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Indebita compensazione: competenza territoriale definita dal luogo dell’ultima utilizzazione del credito inesistente

Indebita compensazione

Cassazione penale sez. III, 14/11/2023, n.3038

Ai fini della determinazione della competenza per territorio per il delitto di indebita compensazione, rileva il luogo in cui è effettuata l'ultima utilizzazione del credito inesistente nell'anno interessato, mediante inoltro del modello F24 ovvero, se non è possibile la sua individuazione, il luogo di accertamento del reato ai sensi dell'art. 18, comma 1, d.lg. 10 marzo 2000, n. 74, essendo tale disposizione prevalente, per la sua natura speciale, rispetto alle regole generali dettate dall'art. 9 c.p.p.

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La sentenza integrale

RITENUTO IN FATTO 1. Con ordinanza dell'8 maggio 2023, il Tribunale del riesame di Salerno rigettava l'istanza di riesame proposta in data 27 aprile 2023 nell'interesse della Em., nella persona del legale rappresentante Co.Me., avverso il provvedimento di sequestro preventivo emesso dal GIP del Tribunale di Vallo della Lucania in data 19 marzo 2023, con cui veniva disposto il sequestro preventivo finalizzato alla confisca diretta nei confronti della predetta società e, per equivalente, nel confronti della legale rappresentante, per complessivi 100.477,20 euro in relazione al capo di imputazione n. 69) della rubrica (indebita compensazione di crediti inesistenti e falsi in autocertificazioni), aggravato a norma dell'art. 13-bis, D.lgs. n. 74 del 2000, commessi secondo le modalità esecutive e spazio -temporali meglio descritte nel capo di imputazione. 2. Avverso l'ordinanza impugnata nel presente procedimento, la predetta propone ricorso per cassazione tramite il difensore, munito di procura speciale, deducendo sei motivi, di seguito sommariamente indicati. 2.1. Deduce, con il primo motivo, il vizio di violazione di legge processuale in relazione agli artt. 8 cod. proc. pen. e 18, d. Igs. n. 74 del 2000, avuto riguardo alla ritenuta sussistenza della competenza per territorio del tribunale di Vallo della Lucania. In sintesi, deduce la difesa l'erroneità della soluzione cui è pervenuto il giudice del riesame nel ritenere sussistente la competenza del tribunale di V in applicazione del combinato disposto di cui agli artt. 16 e 12, lett. c), cod. proc. pen., ritenendo più grave il reato associativo determinante la competenza territoriale in ragione della connessione oggettiva e, seppure parziale, anche di quella soggettiva tra il reato associativo ed i reati scopo. Osserva la difesa che già in sede cautelare la difesa aveva fatto rilevare l'assenza di qualsiasi coinvolgimento della società rispetto al sodalizio criminoso, contestando in ogni caso l'affermazione dei giudici del riesame secondo cui la condotta più grave debba considerarsi quella associativa e non quella contestata alla ricorrente, ossia l'art.10-quater, comma 2, aggravato a norma dell'art. 13-bis, d. Igs. n. 74 del 2000, atteso che, la contestazione dell'aggravante in esame comporta un aumento della pena della metà, così dovendosi individuare quale reato più grave quello tributario come aggravato, attesa la pena edittale di 9 anni di reclusione rispetto a quello associativo la cui pena, per i capi e promotori, di anni 7 di reclusione. Tanto premesso, osserva poi la difesa come è lo stesso addebito provvisorio mosso all'indagata che rende ragione della corretta individuazione del giudice territorialmente competente, essendo individuato il luogo del commesso reato in C, sede della Rx.. ed A, in provincia di L, sede legale della società di cui l'indagata è legale rappresentante, donde non vi sarebbe dubbio che la competenza territoriale debba individuarsi presso l'A.G. di Lecce. In applicazione, peraltro, della giurisprudenza di questa Corte, richiamata la sentenza n. 2351/2023, la difesa evidenzia che, rilevando ai fini della competenza territoriale il luogo in cui è effettuata l'ultima utilizzazione del credito inesistente, non vi sarebbe dubbio che tale luogo è A, prov. L, come sarebbe agevolmente desumibile analizzando i modelli F24 utilizzati per il credito di imposta, emergendo come è L il luogo della presentazione dell'ultimo modello F24 utilizzato per l'effettuazione della compensazione di crediti inesistenti relativi al medesimo contribuente, nella specie la società di cui l'indagata è legale rappresentante. 