RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 13 luglio 2023 la Corte di appello di Napoli, in riforma della sentenza del 6 maggio 2020 del Giudice per l'udienza preliminare del Tribunale di Napoli, pronunciata a seguito di giudizio abbreviato ed impugnata dal Pubblico ministero e dagli odierni ricorrenti, ha dichiarato gli imputati colpevoli del reato associativo di cui al capo 1 e, ritenuti i reati di cui ai capi 34 e 35 assorbiti in quello di cui al capo 33, i reati di cui ai capi 37 e 38 assorbiti in quello di cui al capo 36, i reati di cui ai capi 40 e 41 assorbiti in quello di cui al capo 39, ha rideterminato la pena nei confronti di ciascuno di essi nei termini di cui al dispositivo, confermando nel resto e confermando in toto la sentenza di primo grado nei confronti di Fr.Ca.
2. Per l'annullamento della sentenza hanno proposto distinti ricorsi Be.Fr., Sc.Lu., Fr.Ca., Ma.Fr., Ri.Ed., Di.Pi.
3. Be.Fr. articola sedici motivi.
3.1. Con il primo deduce l'inosservanza o l'erronea applicazione degli artt. 42,81, secondo comma, 110,416 cod. pen., sotto il profilo del malgoverno dell'istituto del concorso di persone nel reato continuato e della sua differenziazione rispetto al reato di associazione per delinquere.
Osserva, in particolare, che:
- manca un programma indeterminato di delitti, venendo in rilievo esclusivamente lo scopo "precario" di arrecare un beneficio al gruppo Alma a danno degli altri concorrenti nel mercato, procrastinando solo di due/tre anni gli inevitabili accertamenti dell'Agenzia delle Entrate; il programma era quello di conseguire una temporanea leva finanziaria per poter vittoriosamente competere sul mercato di riferimento, programma che dunque aveva necessariamente un perimetro cronologico fissato dal momento del futuro, quanto - come detto -inevitabile, accertamento tributario;
- manca la lesione dell'ordine pubblico che comporta la sua percezione verso l'esterno laddove nel caso di specie (contribuente che pone in essere condotte artificiose onde sottrarsi al pagamento delle imposte) difetta completamente il turbamento dell'ordine pubblico che è necessario al fine della integrazione del reato associativo;
- manca il dolo associativo in capo alle altre persone coinvolte nella consumazione dei reati-fine le quali non hanno condiviso con i due autori del progetto (Be.Fr. e Sc.Lu.) l'obiettivo che costoro si erano prefissati;
ognuno dei ritenuti sodali, occasionali autori dei reati-fine, aveva operato nell'ambito della propria posizione lavorativa o collaborativa senza mai essere consapevole, nemmeno a livello di dolo eventuale, della visuale di insieme del Be.Fr. e dello Sc.Lu. nella quale la realizzazione di detti reati si collocava.
3.2. Con il secondo motivo deduce l'inosservanza degli artt. 6 CEDU, 10, 11 e 111 Cost., 125, comma 3, 533, comma 1, cod. proc. pen., perché, trattandosi di pronuncia di condanna che riforma la sentenza assolutoria di primo grado, non è stato osservato l'obbligo della "motivazione rafforzata".
3.3. Con il terzo motivo deduce la violazione dell'art. 603, comma 3 bis, cod. proc. pen., nella formulazione introdotta dall'art. 1, comma 58, legge n. 103 del 2017, sul rilievo che la motivazione si fonda sul diverso apprezzamento della attendibilità delle prove dichiarative delle quali non è stata disposta la rinnovazione istruttoria e che l'obbligo di rinnovazione si applica anche nei casi di abbreviato ed. "secco", dovendosi far riferimento alla data della pronuncia impugnata.
3.4. Con il quarto motivo - che, insieme con il quinto ed il sesto, riguarda i capi di imputazione da 5 a 31 - deduce l'erronea applicazione degli artt. 10 quater D.Lgs. n. 74 del 2000, 49 cod. pen., 37, comma 49, D.L. n. 223 del 2006, nonché il vizio di motivazione assente o insufficiente su un elemento essenziale della fattispecie e la mancata assunzione di una prova decisiva.
Propone, al riguardo, il superamento dell'orientamento giurisprudenziale che ritiene integrato il delitto di cui all'art. 10 quater D.Lgs. n. 74 del 2000 con la sola presentazione del modello F24 laddove, afferma, è altresì necessario che l'Agenzia delle Entrate abbia effettivamente scalato al contribuente il controvalore del credito dalla complessiva posizione debitoria fiscale, riduzione che nel caso di specie non è mai stata effettuata pur a fronte delle compensazioni con crediti che si postulano inesistenti, con conseguente inidoneità lesiva della condotta.
3.5. Con il quinto motivo deduce l'inosservanza e/o l'erronea applicazione degli artt. 10 quater D.Lgs. n. 74 del 2000 e 17 D.Lgs. n. 241 del 1997 osservando che la fattispecie incriminatrice non si presta ad essere integrata quando oggetto dell'omesso versamento siano imposte diverse da quelle dirette o sul valore aggiunto, le uniche da intendersi "dovute" in base al precetto penalmente sanzionato.
L'applicazione corretta della fattispecie penale comporta l'esclusione dall'area della penale rilevanza dei fatti compendiati ai capi 13, 14, 19 e 29, dovendosene invece verificare l'impatto per gli altri reati come inutilmente chiesto in sede di appello ove l'argomento è stato del tutto negletto.
3.6. Con il sesto motivo deduce l'inosservanza e/o l'erronea applicazione degli artt. 10 quater D.Lgs. n. 74 del 2000 e 34, comma 1, legge n. 388 del 2000, osservando che devono ritenersi nulle e comunque improduttive di effetto, anche sul piano penale, le compensazioni che superano il limite annuo di Euro 700.000 stabilito dall'art. 34, cit.
3.7. Con il settimo motivo deduce l'inosservanza o l'erronea applicazione degli artt. 2 e 10 quater D.Lgs. n. 74 del 2000 osservando che le condotte contestate ai capi 2, 3 e 4 non erano sorrette da dolo di evasione bensì dalla volontà esclusiva di consentire ad Alma Spa di effettuare le indebite compensazioni rubricate ai capi 5 e 6, come oltretutto si desume non solo dalla contestazione ma anche dal fatto che le dichiarazioni fraudolente generavano imponibile piuttosto che ridurlo.
3.8. Con l'ottavo motivo deduce l'inosservanza o l'erronea applicazione degli artt. 81, cpv., cod. pen., 10 quater D.Lgs. n. 74 del 2000 in relazione alla mancata qualificazione dei reati di cui ai capi 7 e 8 della rubrica come unico reato e alla conseguente eliminazione del relativo aumento di pena, trattandosi di indebite compensazioni poste in essere dalla medesima società Alma nello stesso anno di imposta (2017) ancorché i crediti compensati riguardino società tra loro diverse.
3.9. Con il nono motivo - che riguarda i capi da 33 a 41 - deduce l'inosservanza o l'erronea applicazione degli artt. 110 cod. pen., 10 D.Lgs. n. 74 del 2000, e la motivazione assente o inadeguata in ordine al proprio ruolo (quantomeno) di amministratore di fatto delle società Ilcla (capi 33-35), Servizi integrati (capi 36-28), Evolution Service (capi 39-41), ruolo nemmeno contestato dalla rubrica, e comunque al proprio effettivo coinvolgimento materiale o morale nelle condotte di occultamento.
3.10. Con il decimo motivo - che riguarda i capi di imputazione 42 e 46 -deduce l'inosservanza o l'erronea applicazione dell'art. 2 D.Lgs. n. 74 del 2000 e la motivazione inadeguata o contraddittoria in ordine al dolo di evasione delle imposte dirette osservando che l'artificio contabile consistente nell'annotare fatture passive comprensive di Iva e fatture attive di pari importo non assoggettate ad Iva, non è produttivo di alcun danno erariale sul piano delle imposte dirette.
3.11. Con l'undicesimo motivo deduce l'inosservanza dell'art. 442, comma 2-bis, cod. proc. pen. in conseguenza della mancata concessione, prima della discussione, di un termine per esercitare la facoltà di rinunciare all'appello e beneficiare della ulteriore riduzione di un sesto della pena, trattandosi di norma che, pur essendo processuale, ha natura penale sostanziale poiché incide sul trattamento sanzionatolo ed è dunque soggetta al regime di cui all'art. 2, comma quarto, cod. pen.
3.12. Con il dodicesimo motivo deduce il vizio di motivazione assente o inadeguata in ordine alla conferma della recidiva semplice e alla mancata applicazione delle circostanze attenuanti generiche con giudizio di prevalenza sulle contestate aggravanti avuto riguardo al comportamento successivo ai reati improntato al riconoscimento delle proprie responsabilità e alla più ampia collaborazione con gli inquirenti.
3.13. Con il tredicesimo motivo deduce l'inosservanza o l'erronea applicazione degli artt. 460, comma 5, cod. proc. pen., 47, comma 12, legge n. 354 del 1975, 81, cpv., cod. pen., 10 quater D.Lgs. n. 74 del 2000, in relazione alla ritenuta recidiva nonostante i reati oggetto di precedenti condanne fossero estinti e ne fossero cessati gli effetti penali.
3.14. Con il quattordicesimo motivo deduce la violazione dell'art. 597, comma 1, cod. proc. pen. perché la Corte di appello ha ritenuto la recidiva reiterata laddove il primo Giudice l'aveva qualificata come semplice con conseguente alterazione della dosimetria della pena.
3.15. Con il quindicesimo motivo deduce l'inosservanza o l'erronea applicazione degli artt. 81, cpv., cod. pen., 10 quater D.Lgs. n. 74 del 2000, lamentando che per ciascuno dei capi di imputazione da 5 a 31 è stata ritenuta la continuazione interna laddove ciascuna delle contestazioni (fatta eccezione per i capi 7 ed 8) fa riferimento alle indebite compensazioni poste in essere in un solo anno di imposta dal medesimo soggetto giuridico con conseguente unitarietà del fatto e illegittima applicazione dell'aumento a titolo di continuazione.
3.16. Con il sedicesimo motivo deduce la prescrizione del reato di cui al capo 5 maturata prima della pronuncia della sentenza impugnata.
I difensori hanno depositato motivi aggiunti.
(i) Il primo motivo aggiunto integra il secondo motivo di ricorso relativo all'obbligo di motivazione rafforzata osservando, conclusivamente, che la Corte di appello non ha assolto all'onere motivazionale che le competeva, non bastando, ai fini della riforma in senso peggiorativo della sentenza di assoluzione, il mero disaccordo col primo Giudice, né la (presunta) plausibilità della tesi alternativa.
(ii) Il secondo motivo aggiunto integra l'ottavo motivo relativo alla mancata qualificazione dei reati di cui ai capi 7 e 8 come unico reato.
(iii) Il quarto motivo aggiunto insiste sulla prescrizione del reato di cui al capo 5 maturata prima della sentenza impugnata.
(iv) Con il terzo motivo aggiunto viene dichiarata (ed effettuata) la rinuncia al quindicesimo motivo di ricorso.
4. Sc.Lu. propone dieci motivi.
4.1. Con il primo deduce la nullità assoluta della sentenza impugnata per omessa notificazione del decreto di citazione in appello non potuto materialmente essere consegnato a mani del ricorrente, perché affetto da "Covid", e della convivente in isolamento domiciliare, e dunque solo inserito dagli agenti della Polizia Municipale nella cassetta delle lettere informandone la convivente.
4.2. Con il secondo motivo deduce l'inosservanza o l'erronea applicazione dell'art. 416 cod. pen. e la carenza di motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza del sodalizio di cui al capo 1 pur in mancanza della indeterminatezza dei delitti alla cui commissione sarebbe stato finalizzato il sodalizio stesso.
4.3. Con il terzo motivo deduce l'inosservanza dell'art. 603, comma 3-bis, cod. proc. pen., e la nullità della sentenza per mancata rinnovazione della prova dichiarativa a seguito di riforma in senso peggiorativo della pronuncia assolutoria dal reato associativo di cui al capo 1 della rubrica, riforma effettuata proprio valorizzando le dichiarazioni proprie e quelle del Be.Fr.
4.4. Con il quarto motivo, relativo al reato di cui al capo 30 della rubrica, deduce l'inutilizzabilità della consulenza prodotta dal Pubblico ministero con cui è stato effettuato il conteggio degli importi oggetto di indebita compensazione frutto dell'esame di modelli F24 non presenti nel fascicolo dell'inquirente, perché mai allegati all'informativa di reato della Gdf del 21/12/2017, e dalla provenienza incerta. Senza considerare tali modelli, l'ammontare dell'imposta evasa sarebbe pari ad Euro 1.072.452,40 (importo conteggiato dal perito) e non ad Euro 1.627.603,10, con quanto ne consegue in termini di determinazione della pena e, soprattutto, del profitto confiscabile.
4.5. Con il quinto motivo - che riguarda i reati di cui ai capi 2, 3, 4 e 46 della rubrica - deduce la violazione degli artt. 110 cod. pen., 2 D.Lgs. n. 74 del 2000 e la mancanza di motivazione in ordine alla individuazione delle specifiche condotte poste in essere a titolo concorsuale con il Be.Fr. (ed i suoi collaboratori) nel reato di dichiarazione fraudolente, condotte nemmeno contestate dalla rubrica ma ritenute sussistenti dalla Corte di appello sulla base della mera consapevolezza del meccanismo che prevedeva la creazione di crediti fittizi.
4.6. Con il sesto motivo - che riguarda i reati di cui ai capi 7 e 8 della rubrica - deduce le medesime questioni oggetto dell'ottavo motivo del ricorso di Be.Fr. e del relativo motivo aggiunto.
4.7. Con il settimo motivo - che riguarda i reati di cui ai capi 13, 14, 17, 19 e 29 della rubrica - deduce le medesime questioni oggetto del quinto motivo del ricorso del Be.Fr.
4.8. Con l'ottavo motivo deduce l'inosservanza o l'erronea applicazione degli artt. 10 quater e 12 bis D.Lgs. n. 74 del 2000 osservando che il profitto confiscabile deve essere rideterminato escludendo gli importi relativi alle compensazioni dei contributi previdenziali, penalmente irrilevanti.
4.9. Con il nono motivo deduce la mancanza di motivazione in ordine al diniego di prevalenza delle circostanze attenuanti generiche sulle aggravanti contestate.
4.10. Con il decimo motivo deduce la prescrizione del reato di cui all'art. 10-quater D.Lgs. n. 74 del 2000 rubricato al capo 5 maturata prima della sentenza impugnata.
5. Fr.Ca. ha presentato due ricorsi, l'uno a firma dell'Avv. ARTURO COLA, l'altro a firma dell'Avv. LUCIO MARZIALE.
L'Avv. Cola articola tre motivi.
5.1. Con il primo deduce la violazione degli artt. 125, comma 3, e 178, lett. c), cod. proc. peri, in conseguenza dell'omesso esame delle deduzioni formulate con l'atto di appello relativamente alla valutazione della prova dichiarativa (in particolare delle dichiarazioni rese da Be.Fr., Sc. e Er.Ma.) e l'omesso esame della memoria depositata ai sensi dell'art. 121 cod. proc. pen., con specifico riferimento alla mancanza di prova dell'elemento psicologico dei delitti di cui all'art. 10 qua ter D.Lgs. n. 74 del 2000 e, conseguentemente, della propria partecipazione al sodalizio.
Si era rimarcato, in particolare, che dalle dichiarazioni dei suddetti coimputati era emerso in modo inequivocabile, da un lato, che il Fr.Ca. non era mai stato messo al corrente da chicchessia (almeno fino al mese di agosto 2017, secondo quanto riferito dall'Er.Ma.) del meccanismo fraudolento ideato da Be.Fr. e Sc., dall'altro, che comunque non vi era stata alcuna adesione alle finalità dell'ipotizzato sodalizio, né una consapevole adesione al programma criminoso e che, anzi, il Be.Fr. aveva anche negato di aver mai parlato con il Fr.Ca. di questi argomenti (così smentendo l'Er.Ma. secondo il quale, invece, il Fr.Ca., resosi conto della illiceità delle compensazioni, ne avrebbe parlato con il Be.Fr.).
Si era altresì sottolineato, in base a precise evidenze probatorie (dichiarazioni di Ba.Fr., Sc.Lu. e Pa.St., conversazioni intercettate) che: a) il ricorrente non si occupava materialmente della trasmissione degli F24 che venivano inviati, a migliaia, dai suoi dipendenti utilizzando le sue credenziali; b) della trasmissione degli F24 oggetto di contestazione si era occupato l'Er.Ma. che gestiva un indirizzo di posta elettronica dedicato sul quale riceveva i modelli già predisposti dal Pa.St.; c) per questa attività e per la tenuta della contabilità delle cartiere, Er.Ma., dipendente dello studio del ricorrente, veniva pagato "sottobanco" dal Be.Fr. all'insaputa di Fr.Ca.
Orbene, conclude sul punto il ricorrente, la Corte di appello ha completamente negletto gli argomenti difensivi sopra indicati non avendone tenuto conto nella stesura della motivazione.
5.2. Con il secondo motivo deduce la contraddittorietà e la illogicità intrinseca ed estrinseca della motivazione nella parte in cui la Corte di appello ha attribuito alle dichiarazioni del Be.Fr., dello Sc. e dell'Er.Ma. (così come sunteggiate dalla sentenza stessa) la valenza di chiamata in correità nei confronti del Fr.Ca. in ordine ai reati-fine ed a quello associativo.
5.3. Con il terzo motivo deduce la contraddittorietà della motivazione rispetto al contenuto della conversazione del 10 agosto 2017 intercorsa con Er.Ma., integralmente trascritta alle pagg. 91 e 92 della sentenza di primo grado e riprodotta in modo infedele a pag. 47 della sentenza impugnata, da cui risulta che il ricorrente non sapesse quel che facevano gli altri. Il dato, afferma, è stato travisato dalla Corte di appello che ne ha tratto conclusioni del tutto opposte rispetto a quelle desumibili dalla sua corretta lettura.
L'Avv. Marziale articola cinque motivi.
5.1. Con il primo deduce l'erronea applicazione della legge penale in relazione alla sussistenza del delitto associativo per mancanza degli elementi costitutivi del reato ed in particolar modo a causa del travisamento assoluto del contenuto delle intercettazioni telefoniche e delle dichiarazioni del Be.Fr. e dello Sc.Lu. ritenute accusatorie e attendibili.
