RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
1. La sig.ra M.V. ricorre per l'annullamento dell'ordinanza del 30/09/2022 del Tribunale di Roma che ha rigettato l'appello avverso il provvedimento del 14/02/2022 del GIP del medesimo Tribunale che non aveva accolto la richiesta di restituzione delle somme sottoposte a sequestro preventivo nell'ambito del procedimento iscritto a suo carico per il reato di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 10-quater, comma 2 (indebita compensazione mediante utilizzo di crediti inesistenti per un importo complessivo di Euro 1.463.718,06).
1.1. Con unico motivo deduce l'erronea applicazione degli artt. 321 c.p.p., e D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 12-bis, in relazione alla determinazione del profitto confiscabile, nonché la violazione dell'art. 125 c.p.p., attesa la mancanza/apparenza di motivazione del provvedimento impugnato sul punto.
Lamenta, in particolare, l'errata determinazione del profitto che, afferma, deve essere ridotto di Euro 447.359,26, in quanto frutto di erronea duplicazione sanzionatoria.
Premette, in fatto, che secondo quanto emerge dalla stessa lettura del decreto di sequestro preventivo:
i) l'ammontare dei crediti utilizzati in compensazione dalla società "Gruppo SD S.r.l." (della quale la ricorrente era la legale rappresentante), indicati nel quadro RU della dichiarazione dei redditi relativi al (Omissis), è pari ad Euro 1.061.341,00;
ii) le compensazioni effettuate l'11/08/2020 con due modelli F24 sono pari ad Euro 447.359,26 e riguardano crediti maturati nei confronti dell'INPS riferiti al periodo (Omissis), crediti che l'Istituto aveva però contestato con accertamento del (Omissis), tant'e' che la società aveva concordato con l'INPS un piano di ammortamento rateale in corso di pagamento alla data del sequestro;
iii) le compensazioni successive alla data dell'accertamento non sono state più utilizzate per estinguere obbligazioni relative ai contributi previdenziali. Deduce, in diritto, quanto segue:
a) appare evidente la duplicazione sanzionatoria operata in sede di sequestro della somma corrispondente al profitto del reato poiché l'importo di Euro 447.359,26 è stato contestato dall'INPS che ne ha chiesto il pagamento con conseguente mancanza di profitto - sotto il profilo del risparmio contributivo - in capo alla ricorrente;
b) il credito, infatti, non ha avuto alcun effetto solutorio dell'obbligazione contributiva proprio perché contestato ed è stato perciò riutilizzato per altre compensazioni;
c) né il GIP, né il Tribunale della libertà hanno colto il punto, avendo il primo confuso l'argomento dedotto (la quantificazione del profitto) con il "fumus" del reato, il secondo avendo richiamato precedenti gravami e provvedimenti del tutto inconferenti rispetto al tema devoluto visto che con il riesame non era stata posta la questione del profitto confisca bile (sì che la risposta al motivo di appello è stata inutilmente cercata "aliunde") e che tale questione non riguardava l'esistenza o meno dei crediti compensati ma il profitto che non è stato tratto in conseguenza della loro contestazione;
d) l'esistenza o meno del credito INPS è questione irrilevante ai fini della determinazione del profitto perché, in disparte il tema del perfezionamento del reato, si tratta di somme che non hanno determinato un corrispondente risparmio di imposta, tant'e' vero che sono state oggetto di richiesta di rateazione.
2. Con motivi nuovi ribadisce l'erronea applicazione degli art. 321 c.p.p., D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 12-bis, e art. 125 c.p.p., sotto il profilo del vizio della mancanza assoluta di motivazione in ordine alla questione dedotta ("quantum" del profitto confiscabile) del tutto eterogenea rispetto a quella oggetto di precedente riesame ("fumus commissi delicti" e "periculum in mora") cui l'ordinanza impugnata ha fatto erroneamente rimando.