2.2. Deduce, con il secondo motivo, il vizio di violazione di legge in relazione all'art. 325, cod. proc. pen., attesa la nullità del provvedimento genetico per difetto di autonoma valutazione in relazione al fumus ed al periculum. In sintesi, si premette come la difesa aveva denunciato davanti al tribunale del riesame l'assenza di autonoma valutazione del provvedimento del GIP che si era limitato a richiamare pedissequamente la richiesta di applicazione della misura cautelare del PM, omettendo totalmente l'analisi degli indici relativi al fumus ed al periculum per la specifica posizione della società, come anche della sua legale rappresentante. L'errore in cui i giudici del riesame sarebbero incorsi starebbe nell'aver fatto riferimento a "dati intercettivi coinvolgenti parte ricorrente", laddove infatti dette attività di intercettazione mai avrebbero coinvolto la società né direttamente né indirettamente, non venendo mai fatto riferimento in tali attività alla società o alla legale rappresentante, non essendovi alcun riferimento nell'ordinanza genetica alla configurabilità del reato tributario in capo alla stessa società od alla sua legale rappresentante, salvo una proposizione generica, accompagnata da clausola di stile, utilizzata in maniera identica per tutti i capi di imputazione. Dunque, non solo vi sarebbe la mancanza di un'autonoma valutazione, ma vi sarebbe la stessa assenza di indici che testimonino la gravità indiziaria dei reati addebitati. Nel decreto genetico mancherebbe del tutto la valutazione critica degli elementi indiziari ritenuti decisivi, limitandosi il decreto ad elencare la società nella lista di quelle che hanno usufruito dei corsi per la Formazione 4.0, senza che vi sia allegazione di alcun elemento circa una falsa attestazione, dunque senza spiegare la rilevanza ai fini della valutazione del fumus e nulla chiarendo in relazione alla valutazione del periculum necessario per l'imposizione ed il mantenimento del vincolo reale, laddove, diversamente, risulterebbe che la società ha portato in compensazione dei costi per attività effettivamente svolte come attestato da documenti mai esaminati. 2.3. Deduce, con il terzo, il quarto ed il quinto motivo - che possono essere congiuntamente illustrati, attesa l'intima connessione dei profili di doglianza ad essi sottesa -, il vizio di violazione di legge in relazione all'art. 10-quater, d. Igs. n. 74 del 2000, per totale omissione dell'esame della documentazione difensiva. In sintesi, con il terzo motivo, si duole la difesa per avere l'ordinanza omesso di svolgere la disamina della posizione della società disattendendo perentoriamente le eccezioni difensive, rimandando in maniera apodittica alla ricostruzione dell'esistenza dell'associazione per delinquere, senza alcuna valutazione in ordine alla concreta esistenza del fumus del delitto tributario. In ogni caso, per mantenere il vincolo cautelare, non sarebbe sufficiente quanto affermato dai giudici del riesame, ossia il sillogismo in base al quale l'esistenza del sodalizio e la prova della sua dedizione alla commissione di una serie di reati tributari, provi anche automaticamente il fumus del reato tributario ipotizzato nei confronti del legale rappresentante di società estranea al sodalizio. Sul punto, l'intero provvedimento impugnato avrebbe disatteso le allegazioni difensive senza motivazione, limitandosi l'ordinanza a richiamare ampi passaggi dell'ordinanza genetica relative ad intercettazioni e chat di WhatsApp, che tuttavia non avrebbero coinvolto la società o l'indagata, mostrandosi la figura della società estranea rispetto al sistema illecito delineato ed ipotizzato dall'Accusa, e ripercorso nel provvedimento impugnato. Nessuna indicazione di elementi indiziari vi sarebbe nell'ordinanza circa la commissione del reato