Osserva, in sintesi, che:
(i) manca la prova della esistenza di un sodalizio e della sua partecipazione, esclusa, anzi, dalle conversazioni intercettate;
(ii) Fr.Ca. è titolare di un noto studio di consulenza del lavoro ed in tale veste si occupava di sviluppare ogni mese le migliaia di buste e a trasmettere telematicamente gli F24 predisposti altrove e dai consulenti fiscali e tributari di Alma Spa;
(iii) Be.Fr. e Sc. hanno escluso il consapevole coinvolgimento del Fr.Ca. nel meccanismo fraudolento da loro imbastito.
5.2. Con il secondo motivo deduce l'erronea applicazione dell'art. 10-quater D.Lgs. n. 74 del 2000 per mancanza degli elementi costitutivi del reato ed, in particolare, per non aver concorso alla sua consumazione ribadendo che egli non è mai stato consulente fiscale e tributario di Alma Spa essendosi solo occupato dell'invio telematico degli F24 a lui trasmessi e da lui mai materialmente predisposti. L'attività di mero invio dei modelli F24 non è condotta punibile ai sensi dell'art. 10 quater D.Lgs. n. 74 del 2000, reato che si perfeziona nel momento dell'accollo del debito tributario. L'invio del modello costituisce una mera comunicazione dell'avvenuto utilizzo della compensazione, tant'è vero che il primo Giudice aveva escluso la circostanza aggravante di cui all'art. 13-bis, comma 3, D.Lgs. n. 74 del 2000.
5.3. Con il terzo motivo deduce la carenza, l'illogicità e la contraddittorietà della motivazione in relazione al reato di cui all'art. 416 cod. pen. avuto riguardo all'attività concretamente svolta dal ricorrente e alle dichiarazioni rese dal Be.Fr., non potendosi ritenere l'esistenza del sodalizio sulla scorta del numero degli invii e del danno erariale asseritamente provocato.
5.4. Con il quarto motivo deduce la carenza, l'illogicità e la contraddittorietà della motivazione in relazione al reato di cui all'art. 10 quater D.Lgs. n. 74 del 2000.
5.5. Con il quinto motivo deduce la mancanza o manifesta illogicità della motivazione in ordine all'entità della pena inflitta.
6. Ma.Fr. articola dodici motivi.
6.1. I primi sei sono sovrapponibili ai corrispondenti motivi del ricorso di Be.Fr.
6.2. Il settimo motivo è corrispondente all'ottavo motivo del ricorso del Be.Fr.
6.3. Con l'ottavo motivo - che riguarda il reato di cui al capo 46 - deduce l'inosservanza dell'art. 110 cod. pen. e il vizio di motivazione inadeguata o contraddittoria rispetto alle dichiarazioni etero accusatorie del Be.Fr. il quale non aveva mai positivamente affermato che il ricorrente fosse al corrente della emissione delle fatture false, bensì che, per il ruolo svolto, non potesse non rendersi conto della loro falsità.
6.4. Con il nono motivo - che riguarda i capi 6, 7, 8 e 27 - richiamati gli argomenti del motivo precedente, deduce la mancanza, la contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione risultante dalle dichiarazioni rese in sede di interrogatorio dai computati Be.Fr. e Sc.Lu. che avevano escluso la sua consapevolezza della natura fittizia dei crediti, almeno fino alla ed. "vicenda (Omissis)", così come evidenziato in sede di appello. La Corte territoriale, afferma, non spiega da quali elementi desume la consapevolezza del Ma.Fr. della natura fittizia dei crediti utilizzati in compensazione prima del 2017.
6.5. Con il decimo motivo deduce la assenza grafica di motivazione in ordine alle doglianze sollevate in appello in ordine alla propria responsabilità per il reato di cui al capo 32 relativo alla alterazione e distruzione delle scritture contabili del Consorzio Logitaly.
6.6. L'undicesimo motivo è sovrapponibile al corrispondente motivo di ricorso del Be.Fr.
6.7. Con il dodicesimo motivo deduce la mancanza di motivazione circa il diniego delle circostanze attenuanti generiche inutilmente invocate in appello.
7. Ri.Ed. propone un solo motivo con il quale deduce, sotto tre diversi profili, l'inosservanza e l'erronea applicazione degli artt. 2,8,10 e 10-quater D.Lgs. n. 74 del 2000, e il vizio di motivazione mancante, contraddittoria o manifestamente illogica, vizio risultante dal testo del provvedimento impugnato e da altri atti del processo.
7.1. Per un primo profilo, che riguarda i reati di cui ai capi 3, 6, 18, 20, 23 e 25, deduce la mancanza di motivazione in ordine al primo motivo di appello inerente la prova della sua materiale consumazione dei reati non avendo egli sottoscritto, né presentato le dichiarazioni e i modelli F24 ivi indicati sia perché all'epoca ricoverato in ospedale, sia perché i fatti contestati sono stati compiuti da altri soggetti come emerge dalle dichiarazioni degli altri coimputati. La devoluzione in appello della specifica doglianza equivaleva ad un vero e proprio disconoscimento della firma apposta sulle dichiarazioni, disconoscimento che la Corte di appello ha invece contraddittoriamente e illogicamente escluso. La Corte di appello ha inoltre travisato le dichiarazioni del Be.Fr. (che aveva escluso la responsabilità del ricorrente) e negletto le prove indicate nell'atto di appello a sostegno della propria estraneità ai predetti reati (trascrizione di intercettazioni e interrogatori degli altri coimputati che lo scagionavano). La Corte di appello, inoltre, pur a fronte di specifico motivo di gravame, non ha argomentato sul dolo specifico del reato con particolare riferimento alla effettiva conoscenza, da parte del legale rappresentante "formale" dell'ente (testa di legno) quale egli era, della esistenza di fatture per operazioni inesistenti e di elementi passivi fittizi e della finalità del loro utilizzo; né ha motivato sulla conoscenza di crediti inesistenti per un importo annuo superiore a Euro 50.000.
7.2. Per un secondo profilo, che riguarda i reati di cui ai capi 32, 33, 34 e 35, deduce l'insufficienza della motivazione con riferimento al reato di cui al capo 32 e la mancanza assoluta di motivazione con riferimento ai reati di cui ai capi 33, 34 e 35.
7.3. Per un terzo profilo, che riguarda il reato di cui al capo 49, deduce la mancanza assoluta di motivazione in ordine alle questioni dedotte in appello dolo specifico.
7.4. Conclusivamente, la Corte di appello non ha motivato sulle seguenti questioni:
(i) l'effettivo e materiale compimento da parte del ricorrente dei fatti a lui attribuiti ai capi 3, 6, 18, 20, 23 e 25;
(ii) la valutazione degli interrogatori del Be.Fr. con particolare riferimento al contenuto delle intercettazioni e delle dichiarazioni autoaccusatorie degli altri imputati, che, secondo gli argomenti sviluppati nell'atto di appello e nella memoria difensiva, non hanno il valore indiziante loro attribuito dai Giudici di primo grado e di secondo grado;
(iii) la critica alla conclusione secondo la quale il ricorrente sarebbe stato eterodiretto dal Be.Fr. con riferimento all'occultamento della documentazione e dal suo stato di salute;
(iv) la critica secondo cui le condotte materiali sono state poste in essere da altri coimputati, come emerge pacificamente dalle dichiarazioni degli stessi e del Be.Fr.;
(v) la critica secondo cui il ricorrente risiedeva e viveva in città (B) lontana dai luoghi sede delle società e di tutti gli altri imputati tanto da non poter avere sotto controllo (e non aver avuto) tutte le vicende societarie.
8. Di.Pi. ha presentato due ricorsi a firma dell'Avv. GIUSEPPE TORALDO e dell'Avv. Bruno Cervone.
Il ricorso a firma congiunta di entrambi i difensori propone tre motivi.
8.1. Con il primo deducono l'erroneità della motivazione in merito alla affermazione della responsabilità penale e civile del Di.Pi., anche in relazione alle statuizioni civili ed alla confisca delle somme, e la violazione degli artt. 125,192,538 e 542 cod. proc. pen., 10 quater, comma 2, e 13 bis D.Lgs. n. 74 del 2000, 185 e 416 cod. pen.
Lamentano, in buona sintesi, il malgoverno degli elementi indiziari a disposizione dei Giudici di merito che non ne hanno fatto uso in assenza di specifici e precisi riscontri in ordine quantomeno all'elemento soggettivo del reato e alla consapevole partecipazione al disegno criminoso del Be.Fr.
8.2. Con il secondo motivo deducono l'illogicità e la contraddittorietà della motivazione per non avere la Corte di appello correttamente valutato gli elementi addotti dalla difesa a sostegno della richiesta di revoca della confisca, in violazione degli artt. 12 bis D.Lgs. n. 74 del 2000 e 240 cod. pen., 321 cod. proc. pen.
Osservano che manca la prova della consapevolezza del Di.Pi. della natura illecita della compensazione di crediti inesistenti in favore della società Alma e, più in generale, della consapevole adesione al progetto del Be.Fr. di frodare il Fisco avuto altresì riguardo al numero esiguo di condotte penalmente rilevanti attribuite al Di.Pi. stesso e alla cessazione del suo rapporto professionale con Alma effettuata subito dopo l'invio dei modelli F24. Denunciano, inoltre, la natura sproporzionata della confisca e la prescrizione del reato di cui al capo 5 della rubrica, maturata prima della sentenza impugnata.
8.3. Con il terzo motivo deducono la eccessiva severità del trattamento sanzionatorio e la illogicità e la contraddittorietà della motivazione sul punto.
8.4. Il ricorso a firma dell'Avv. Cervone propone un solo motivo con il quale ripropone l'argomento oggetto del secondo motivo del ricorso a firma congiunta con l'Avv. Toraldo relativo alla prescrizione del reato di cui al capo 5.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Sono fondati per quanto di ragione i ricorsi di Be.Fr., Sc.Lu. e Ma.Fr.; sono inammissibili gli altri ricorsi.
2. Agli odierni ricorrenti vengono contestati più delitti tributari costituenti, in tesi accusatoria (validata dalla Corte di appello), attuazione del programma criminoso dell'associazione per delinquere rubricata al capo 1 per la quale, in primo grado, è intervenuta assoluzione per insussistenza del fatto.
"Si tratta - afferma la Corte di appello - del delitto di indebita compensazione di debiti tributari, previdenziali ed assistenziali della società Alma Spa e delle società collegate riconducibili al gruppo societario, previsto e punito dall'art. 10 quater comma 2 Dlgs. 74/2000, di cui ai capi da 5) a 31) delle imputazioni; del delitto di presentazione di falsa dichiarazione per crediti IVA inesistenti, previsto e punito dall'art. 2 Dlgs. 74/2000, di cui ai capi da 2) a 4) delle imputazioni; del delitto di occultamento e distruzione delle scritture contabili e dei documenti obbligatori, in modo da non consentire la ricostruzione dei redditi e del volume di affare delle società coinvolte nelle operazioni illecite, di cui all'art. 10 D.Lgs. 74/2000 e contestato ai capi da 32) a 41) delle imputazioni; del delitto di falsa dichiarazione dei redditi per esposizione di elementi passivi inesistenti ed IVA indebitamente detratta di cui ancora all'art. 2) della normativa di settore, contestato ai capi da 42) a 46) delle imputazioni ed infine del delitto di cui all'art. 8 Dlgs. 74/2000, contestato al solo imputato Ri.Ed. al capo 49) delle imputazioni". I fatti si collocano nell'arco temporale che va dal mese di novembre dell'anno 2015 a quello di novembre dell'anno 2017.
In particolare, affermano i Giudici distrettuali, "la frode ricostruita dagli inquirenti si è concretizzata nelle condotte di illecita compensazione dei debiti erariali della società Alma Spa, amministrata di fatto da Be.Fr., e connotate da una duplice modalità operativa. È stato infatti accertato che in un primo momento la società si era avvalsa di crediti IVA inesistenti riconducibili a società cartiere ed in una seconda fase la stessa Alma aveva utilizzato nelle dichiarazioni dei redditi fatture per operazioni inesistenti, emesse da società subappaltatrici di manodopera. A questo punto, mediante appositi contratti registrati presso l'Agenzia delle Entrate, Alma Spa aveva accollato i propri debiti tributari e previdenziali alle società verso le quali vantava crediti commerciali fittizi, in quanto appositamente creati per operazioni inesistenti, recanti come causa la somministrazione di manodopera. Le società accollanti, enti privi di struttura aziendale e di vera operatività sul mercato ed in quanto tali definibili "cartiere", avevano dichiarato a loro volta crediti IVA di importi consistenti, documentati mediante una serie di false fatture apparentemente emesse per l'acquisto di pezzi per l'assemblaggio di pannelli fotovoltaici (ossia fatture passive con IVA a credito) nonché per la successiva attività subappaltata di lavori di montaggio dei predetti pannelli (fatture attive con IVA a debito). Quindi il credito IVA fittiziamente creato era stato certificato, ossia munito del visto di conformità, apposto da un professionista compiacente nella dichiarazione annuale della società cartiera per consentire alla Alma di portarlo in compensazione dei propri debiti tributari e previdenziali. Nei contratti di accollo non era stato contemplato alcun esborso a carico di Alma Spa, perché i debiti che venivano accollati alla società cartiera al contempo risultavano compensati con i crediti inesistenti, vantati dalla stessa Alma verso la società cartiera. Nella fase conclusiva si consumava la frode erariale, mediante la predisposizione e trasmissione telematica da parte dei commercialisti incaricati dei modelli F24 in cui i debiti tributari e previdenziali della Alma Spa (accollata) venivano compensati con il credito IVA della cartiera (accollante) prescelta ed all'uopo utilizzata. Nel provvedimento emesso in via cautelare (ordinanza del Gip Tribunale di Napoli del 18.2.2019) e nella sentenza impugnata sono stati nel dettaglio ricostruiti i meccanismi fraudolenti che presupponevano in ogni caso la stipula degli accolli tributari ancora una volta mediante due schemi operativi. Il primo era utilizzato dalle cartiere denominate "EVOLUTION SERVICE", "ICLA" e "SERVIZI INTEGRATI", riconducibili agli imputati Be.Fr. e Sc.Lu., che mettevano a disposizione i crediti IVA aventi origine da operazioni inesistenti, come ammesso dagli stessi imputati nel corso degli interrogatori. Alma Spa e le altre società effettivamente operative del gruppo stipulavano quindi accolli con le predette cartiere che si accollavano il debito tributario delle prime compensandolo con i falsi crediti IVA. Non veniva previsto alcun corrispettivo a carico di Alma per tale accollo perché in cambio dell'assunzione del debito altrui le cartiere accollanti ottenevano l'annullamento dei crediti (fittizi) che Alma e le altre accollate vantavano verso le stesse società. Secondo l'altro schema operativo, che riguardava tutte le cartiere diverse da quelle sopra indicate, con il perfezionamento dell'accollo tributario si prevedeva un corrispettivo maggiorato rispetto all'importo dei debiti che Alma avrebbe dovuto restituire alle accollanti mediante l'emissione di cambiali a scadenza, in realtà mai pagate, ossia con la previsione di un profitto per le cartiere che tuttavia restava insoluto. Le descritte operazioni, che concretavano l'articolato meccanismo di indebite compensazioni mediante i plurimi accolli, necessitavano della predisposizione delle fatture false e della documentazione su cui si giustificavano i crediti IVA falsi delle società cartiere e di soggetti disposti a farsi intestare le società non operative (teste di legno); dell'apposizione del visto di conformità attestante la veridicità dei crediti IVA; del perfezionamento delle pattuizioni di accollo e della registrazione delle stesse; dell'invio dei modelli F24 che consentivano la consumazione della frode mediante le indebite compensazioni".
3. Prima di esaminare i singoli ricorsi, è necessario ribadire i limiti della cognizione della fase di legittimità e le linee guida elaborate nel tempo dalla Corte di cassazione.
3.1. L'indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di cassazione essere limitato - per espressa volontà del legislatore - a riscontrare l'esistenza di un logico apparato argomentativo sui vari punti della decisione impugnata, senza possibilità di verificare l'adeguatezza delle argomentazioni di cui il giudice di merito si è avvalso per sostanziare il suo convincimento, o la loro rispondenza alle acquisizioni processuali. Esula, infatti, dai poteri della Corte di cassazione quello di una "rilettura" degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali (Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997, Dessimone, Rv. 207944 - 01).
3.2. L'illogicità della motivazione, come vizio deducibile, deve essere evidente, cioè di spessore tale da risultare percepibile "ictu oculi", dovendo il sindacato di legittimità al riguardo essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime incongruenze e considerandosi disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata, purché siano spiegate in modo logico e adeguato le ragioni del convincimento (Sez. U, n. 24 del 24/11/1999, Spina, Rv. 214794; nel senso che il vizio di motivazione non può essere utilmente dedotto in Cassazione sol perché il giudice abbia trascurato o disatteso degli elementi di valutazione che, ad avviso della parte, avrebbero dovuto o potuto dar luogo ad una diversa decisione, poiché ciò si tradurrebbe in una rivalutazione del fatto preclusa in sede di legittimità. Esso è configurabile, invece, unicamente quando gli elementi trascurati o disattesi abbiano un chiaro ed inequivocabile carattere di decisività, nel senso che una loro adeguata valutazione avrebbe dovuto necessariamente portare, salvo intervento di ulteriori e diversi elementi di giudizio, ad una decisione più favorevole di quella adottata, Sez. 1, n. 6922 del 11/05/1992, Cannarozzo, Rv. 190572 - 01; Sez. 2, n. 37709 del 26/09/2012, Giarri, Rv. 253445 - 01; Sez. 1, n. 37588 del 18/06/2014, Amaniera, Rv. 260841 - 01, secondo cui L'obbligo di motivazione del giudice dell'impugnazione non richiede necessariamente che egli fornisca specifica ed espressa risposta a ciascuna delle singole argomentazioni, osservazioni o rilievi contenuti nell'atto d'impugnazione, se il suo discorso giustificativo indica le ragioni poste a fondamento della decisione e dimostra di aver tenuto presenti i fatti decisivi ai fini del giudizio, sicché, quando ricorre tale condizione, le argomentazioni addotte a sostegno dell'appello, ed incompatibili con le motivazioni contenute nella sentenza, devono ritenersi, anche implicitamente, esaminate e disattese dal giudice, con conseguente esclusione della configurabilità del vizio di mancanza di motivazione di cui all'art. 606, comma primo, lett. e), cod. proc. pen.; Sez. 2, n. 46241 del 18/09/2019, Cammi, Rv. 277593 - 01.