3. Il ricorso è inammissibile.
4. Osserva il Collegio:
4.1. è certo che la società della ricorrente non aveva versato le somme dovute utilizzando in compensazione crediti inesistenti riferibili, per la somma di Euro 447.359,26, a crediti INPS successivamente contestati dall'Istituto;
4.2. come ricordato anche dall'ordinanza impugnata, il delitto di indebita compensazione di cui al D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, art. 10-quater, si consuma al momento della presentazione dell'ultimo modello F24 relativo all'anno interessato e non in quello della successiva dichiarazione dei redditi, in quanto, con l'utilizzo del modello indicato, si perfeziona la condotta decettiva del contribuente, realizzandosi il mancato versamento per effetto dell'indebita compensazione di crediti in realtà non spettanti in base alla normativa fiscale (Sez. 3, n. 4958 dell'11/10/2018, Cappello, Rv. 274854 - 01); non rilevano, pertanto, l'eventuale mancato computo della compensazione da parte dello Stato ed il conseguente non aggiornamento del c.d. cassetto fiscale, in quanto tali operazioni, successive alla presentazione del modello indicato, sono soltanto ricognitive del rapporto obbligatorio tra Amministrazione e contribuente, senza alcun effetto costitutivo o modificativo (Sez. 3, n. 23027 del 23/06/2020, Mangieri, Rv. 279755 - 01; Sez. 3, n. 2351 del 18/11/2022, dep. 2023, n. m.; Sez. 3, n. 3773 del 14/01/2022, n. m.);
4.3. ne consegue che il profitto del reato, corrispondente alla somma non versata in conseguenza della condotta decettiva, deve essere calcolata avuto riguardo al momento in cui tale somma avrebbe dovuto essere versata, non rilevando le vicende successive alla consumazione del reato;
4.4. il versamento postumo delle somme non pagate può determinare, semmai, una riduzione della somma da confiscare e certamente comporta la sterilizzazione dell'operatività della confisca se il contribuente si impegna al versamento del dovuto nei termini riconosciuti e ammessi dalla legislazione tributaria di settore (accertamento con adesione, conciliazione giudiziale, transazione fiscale, attivazione di procedure di rateizzazione automatica o a domanda) (Sez. 3, n. 28225 del 09/02/2016, Passamonti, Rv. 267334 - 01; Sez. 3, n. 5728 del 14/01/2016, Rv. 266037 - 01), con conseguente esclusione della paventata cd. duplicazione sanzionatoria;
4.5. come più volte affermato da questa Corte, il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente, qualora sia stato perfezionato un accordo tra il contribuente e l'Amministrazione finanziaria per la rateizzazione del debito tributario, non può essere mantenuto sull'intero ammontare del profitto derivante dal mancato pagamento dell'imposta evasa, ma deve essere ridotto in misura corrispondente ai ratei versati per effetto della convenzione, poiché, altrimenti, verrebbe a determinarsi una inammissibile duplicazione sanzionatoria, in contrasto con il principio secondo il quale l'ablazione definitiva di un bene non può mai essere superiore al vantaggio economico conseguito dall'azione delittuosa (Sez. 3, n. 20887 del 15/04/2015, Aumenta, Rv. 263409 - 01; Sez. 3, n. 6635 del 08/01/2014, Cavatorta, Rv. 258903 - 01);
4.6. La tesi della ricorrente, oltretutto, sconta l'insostenibilità logica del relativo ragionamento che, se portato alle estreme conseguenze, condurrebbe alla assurda conclusione della insussistenza del profitto confiscabile ogni qual volta la condotta decettiva venga scoperta (e dunque ogni qual volta venga accertato il reato);
4.7. né si vede in che modo il rigetto (postumo) della compensazione possa aver determinato la restituzione, nella disponibilità della società, del credito di valore corrispondente a quello indicato nei modelli F24 e quale incidenza possa avere ai fini della rilevanza del reato e della quantificazione del profitto (risparmio di spesa) ottenuto al momento del mancato pagamento dell'imposta nella sua interezza.
Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso (che osta all'esame dei motivi aggiunti) consegue, ex art. 616 c.p.p., non potendosi escludere che essa sia ascrivibile a colpa della ricorrente (C. Cost. sent. 7-13 giugno 2000, n. 186), l'onere delle spese del procedimento nonché del versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende, che si fissa equitativamente, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di Euro 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Motivazione semplificata.
Così deciso in Roma, il 10 febbraio 2023.
Depositato in Cancelleria il 5 giugno 2023