tributario, limitandosi l'ordinanza in alcuni punti, richiamati a pag. 9 del ricorso, a rilevare che sarebbe stato accertato che le imprese che erogavano i servizi di formazione non risultavano tra i soggetti accreditati per lo svolgimento di tali attività formative e che, quanto alla società di cui l'indagata è legale rappresentante, era emerso che nel periodo gennaio/luglio 2020 la società che erogava la formazione sarebbe stata priva della certificazione ISO necessaria, con la conseguenza che ciò avrebbe corroborato il pieno e consapevole coinvolgimento della società ricorrente nel sistema illecito, osservandosi, peraltro, che quand'anche si fosse voluta accogliere la tesi difensiva circa l'effettività dei corsi di formazione, in ogni caso detta formazione, pur svolta, non avrebbe consentito alla società dell'indagata di opporre in compensazione il credito, che al più avrebbe potuto essere considerato come "insussistente" ciò che non avrebbe mutato il quadro cautelare. Diversamente, si sostiene in ricorso, i giudici del riesame non si sarebbero confrontati con le allegazioni difensive ma solo ad elencare le argomentazioni svolte nell'istanza di riesame, senza valutare in concreto i fatti, che, come emergeva dai documenti allegati alla memoria difensiva, avrebbero invece testimoniato come la società aveva concretamente verificato l'esistenza dei requisiti richiesti dalla legge per l'erogazione dell'attività di formazione finalizzata all'incentivo fiscale di cui al Piano Nazionale Industria 4.0. Il riferimento è, in particolare, alla "Relazione illustrativa delle modalità organizzative e dei contenuti delle attività di formazione 4.0 svolte nell'anno 2020", alla "Documentazione relativa a ciascun corso del Piano formativo 4.0.-2020, erogazione mediante aula virtuale (slide, video, esercitazioni)", nonché, infine, alla "Relazione integrativa del 4.01.2020. Da tali documenti, infatti, emergerebbe come la società dell'indagata non avesse alcuna consapevolezza del difetto dei requisiti soggettivi da parte dell'ente formatore, che aveva dichiarato di esserne in possesso. In ogni caso, quand'anche si dovesse ritenere che l'ente formatore doveva essere in possesso della certificazione prima del rilascio delle attestazioni, dagli atti emergerebbe che quest'ultima ne fosse munita al momento del rilascio, essendo lo stesso intervenuto dopo la data di iscrizione nel luglio 2020. Peraltro, poiché la questione riguarderebbe la carenza del titolo formativo da gennaio a luglio 2020, si dovrebbe comunque scorporare dal presunto profitto del reato la parte spettante, ossia quella successiva al luglio 2020, del credito maturato nel periodo in cui la società di formazione poteva tenere i corsi, ciò che avrebbe delle immediate ricadute sulla determinazione della soglia di punibilità, perché, a seguito di tale scorporo, il reato sarebbe sottosoglia. Infine, risulterebbe comunque palese che la società avrebbe portato in compensazione crediti per corsi di formazione realmente esistenti, con la conseguenza che ci si troverebbe in presenza di crediti spettanti, non potendo del resto la società immaginare che la mancanza dei requisiti certificatori di cui la società formatrice si dichiara in possesso, avrebbe potuto comportare una responsabilità per il delitto tributario ipotizzato. Con il quarto motivo, la difesa si duole poi della totale mancanza di motivazione e di autonoma valutazione degli elementi difensivi con cui si contestava la sussistenza del fumus del delitto tributario, posto che già nel corso della perquisizione sarebbero state rinvenute nei locali aziendali la User-id e la password di accesso al portale della società che erogava la formazione necessarie per fruire dei corsi on line nonché i registri delle presenze dei corsi di formazione e le numerose slide riguardanti gli argomenti trattati a lezione, ciò che escluderebbe la fitti-zietà dei corsi di formazione, non rilevando la circostanza che il medesimo tutor/docente fosse "compresente" in più luoghi, elemento valorizzato dall'Accusa. Sul punto, la difesa censura l'ordinanza impugnata per non aver considerato che le lezioni erano