errate modalità di soccorso per arginarla. In altri termini la motivazione della sentenza appare idonea a sostenere al più un giudizio di rimproverabilità dell'imputata per non aver saputo riconoscere l'effettiva entità del pericolo in cui versava il minore e per non adottato misure adeguate a fronteggiarlo a causa della propria imprudenza, negligenza o imperizia, ma non già l'affermazione della volontarietà dell'omissione delle corrette modalità di soccorso nella consapevolezza della loro necessità. Per converso il fatto stesso che la L. si sia operata per fronteggiare le difficoltà palesate dal minore dopo l'infortunio e il fatto che la stessa abbia prontamente avvertito tanto le colleghe, che la dirigente scolastica, sono tutti comportamenti accomunati da un rilevante grado di incompatibilità con il dolo del reato in contestazione. Non emergendo peraltro che la Corte territoriale abbia trascurato di considerare nella sua valutazione alcuno degli elementi di fatto accertati nel corso del giudizio di primo grado, può allora ritenersi che non solo la motivazione assunta dalla Corte territoriale sia inidonea a sostenere il giudizio di responsabilità dell'imputata, ma altresì che dagli atti emerga in maniera incontestabile l'evidenza della prova negativa della sua colpevolezza rilevante ai sensi ed ai fini dell'art. 129 c.p.p., comma 2, dovendosi escludere che nella condotta della medesima possa rinvenirsi traccia alcuna del dolo necessario per la sussistenza del reato contestato. Alla luce di quanto osservato la sentenza impugnata deve pertanto essere annullata senza rinvio, tanto agli effetti penali che a quelli civili, perchè il fatto non costituisce reato e in prevalenza sulla pur rilevata causa di estinzione del reato. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perchè il fatto non costituisce reato. Così deciso in Roma, il 14 febbraio 2013. Depositato in Cancelleria il 21 marzo 2013
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