3.3. La mancanza e la manifesta illogicità della motivazione devono risultare dal testo del provvedimento impugnato, sicché dedurre tale vizio in sede di legittimità significa dimostrare che il testo del provvedimento è manifestamente carente di motivazione e/o di logica, e non già opporre alla logica valutazione degli atti effettuata dal giudice di merito una diversa ricostruzione, magari altrettanto logica (Sez. U, n. 16 del 19/06/1996, Di Francesco, Rv. 205621), sicché una volta che il giudice abbia coordinato logicamente gli atti sottoposti al suo esame, a nulla vale opporre che questi atti si prestavano a una diversa lettura o interpretazione, munite di eguale crisma di logicità (Sez. U, n. 30 del 27/09/1995, Mannino, Rv. 202903).
3.4. Il compito del giudice di legittimità non è quello di sovrapporre la propria valutazione a quella compiuta dai giudici di merito in ordine all'affidabilità delle fonti di prova, bensì di stabilire se questi ultimi abbiano esaminato tutti gli elementi a loro disposizione, se abbiano fornito una corretta interpretazione di essi, dando esaustiva e convincente risposta alle deduzioni delle parti, e se abbiano esattamente applicato le regole della logica nello sviluppo delle argomentazioni che hanno giustificato la scelta di determinate conclusioni a preferenza di altre (Sez. U, n. 930 del 13/12/1995, dep. 1996, Clarke, Rv. 203428 - 01).
3.5. La verifica che la Corte di cassazione è abilitata a compiere sulla completezza e sulla correttezza della motivazione di una sentenza non può essere confusa con una rinnovata valutazione delle risultanze acquisite, da contrapporre a quella fornita dal giudice di merito. Né la Corte suprema può esprimere alcun giudizio sulla rilevanza e sull'attendibilità delle fonti di prova, giacché esso, anche in base all'ordinamento processuale preesistente all'entrata in vigore del nuovo codice di procedura penale - nel quale non esistevano i limiti preclusivi che un'avvertita esigenza di maggior razionalizzazione del sistema ha introdotto con l'art. 606, primo comma, lett. e) -, del codice di procedura vigente - era attribuito al giudice di merito, con la conseguenza che le scelte da questo compiute, se coerenti, sul piano logico, con una esauriente analisi delle risultanze probatorie acquisite, si sottraggono al sindacato di legittimità, una volta accertato che il processo formativo del libero convincimento del giudice non ha subito il condizionamento di una riduttiva indagine conoscitiva o gli effetti altrettanto negativi di un'imprecisa ricostruzione del contenuto di una prova (Sez. U, n. 2110 del 23/11/1995, Fachini, Rv. 203767 - 01).
3.6. È estraneo all'ambito applicativo dell'art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen. ogni discorso confutativo sul significato della prova, ovvero di mera contrapposizione dimostrativa, considerato che nessun elemento di prova, per quanto significativo, può essere interpretato per "brani" né fuori dal contesto in cui è inserito, sicché gli aspetti del giudizio che consistono nella valutazione e nell'apprezzamento del significato degli elementi acquisiti attengono interamente al merito e non sono rilevanti nel giudizio di legittimità se non quando risulti viziato il discorso giustificativo sulla loro capacità dimostrativa. Sono, pertanto, inammissibili, in sede di legittimità, le censure che siano nella sostanza rivolte a sollecitare soltanto una rivalutazione del risultato probatorio; Così come sono estranei al sindacato della Corte di cassazione i rilievi in merito al significato della prova ed alla sua capacità dimostrativa (Sez. U, n. 41570 del 25/05/2023, Caradonna, n.m. sul punto, in motivazione).
3.7. L'indagine di legittimità può estendersi al contenuto delle singole prove solo quando la contraddittorietà della motivazione risulti da "atti del processo specificamente indicati" (ed. travisamento della prova), vizio configurabile quando si introduce nella motivazione una informazione rilevante che non esiste nel processo o quando si omette la valutazione di una prova decisiva ai fini della pronuncia; il relativo vizio ha natura decisiva solo se l'errore accertato sia idoneo a disarticolare l'intero ragionamento probatorio, rendendo illogica la motivazione per la essenziale forza dimostrativa del dato processuale/probatorio (Sez. 5, n. 48050 del 02/07/2019, S., Rv. 277758 - 01; Sez. 1, n. 53600 del 24/11/2016, dep. 2017, Sanfilippo, Rv. 271635 - 01; Sez. 6, n. 5146 del 16/01/2014, Del Gaudio, Rv. 258774; Sez. 2, n. 47035 del 03/10/2013, Giugliano, Rv. 257499).
3.8. Il travisamento della prova consiste in un errore percettivo (e non valutativo) tale da minare alle fondamenta il ragionamento del giudice ed il sillogismo che ad esso presiede. In particolare, consiste nell'affermare come esistenti fatti certamente non esistenti ovvero come inesistenti fatti certamente esistenti. Il travisamento rende la motivazione insanabilmente contraddittoria con le premesse fattuali del ragionamento così come illustrate nel provvedimento impugnato, una diversità tale da non reggere all'urto del contro-giudizio logico sulla tenuta del sillogismo. Il vizio è perciò decisivo quando la frattura logica tra la premessa fattuale del ragionamento e la conclusione che ne viene tratta è irreparabile. Come ben spiegato da Sez. U, n. 18620 del 19/01/2017, Patalano, n.m. sul punto, il travisamento della prova sussiste quando emerge che la sua lettura sia affetta da errore "revocatorio", per omissione, invenzione o falsificazione. In questo caso, difatti, la difformità cade sul significante (sul documento) e non sul significato (sul documentato). Come ulteriormente affermato da Sez. 5, n. 26455 del 09/06/2022, Dos Santos Silva Welton, Rv. 283370 - 01, il vizio di "contraddittorietà processuale" (o "travisamento della prova") vede circoscritta la cognizione del giudice di legittimità alla verifica dell'esatta trasposizione nel ragionamento del giudice di merito del dato probatorio, rilevante e decisivo, per evidenziarne l'eventuale, incontrovertibile e pacifica distorsione, in termini quasi di "fotografia", neutra e a-valutativa, del "significante", ma non del "significato", atteso il persistente divieto di rilettura e di re-interpretazione nel merito dell'elemento di prova. Come spiegato in motivazione, "il vizio di "travisamento della prova" (o di contraddittorietà processuale come lo qualifica la dottrina più attenta) chiama in causa, in linea generale, le ipotesi di infedeltà della motivazione rispetto al processo e, dunque, le distorsioni del patrimonio conoscitivo valorizzato dalla motivazione rispetto a quello effettivamente acquisito nel giudizio. Tre sono le figure di patologia della motivazione riconducibili al vizio in esame: la mancata valutazione di una prova decisiva (travisamento per omissione); l'utilizzazione di una prova sulla base di un'erronea ricostruzione del relativo "significante" (ed. travisamento delle risultanze probatorie); l'utilizzazione di una prova non acquisita al processo (ed. travisamento per invenzione). In questi casi non si tratta di reinterpretare gli elementi di prova valutati dal giudice di merito ai fini della decisione, ma di verificare se detti elementi sussistano (cfr. tra le altre Sez. 5, n. 39048 del 25/09/2007, Casavola, Rv. 238215). Invero il vizio di "contraddittorietà processuale" vede circoscritta la cognizione del giudice di legittimità alla verifica dell'esatta trasposizione nel ragionamento del giudice del dato probatorio nei termini di una "fotografia", neutra e a-valutativa, del "significante", ma non del "significato", atteso il persistente divieto di rilettura e di re-interpretazione nel merito dell'elemento di prova (Sez. 1, n. 25117 del 14/07/2006, Stojanovic, Rv. 234167; Sez. 5, n. 36764 del 24/05/2006, Bevilacqua, Rv. 234605). L'elemento travisato deve assumere portata decisiva".
3.9. Poiché il vizio riguarda la ricostruzione del fatto effettuata utilizzando la prova travisata, se l'errore è imputabile al giudice di primo grado la relativa questione deve essere devoluta al giudice dell'appello, pena la sua preclusione nel giudizio di legittimità, non potendo essere dedotto con ricorso per cassazione, in caso di c.d "doppia conforme", il vizio di motivazione in cui sarebbe incorso il giudice di secondo grado se il travisamento non gli era stato rappresentato (Sez. 5, n. 48703 del 24/09/2014, Biondetti, Rv. 261438; Sez. 6, n. 5146 del 2014, cit.), a meno che, per rispondere alle critiche contenute nei motivi di gravame, il giudice di secondo grado abbia richiamato dati probatori non esaminati dal primo giudice (nel qual caso il vizio può essere eccepito in sede di legittimità, Sez. 4, n. 4060 del 12/12/2013, Capuzzi, Rv. 258438).
3.10. Tale insegnamento è oggi espressamente codificato dall'art. 581, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., che onera l'appellante di indicare in modo specifico le prove delle quali viene dedotta l'inesistenza, l'omessa assunzione o l'omessa o erronea valutazione.
3.11. Quando viene dedotto il travisamento della prova è onere del ricorrente, in virtù del principio di "autosufficienza del ricorso", suffragare la validità del suo assunto mediante la completa trascrizione dell'integrale contenuto degli atti medesimi (ovviamente nei limiti di quanto era già stato dedotto in sede di appello), dovendosi ritenere precluso al giudice di legittimità il loro esame diretto, a meno che il "fumus" del vizio dedotto non emerga all'evidenza dalla stessa articolazione del ricorso (Sez. 2, n. 20677 dell'11/04/2017, Schioppo, Rv. 270071; Sez. 4, n. 46979 del 10/11/2015, Bregamotti, Rv. 265053; Sez. F. n. 37368 del 13/09/2007, Torino, Rv. 237302). Non è sufficiente riportare meri stralci di singoli brani di prove dichiarative, estrapolati dal complessivo contenuto dell'atto processuale al fine di trarre rafforzamento dall'indebita frantumazione dei contenuti probatori, o, invece, procedere ad allegare in blocco ed indistintamente le trascrizioni degli atti processuali, postulandone la integrale lettura da parte della Suprema Corte (Sez. 1, n. 23308 del 18/11/2014, Savasta, Rv. 263601; Sez. 3, n. 43322 del 02/07/2014, Sisti, Rv. 260994, secondo cui la condizione della specifica indicazione degli "altri atti del processo", con riferimento ai quali, l'art. 606, comma primo, lett. e), cod. proc. pen., configura il vizio di motivazione denunciabile in sede di legittimità, può essere soddisfatta nei modi più diversi (quali, ad esempio, l'integrale riproduzione dell'atto nel testo del ricorso, l'allegazione in copia, l'individuazione precisa dell'atto nel fascicolo processuale di merito), purché detti modi siano comunque tali da non costringere la Corte di cassazione ad una lettura totale degli atti, dandosi luogo altrimenti ad una causa di inammissibilità del ricorso, in base al combinato disposto degli artt. 581, comma primo, lett. c), e 591 cod. proc. pen.). È necessario, pertanto: a) identificare l'atto processuale omesso o travisato; b) individuare l'elemento fattuale o il dato probatorio che da tale atto emerge e che risulta incompatibile con la ricostruzione svolta nella sentenza; c) dare la prova della verità dell'elemento fattuale o del dato probatorio invocato, nonché della effettiva esistenza dell'atto processuale su cui tale prova si fonda; d) indicare le ragioni per cui l'atto inficia e compromette, in modo decisivo, la tenuta logica e l'intera coerenza della motivazione, introducendo profili di radicale "incompatibilità" all'interno dell'impianto argomentativo del provvedimento impugnato (Sez. 6, n. 45036 del 02/12/2010, Damiano, Rv. 249035).
3.12. Il principio di autosufficienza del ricorso trova applicazione anche a seguito dell'entrata in vigore dell'art. 165-bis disp. att. cod. proc. pen., introdotto dall'art. 7, comma 1, D.Lgs. 6 febbraio 2018, n. 11, che si traduce nell'onere di puntuale indicazione, da parte del ricorrente, degli atti che si assumono travisati e dei quali si ritiene necessaria l'allegazione, materialmente devoluta alla cancelleria del giudice che ha emesso il provvedimento impugnato ove a ciò egli non abbia provveduto nei modi sopra indicati (Sez. 5, n. 5897 del 03/12/2020, Rv. 280419 - 01; Sez. 2, n. 35164 del 08/05/2019, Rv. 276432 -01).
5. In conclusione: a) il vizio di motivazione non può essere utilizzato per spingere l'indagine di legittimità oltre il testo del provvedimento impugnato, nemmeno quando ciò sia strumentale a una diversa ricomposizione del quadro probatorio che, secondo gli auspici del ricorrente, possa condurre il fatto fuori dalla fattispecie incriminatrice applicata; b) l'esame può avere ad oggetto direttamente la prova (ed il suo contenuto) quando se ne deduce il travisamento, purché l'atto processuale che la incorpora sia allegato al ricorso (o ne sia integralmente trascritto il contenuto) e possa scardinare la logica del provvedimento creando una insanabile frattura tra il giudizio e le sue basi fattuali; c) la natura manifesta della illogicità della motivazione del provvedimento impugnato costituisce un limite al sindacato di legittimità che impedisce alla Corte di cassazione di sostituire la propria logica a quella del giudice di merito e di avallare, dunque, ricostruzioni alternative del medesimo fatto, ancorché altrettanto ragionevoli; d) non è consentito, in caso di ed. "doppia conforme", dedurre il travisamento della prova mediante la pura e semplice riproposizione delle medesime questioni fattuali già devolute in appello soprattutto quando, come nel caso di specie, la censura riguardi il medesimo compendio probatorio non avendo la Corte territoriale attinto a prove diverse da quelle scrutinate in primo grado.
5.1. Non è dunque ammesso, in sede di legittimità, proporre un'interlocuzione diretta con la Suprema Corte in ordine al contenuto delle prove già ampiamente scrutinate in sede di merito sollecitandone l'esame e proponendole quale criterio di valutazione della illogicità manifesta della motivazione; in questo modo si sollecita la Corte di cassazione a sovrapporre la propria valutazione a quella dei Giudici di merito laddove, come detto, ciò non è consentito, nemmeno quando venga eccepito il travisamento della prova. Il travisamento non costituisce il mezzo per valutare nel merito la prova, bensì lo strumento - come detto - per saggiare la tenuta della motivazione alla luce della sua coerenza logica con i fatti sulla base dei quali si fonda il ragionamento.
6. Va, inoltre, ricordato che l'interpretazione e la valutazione del contenuto delle conversazioni oggetto di intercettazioni telefoniche costituisce questione di fatto, rimessa all'esclusiva competenza del giudice di merito, il cui apprezzamento non può essere sindacato in sede di legittimità se non nei limiti della manifesta illogicità ed irragionevolezza della motivazione con cui esse sono recepite (Sez. 5, n. 35680 del 10/06/2005, Rv. 232576; Sez. 6, n. 15396 del 11/12/2007, Rv. 239636; Sez. 6, n. 17619 del 08/01/2008, Rv. 239724; Sez. 6, n. 11794 del 11/12/2013, Rv. 254439; Sez. 6, n. 46301 del 30/10/2013, Rv. 258164). È possibile prospettare, in questa sede, una interpretazione del significato di una intercettazione diversa da quella proposta dal giudice di merito solo in presenza del travisamento della prova, ovvero nel caso in cui il giudice di merito ne abbia indicato il contenuto in modo difforme da quello reale, e la difformità risulti decisiva ed incontestabile (Sez. 5, n. 7465 del 28/11/2013, Rv. 259516; Sez. 6, n. 11189 del 08/03/2012, Rv. 252190; Sez. 2, n. 38915 del 17/10/2007, Rv. 237994). Tale orientamento interpretativo è stato autorevolmente ribadito da Sez. U, n. 22471 del 26/02/2015, Sebbar, Rv. 263715, che ha affermato il principio di diritto secondo il quale in tema di intercettazioni di conversazioni o comunicazioni, l'interpretazione del linguaggio adoperato dai soggetti intercettati, anche quando sia criptico o cifrato, costituisce questione di fatto, rimessa alla valutazione del giudice di merito, la quale, se risulta logica in relazione alle massime di esperienza utilizzate, si sottrae al sindacato di legittimità (principio ripreso e confermato da Sez. 3, n. 35593 del 17/06/2016, Folino, Rv. 267650, e, successivamente, da Sez. 2, n. 50701 del 04/10/2016, D'Andrea, Rv. 268389).
7. Il ricorso di Be.Fr.
7.1. Be.Fr. è stato giudicato colpevole, in primo grado, dei reati di cui agli artt. 2,10 e 10-quater, comma secondo, D.Lgs. n. 74 del 2000, rubricati ai capi da 2 a 8, da 10 a 42 e 46 dell'editto accusatorio, e condannato alla pena di tre anni, dieci mesi e dieci giorni di reclusione, previa applicazione delle circostanze attenuanti generiche, ritenute equivalenti alle circostanze aggravanti e alla recidiva semplice, esclusa la continuazione interna ed applicata quella esterna tra i reati contestati.
7.2. La Corte di appello ha ritenuto l'imputato colpevole anche del reato associativo di cui al capo 1 e lo ha condannato alla pena di quattro anni e dieci giorni di reclusione previo assorbimento dei reati di cui all'art. 10 D.Lgs. n. 74 del 2000 contestati ai capi 34 e 35 in quello rubricato al capo 33, dei medesimi reati contestati ai capi 37 e 38 in quello rubricato al capo 36, dei medesimi reati contestati ai capi 40 e 41 in quello rubricato al capo 39.
7.3. Il Giudice dell'udienza preliminare aveva escluso la sussistenza del delitto associativo osservando, in estrema sintesi, che "le emergenze esaminate convogliano chiaramente nell'individuare negli imputati Sc.Lu. e Be.Fr. gli artefici di un meccanismo di evasione accurato richiedente l'utilizzo di soggetti che per qualità, professionalità o ruoli ponessero in essere ognuno "pro quota" le condotte necessarie per la realizzazione del delitto da loro organizzato di evasione finanziaria. In tale quadro, il contributo partecipativo ai delitti tributari innanzi esaminati si snoda in azioni parcellizzate per la maggior parte degli imputati in occasioni numericamente e temporalmente circoscritte, così come è ravvisabile dal complesso delle imputazioni" (pag. 108). Secondo il primo Giudice le condotte degli imputati diversi dallo Sc.Lu. e dal Be.Fr. non hanno rilevanza associativa sia sotto il profilo dell'apporto al programma, limitato - per ciascuno di essi - a pochi delitti, sia sotto quello, correlato al primo, della mancanza del dolo di partecipazione.