somministrate da remoto, utilizzabili e scaricabili dalla piattaforma, e che la stessa modalità a distanza consentiva la libera fruizione delle lezioni secondo le esigenze di tempo e luogo dei soggetti che acquistavano la formazione ori line. Non rileverebbe il dato della contemporaneità dell'attività didattica dei docenti / tutor Ro. e So., in quanto gli stessi screenshot prodotti ed allegati alla memoria difensiva riproducevano numerose docenti di sesso femminile non identificabili con i predetti, non essendo peraltro anomalo che un corso ori line possa essere svolto anche a vantaggio di diversi soggetti contemporaneamente sul territorio nazionale. Quanto fatturato dalla società dell'indagata, dunque, confermerebbe l'esistenza dei corsi di formazione, come confermato dalle stesse dipendenti della società, la quale aveva fatto un investimento in macchinari per oltre 165.000 euro il cui utilizzo presupponeva proprio l'espletamento di tali corsi di formazione. Tutta la documentazione in possesso della società dell'indagata e le concrete modalità di fruizione dei corsi di aggiornamento non potevano pertanto ingenerare nella società terza il sospetto che si trattasse di società priva dei requisiti di ente fornitore, da cui il tribunale avrebbe ipotizzato una non spettanza dei crediti, esigendo il delitto tributario in esame la sussistenza di un dolo generico, nella specie mancante. Con il quinto motivo, infine, si ribadisce che gli elementi indiziari in atti avrebbero testimoniato l'assenza di un qualsivoglia coinvolgimento della società dell'indagata, non potendosi ritenere legittima l'imposizione del vincolo cautelare senza dare contezza degli elementi individualizzanti atti a sostenere che anche la società amministrata dall'indagata abbia sottoscritto un contratto con la società Tx. senza mai usufruire della formazione del personale dipendente. I giudici di merito avrebbero, diversamente, inserito cumulativamente tra le società destinatarie del sequestro preventivo anche quella amministrata dalla ricorrente, desumendo dalla riconosciuta sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza a carico degli indagati in ordine ai delitti addebitati al capo 69) della rubrica il fumus fondante il sequestro. Tale prospettazione colliderebbe con le stesse previsioni contenute nel Piano Nazionale Industria 4.0, posto che il corso di formazione erogato al personale dipendente della società amministrata dall'indagata seguiva la modalità da remoto, come risulta dalla Relazione illustrativa costituente il doc. 7 della memoria difensiva, traendosi conferma dell'effettività dello svolgimento dei corsi di formazione anche dalle dichiarazioni rese dai dipendenti, di cui in ricorso si riportano uno stralcio alle pagg. 17/18, dipendenti che avevano confermato che le modalità di svolgimento delle lezioni del corso di formazione prevedevano un sistema di rilevazione delle presenze mediante un registro da firmare in entrata ed in uscita, le cui firme sono state riconosciute da ciascun dipendente come autografe. In ogni caso l'indagata aveva poi custodito la relazione illustrativa delle modalità organizzative e i contenuti delle attività, come dimostrato anche dalla destinazione di parte dell'orario lavorativo alla formazione, in linea con quanto previsto dal Fondo Nuove Competenze cofinanziato dal Fondo sociale europeo, registri di rilevazione delle presenze e dichiarazioni dei dipendenti che avrebbero confermato come le lezioni si svolgessero dalla 9 alle 15 in una sala dell'azienda all'uopo adibita. 2.4. Deduce, con il sesto ed ultimo motivo, il vizio di violazione di legge sotto il profilo della nullità dell'ordinanza genetica nonché dell'ordinanza impugnata per illegittimo uso del potere integrativo della motivazione e sull'insussistenza del periculum. In sintesi, si duole la difesa del fatto che l'ordinanza impugnata, pur avendo ritenuto fondata l'eccezione difensiva sulla mancata motivazione in punto di periculum, abbia poi inteso porre rimedio all'errore di diritto del GIP integrandone la motivazione sul punto. Si censura, in particolare, il passaggio dell'ordinanza in cui il tribunale avrebbe giustificato l'esercizio del potere integrativo in base al disposto dell'art. 309, comma 9, cod. proc. pen., versandosi nella specie in presenza di una motivazione implicita e non mancante, affermazione che contrasterebbe con quanto affermato dalla giurisprudenza di questa Corte a partire da quanto affermato dalle Sezioni Unite "Pellegrino", non rinvenendosi nell'ordinanza genetica alcun implico riferimento al periculum in mora. Il mero richiamo all'estratta opportunità di confiscare i beni operato dal giudice cautelare non potrebbe costituire legittimo presupposto da cui trarre l'inferenza che si versi in un'ipotesi di motivazione indiretta sul periculum, avendo richiesto le Sezioni unite "Eliade" che il requisito di cui all'art. 321, cod. proc. pen. non può essere desunto dalla natura obbligatoria della confisca. Si registrerebbe, quindi, un'assoluta carenza di motivazione circa gli elementi valutativi, anche di carattere generale, relativi alla necessità di anticipare l'effetto ablativo prima della definizione del giudizio, non avendo peraltro i giudici del riesame colmato tale lacuna motivazionale. Sul punto, la motivazione del tribunale del riesame sarebbe tautologica, in quanto nell'economia della motivazione la fungibilità del denaro unitamente alla natura dell'addebito mosso verso la società dell'indagata avrebbe imposto la temporanea ablazione delle somme di denaro sequestrate, il cui ammontare si sostiene essere di gran lunga inferiore all'importo evaso. Rileva la difesa come la circostanza relativa alla natura dei beni sottoposti a vincolo sia del tutto irrilevante ai fini dell'adozione della misura, in quanto, al di là delle cose intrinsecamente criminose, alcun rilievo può assumere la natura mobiliare od immobiliare dei beni in sequestro, essendo necessaria sempre la concisa motivazione del periculum, da rapportare alle ragioni che rendono necessaria l'anticipazione dell'effetto ablativo rispetto alla definizione del giudizio. 3. Il Procuratore Generale presso questa Corte, con requisitoria scritta del 25 ottobre 2023, ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso. Ed invero, quanto alla prima censura, la ritiene infondata, atteso che, fermo che il reato più grave è quello di cui all'art. 10-quater aggravato, non emerge da alcun dato che i modelli F24 siano stati spediti dalla sede della società. I documenti allegati al ricorso non recano alcuna specifica indicazione sul luogo di partenza dei versamenti. Occorre inevitabilmente fare capo al criterio del luogo di accertamento del reato (Cass. sez. 3 n. 2351 del 2023, ric. Almanza), che non è nel circondario di Lecce ma di Vallo della Lucania. Quanto al secondo motivo di ricorso, invece, si rileva che in realtà, il provvedimento impugnato ha dato atto che il gip ha compiuto lo scrutinio idoneo a ravvisare l'integrazione del fumus di reato. Quanto al terzo motivo, ritiene invece che la censura non si confronti con il diffuso approfondimento che caratterizza il provvedimento impugnato. La specifica trattazione, svolta di seguito ad un'ampia panoramica del complesso e articolato meccanismo fraudolento poste in essere dagli indagati, delinea la vicenda che riguarda la società odierna ricorrente. 4. In data 2 novembre 2023, l'Avv. Francesco Vergine, nell'interesse della ricorrente, ha depositato le proprie conclusioni scritte e, in replica alla requisitoria del PG, ha insistito per l'accoglimento di tutti i motivi di ricorso. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso, trattato oralmente ai sensi dell'art. 23, comma 8, d.l. n. 137 del 2020 e successive modifiche ed integrazioni, è fondato nei limiti di cui si dirà oltre. 