7.4. Di diverso avviso la Corte di appello che ha valorizzato, in primo luogo, la sussistenza "di una struttura societaria, preesistente alla ideazione del programma criminoso, inizialmente e anche in seguito dedita anche a fini leciti, che veniva ampliata e rafforzata e sistematicamente utilizzata per la consumazione di una serie di reati fiscali" (pag. 46). Su tale struttura si è innestato il pactum sceleris emergente dalle conversazioni e dalla messaggistica intercettate, dalle dichiarazioni auto ed eteroaccusatorie rese dai coimputati, dal comportamento da essi tenuto nel corso degli accertamenti, elementi che provano, secondo i Giudici distrettuali, la consapevolezza della sua attuazione da parte di ciascuno dei soggetti coinvolti nella esecuzione dei delitti-scopo, a prescindere dalla durata e oggettiva rilevanza del singolo contributo. Lo stesso Be.Fr., afferma la Corte di appello, "con dichiarazioni conformi a quelle rese da Sc.Lu., ha spiegato come è stato ideato il programma criminoso, quali erano le strutture (società cartiere originarie) e le competenze (professionisti che dovevano certificare i crediti da portare in compensazione) e gli strumenti da adoperare (false dichiarazioni e trasmissione dei modelli F24). È stato delineato inoltre il ruolo rivestito da ciascun membro del gruppo criminoso, da individuare o all'interno della stessa Alma o delle società cartiere, oppure all'esterno della compagine societaria, quale quello di professionista incaricato di certificare i crediti, visionare la contabilità, trasmettere i modelli di pagamento all'Agenzia delle Entrate. La circostanza per cui tale ruolo abbia potuto in alcuni casi (ad esempio per l'imputato Di.Pi.) avere una durata relativamente breve risulta del tutto irrilevante ai fini che occupano, atteso che, come si evince dagli esiti processuali, la specifica attività svolta con la consapevolezza del contributo apportato, è sufficiente a fondare la responsabilità penale per la partecipazione all'associazione, che in ogni caso sopravviveva al recesso del singolo. D'altra parte - afferma la Corte di appello - dalle intercettazioni telefoniche in atti emergono anche gli accordi presi di volta in volta per la nomina di nuovi amministratori compiacenti, e la sostituzione dei professionisti incaricati dell'inoltro dei modelli unici (ad esempio nel caso di Di.Pi. e Fr.Ca.)" (pag. 47).
7.5. Sulla base di tali elementi, la Corte territoriale ritiene certa l'esistenza del sodalizio "strutturato e organizzato da Be.Fr. con l'ausilio di Sc.Lu., attraverso la gestione della contabilità delle società del gruppo Alma e le attività ancillari alle compensazioni indebite" e la "consapevole partecipazione degli altri odierni coimputati, ciascuno nel proprio ruolo e con le proprie competenze professionali, amministrative e tecniche, messe al servizio dell'associazione" (pag. 48).
7.6. Tanto premesso, il primo motivo sollecita, in buona sostanza, la completa rilettura degli elementi di prova in base ai quali la Corte di appello ha ritenuto la sussistenza del sodalizio ipotizzato al capo 1 della rubrica, elementi dei quali viene dedotto il sostanziale malgoverno (sotto il profilo della loro mancanza), benché venga dedotta esclusivamente la violazione di legge e non il vizio di motivazione. Il che impedisce di scrutinare il motivo poiché non è consentito alla Corte di cassazione individuare autonomamente il vizio che affligge la sentenza e, quando si tratta del vizio di motivazione, quale, tra i profili indicati dalla lettera e) dell'art. 606 cod. proc. pen., sia quello rilevante.
7.7. Peraltro, quando si denunzia la mancanza degli elementi di prova a sostegno del provvedimento impugnato, altro non si chiede che una verifica extratestuale della tenuta logica del provvedimento stesso, verifica che postula la possibilità del Giudice di legittimità di accedere al fascicolo processuale e di esaminarne il contenuto del quale non viene, peraltro, nemmeno dedotto il travisamento.
7.8. Si deduce, da parte del ricorrente, la insussistenza del delitto associativo (a favore del concorso di persone nel reato continuato) sul rilievo che l'intero meccanismo era ispirato ad uno scopo temporaneo ben definito: la sottrazione delle società del gruppo agli accertamenti fiscali nell'arco temporale (esente dai controlli.
7.9. Il rilievo è generico e manifestamente infondato.
7.10. L'elemento distintivo tra il delitto di associazione per delinquere e il concorso di persone nel reato continuato, è individuabile nel carattere dell'accordo criminoso, che nel concorso si concretizza in via meramente occasionale ed accidentale, essendo diretto alla commissione di uno o più reati - anche nell'ambito di un medesimo disegno criminoso - con la realizzazione dei quali si esaurisce l'accordo e cessa ogni motivo di allarme sociale, mentre nel reato associativo risulta diretto all'attuazione di un più vasto programma criminoso, per la commissione di una serie indeterminata di delitti, con la permanenza di un vincolo associativo tra i partecipanti, anche indipendentemente e al di fuori dell'effettiva commissione dei singoli reati programmati (Sez. 5, n. 1964 del 07/12/2018, Magnani, Rv. 274442 - 01; Sez. 2, n. 933 del 11/10/2013, dep. 2014, Debbiche, Rv. 258009 - 01; Sez. 5, n. 42635 del 04/10/2004, Collodo, Rv. 229906 - 01; Sez. 5, n. 3340 del 20/01/1999, Stolder, Rv. 212816 - 01).
7.11. L'unicità del disegno criminoso di cui all'art. 81, cpv., cod. pen., non può essere confusa con il generico programma di commettere più reati di cui all'art. 416 cod. pen., poiché l'art. 81 cod. pen., richiede che le varie azioni siano concepite e volute, nei loro termini essenziali, sin dall'inizio, sicché detta identità manca quando i vari delitti, anche se attuano un indistinto e generico proposito di delinquere, sono effetto di determinazioni distinte; né il programma criminoso può identificarsi con la violazione della legge in quanto tale (Sez. 1, n. 15955 del 08/01/2016, Eloumari, Rv. 266615; Sez. 1, n. 39222 del 26/02/2014, Rv. 260896; Sez. 1, n. 6553 del 13/12/1995, Bagnara, Rv. 203690, secondo cui la unicità del disegno criminoso necessaria per configurabilità del reato continuato e per l'applicazione della continuazione in fase esecutiva non può identificarsi con la generale tendenza a porre in essere determinati reati o comunque da una scelta di vita che implica la reiterazione di determinate condotte criminose, ma le singole violazioni devono costituire parte integrante di un unico programma deliberato nelle linee essenziali per conseguire un determinato fine; nello stesso senso, Sez. 2, n. 10033 del 07/12/2022, Qomiha, Rv. 284420 - 01). La violazione della legge rileva quale strumento per il conseguimento del fine unificante, non può costituire essa stessa il fine da raggiungere.
7.12. Come è stato autorevolmente affermato, il riconoscimento della continuazione, nel processo di cognizione come in quello di esecuzione, deve necessariamente passare attraverso la rigorosa, approfondita verifica della sussistenza di concreti indicatori - quali l'omogeneità delle violazioni e del bene protetto, la contiguità spazio-temporale, le singole causali, le modalità della condotta la sistematicità e le abitudini programmate di vita - del fatto che, al momento della commissione del primo reato della serie, i successivi fossero stati realmente già programmati almeno nelle loro linee essenziali, non essendo sufficiente, a tal fine, valorizzare la presenza di taluno degli indici di cui sopra se i successivi reati risultino comunque frutto di determinazione estemporanea, di contingenze occasionali, di complicità imprevedibili, ovvero di bisogni e necessità di ordine contingente, o ancora della tendenza a porre in essere reati della stessa specie o indole in virtù di una scelta delinquenziale compatibile con plurime deliberazioni (Sez. U, n. 28659 del 18/05/2017, Gargiulo, Rv. 270074).
7.13. La continuazione, la recidiva, l'abitualità e la professionalità nel delitto, condividono, sul piano oggettivo, il medesimo presupposto di fatto: la reiterazione dei delitti nel tempo. L'abitualità presunta per legge presuppone, addirittura, che i reati siano della stessa indole, la professionalità nel reato che il reo viva abitualmente, anche solo in parte, dei proventi del reato. L'ambivalenza del medesimo dato oggettivo (la reiterazione dei delitti nel tempo, la loro stessa indole, la destinazione dei proventi a fonte di reddito) e la sua attitudine ad essere valutato in modi antitetici, impone, e non solo nei casi in cui il periodo temporale che divide gli episodi delittuosi sia decisamente lungo, un maggiore sforzo deduttivo che non si limiti a proporre come tema di discussione astratta l'individuazione degli indici neutri di sussistenza del reato continuato, ma che alleghi quale sia, anche se a grandi linee, il disegno criminoso perseguito attraverso le reiterate condotte criminose; ciò affinché il più favorevole trattamento sanzionatorio corrisponda ad un atteggiamento antidoveroso realmente esistente che non si trasformi da deroga eccezionale alla regola del cumulo materiale delle pene in un indiscriminato trattamento premiale di favore, sganciato del tutto dai suoi presupposti applicativi (cfr., sul punto, Sez. 2, n. 18037 del 07/04/2004, Tuzzeo, Rv. 229052, secondo cui l'unicità del disegno criminoso, necessaria per la configurabilità del reato continuato e per l'applicazione della continuazione in fase esecutiva, non può identificarsi con la generale tendenza a porre in essere determinati reati o comunque con una scelta di vita che implica la reiterazione di determinate condotte criminose, atteso che le singole violazioni devono costituire parte integrante di un unico programma deliberato nelle linee essenziali per conseguire un determinato fine, richiedendosi, in proposito, la progettazione "ab origine" di una serie ben individuata di illeciti, già concepiti almeno nelle loro caratteristiche essenziali. Deve, dunque, escludersi che una tale progettazione possa essere presunta sulla sola base del medesimo rapporto di contrasto esistente tra i soggetti passivi e l'autore degli illeciti, come pure sulla base dell'identità o dell'analogia dei singoli reati o di un generico contesto delittuoso, ovvero ancora della unicità della motivazione o del fine ultimo perseguito, occorrendo invece che il requisito in questione trovi dimostrazione in specifici elementi atti a far fondatamente ritenere che tutti gli episodi siano frutto realmente di una originaria ideazione e determinazione volitiva; nello stesso senso, Sez. 5, n. 5599 del 03/10/2013, Hudorovich, Rv. 258862; Sez. 1, n. 6553 dei 13/12/1995, Rv. 203690).
7.14. Nel caso di specie, risultano accertati ben oltre trenta episodi delittuosi consumati in un arco temporale di circa tre anni.
7.15. A fronte di questo dato la deduzione difensiva della riconducibilità di tali reati ad un'unica ideazione criminosa imponeva la prova che anche l'ultimo di essi fosse stato programmato, quantomeno nelle sue linee essenziali, almeno tre anni prima, già in occasione del primo.
7.16. Non solo; la deduzione difensiva postula l'inconciliabilità logico-giuridica del delitto di associazione per delinquere con la predeterminazione della durata del sodalizio.
7.17. In realtà non v'è motivo alcuno per escludere che la durata del sodalizio possa essere predeterminata dai suoi stessi fondatori. Ai fini della configurabilità di una associazione a delinquere è necessaria la esistenza di un programma criminoso che preveda un numero indeterminato di delitti da commettere, ben potendo tuttavia l'associazione essere progettata per operare per un tempo determinato (Sez. 5, n. 41720 del 13/09/2019, Magliacano, Rv. 277531 - 01; Sez. 6, n. 38524 del 11/07/2018, Rv. 274099 - 01; nello stesso senso, Sez. 6, n. 10886 del 28/11/2013, dep. 2014, Grasso, Rv. 259493 - 01; Sez. 6, n. 9117 del 16/12/2011, dep. 2012, Tedesco, Rv. 252387 - 01; Sez. 2, n. 38964 del 14/06/2023, D'Ippolito, non mass, sul punto; Sez. 2, n. 33581 del 06/07/2023, Dessi, non mass, sul punto).
7.18. L'argomento difensivo, dunque, è tutt'altro che decisivo.
7.19. Deve essere disattesa, perché manifestamente infondata, la deduzione secondo cui manca la lesione dell'ordine pubblico perché non percepibile verso l'esterno.
7.20. Si tratta di tesi francamente originale che, oltre a cozzare con il dato testuale della norma, tende a confondere l'ordine pubblico con l'ordre dans la rue, laddove l'ordine pubblico è posto in pericolo da un accordo volto alla programmata consumazione di più reati, non essendo affatto necessaria la loro materiale esecuzione. Ai fini della consumazione del reato di cui all'art. 416 cod. pen., è sufficiente la promozione, la costituzione, l'organizzazione e la partecipazione ad un sodalizio criminale, non essendo strutturalmente richiesta l'attuazione del programma, sicché l'ordine pubblico è messo in pericolo già in modo silente senza che sia necessaria la visibilità "all'esterno" del sodalizio. Come è stato ben spiegato da Sez. 1, n. 709 del 11/12/1992, dep. 1993, Beni, Rv. 192789 - 01, è sufficiente che l'adesione al programma criminale dia vita a un organismo plurisoggettivo che, indipendentemente da eventuali forme esterne, sia in grado di avere una volontà autonoma rispetto a quella dei singoli e di svolgere una condotta collettiva, sintesi delle condotte individuali, al fine di realizzare il programma criminoso. È da ciò che derivano il danno immediato per l'ordine pubblico ed il pericolo per i beni che i delitti in programma offendono; invero l'impegno collettivo, consentendo di utilizzare immediatamente gli uomini disponibili e le strutture appositamente predisposte, agevola la realizzazione dei delitti-scopo (nello stesso senso, Sez. 5, n. 19745 del 28/02/2019, Privitera, non mass, sul punto).
Resta dunque ancora valido l'insegnamento di Sez. 1, n. 1515 del 07/11/1967, Di Pasquale, Rv. 106450 - 01, secondo il quale il concetto di ordine pubblico, ai fini della disposizione dell'art. 415 cod. pen., non coincide con quello, più ristretto, di sicurezza pubblica, propria delle leggi di polizia, bensì si estende ai principi fondamentali e di interesse generale, su cui poggia l'ordinamento giuridico dello Stato, inteso, questo, come diritto cogente, ossia da osservarsi inderogabilmente da tutti perché consta di norme imperative o proibitive sanzionatorie. Pertanto le leggi di ordine pubblico, che formano oggetto dell'istigazione alla disubbidienza nel reato previsto dalla citata norma penale, sono tutte quelle le cui norme hanno una applicazione incondizionata e che, perciò, non ammettono deroghe da parte dei singoli per essere la loro osservanza sottratta all'arbitrio ed all'autonomia individuale (nello stesso senso, Sez. 1, n. 3388 del 15/12/1980, Papini, Rv. 148404 - 01).
L'insegnamento, seppure relativo al delitto di cui all'art. 415 cod. pen., è certamente applicabile anche al delitto associativo di cui all'art. 416 cod. pen. il quale è posto a presidio del limite posto all'autonomia privata dei cittadini, liberi sì di associarsi liberamente ma per fini che non siano vietati ai singoli dalla legge penale (art. 18 Cost.).
È dunque in questa nuova dimensione costituzionale che deve essere collocato il precetto penalmente sanzionato dall'art. 416 cod. pen. che vieta espressamente a chiunque di associarsi per commettere delitti, per il perseguimento di scopi cioè che sono vietati ai singoli dalla legge penale, senza che rilevi la visibilità all'esterno di tali associazioni (visibilità che può integrare, semmai, la circostanza aggravante di cui al quarto comma dell'art. 416).
7.21. Quanto al dolo del reato associativo (asseritamente mancante in capo agli altri imputati), valgano le considerazioni già esposte al par. 7.6.
7.22. Il secondo ed il terzo motivo, nonché il primo motivo aggiunto, sono generici e manifestamente infondati.
7.23. Da tempo questa Corte insegna che la decisione del giudice di appello, che comporti la totale riforma della sentenza di primo grado impone la dimostrazione dell'incompletezza o della non correttezza ovvero dell'incoerenza delle relative argomentazioni con rigorosa e penetrante analisi critica seguita da corretta, completa e convincente motivazione che, sovrapponendosi a tutto campo a quella del primo giudice, senza lasciare spazio alcuno, dia ragione delle scelte operate e del privilegio accordato ad elementi di prova diversi o diversamente valutati. Ciò sul rilievo che la possibile spiegazione alternativa di un fatto non attiene al mero possibilismo, come tale esercitazione astratta del ragionamento disancorata dalla realtà processuale, ma a specifici dati fattuali che rendano verosimile la conclusione di un "iter" logico cui si perviene senza affermazioni apodittiche (Sez. 1, n. 1381 del 16/12/1994, Felice, Rv. 201487; Sez. 2, n. 15756 del 12/12/2002, Contrada, Rv. 225564). Sicché il giudice di appello che riformi totalmente la decisione di primo grado ha l'obbligo di delineare le linee portanti del proprio, alternativo, ragionamento probatorio e di confutare specificamente i più rilevanti argomenti della motivazione della prima sentenza, dando conto delle ragioni della relativa incompletezza o incoerenza, tali da giustificare la riforma del provvedimento impugnato e la insostenibilità sul piano logico e giuridico degli argomenti più rilevanti ivi contenuti (Sez. U, n. 33748 del 12/07/2005, Mannino, Rv. 231679; Sez. 5, n. 8361 del 17/01/2013, Rastegar, Rv. 254638; Sez. 5, n. 42033 del 17/10/2008, Pappalardo, Rv. 242330).
7.24. Sennonché, nel caso di specie, il ricorrente, pur avendo richiamato tali principi, non ne ha specificato la concreta incidenza sulla tenuta della motivazione della sentenza impugnata alla luce del principio dell'oltre ogni ragionevole dubbio.
7.25. Né sovvengono gli argomenti indicati nel primo motivo aggiunto. L'inammissibilità del ricorso in parte qua rende non scrutinagli i motivi aggiunti relativi al reato associativo.
7.26. Come autorevolmente insegnato da Sez. U, n. 6903 del 27/05/2016, dep. 2017, Aiello, Rv. 268966 - 01, in caso di ricorso avverso una sentenza di condanna cumulativa, che riguardi più reati ascritti allo stesso imputato, l'autonomia dell'azione penale e dei rapporti processuali inerenti ai singoli capi di imputazione impedisce che l'ammissibilità dell'impugnazione per uno dei reati possa determinare l'instaurazione di un valido rapporto processuale anche per i reati in relazione ai quali i motivi dedotti siano inammissibili (nello stesso senso, Sez. 3, n. 26807 del 16/03/2023, Di Laudo, Rv. 284783 - 01; Sez. 6, n. 20525 del 13/04/2022, Komarov, Rv. 283269 - 01; Sez. 3, n. 20899 del 25/01/2017, Bruno, Rv. 270130 - 01).
7.27. Ne consegue che l'inammissibilità dei motivi relativi ad uno dei reati oggetto di ricorso per cassazione rende inammissibili i motivi aggiunti inerenti quello specifico reato, non potendo far rivivere un rapporto di impugnazione mai validamente costituito in relazione a detto capo.
7.28. Quanto alla dedotta violazione dell'art. 603, comma 3-bis, cod. proc. pen., è stato condivisibilmente affermato (e deve essere qui ribadito) che il giudice d'appello che procede alla "reformatio in peius" della sentenza assolutoria di primo grado, ai sensi dell'art. 603, comma 3-bis cod. proc. pen., non è tenuto alla rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale, nel caso in cui si limiti a una diversa valutazione in termini giuridici di circostanze di fatto non controverse, senza porre in discussione le premesse fattuali della decisione riformata (Sez. 2, n. 3129 del 30/11/2023, dep. 2024, Casoppero, Rv. 285826-01; Sez. 4, n. 31541 del 22/06/2023, Lazzari, Rv. 284860 - 01; Sez. 3, n. 973 del 28/11/2018, dep. 2019, S., Rv. 274571 - 01).
7.29. Va inoltre ricordato l'indirizzo secondo il quale la regola processuale sulla rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale di cui all'art. 603, comma 3-bis, cod. proc. pen., come modificato dall'art. 34, comma 1, lett. i), n. 1), D.Lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, in vigore a far data dal 30 dicembre 2022, trova immediata applicazione nel giudizio di appello conseguente allo svolgimento di giudizio abbreviato, in assenza di disposizioni transitorie e in base al principio "tempus regit actum" (Sez. 5, n. 17965 del 14/02/2024, Coveri, Rv. 286490 - 01, che ha evidenziato che tale ultimo principio va riferito non al momento della presentazione della impugnazione, ma al tempo in cui l'atto del procedimento, ricompreso nel giudizio di impugnazione, viene ad essere compiuto; Sez. 3, n. 10691 del 10/01/2024, S., Rv. 286089 - 01; nel senso che il giudice di appello che riforma una decisione di proscioglimento assunta in esito a giudizio abbreviato, in base al novellato art. 603, comma 3-bis, cod. proc. pen. e in forza dei dettami della recente giurisprudenza della Corte EDU, non è tenuto alla rinnovazione della prova dichiarativa, Sez. 2, n. 10401 del 13/02/2024, Albanese, Rv. 286100 - 01).
7.30. Nel caso di specie, trattandosi di giudizio abbreviato non condizionato dal ricorrente alla assunzione di prove documentali, la Corte di appello non era in ogni caso tenuta alla rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale.
7.31. Il quarto motivo è manifestamente infondato.
7.32. Ai fini della integrazione del reato di cui all'art. 10-quater D.Lgs. n. 74 del 2000 è necessaria e sufficiente la presentazione del modello F24 per il pagamento delle imposte, non essendo richiesto dalla fattispecie incriminatrice che l'Agenzia delle Entrate validi la compensazione del debito tributario con i crediti indicati nel modello. Il reato, infatti, consiste nell'omesso versamento delle somme dovute, utilizzando in compensazione crediti non spettanti o inesistenti; l'effetto (l'omesso versamento) è immediato a prescindere dalla eventuale validazione o meno dell'Agenzia delie Entrate, validazione che è successiva alla condotta ed è anche eventuale.
7.33. Il delitto di indebita compensazione di cui all'art. 10-quater, D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, si consuma al momento della presentazione dell'ultimo modello F24 relativo all'anno interessato in quanto, con l'utilizzo del modello indicato, si perfeziona la condotta decettiva del contribuente, realizzandosi il mancato versamento per effetto dell'indebita compensazione di crediti in realtà non spettanti in base alla normativa fiscale (Sez. 3, n. 4958 dell'11/10/2018, Cappello, Rv. 274854 - 01); non rilevano, pertanto, l'eventuale mancato computo della compensazione da parte dello Stato ed il conseguente non aggiornamento del c.d. cassetto fiscale, in quanto tali operazioni, successive alla presentazione del modello indicato, sono soltanto ricognitive del rapporto obbligatorio tra Amministrazione e contribuente, senza alcun effetto costitutivo o modificativo (Sez. 3, n. 23027 del 23/06/2020, Mangieri, Rv. 279755 - 01; Sez. 3, n. 2351 del 18/11/2022, dep. 2023, n.m.; Sez. 3, n. 3773 del 14/01/2022, n.m.).
7.34. La circostanza che il credito utilizzato in compensazione fosse stato precedentemente disconosciuto dall'Agenzia delle Entrate non incide sulla sussistenza né sulla offensività del reato posto che, come detto, esso è integrato dal mancato versamento dell'imposta dovuta, costituendo - piuttosto - il pregresso disconoscimento del credito un elemento che aggrava il reato, quantomeno sotto il profilo della intensità del dolo.
7.35. Non è dunque necessario, come già detto, che l'Amministrazione Finanziaria sia stata tratta in inganno dalla condotta del contribuente perché essa si perfeziona per il sol fatto del mancato versamento dell'imposta dovuta a prescindere dalla collaborazione o da atti di disposizione patrimoniale dell'ente creditore.
7.36.Se ne trae conferma dal fatto che il reato di indebita compensazione previsto dall'art. 10 quater del D.Lgs. n. 74 del 10 marzo 2000, costituisce un "novum" nel diritto penale tributario con la conseguenza che la relativa condotta non può ritenersi sanzionata, prima della sua introduzione da parte dell'art. 35, comma settimo, del D.L. 4 luglio 2006, n. 223, dall'art. 640 cod. pen. (Sez. 3, n. 36859 del 16/01/2013, Mainardi, Rv. 258039 - 01).
7.37. Il quinto motivo è anch'esso manifestamente infondato.
7.38. Costituisce ormai approdo incontestato e pacifico (tale da costituire vero e proprio "diritto vivente") il principio secondo il quale il reato di indebita compensazione di crediti non spettanti o inesistenti, di cui all'art. 10-quater D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, è configurabile sia nel caso di compensazione "verticale", riguardante crediti e debiti afferenti alla medesima imposta, sia in caso di compensazione "orizzontale", concernente crediti e debiti di imposta di natura diversa e ciò sul rilievo che la fattispecie incriminatrice, richiamando espressamente l'art.17, D.Lgs. 9 luglio 1997, n. 241, risulta applicabile anche alle ipotesi di indebita compensazione tra crediti risultanti da dichiarazioni fiscali ed altre imposte, contributi previdenziali ed assistenziali, premi Inail ed altre somme dovute allo Stato, alle Regioni, agli enti locali od altri enti (Sez. 6, n. 37085 del 28/09/2021, De Maio, Rv. 281958 - 01; Sez. 3, n. 13149 del 03/03/2020, Bone III, Rv. 279118 - 01; Sez. 3, n. 5934 del 12/09/2018, Giannino, Rv. 275833 - 01; Sez. 3, n. 8689 del 30/10/2018, Dalla Torre, Rv. 275015 - 01; Sez. 3, n. 42462 del 11/11/2010, Ragosta, Rv. 248754 - 01).
7.39. L'accostamento fatto dal ricorrente tra il reato di cui all'art. 10-quater D.Lgs. n. 74 del 2000 e quello di cui all'art. 2, comma 1-bis, D.L. n. 463 del 1983, convertito con modificazioni dalla legge n. 638 del 1983 (omesso versamento delle ritenute previdenziali ed assistenziali operate dal datore di lavoro sulle retribuzioni dei lavoratori dipendenti) è assolutamente inconferente, trovando semmai la norma speciale in questione corrispondenza con quella di cui all'art. 10-bis D.Lgs. n. 74 del 2000 (omesso versamento delle ritenute certificate). Le due norme (art. 2, comma 1-bis, D.L. n. 463, e 10-bis D.Lgs. n. 74 del 2000) tendono a prevenire, con la minaccia della sanzione penale, la condotta del datore di lavoro/sostituto di imposta che non versi somme nella sua diretta disponibilità sostanzialmente appropriandosene.
7.40. L'art. 10-quater D.Lgs. n. 74 del 2000 è norma di altra natura; lo ha ricordato la Corte costituzionale (citata anche dal ricorrente) secondo cui, "nelle ipotesi previste dagli artt. 10-bis e 10-ter del D.Lgs. n. 74 del 2000 (...) l'omesso versamento riguarda somme di cui lo stesso contribuente si è riconosciuto debitore in documenti fiscalmente rilevanti (le certificazioni delle ritenute rilasciate ai sostituiti e, attualmente, anche la dichiarazione annuale di sostituto d'imposta, da un lato; la dichiarazione relativa all'IVA, dall'altro). Di conseguenza, la condotta è priva di connotati di "insidiosità", essendo l'inadempienza tributaria palese e prontamente riscontrabile dall'amministrazione finanziaria. Altrettanto non può dirsi, invece, per l'ipotesi disciplinata dall'art. 10-quater, la quale accoppia al disvalore di evento (omesso versamento di somme dovute) uno specifico disvalore di azione, consistente nell'abusiva utilizzazione dell'istituto della compensazione in materia tributaria, quale disciplinato dall'art. 17 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241 (Norme di semplificazione degli adempimenti dei contribuenti in sede di dichiarazione dei redditi e dell'imposta sul valore aggiunto, nonché di modernizzazione del sistema di gestione delle dichiarazioni). In passato, l'istituto civilistico della compensazione era ritenuto inapplicabile ai crediti di natura tributaria, fatta eccezione (a talune condizioni) per la cosiddetta compensazione "verticale", avente ad oggetto, cioè, crediti e debiti relativi alla stessa imposta. Con il citato art. 17, il legislatore ha superato tale impostazione restrittiva, consentendo al contribuente di effettuare - tramite la compilazione di un apposito modello, denominato "modello F24" - un versamento unitario "delle imposte, dei contributi dovuti all'INPS e delle altre somme a favore dello Stato, delle regioni e degli enti previdenziali", analiticamente elencati nella norma stessa: versamento in occasione del quale è possibile compensare le somme a debito con quelle a credito. In questo modo, il contribuente non è più costretto a corrispondere la somma dovuta e ad avviare contestualmente la procedura per il rimborso del suo credito, ma può servirsi direttamente di quest'ultimo per evitare di effettuare il pagamento. E lo può fare persino oltre gli stessi limiti dell'istituto civilistico: in deroga al requisito dell'identità dei soggetti titolari delle reciproche posizioni debitorie e creditorie, previsto dal codice civile (art. 1241), la compensazione è, infatti, ammessa anche tra crediti e debiti del contribuente nei confronti di enti diversi (Stato, Regioni, enti previdenziali). Si tratta di meccanismo - sottolinea la Corte costituzionale - che implica un elevato grado di affidamento nella correttezza del protagonista del versamento, chiamato ad effettuare lui stesso, tramite la compilazione del modello, l'operazione di calcolo del dovuto. La norma incriminatrice di cui all'art. 10-quater del D.Lgs. n. 74 del 2000 mira specificamente a contrastare gli abusi cui il meccanismo si presta, tramite l'artificio di esporre nel modello - e, così, di utilizzare in compensazione - crediti "non spettanti" o "inesistenti". Nella specie, il contribuente non si limita, quindi, ad una condotta omissiva di mancato versamento del dovuto, ma supporta la stessa con la redazione di un documento ideologicamente falso. Comportamento, questo, dotato di potenzialità decettive: l'indebita compensazione non è, infatti, di norma, immediatamente percepibile da parte dell'amministrazione finanziaria, ma emerge solo qualora gli organi accertatori appurino l'insussistenza o la non spettanza del credito portato in compensazione (in questo senso si veda già, incidentalmente, la sentenza n. 100 del 2015) (Corte cost., sent. n. 35 del 2018).
7.41. Per le ragioni già indicate in precedenza, è manifestamente infondato anche il sesto motivo che presuppone la validità della compensazione laddove quel che rileva è l'omesso pagamento del dovuto. Del resto, a seguire il ragionamento difensivo, la stessa compensazione con crediti inesistenti/non spettanti non integrerebbe mai il reato di cui all'art. 10-quater D.Lgs. n. 74 del 2000 poiché in nessun caso tale operazione sarebbe consentita.
7.42. Il settimo motivo è manifestamente infondato.
7.43. Il dolo specifico di evasione, che qualifica il delitto di cui all'art. 2 D.Lgs. n. 74 del 2000, comprende anche il fine di consentire a terzi il riconoscimento di un inesistente credito di imposta (art. 1, lett. d, D.Lgs. n. 74 del 2000) secondo lo schema accusatorio che attribuisce agli autori delle condotte rubricate ai capi 2, 3 e 4, il fine di consentire ad Alma le indebite compensazioni rubricate ai capi 5 e 6. Ciò che contribuisce a rendere irrilevante la dedotta circostanza che l'ammontare delle false fatture attive fosse superiore a quello delle false fatture passive.
7.44. Inoltre, come ben ricordato dalla Corte di appello, è configurabile il concorso tra il delitto di cui all'art. 2 D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, e quello di cui all'art. 10-quater D.Lgs. citato, realizzato, nel successivo periodo di imposta, mediante la compensazione dell'inesistente credito IVA in precedenza creato con il debito IVA successivamente maturato, posto che le condotte sono ontologicamente e cronologicamente diverse ed integrano una pluralità di evasioni di imposta e non un unico danno all'Erario (Sez. 3, n. 18085 del 05/04/2022, Licata, Rv. 283342 - 01).
7.45. Tale principio deve essere ribadito avuto riguardo alla diversità strutturale delle due fattispecie in rapporto di eterogeneità tra di loro che non consente l'assorbimento dell'una nell'altra in virtù della identità e unicità del danno erariale, non costituendo il delitto di dichiarazione fraudolenta antefatto non punibile del delitto di indebita compensazione, né quest'ultimo un post-factum non punibile del delitto di dichiarazione fraudolenta, comportando l'argomento contrario la assurda conseguenza della inapplicabilità di entrambe le fattispecie che si eliderebbero a vicenda.
7.46. È invece fondato l'ottavo motivo, relativo ai capi 7 e 8 della rubrica inerenti la consumazione di due distinti delitti di compensazione indebita di cui all'art. 10-quater D.Lgs. n. 74 del 2000, diversificati in base al credito portato indebitamente in compensazione da Alma Spa: a) il credito IVA inesistente dichiarato da "C.I.T. TREZZANO Srl" per l'anno di imposta 2016 (capo 7); b) il credito IVA inesistente dichiarato da "EDIL GEN Srl" per l'anno di imposta 2016. Le compensazioni sono state effettuate tutte nell'anno 2017.
7.47. A sostegno della propria decisione la Corte di appello spiega che le compensazioni erano state effettuate da Alma utilizzando crediti inesistenti relativi a due distinte entità giuridiche, con autonoma personalità giuridica, aggiungendo che la trasmissione dei modelli F24 era stata effettuata da parte delle società accollanti.
7.48. Quest'ultima annotazione è, in realtà, poco chiara poiché già il GUP aveva ricostruito la vicenda in termini inequivocabili attribuendo ad Alma la condotta tipica del reato conformemente, del resto, all'editto accusatorio. È stata, insomma, Alma a presentare i modelli F24, non le due società sopra indicate.
7.49. Il fatto, dunque, resta unico, essendo irrilevante la titolarità dei crediti portati in compensazione, bensì soltanto il loro complessivo ammontare annuo facente capo all'unico contribuente (nel caso di specie, Alma). Del resto, come giustamente osservato dal ricorrente, una diversa interpretazione della norma si presta a facili elusioni potendo la soglia di punibilità non essere mai superata frazionando i crediti in base alla loro titolarità/causa.
7.49.1. Ne consegue che, ritenuta l'unicità dei fatti contestati ai capi 7 e 8, la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio limitatamente al trattamento sanzionatorio rideterminato come da dispositivo previa eliminazione della frazione di pena applicata a titolo di continuazione (quindici giorni) ridotta di un terzo (e, dunque, a 10 giorni, in conseguenza della scelta del rito abbreviato).
7.50. Il nono motivo è generico e proposto al di fuori dei casi consentiti dalla legge nella fase di legittimità.
7.51. Va in primo luogo stigmatizzata la deduzione difensiva della mancanza, nell'editto accusatorio, del ruolo di amministratore di fatto delle società indicate ai capi 33-41 della rubrica (ICLA, SERVIZI INTEGRATI, EVOLUTION SERVICE).
7.52. Sennonché è proprio questo il punto.
7.53. In sede di appello il ricorrente non aveva espressamente contestato il proprio ruolo di amministratore occulto delle predette società ma si era semplicemente limitato a invocare l'assoluzione dal reato di cui all'art. 10 D.Lgs. n. 74 del 2000 sul generico rilievo che la contabilità doveva trovarsi presso i commercialisti tenutari delle scritture contabili e unici interessati al loro occultamento, e ciò, del resto, coerentemente all'ammissione degli addebiti da parte dello stesso imputato che non aveva mai negato il proprio ruolo gestorio delle società coinvolte nel più ampio disegno di frode al fisco da lui stesso inizialmente ideato con Sc.Lu.
7.54. Il decimo motivo è inammissibile per mancanza di interesse non essendo in contestazione il fine di evasione delle imposte indirette (IVA) e non essendo stata applicata (tanto meno contestata) al ricorrente la continuazione interna a ciascuna delle ipotesi di reato di cui all'art. 2 D.Lgs. n. 74 del 2000, espressamente esclusa sin dal primo grado.
7.55. L'undicesimo motivo è parimenti inammissibile.
7.56. Sulla applicazione retroattiva dell'art. 442, comma 2-bis, cod. proc. pen., aggiunto dall'art. 24, comma 2, lett. c), D.Lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, sussiste nella giurisprudenza di legittimità un contrasto ad oggi irrisolto.