2. Infondato è anzitutto il primo motivo. È ben vero che la condotta più grave, difformemente da quanto afferma il tribunale del riesame, deve considerarsi non quella associativa - cui peraltro l'indagata è estranea, non essendo stato contestato alla stessa il delitto associativo ex art. 416, cod. pen. - ma quella contestata alla ricorrente, ossia l'art. 10-quater, comma 2, aggravato a norma dell'art. 13-bis, d. Igs. n. 74 del 2000, atteso che, la contestazione dell'aggravante in esame comporta un aumento della pena della metà, così dovendosi individuare quale reato più grave quello tributario aggravato, attesa la pena edittale di 9 anni di reclusione rispetto a quello associativo la cui pena, per i capi e promotori, è di anni 7 di reclusione. Quanto all'individuazione della competenza territoriale per il delitto in esame, questa Corte ha affermato il principio, condiviso dal Collegio, secondo cui ai fini della determinazione della competenza per territorio per il delitto di indebita compensazione, rileva il luogo in cui è effettuata l'ultima utilizzazione del credito inesistente nell'anno interessato, mediante inoltro del modello F24, ovvero, se non è possibile la sua individuazione, il luogo di accertamento del reato ai sensi dell'art. 18, comma 1, d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, essendo tale disposizione prevalente, per la sua natura speciale, rispetto alle regole generali dettate dall'art. 9 cod. proc. pen. (Sez. 3, n. 2351 del 18/11/2022, dep. 2023, Rv. 284057 - 01). Dalla contestazione mossa al capo 69) della rubrica risulta che i fatti oggetto di contestazione (artt. 483, cod. pen. e art. 10-quater, comma 2, d. Igs. n. 74 del 2000, aggravato a norma dell'art. 13-ó/s, d. Igs. citato) sono stati commessi in C, prov. Salerno, che è risultata essere la sede legale della società TX., nonché in A, prov. L, sede della EM.., di cui è legale rappresentante l'indagata Co.Me. Dalla documentazione allegata risulta che l'ultima utilizzazione del credito inesistente nell'anno interessato, mediante inoltro del modello F24, è intervenuta in data 15/09/2021 (modello F24, protocollo telematico 21090843275443915, da cui risulta la causale 6897 che, in base alla risoluzione Agenzia delle entrate n. 6/E del 17 gennaio 2019 è il codice tributo denominato "6897" denominato "credito d'imposta per le spese di formazione del personale dipendente nel settore delle tecnologie previste dal Piano Nazionale Industria 4.0 - art. 1, commi da 46 a 56, della legge n. 205/2017 e art. 1, commi da 78 a 81, della legge n. 145/2018"), per un importo di 4.329,00 euro. Da tale modello F24, tuttavia, non emerge in maniera chiara il luogo in cui è effettuata l'ultima utilizzazione del credito inesistente, potendo solo presumersi, in base all'id quod plerumque accidit, che lo stesso coincida, come sostenuto in effetti dalla difesa del ricorrente, con la sede della società. Coglie dunque nel segno l'eccezione del PG secondo cui non emerge da alcun dato che i modelli F24 siano stati spediti dalla sede della società. I documenti allegati al ricorso (tra cui tutti i quattordici modelli F24 oggetto di contestazione), infatti, non recano alcuna specifica indicazione sul luogo di partenza dei versamenti. Occorre, quindi, inevitabilmente applicare - non essendo possibile l'individuazione certa del luogo in cui è effettuata l'ultima utilizzazione del credito inesistente nell'anno interessato, mediante inoltro del modello F24 -, il criterio del luogo di accertamento del reato ai sensi dell'art. 18, comma 1, d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, essendo tale disposizione prevalente, per la sua natura speciale, rispetto alle regole generali dettate dall'art. 9 cod. proc. pen. (come appunto affermato dalla stessa richiamata sentenza di questa Sezione, n. 2351 del 2023), che non è nel circondario di Lecce ma in quello di Vallo della Lucania, non rilevando pertanto la circostanza che all'indagata non sia stato contestato il delitto associativo. 3. Deve, a questo punto, essere anteposto l'esame del sesto motivo, la cui disanima assume, come vedremo valenza assorbente rispetto agli altri motivi dedotti ed afferenti al fumus. Ed invero, il Tribunale del riesame, nel respingere la censura relativa alla mancata motivazione sul periculum in mora, opera un'approfondita ricognizione della giurisprudenza di questa Corte al fine di ritenere, anzitutto, possibile l'esercizio del potere integrativo da parte del tribunale del riesame rispetto all'ordinanza genetica priva di motivazione in ordine alla sussistenza del periculum e, in secondo luogo, sostituendosi al GIP, fornendo una motivazione circa la sussistenza di tale requisito, fondandolo sul pericolo di dispersione dei beni in sequestro, tenuto conto della peculiare natura del denaro e che, per l'effetto, della condotta fraudolenta oggetto dell'odierno giudizio, la società avrebbe già sottratto all'erario somme di denaro non trascurabili. 