7.57. Secondo un primo indirizzo, la norma non si applica ai procedimenti penali pendenti in fase di impugnazione e a quelli definiti con sentenza divenuta irrevocabile prima dell'entrata in vigore del D.Lgs. 10 ottobre 2022, n. 150 (Sez. 1, n. 42681 del 27/09/2023, Proshka, Rv. 285394 - 01; Sez. 1, n. 16054 del 10/03/2023, Moccia, Rv. 284545 - 01). Tale interpretazione non contrasterebbe con gli artt. 3,25,27 e 117 Cost. in relazione all'art. 7 CEDU, posto che la condizione processuale che ne consente l'applicazione, costituita dall'irrevocabilità della sentenza per mancata impugnazione, in quanto soggetta al principio del "tempus regit actum", è ravvisabile solo rispetto a sentenze di primo grado divenute irrevocabili dopo l'entrata in vigore dell'indicato D.Lgs., pur se pronunciate antecedentemente, sicché non risulta violato né il principio di retroattività della "lex mitior", che riguarda le sole disposizioni che definiscono i reati e le pene che li sanzionano e la cui applicazione è preclusa ex art. 2, comma quarto, cod. pen. ove sia stata pronunziata sentenza definitiva, né quelli di eguaglianza e di responsabilità penale, in quanto il trattamento sanzionatorio difforme è giustificato dalla diversità delle situazioni da disciplinare e non può essere percepito come ingiusto dal condannato che abbia inteso perseguire il medesimo obiettivo con una diversa scelta processuale.
7.58. Secondo un diverso indirizzo, invece, il beneficio dell'ulteriore riduzione di pena di un sesto per mancata impugnazione della sentenza di condanna, di cui all'art. 442, comma 2-bis, cod. proc. pen., trova applicazione, previa rinuncia all'appello, anche ai procedimenti penali pendenti in fase di impugnazione antecedentemente all'entrata in vigore del D.Lgs. n. 150 del 2022, posto che la disposizione che lo prevede ha natura sostanziale, incidendo anche sul trattamento sanzionatorio, mercé la ridefinizione in "melius" della pena (Sez. 2, n. 4237 del 17/11/2023, dep. 2024, Pompeo, Rv. 285820 - 01).
7.59. Nel caso di specie, la sentenza di primo grado è stata depositata prima della entrata in vigore del D.Lgs. n. 150 del 2022 (il 10/07/2020) ma impugnata molto tempo dopo (i relativi termini decorrevano dal 1 settembre 2020), sicché, anche nella migliore delle ipotesi, nulla impediva al ricorrente di rinunciare all'appello. Del resto, il ricorso continua a coltivare in via principale motivi relativi al merito, che contestano l'affermazione di responsabilità del ricorrente, con (a conseguenza che l'appello all'evidenza non risulta rinunciato (argomento pure sostenuto da Sez. 2, Pompeo, cit., che ha per questo rigettato il motivo di ricorso).
7.60. Il dodicesimo motivo è generico.
7.61. Non è chiaro di cosa si dolga il ricorrente: se della applicazione della recidiva (semplice) oppure della applicazione delle circostanze attenuanti generiche con giudizio di equivalenza rispetto alla recidiva, piuttosto che di prevalenza.
7.62. Con riferimento al primo aspetto (sussistenza della recidiva), la Corte di appello ha ritenuto di confermare le statuizioni del primo Giudice valorizzando la precedente condanna del Be.Fr. per il reato di bancarotta fraudolenta rispetto al quale, seppur non omogeneo, i fatti oggetto di odierna regiudicanda si pongono in linea di continuità sotto il profilo della persistente pericolosità dell'imputato. Si tratta di argomento non manifestamente illogico che esprime le linee essenziali del ragionamento della Corte territoriale e che per questo motivo non è sindacabile in sede di legittimità.
7.63. Quanto al secondo aspetto (giudizio di equivalenza), le statuizioni relative al giudizio di comparazione tra opposte circostanze, implicando una valutazione discrezionale tipica del giudizio di merito, sfuggono al sindacato di legittimità qualora non siano frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e siano sorrette da sufficiente motivazione, tale dovendo ritenersi quella che per giustificare la soluzione dell'equivalenza si sia limitata a ritenerla la più idonea a realizzare l'adeguatezza della pena irrogata in concreto (Sez. U, n. 10713 del 25/02/2010, Contaldo, Rv. 245931; Sez. 2, n. n. 31543 del 08/06/2017, Pennelli, Rv. 270450; Sez. 2, n. 36104 del 27/04/2017, Mastro, Rv. 271243).
7.64. Il tredicesimo motivo è inammissibile.
7.65. È vero che l'estinzione di ogni effetto penale determinata dall'esito positivo dell'affidamento in prova al servizio sociale comporta che delle relative condanne non possa tenersi conto agli effetti della recidiva (Sez. U, n. 5859 del 27/10/2011, Marciano, Rv. 251688 - 01; Sez. 3, n. 41697 del 08/05/2018, G., Rv. 273941 - 01; Sez. 3, n. 39550 del 04/07/2017, Mauri, Rv. 271342 - 01; Sez. 3, n. 27689 del 13/05/2010, R., Rv. 247925 - 01) e tuttavia l'estinzione può essere rilevata nel giudizio di legittimità solo qualora, in ossequio al principio di autosufficienza del ricorso, sia stata documentata dal ricorrente (Sez. 3, n. 41697 del 2018), risolvendosi la deduzione difensiva nella denunzia del travisamento (per omissione) della prova, vizio del quale deve essere provata anche la natura decisiva.
7.66. Il quattordicesimo motivo è inammissibile perché ne è oggetto non la sentenza, bensì la scheda redatta ai sensi dell'art. 165-bis disp. att. cod. proc. pen. (ed il calcolo della prescrizione effettuato ai sensi della lettera c, della norma in questione).
7.67. Il quindicesimo motivo è inammissibile per rinunzia.
7.68. Il sedicesimo motivo è manifestamente infondato.
7.69. Il reato di cui al capo 5 (art. 10-quater D.Lgs. n. 74 del 2000) è contestato come commesso dall'11 novembre 2015 al 15 dicembre 2015.
7.70. Premesso che, come già detto in sede di esame dell'ottavo motivo, il delitto di indebita compensazione di cui all'art. 10-quater D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, si perfeziona con la presentazione dell'ultimo modello F24 relativo all'anno interessato, il dies a quo del calcolo del tempo necessario a prescrivere si identifica con quello 15 dicembre 2015.
7.71. La prescrizione, dunque, maturava il 15 giugno 2023, sette anni e sei mesi dopo la consumazione del delitto. Il processo, però, è rimasto sospeso in primo grado per 39 giorni, dal 16 marzo 2020 al 24 aprile 2020, in conseguenza dell'emergenza epidemiologica da Sars-Covid 2, con conseguente slittamento della prescrizione al 24 luglio 2023, data successiva alla pronuncia impugnata (del 13 luglio 2023), non potendosi tener conto del tempo trascorso per il deposito della motivazione (nel senso che, ai fini del computo della prescrizione rileva il momento della lettura del dispositivo della sentenza di condanna e non quello successivo del deposito della stessa, la giurisprudenza della Corte di cassazione è costante: Sez. 2, n. 46261 del 18/09/2019, Cammi, Rv. 277593 - 02; Sez. 1, n. 20432 del 27/01/2015, Lione, Rv. 263365 - 01; Sez. 7, n. 38143 del 13/02/2014, Foggetti, Rv. 262615 - 01; Sez. 3, n. 18046 del 09/02/2011, Morra, Rv. 250328 - 01; Sez. 5, n. 46231 del 04/11/2003, Bertolino, Rv. 227575 - 01).
7.72. Né la fondatezza del ricorso limitatamente ai reati di cui ai capi 7 e 8 (ad oggi non prescritti) giova alla rilevazione della prescrizione eventualmente maturata prima della odierna pronuncia per gli altri reati.
7.73. Ricorda il Collegio che, in caso di ricorso avverso una sentenza di condanna cumulativa, che riguardi più reati ascritti allo stesso imputato, l'autonomia dell'azione penale e dei rapporti processuali inerenti ai singoli capi di imputazione impedisce che l'ammissibilità dell'impugnazione per uno dei reati possa determinare l'instaurazione di un valido rapporto processuale anche per i reati in relazione ai quali i motivi dedotti siano inammissibili, con la conseguenza che per tali reati, nei cui confronti si è formato il giudicato parziale, è preclusa la possibilità di rilevare la prescrizione maturata dopo la sentenza di appello (Sez. U, n. 6903 del 27/05/2016, dep. 2017, Aiello, Rv. 268966 - 01; Sez. 3, n. 26807 del 16/03/2023, Di Laudo, Rv. 284783 - 01; Sez. 6, n. 20525 del 13/04/2022, Di Geronimo, Rv. 283269 - 01; Sez. 3, n. 20889 del 25/01/2017, Bruno, Rv. 270130 - 01).
8. Il ricorso di Sc.Lu.
8.1. Sc.Lu. è stato giudicato colpevole, in primo grado, dei reati di cui agli artt. 2,10 e 10-quater, comma secondo, D.Lgs. n. 74 del 2000, rubricati ai capi da 2 a 8, da 10 a 41 e 46 dell'editto accusatorio, e condannato alla pena di tre anni e dieci mesi di reclusione, previa applicazione delle circostanze attenuanti generiche, ritenute equivalenti alle circostanze aggravanti, previa applicazione della continuazione esterna tra i reati contestati.
8.2. La Corte di appello ha ritenuto l'imputato colpevole anche del reato associativo di cui al capo 1 e lo ha condannato alla pena di quattro anni di reclusione previo assorbimento dei reati di cui all'art. 10 D.Lgs. n. 74 del 2000 contestati ai capi 34 e 35 in quello rubricato al capo 33, dei medesimi reati contestati ai capi 37 e 38 in quello rubricato al capo 36, dei medesimi reati contestati ai capi 40 e 41 in quello rubricato al capo 39.
8.3. Il primo motivo deduce la nullità del decreto di citazione a giudizio in appello, vizio che non è stato tempestivamente dedotto in appello con conseguente preclusione alla sua proposizione in questa sede.
8.4. Le concrete modalità di consegna del decreto di citazione (inserito dagli agenti della Polizia Municipale nella cassetta delle lettere con contestuale avviso verbale alla convivente dell'imputato, impedito a ricevere a mani l'atto perché affetto da Covid) non comportano la omessa citazione della notificazione stessa ma integrano, semmai, una nullità a regime intermedio che andava dedotta nei termini previsti dagli artt. 180 e 181 (art. 182 cod. proc. pen.).
8.5. Ed invero, in tema di notificazione della citazione dell'imputato, la nullità assoluta e insanabile prevista dall'art. 179 cod. proc. pen. ricorre soltanto nel caso in cui la notificazione della citazione sia stata omessa o quando, essendo stata eseguita in forme diverse da quelle prescritte, risulti inidonea a determinare la conoscenza effettiva dell'atto da parte dell'imputato; la medesima nullità non ricorre invece nei casi in cui vi sia stata esclusivamente la violazione delle regole sulle modalità di esecuzione, alla quale consegue la applicabilità della sanatoria di cui all'art. 184 cod. proc. pen. (Sez. U, n. 119 del 27/10/2004, Palumbo, Rv. 229539 - 01).
8.6. Nel caso di specie, la notificazione - come detto - è stata effettuata presso il domicilio indicato dal ricorrente all'atto della scarcerazione (l'abitazione della compagna) mediante introduzione del decreto nella cassetta della posta previa interlocuzione con la compagna, titolare dell'abitazione.
8.7. L'atto dunque è stato notificato ai sensi dell'art. 157 cod. proc. pen., vigente al momento della notificazione, ma non è stata inviata la raccomandata informativa.
8.8. Ciò, però, non determina la mancanza assoluta della notificazione, bensì un vizio della procedura che è stato sanato dall'atteggiamento inerte dell'imputato il quale, peraltro, nemmeno in questa sede ha contestato che il decreto fosse stato lasciato nella cassetta delle lettere dell'abitazione ove all'epoca dimorava e previa interlocuzione della Polizia giudiziaria con la sua convivente.
8.9. Il secondo motivo è manifestamente infondato per le stesse ragioni già indicate in sede di esame del ricorso del Be.Fr.
8.10. Anche il terzo motivo introduce questioni già esaminate in sede di esame del ricorso del Be.Fr.
8.11. Il quarto motivo è generico e manifestamente infondato.
8.12. La deduzione riguarda il capo 30 della rubrica (art. 10-quater D.Lgs. n. 74 del 2000) e lamenta l'utilizzazione della CT del PM prodotta all'udienza del 29 aprile 2020 ed acquisita, dopo l'ammissione al giudizio abbreviato, ai sensi dell'art. 441, comma 5, cod. proc. pen. La consulenza, in particolare, riguardava il conteggio degli importi oggetto di indebita compensazione, frutto, afferma il ricorrente, dell'esame di modelli F24 non presenti nel fascicolo del Pubblico ministero, perché mai allegati all'informativa di polizia giudiziaria, di cui non si conosceva la provenienza e le modalità di acquisizione.
8.13. Dalla lettura della sentenza di primo grado (pagg. 101 e seg.) risulta però che l'affermazione della penale responsabilità dell'imputato (anche) per il reato di cui al capo 30 si basa, anche quanto agli importi non versati, sui conteggi effettuati nel contraddittorio tra le parti dal perito nominato dal giudice e che la documentazione contabile acquisita ai sensi dell'art. 441, comma 5, cod. proc. pen. aveva "consentito di calcolare l'imposta nei termini di cui al dispositivo, anche combaciante con le annotazioni di p.g." (pag. 102, sentenza primo grado).
8.14. Ferma, dunque, la genericità della deduzione, secondo un risalente (e superato) orientamento della giurisprudenza di legittimità, nel giudizio abbreviato la facoltà del giudice di assumere anche d'ufficio gli elementi necessari ai fini della decisione non è esercitabile con riguardo alla ricostruzione storica del fatto e all'attribuibilità di esso all'imputato (Sez. 3, n. 33939 del 16/06/2010, Anzaldo, Rv. 248229 - 01; Sez. 4, n. 35247 del 15/06/2005, D'Amato, Rv. 232580 - 01; Sez. 1, n. 32099 del 14/07/2004, Carta, Rv. 229497 - 01). Tale orientamento fa leva sulla lettura dell'art. 421, terzo comma cod. proc. pen., il quale, richiamato dall'art. 441, comma 1, dispone che il pubblico ministero e i difensori formulano e illustrano le rispettive conclusioni utilizzando, oltre agli atti contenuti nel fascicolo trasmesso a norma dell'art. 416, secondo comma cod. proc. pen., anche "gli atti e i documenti ammessi dal giudice prima dell'inizio della discussione" (Sez. 2, n. 4014 del 02/10/1992, dep. 1993, Russo, Rv. 195013 - 01).
8.15. Secondo un diverso, maggioritario e più recente orientamento, cui il Collegio intende dare continuità, l'integrazione probatoria disposta dal giudice ai sensi dell'art. 441, comma quinto, cod. proc. pen., può riguardare anche la ricostruzione storica del fatto e la sua attribuibilità all'imputato, atteso che gli unici limiti a cui è soggetto l'esercizio del relativo potere sono costituiti dalla necessità ai finì della decisione degli elementi di prova di cui viene ordinata l'assunzione e dal divieto di esplorare itinerari probatori estranei allo stato degli atti formato dalle parti (Sez. 6, n. 17360 del 13/04/2021, Prevete, Rv. 280968 -01; Sez. 4, n. 34702 del 20/05/2015, Giorgi, Rv. 264407 - 01; Sez. 5, n. 10096 del 09/01/2015, Azzaro, Rv. 263456 - 01; Sez. 5, n. 49568 del 18/06/2014, El Kihal, Rv. 261338 - 01; Sez. 3, n. 20237 del 07/02/2014, Casalati, Rv. 259644 -01; Sez. 3, n. 12842 del 16/01/2013, Gambarini, Rv. 255109 - 01; Sez. 5, n. 36335 del 30/04/2012, Rv. 254027 - 01).
8.16. Ed invero, come ben spiegato da Sez. 5, n. 36335 del 2012, "in una situazione in cui, a seguito dei plurimi interventi della Corte Costituzionale nel corso del anni '90 e della legge che ne ha raccolto gli spunti, È tramontata la struttura del giudizio abbreviato come giudizio ancorato ad una base di cognizione immutabile ed è stato consegnato all'imputato il diritto di attivare il rito speciale senza venir condizionato da una possibile incompletezza delle preliminari indagini del Pubblico Ministero, il sistema ha dovuto prevedere (cfr. Corte Costituzionale sent. 115 del 2001) varie forme di integrazione probatoria, demandate all'iniziativa dell'imputato (art. 438 c.p.p., comma 5), del Pubblico Ministero, ammesso alla prova contraria ove l'imputato abbia esercitato la facoltà di chiedere l'integrazione probatoria (art. 438 c.p.p., comma 5), dello stesso giudice, qualora ritenga di non poter decidere allo stato degli atti (art. 441 c.p.p., comma 5). E quanto all'ampiezza di un tale potere, ritiene il Collegio condivisibile l'opinione che ne considera individuabili i limiti sulla base di quel criterio della decisività allo stato degli atti, che, se in passato rappresentava il limite di ammissibilità del rito speciale, attualmente ben può costituire il parametro con cui si deve confrontare il giudice per le sue decisioni sulla necessità di autonome iniziative probatorie ai fini della decisione, collegate quindi, ai sensi dell'art. 441 cod. proc. pen., comma 5, all'oggettiva impossibilità di addivenire alla decisione nel merito sulla base delle risultanze degli elementi di prova in atti, si tratti di quelli raccolti dal Pubblico Ministero oppure di quelli risultanti dalle richieste di integrazione cui l'imputato abbia subordinato l'accesso al rito. Al giudice è consentito di valutare la completezza dell'indagine e provvedere alla sua integrazione o specificazione in ogni caso, nel rispetto dei soli limiti: -dell'inserirsi di tale intervento nell'area individuata dallo stato degli atti formato dalle parti, essendo escluso che il giudice possa seguire un autonomo percorso di indagine su elementi di fatto non esplorati dalle parti e risultanti già dagli atti (sul punto già Sez. 5, sent. n. 15124 del 19/3/2002, Rv. 221322, ric.: Ranieri ed altri), dovendo egli ovviare ad una situazione di stallo determinata da insufficiente esplorazione degli elementi raccolti nel corso dell'indagine, tale da impedirgli di rendere una decisione sul merito dell'accusa, così che solo dopo il completamento dell'indagine anche su quegli aspetti le cui potenzialità non fossero state esaminate fino in fondo, gli sia possibile valutare la sufficienza o meno del quadro probatorio, anche ai sensi del cpv. dell'art. 530 cod. proc. pen.; - della necessità ai fini della decisione degli elementi di prova da assumere, nel senso che è necessaria ai fini della decisione la prova che completi il quadro degli accertamenti e che consenta al giudice di ritenere esaurientemente esplorato ogni tema d'indagine, per garantire che la sua decisione, sull'esser il risultato di prova sufficiente o meno ad affermare la responsabilità, sia fondata su tutto il materiale di valutazione possibilmente recuperabile; così, l'iniziativa ufficiosa del giudice potrà aver per oggetto sia una prova nuova sia, ove necessaria, anche la ripetizione della prova già acquisita agli atti, come (ed è il caso di specie) l'audizione di un testimone assunto a sommarie informazioni nel corso delle indagini preliminari, laddove si ritenga insufficiente la verbalizzazione delle sue dichiarazioni, o necessario saggiarne direttamente l'attendibilità. Se tali sono i limiti all'iniziativa del giudice non si vede spazio per l'ulteriore limitazione che escluderebbe che tale iniziativa possa aver per oggetto la ricostruzione storica del fatto e l'attribuibilità del reato all'imputato, limitazione non rinvenibile nella struttura del giudizio speciale, al quale l'imputato accede con la piena consapevolezza (art. 438 c.p.p., comma 1) sia delle sue possibilità di proporre un'integrazione probatoria tale da superare incompletezze da lui riscontrate nell'indagine del Pubblico Ministero (che non può ritorcersi a suo danno limitandone le possibilità di difesa e di accesso al rito), ma anche con la consapevolezza che il quadro probatorio a disposizione del giudice non sarà solo quello cristallizzato nelle indagini preliminari o dopo il proprio eventuale intervento integrativo, ma quello che l'autonoma valutazione del giudice, sempre nei limiti che lo circoscrivono, come visto sopra, alla materia già esplorata, potrà configurare con la sua iniziativa di completamento probatorio".
8.17. Ora, anche a voler tener conto del precedente orientamento, l'integrazione istruttoria disposta dal giudice non riguardava né la ricostruzione storica del fatto, né la sua attribuzione all'imputato, bensì la sola riconduzione a coerenza della somma indicata come non versata dalla rubrica mediante - si badi - la acquisizione di documentazione proveniente dalla società "Articolo 1 - Agenzia per il lavoro Srl" che la rubrica riconduce all'odierno ricorrente quale amministratore di fatto, qualifica che egli, in relazione al reato di cui al capo 30, non contesta.
8.18. Sicché il punto non è stabilire "chi", "come" e "quando" abbia materialmente operato l'estrazione dai sistemi informatici dell'Agenzia delle Entrate dei modelli F24 (questa la doglianza in appello), bensì se tali modelli provenissero effettivamente dalla società e fossero stati trasmessi dal Fr.Ca. per conto della stessa, contestazione mai fatta in questi precisi termini, nemmeno in questa sede.
8.19. Il che rende oltremodo infondata la doglianza difensiva trattandosi di documenti provenienti dall'imputato, in quanto tali sempre acquisibili, anche d'ufficio (art. 237 cod. proc. pen.).
8.20. Il quinto motivo è generico e manifestamente infondato.
8.21. La Corte di appello ha indicato con chiarezza le prove in base alle quali ha ritenuto la compartecipazione del ricorrente nella gestione delle società autrici delle dichiarazioni fraudolente indicate ai capi 2, 3, 4 e 46. Di tali prove il ricorrente non deduce il travisamento e nemmeno il malgoverno logico, con conseguente aspecificità delle odierne deduzioni sostanzialmente volte a contestare la attribuzione alla sua persona dei fatti materialmente consumati dai legali rappresentanti delle società coinvolte. Il punto, peraltro, è proprio questo, avendo la Corte di appello correttamente sottolineato la natura concorsuale dell'imputazione che veicola le condotte materiali altrui verso la penale responsabilità dello Sc.Lu. quale co-autore, insieme con il Be.Fr., del disegno criminoso del quale le condotte in questione costituiscono attuazione, in vista del perseguimento dello scopo ultimo di non pagare le tasse mediante le indebite compensazioni.
8.22. Il sesto motivo è fondato per le stesse ragioni già indicate in sede di esame del ricorso di Be.Fr. Ne consegue che deve essere eliminata la porzione di pena ascrivibile al reato di cui al capo 8 con conseguente rideterminazione della pena nei termini indicati nel dispositivo.
8.23. Il settimo e l'ottavo motivo sono manifestamente infondati per le stesse ragioni indicate in sede di esame del ricorso del Be.Fr.
8.24. Il nono motivo è manifestamente infondato per le ragioni già indicate al par. 7.39.
8.25. Non è dunque censurabile la decisione della Corte di appello di escludere valenza soverchiante agli elementi indicati a sostegno della richiesta di prevalenza delle circostanze attenuanti generiche sulle contestate aggravanti quando la pena-base, come nel caso di specie, è stata fissata in misura inferiore al medio edittale del reato più grave ed è stata ritenuta adeguata alla gravità dei fatti e alla personalità dei loro autori con motivazione nemmeno contestata sul punto.
8.26. L'ultimo motivo è manifestamente infondato per le ragioni già indicate in sede di esame del ricorso di Be.Fr.
9. Il ricorso di Ma.Fr.
9.1. Ma.Fr. è stato giudicato colpevole, in primo grado, del reato di cui all'art. 10-quater D.Lgs. n. 74 del 2000, rubricato ai capi 6, 7, 8 e 27, del reato di cui all'art. 10 D.Lgs. n. 74 del 2000, rubricato al capo 32, del reato di cui all'art. 2 D.Lgs. n. 74 del 2000, rubricato al capo 46, e condannato, con la diminuente del rito, alla pena di un anno e dieci giorni di reclusione.
9.2. La Corte di appello, affermata la colpevolezza dell'imputato anche per il reato associativo di cui al capo 1 (con il ruolo di partecipe), ha rideterminato la pena nella misura di un anno, due mesi e dieci giorni di reclusione.
9.3. Tanto premesso, i primi sei motivi sono sovrapponibili ai corrispondenti motivi del ricorso di Be.Fr. e ne seguono la stessa sorte.
9.4. Il settimo motivo, corrispondente all'ottavo motivo del ricorso del Be.Fr., è fondato con conseguente necessità dell'annullamento con rinvio ad altra Sezione della Corte di appello di Napoli per la complessiva rideterminazione del trattamento sanzionatorio avuto riguardo, come si vedrà, alle conseguenze dell'accoglimento anche dell'ultimo motivo.
9.5. L'ottavo motivo riguarda il reato di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti di cui all'art. 2 D.Lgs. n. 74 del 2000 rubricato al capo 46 che attribuisce al ricorrente la qualifica di amministratore legale della società Alma Spa che aveva trasmesso la dichiarazione il 21 settembre 2016.
9.6. Il Ma.Fr. deduce l'inosservanza dell'art. 110 cod. pen. e il vizio di motivazione inadeguata o contraddittoria rispetto alle dichiarazioni etero accusatorie del Be.Fr. il quale, si afferma, non aveva mai positivamente affermato che il ricorrente fosse al corrente della emissione delle fatture false indicate nella dichiarazione, bensì che, per il ruolo svolto, non potesse non rendersi conto della loro falsità.
9.7. Il motivo è inammissibilmente fattuale e assolutamente generico.
9.8. La Corte di appello alle pagine 41-42 della sentenza impugnata indica gli specifici elementi di prova in base ai quali ha desunto il pieno ed effettivo coinvolgimento del ricorrente nella amministrazione di Alma e la sua consapevolezza dei meccanismi fraudolenti che ne connotavano la gestione, escludendo la tesi difensiva della "testo di legno" (sostanzialmente) inconsapevole. Di tali elementi non viene dedotto il travisamento, laddove delle dichiarazioni eteroaccusatorie del Be.Fr. (di cui, invece, viene dedotto il travisamento) non viene spiegata la natura decisiva, avuto riguardo alle ragioni positivamente illustrate dalla Corte territoriale a sostegno della affermazione contraria. Manca, al riguardo, un effettivo e reale confronto con la "ratio decidendi' nella sua interezza, con conseguente genericità del motivo.
9.9. A non diversi rilievi si espone il nono motivo.
9.10. Fermo restando che, come si vedrà, il reato di cui al capo 6 (commesso fino al 15 settembre 2016) è estinto per prescrizione (anche se per altre ragioni), l'argomento difensivo dell'ignoranza della falsità dei crediti utilizzati in compensazione si pone in insanabile contrasto con le ragioni della inammissibilità dell'ottavo motivo, che rende irrevocabile la condanna del ricorrente per il reato di dichiarazione fraudolenta di cui al capo 46 commesso in epoca di gran lunga precedente il mese di maggio 2017, ma anche della inammissibilità del decimo motivo che riguarda il reato di occultamento/distruzione delle scritture contabili di Alma di cui all'art. 10 D.Lgs. n. 74 del 2000 rubricato al capo 32.
9.11. Con riferimento al decimo motivo, la Corte di appello affronta l'esame degli appelli relativi al reato di cui al capo 32 alle pagg. 31-33 della sentenza impugnata attribuendo al Ma.Fr. la condotta della consegna (parziale) della documentazione richiesta dalla Guardia di Finanza. La consegna materiale della documentazione (parziale e non veritiera) costituisce condotta ascritta al ricorrente dall'editto accusatorio e non contestata nemmeno in questa sede. La Corte di appello afferma con chiarezza che l'alterazione della documentazione contabile di Alma era emersa dal confronto tra quella acquisita in corso di ispezione dell'Agenzia delle Entrate (il 21 settembre 2016; pag. 33 sentenza di primo grado) e quella consegnata dal Ma.Fr. (il 18 aprile 2017, l'8 e il 28 maggio di quello stesso anno).
9.12. Tali condotte, consumate dall'imputato in costanza di amministrazione legale di Alma, sono state poste in essere a cavallo della conoscenza della vicenda (Omissis) che lo stesso ricorrente indica (contraddittoriamente) come spartiacque della sua presa di coscienza dei meccanismi fraudolenti.
9.13. L'undicesimo motivo è sovrapponibile al corrispondente motivo di ricorso del Be.Fr. e ne segue la medesima sorte.
9.14. Il dodicesimo motivo è fondato.
9.15. In effetti la Corte di appello ha erroneamente ritenuto che il primo Giudice avesse applicato (anche) al ricorrente le circostanze attenuanti generiche (pag. 53) e ha conseguentemente omesso di esaminare il motivo con il quale il ricorrente stesso aveva chiesto l'applicazione delle circostanze attenuanti generiche effettivamente negate in primo grado.
9.16. La fondatezza dell'ultimo motivo giova alla corretta instaurazione del rapporto processuale di impugnazione e alla rilevabilità d'ufficio della prescrizione maturata anche dopo la pronuncia impugnata.
9.17. Nel caso di specie, dei reati contestati al ricorrente solo quello di cui al capo 6 è oggi estinto per prescrizione (essendo il termine maturato il 23 aprile 2024, pur tenendo conto dei 39 giorni, dal 16 marzo 2020 al 24 aprile 2020, nei quali il processo è rimasto sospeso ope legis per l'emergenza epidemiologica SARS-CoV-2). In relazione a tale reato, peraltro, la Corte di appello ha indicato la pena-base.
9.18. Ne consegue che, ritenuta altresì la fondatezza del settimo motivo, la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio, nei confronti del ricorrente, limitatamente al reato di cui al capo 6, perché estinto per prescrizione, e con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Napoli per la rideterminazione del trattamento sanzionatorio.
9.19. Resta ferma e non più revocabile la affermazione della penale responsabilità dell'imputato per tutti gli altri reati.
9.20. L'estinzione per prescrizione del reato di cui al capo 6 comporta la revoca della confisca per equivalente disposta nei confronti del Ma.Fr. per detto reato, non trovando applicazione l'art. 578-bis cod. proc. pen. (Sez. U, n. 4145 del 29/09/2022, Esposito, Rv. 284209 - 01, secondo cui la disposizione di cui all'art. 578-bis cod. proc. pen., introdotta dall'art. 6, comma 4, D.Lgs. 1 marzo 2018, n. 21, ha, con riguardo alla confisca per equivalente e alle forme di confisca che presentino comunque una componente sanzionatoria, natura anche sostanziale e, pertanto, è inapplicabile in relazione ai fatti posti in essere prima della sua entrata in vigore).
10. Il ricorso di Fr.Ca.
10.1. Fr.Ca. è stato giudicato, in primo grado, colpevole dei reati di cui all'art. 10-quater D.Lgs. n. 74 del 2000 rubricati ai capi da 2 a 8 e da 10 a 31 dell'editto accusatorio e condannato, con la diminuente del rito, alla pena di due anni e tre mesi di reclusione.
10.2. La Corte di appello, ritenutolo altresì partecipe dell'associazione per delinquere di cui al capo 1, lo ha condannato alla maggior pena di due anni, quattro mesi e ventisei giorni di reclusione.
10.3. Il ricorrente è consulente del lavoro, l'intermediario che ha trasmesso i modelli F24 con cui sono state effettuate le numerosissime (quasi tutte) compensazioni indebite negli anni 2015-2017 per un importo complessivo di Euro 43.509.754,86. In particolare, il suo studio si era occupato degli adempimenti in materia di lavoro di tutti i dipendenti di Alma e aveva trasmesso, con le proprie credenziali, i modelli F24 con i quali erano state effettuate le compensazioni dei debiti previdenziali e tributari delle varie società indicate nella rubrica con i crediti IVA inesistenti delle società cartiere, alcune delle quali riferibili al gruppo organizzato facente capo ad Alma.
10.4. Per i Giudici distrettuali il Fr.Ca. ha sostituito il Di.Pi. quando questi si era allontanato dopo i primi controlli dell'Agenzia delle Entrate. Nel ritenere il suo ruolo associativo la Corte di appello fa riferimento al legame di fiducia del ricorrente con Be.Fr. che consentiva a questi di chiedergli qualsiasi cosa. Vengono indicati a sostegno: a) gli interrogatori di Be.Fr., Sc.Lu., Pa.St. e Er.Ma. (Pa.St. ed Er.Ma. sono stati irrevocabilmente condannati, anche per il reato associativo, con la sentenza oggetto delle odierne impugnazioni; Pa.St. era il direttore di amministrazione, finanza e controllo di Alma, colui che curava la materiale predisposizione degli atti di accollo tra la società e le cartiere comunicando i dati allo studio del Fr.Ca. per la successiva trasmissione dei modelli F24; Er.Ma., dipendente e socio di minoranza dello studio di Fr.Ca., curava la contabilità di alcune cartiere collaborando, altresì, nella consumazione delle indebite compensazioni con i crediti delle predette cartiere); b) l'interrogatorio del Be.Fr. del 24 aprile 2014, pag. 4; b) le dichiarazioni etero accusatorie di Er.Ma.; c) l'intercettazione n. 11600 del 10/08/2017 relativa alla conversazione intercorsa tra l'Er.Ma. ed il Fr.Ca.
Il ricorso a firma dell'Avv. Cola
10.5. Il primo motivo denuncia l'omesso esame dell'appello e della memoria difensiva nelle parti in cui si introduceva il seguente tema difensivo valido sia per il reato associativo che per i reati-scopo: Fr.Ca. non sapeva, non era mai stato messo al corrente; avrebbe potuto sapere, e aveva capito che qualcosa non andava (ma solo nell'estate del 2017) ma aveva inviato gli F24 perché aveva paura che gli togliessero la consulenza (per la quale percepiva 100.000 Euro al mese); un discorso esplicito del Be.Fr. non c'era mai stato, ché anzi quegli lo aveva persino rassicurato; egli non gestiva direttamente la posta elettronica e l'invio dei mod. F24; Er.Ma. era pagato sottobanco dal Be.Fr. a sua insaputa e gestiva in modo autonomo la sua postazione e l'indirizzo mail sul quale venivano inviati i mod. F24 oltre alla contabilità di cui il ricorrente era all'oscuro.
10.6. Le deduzioni sono generiche e manifestamente infondate.
10.7. Sono state ampiamente spiegate le ragioni (parr. 4 e 5) per le quali alla Corte di cassazione non interessa sapere come il giudice avrebbe potuto decidere in base alle prove assunte nel corso del giudizio, ma come ha deciso in base a quelle indicate nel provvedimento impugnato e se tali prove, per come indicate, sono state correttamente percepite nel loro significante e in grado di supportare, sul piano razionale, la decisione impugnata.
10.8. Orbene, nel caso in esame i temi difensivi asseritamente negletti, da un lato, non sono decisivi (il dubbio e la paura non escludono né la consapevolezza né la volontà dell'agire; le rassicurazioni presuppongono, piuttosto, richieste di spiegazioni; la prosecuzione della condotta prova un dominio sui fatti difficilmente compatibile con la tesi dell'altrui azione posta in essere a insaputa del ricorrente, considerata, altresì, la mole delle compensazioni e le dichiarazioni di Er.Ma. come sintetizzate a pag. 15 della sentenza impugnata), dall'altro non si confrontano con le ragioni positivamente indicate della Corte di appello a sostegno della propria decisione, ragioni a loro volta fondate su prove delle quali non viene dedotto il travisamento, ma solo una diversa, inammissibile valutazione.
10.9. Il secondo motivo, infatti, sollecita una diversa (quanto inammissibile) valutazione delle prove dichiarative (in particolare, le dichiarazioni del Be.Fr. e dello Sc.Lu.).
10.10. Il terzo motivo, relativo al dedotto travisamento della conversazione telefonica del 10 agosto 2017 (che, come detto, non è l'unico elemento di prova a carico del ricorrente), è inammissibile per le ragioni ampiamente spiegate al par. 6 che precede.
Il ricorso a firma dell'Avv. Marziale.
10.11. Il primo motivo (che riguarda il reato associativo e deduce il travisamento delle intercettazioni e delle prove dichiarative) è inammissibile per le ragioni già indicate in sede di esame del ricorso a firma dell'Avv. Cola. Peraltro, in violazione dell'onere di autosufficienza del ricorso, le dichiarazioni asseritamente travisate sono state allegate per estratto e non nella loro interezza.
10.12. Il secondo motivo è inammissibilmente fattuale e rivalutativo perché dietro lo "schermo" della violazione di legge (in particolare, dell'art. 10-quater D.Lgs. n. 74 del 2000) di fatto sollecita una diversa valutazione delle prove d'accusa così deducendo un vizio di motivazione del quale però non viene specificato il relativo profilo (se si tratti, cioè, di motivazione omessa, contraddittoria, o manifestamene illogica) compito non appagabile (e precluso) alla Corte di cassazione.
10.13. A non diversi rilievi si espongono il terzo ed il quarto motivo, assolutamente generici e sostanzialmente dissenzienti rispetto al governo delle prove indicate dalla Corte di appello a sostegno della propria decisione.
10.14. Anche il quinto motivo è generico essendo stata applicata una pena-base (tre anni di reclusione) inferiore al medio edittale del reato ritenuto più grave (art. 10-quater D.Lgs. n. 74 del 2000; nel senso che non è necessaria una specifica e dettagliata motivazione del giudice nel caso in cui venga irrogata una pena al di sotto della media edittale che deve essere calcolata non dimezzando il massimo edittale previsto per il reato, ma dividendo per due il numero di mesi o anni che separano il minimo dal massimo edittale ed aggiungendo il risultato così ottenuto al minimo, Sez. 3, n. 29968 del 22/02/2019, Del Papa, Rv. 276288 -01).
11. Il ricorso di Ri.Ed.
11.1. In primo grado Ri.Ed. è stato giudicato colpevole dei reati di cui agli artt. 2,8,10,10-quater D.Lgs. n. 74 del 2000 rubricati ai capi 3 (art. 2), 6, 18, 20, 23, 25 (art. 10-quater), 32-35 (art. 10), 49 (art. 8) e condannato alla pena, ridotta per il rito, di un anno e otto mesi di reclusione.
11.2. La Corte di appello lo ha ritenuto altresì colpevole del reato associativo di cui al capo 1 (con il ruolo di partecipe) e, assorbiti i delitti di cui ai capi 34 e 35 in quello di cui al capo 33, lo ha condannato alla pena definitiva di un anno, nove mesi e dieci giorni di reclusione.
11.3. Il Ri.Ed. è stato il rappresentante legale della ILCLA e delle altre società cartiere indicate a pag. 14 della sentenza impugnata utilizzate per la realizzazione delle frodi fiscali e la consumazione dei reati sopra indicati.
11.4. Nel disattendere i rilievi difensivi, la Corte di appello ha indicato le dichiarazioni di Be.Fr. (il quale aveva riferito che il Ri.Ed. firmava le dichiarazioni delle cartiere recanti i crediti inesistenti e si prestava ad emettere e ricevere le fatture da parte delle medesime società) e le conversazioni intercettate (progr. n. 5561 e n. 5568 del 6 aprile 2017) dalle quali "si evince la consapevolezza del (Ri.Ed.) della illiceità delle operazioni, e della necessità di occultare i meccanismi posti in essere agli inquirenti che stavano compiendo gli accertamenti sulle società. Dalle stesse captazioni si rileva che lo stato di salute dell'imputato, come già osservato dal primo giudicante, seppure, precario non impediva al Ri.Ed. di partecipare alle vicende che occupano, tanto che Be.Fr. gli consigliava di addurlo agli inquirenti come scusa della scarsa collaborazione resa agli accertamenti in corso. Sta di fatto che Ri.Ed. nel maggio 2017 presentava alla Guardia di Finanza la scheda della società CONSORZIO LOG ITA LY, da lui rappresentata, da cui si evinceva una sola fattura emessa nei confronti di Alma Spa. Nonostante le negazioni di addebiti, non vi sono stati nel corso del giudizio disconoscimenti delle sottoscrizioni delle dichiarazioni delle società cartiere (si vedano allegati 3-4-5 dell'informativa del dicembre 2017) che restano pertanto riferibili documentalmente all'imputato" (pag. 37 sentenza impugnata). La totale abdicazione ai compiti e doveri delle cariche societarie rivestite è desunta dai Giudici distrettuali "oltre che dalla accettazione delle cariche, da una pluralità di elementi fattuali convergenti (le sottoscrizioni degli atti, le dichiarazioni etero accusatorie, la condotta tenuta nel corso delle indagini e le conversazioni captate), che comprovano la consapevolezza da parte del Ri.Ed. delle criticità gestionali della società e lo svolgimento di un ruolo attivo in ambito societario, quantomeno con conseguente accettazione del rischio relativo alla commissione di reati da parte degli amministratori di fatto" (pag. 38).
11.5. I Giudici di merito hanno fatto buon governo del principio più volte affermato dalla Corte di cassazione secondo il quale il prestanome non risponde dei delitti in materia tributaria solo se è privo di qualunque potere o possibilità di ingerenza nella gestione della società (Sez. 3, n. 47110 del 19/11/2013, Piscicelli, Rv. 258080; nello stesso senso, in motivazione, anche Sez. 3, n. 23425 del 28/04/2011, Ceravolo).
11.6. Quanto all'elemento soggettivo, si è aggiunto che dei delitti tributari, in particolar modo di quelli caratterizzati dal dolo specifico di evasione, risponde anche il mero amministratore di diritto, a titolo di concorso con l'amministratore di fatto per omesso impedimento dell'evento ex artt. 40, cpv. cod. pen., e art. 2932 cod. civ., a condizione, tuttavia, che il prestanome abbia agito col fine specifico di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, ovvero di consentire l'evasione fiscale di terzi (Sez. 3, n. 15900 del 02/03/2016, Gagliotta, Rv. 266757, in tema di reato di cui all'art. 10, D.Lgs. n. 74 del 2000; Sez. 3, n. 38780 del 14/05/2015, Biffi, Rv. 264971, in tema di omessa presentazione della dichiarazione ai fini delle imposte dirette o IVA; Sez. 3, n. 23425 del 28/04/2011, Ceravolo, Rv. 250962, in tema di omessa presentazione della dichiarazione ai fini delle imposte dirette o IVA). Tuttavia, non è necessario che il dolo specifico di evasione sia condiviso e fatto proprio anche dall'amministratore di diritto; il motivo per il quale questi decide di cedere ad altri la gestione non necessariamente si deve coniugare con il movente dell'autore materiale del reato a dolo specifico. È sufficiente che il prestanome sia consapevole di accedere all'altrui proposito illecito che la propria condotta omissiva rende attuabile o comunque agevola, qualunque sia il motivo della sua decisione (cfr., al riguardo, Sez. 3, n. 6208 del 09/04/1997, Ciciani, Rv. 208804, secondo cui anche per i reati imputati ai sensi dell'art. 40 cpv., cod. pen., l'elemento psicologico si configura secondo i principi generali, sicché è sufficiente che il "garante" abbia conoscenza dei presupposti fattuali del dovere di attivarsi per impedire l'evento e si astenga, con coscienza e volontà, dall'attivarsi, con ciò volendo o prevedendo l'evento - nei delitti dolosi - o provocandolo per negligenza, imperizia, imprudenza o violazione di norme - nei delitti colposi e nelle contravvenzioni in genere).
11.7. La decisione di abdicare ai poteri e ai doveri che incombono sul legale rappresentante dell'impresa onde consentirne a terzi la gestione effettiva e incontrollata, è circostanza che toglie sostanza all'argomento difensivo dello scollamento tra l'azione illecita altrui e la propria responsabilità (scollamento giustificato, nel caso in esame, dalle condizioni di salute del ricorrente, materialmente impossibilitato anche solo a firmare le dichiarazioni e i modelli F24 incriminati). La cessione della integrale gestione di fatto dell'impresa (conservandone la sola titolarità formale) costituisce manifestazione di quel dominio finalistico dell'azione, che si esprime proprio attraverso la deliberata e consapevole rinunzia ad esso, che è alla base dell'imputazione causale dell'evento prevista dall'art. 40, cpv., cod. pen. In questi casi, la rinuncia alla possibilità di ingerenza nella gestione della società giustifica, sul piano causale, l'attribuzione al rinunziante della responsabilità per fatto altrui (cfr. Sez. 3, n. 47110 del 19/11/2013, Piscicelli, Rv. 258080, cit. e Sez. 3, n. 23425 del 28/04/2011, Ceravolo, cit.) ma - come già detto - non è di per sé sufficiente a provare il consapevole concorso nei reati commessi dall'amministratore di fatto, a maggior ragione se per essi è richiesto il dolo specifico. L'imputazione dell'evento ai sensi dell'art. 40, cpv., cod. pen., infatti, operando sul piano strettamente causale (e dunque oggettivo), non assolve all'onere di dimostrare anche la sussistenza del dolo del reato commesso dall'amministratore di fatto, pena la trasformazione dell'addebito nei confronti di quest'ultimo da doloso in colposo, quando non anche oggettivo (in questo senso, condivisibilmente in tema di bancarotta fraudolenta patrimoniale, Sez. 5, n. 642 del 30/10/2013, Demajo, Rv. 257950; Sez. 5, n. 44293 del 17/11/2005, Liberati, Rv. 232816). L'interposizione fittizia può essere dovuta a varie ragioni, non necessariamente criminali (per esempio, il puro e semplice desiderio di non comparire in prima persona per motivi di mera opportunità, la pessima reputazione di un imprenditore screditato sul mercato, l'intenzione di eludere un'incapacità specifica ad assumere ruoli direttivi nell'impresa). Occorrono ulteriori indici, sulla cui esistenza e attitudine a provare il dolo, le deduzioni del ricorrente sono generiche e apodittiche (per non dire assenti e contraddette dalla mancata impugnazione del capo 1, relativo al ruolo associativo disimpegnato dal ricorrente).
11.8. È infatti a questo punto che si innesta il ragionamento della Corte di appello che, tesaurizzando il quadro fattuale già ricostruito in primo grado, ne ha tratto più che valido argomento per disattendere la tesi difensiva della estraneità dell'imputato ai reati commessi dagli amministratori di fatto. A maggior ragione se si considera che i reati addebitati al ricorrente costituivano esecuzione del programma criminale cui egli ha consapevolmente aderito prendendo parte al sodalizio di cui al capo 1 della rubrica e prestandosi, per l'appunto, a farsi nominare legale rappresentante di società nella consapevolezza che tale nomina (e la conseguente volontaria abdicazione a tutti i poteri e doveri inerenti alla carica) era strumentale al disegno dei correi/sodali di farne l'uso che volevano.
11.9. L'argomento accusatorio è logico ma non è colto dal ricorrente nella sua portata e nelle sue implicazioni essendosi fermato sulla soglia della mera constatazione della non riferibilità materiale delle condotte alla sua persona, negligendo il potere che egli aveva di impedire tali condotte che sono così diventate anche sue per la via indicata dall'art. 40, secondo comma, cod. pen.
12. Il ricorso di Di.Pi.
12.1 In primo grado Di.Pi. è stato giudicato colpevole dei reati di cui all'art. 10-quater D.Lgs. n. 74 del 2000 rubricati ai capi 5, 6, 18 e 20, e condannato, con la diminuente del rito, alla pena di un anno e otto mesi di reclusione.
12.2. La Corte di appello lo ha ritenuto colpevole anche del reato associativo di cui al capo 1 (con il ruolo di partecipe) ma ha ribadito la pena irrogata in primo grado frutto, affermano i Giudici distrettuali, di un errato calcolo del primo Giudice.
12.3. Il ricorrente è intermediario abilitato alla trasmissione telematica degli F24. È persona di fiducia di Sc.Lu., colui che, secondo i Giudici di merito, gli aveva spiegato il meccanismo della compensazione indebita dei crediti inesistenti: "(lo Sc.Lu.) si era quindi rivolto a Di.Pi., suo fiduciario, per sapere di più della procedura, ricevendo le informazioni richieste ed in particolare sulla possibilità di sottrarsi per un periodo di tempo alle verifiche fiscali facendo apporre sul credito da porre in compensazione il visto di asseverazione. Aveva quindi riferito la cosa a Be.Fr. che a sua volta gli aveva detto di avere a sua disposizione alcune società che operavano con lui e che i crediti li avrebbe creati lui" (pag. 10). Presso il suo studio sono state rinvenute le scritture contabili relative all'anno 2014 di tre società cartiere: la EVOLUTION SERVICE Srl, la SERVIZI INTEGRATI Srl e la I.C.L.A. Srl Spiegano i Giudici di merito che il ricorrente aveva effettuato "le trasmissioni telematiche degli F24 nel periodo dal 1 al 17 novembre 2015, che hanno consentito ad Alma Spa le compensazioni dei debiti tributari e previdenziali con i crediti inesistenti di EVOLUTION SERVICE relativi all'anno di imposta 2014, nonché nel periodo dal 26 gennaio al 15 settembre i modelli F24 che hanno consentito la compensazione con i crediti delle tre cartiere EVOLUTION SERVICE, SERVIZI INTEGRATI e
I.C.L.A. per gli anni di imposta 2014 e 2015; nel periodo dal 25 luglio 2016 al 14 settembre 2016 i modelli F24 che hanno consentito la compensazione dei debiti tributari e previdenziali di ALBA 94 S.c.a.r.l. con i crediti inesistenti di SERVIZI INTEGRATI e EVOLUTION SERVICE per gli anni 2014 e 2014-2015 e la trasmissione degli F24 che hanno permesso la compensazione dei debiti tributari e previdenziali di L.C.T. Società Cooperativa con i crediti inesistenti di I.C.L.A. ed EVOLUTION SERVICE per gli anni 2014, per la prima, e 2015 per la seconda (...) Sc.Lu. ha chiarito che Di.Pi. non apponeva il visto pesante sui crediti perché non era abilitato a farlo e tuttavia a lui si faceva riferimento sin dall'inizio per conoscere nel dettaglio la procedura che consentiva agli amministratori di operare; a lui era consegnata la documentazione contabile per le compensazioni e egli teneva lo stesso al corrente della fittizietà dei crediti" (pagg. 11 e 12). Poiché, dunque, il Di.Pi. non era abilitato ad apporre il visto ed. "pesante", aveva fatto conoscere allo Sc.Lu. un suo amico, Al.Fr., abilitato ad apporre il visto e nei cui confronti si è proceduto separatamente con giudizio ordinario per i medesimi reati per i quali è stato irrevocabilmente condannato.
Nel disattendere i rilievi difensivi, la Corte di appello ha ribadito il ruolo di consulente privilegiato dello Sc.Lu. e la piena consapevolezza del ricorrente del sistema fraudolento, organizzato e posto in essere anche grazie al suo fattivo contributo, avendo oltretutto personalmente dato istruzioni sul meccanismo illecito poi serialmente reiterato.
Il ricorso a firma degli Avv.ti Toraldo e Cervone.
12.4. Il primo motivo è generico e proposto al di fuori dei casi consentiti dalla legge nella fase di legittimità.
Prescindendo completamente dalla ratio decidendi della decisione impugnata e predicando una (inesistente) applicazione al processo penale delle presunzioni tributarie, il motivo postula una scissione tra colui che apponeva il visto "pesante" (Al.Fr.) e l'intermediario che trasmette l'F24; sennonché l'Al.Fr. (già irrevocabilmente condannato) era stato indicato e presentato allo Sc.Lu. proprio da lui e proprio perché lui non era abilitato ad apporlo. Il ricorrente stesso si contraddice quando deduce che al momento dell'abbandono era ancora in tempo per il ravvedimento operoso visto che il suo scopo dichiarato era solo quello di differire il controllo dell'Agenzia, con ciò ammettendo la sua iniziale e consapevole partecipazione al disegno fraudolento ("L'animus della condotta posta in essere dal Di.Pi. era quello di differire di 3 anni le verifiche della Agenzia delle Entrate (...) Di.Pi. non ebbe ad escogitare né elaborare alcuno schema al fine di evadere, prospettò il differimento delle verifiche dell'Agenzia delle Entrate", pag. 4 del ricorso).
Nel resto, le deduzioni difensive propongono una inammissibile rilettura degli elementi di prova indicati a sostegno della decisione impugnata (dei quali non viene nemmeno dedotto il travisamento) non considerando che, come già ampiamente spiegato, in sede di legittimità rileva il fatto così come accertato e descritto dai Giudici di merito, non quello ricostruibile in base alla lettura degli atti dei quali non venga nemmeno dedotto il travisamento.
12.5. A non diversi rilievi si espone il secondo motivo che, muovendosi sulla stessa falsariga del primo e mutuandone gli stessi errori, sollecita una revisione dei costituti fattuali in base ai quali il ricorrente avrebbe dovuto essere assolto dai reati a lui ascritti e, in particolare, da quello associativo invocando, inammissibilmente, in questa sede, le "risultanze processuali", il "carteggio processuale" o quel che "emerge dagli atti". Francamente oscura è la deduzione difensiva della sproporzione della confisca applicata rispetto all'elemento soggettivo del reato; sotto altro profilo si sono già spiegate le ragioni per le quali il reato di cui al capo 5 non era certamente prescritto alla data della pronuncia della sentenza impugnata.
12.6. Il terzo motivo è generico e inammissibilmente volto alla richiesta di riesame delle scelte, non arbitrarie, del Giudice di merito nello stabilire la pena nella misura indicata. La Corte di appello ha applicato al ricorrente le circostanze attenuanti generiche negate in primo grado (inspiegabile il ricorso sul punto) ed ha applicato la pena-base (per il reato più grave di cui all'art. 10-quater D.Lgs. n. 74 del 2000) nella misura di tre anni reclusione, inferiore al medio edittale con motivazione di adeguatezza della pena insindacabile in questa sede.
Il ricorso dell'Avv. Cervone.
12.7. La deduzione difensiva della prescrizione del reato di cui al capo 5 della rubrica è manifestamente infondata per le ragioni già ampiamente spiegate in sede di esame dei precedenti ricorsi.
13. Alla declaratoria di inammissibilità dei ricorsi di Fr.Ca., Ri.Ed. e Di.Pi. consegue, ex art. 616 cod. proc. pen., essendo essa ascrivibile a colpa del ricorrente (C. Cost. sent. 7-13 giugno 2000, n. 186), l'onere delle spese del procedimento nonché del versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende, che si fissa equitativamente nella misura di Euro 3.000,00.
Il Collegio intende in tal modo esercitare la facoltà, introdotta dall'art. 1, comma 64, legge n. 103 del 2017, di aumentare, oltre il massimo edittale, la sanzione prevista dall'art. 616 cod. proc. pen. in caso di inammissibilità del ricorso considerate le ragioni della inammissibilità stessa come sopra indicate.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di Be.Fr., limitatamente al trattamento sanzionatorio che, ritenuta l'unicità dei reati di cui ai capi 7 e 8, ridetermina in anni quattro di reclusione. Dichiara inammissibile il ricorso nel resto.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di Sc.Lu., limitatamente al trattamento sanzionatorio che, ritenuta l'unicità dei reati di cui ai capi 7 e 8, ridetermina in anni tre, mesi undici e giorni venti di reclusione. Dichiara inammissibile il ricorso nel resto.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di Ma.Fr.
Francesco limitatamente al reato di cui al capo 6 perché estinto per prescrizione e con rinvio, in accoglimento del settimo e del dodicesimo motivo di ricorso, ad altra sezione della Corte di appello di Napoli limitatamente alla rideterminazione della pena. Revoca la confisca per equivalente disposta nei confronti di Ma.Fr. per il reato di cui al capo 6. Dichiara inammissibile nel resto il ricorso.
Dichiara inammissibili i ricorsi di Fr.Ca., Ri.Ed., Di.Pi. che condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, il 25 giugno 2024.
Depositato in Cancelleria il 28 ottobre 2024.