3.1. Ritiene, sul punto, tuttavia, il Collegio che colga nel segno il rilievo operato dalla difesa che ha infatti censurato l'impossibilità per i giudici del riesame di integrare la motivazione del primo giudice in ordine al requisito del periculum, motivazione mancante, nella specie. In ordine a tale profilo, infatti, la tesi fatta propria dal tribunale del riesame non può essere condivisa, non potendo soccorrere il principio secondo cui, in tema di riesame avverso provvedimenti che dispongono misure cautelari reali, è legittima l'ordinanza con cui il tribunale, facendo uso dei propri poteri integrativi, ponga rimedio all'errore di diritto del giudice per le indagini preliminari che, nel decreto di sequestro preventivo finalizzato alla confisca obbligatoria, abbia omesso, ritenendola non dovuta, la motivazione in punto di "periculum in mora" con provvedimento adottato prima della pronuncia delle Sez. U, n. 36959 del 2021 (Sez. 3, n. 39846 del 13/05/2022, Rv. 283831 - 01, riguardante una fattispecie relativa a decreto di sequestro emesso in relazione al delitto di cui all'art. 5 d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, che il tribunale del riesame ha confermato, integrandone la motivazione, con l'indicazione delle esigenze cautelari giustificative dell'adozione del vincolo, conformemente al principio di diritto enunciato dalla predetta sentenza). Invero, in disparte da ogni considerazione sulla condivisibilità del principio appena riportato, occorre rilevare che lo stesso: a) presuppone un'espressa affermazione del provvedimento genetico in ordine alla non necessità della motivazione in ordine al periculum in mora; b) è stato espressamente enunciato in riferimento ad un decreto emesso anteriormente alla pronuncia delle Sezioni Unite "Eliade" (Sez. U, n. 36959 del 24/06/2021, Rv. 281848 - 01), ossia in un momento in cui, secondo il convincimento ampiamente prevalente della giurisprudenza, ai fini del sequestro finalizzato alla confisca sarebbe sufficiente la sola verifica dell'inclusione del bene da sequestrare tra le cose oggettivamente suscettibili di confisca (così, Sez. 3, n. 39846 del 2022, cit., in motivazione, § 1). 3.2. Ed allora, ne discende all'evidenza l'impossibilità per il tribunale del riesame di sostituirsi al giudice di primo grado nel porre rimedio ad un'omissione motivazionale su un requisito essenziale richiesto all'ordinanza genetica, qual è la motivazione, seppure concisa, come richiedono le Sezioni Unite "Eliade", circa la configurabilità di tale periculum, onere di motivazione che può ritenersi assolto, come le stesse Sezioni Unite insegnano, solo allorché il provvedimento si soffermi sulle ragioni per cui, nelle more del giudizio, il bene potrebbe essere modificato, disperso, deteriorato, utilizzato od alienato. Ragioni che, nella specie, non sono contenute nell'ordinanza impugnata (cfr. pagg. 619/621), limitandosi il giudice unicamente ad illustrare i motivi per i quali, in base alla giurisprudenza di questa Corte, trattandosi di confisca di denaro, ben ne era possibile la confisca diretta. Nulla viene tuttavia detto invece con riferimento alle ragioni che rendevano necessaria l'anticipazione dell'effetto ablativo della confisca rispetto alla definizione del giudizio, con conseguente assenza motivazionale assoluta non integrabile da parte del giudice del riesame. Se è ben vero che il tribunale del riesame, nell'ambito dei poteri di integrazione e di rettifica attribuitigli dall'art. 309 cod. proc. pen., richiamato dall'art. 324, cod. proc. pen., ben può porre rimedio alla parziale inosservanza dei canoni contenutistici cui deve obbedire la motivazione dell'ordinanza che dispone la misura cautelare, tuttavia, allorché si verifichi l'omissione assoluta delle prescritte indicazioni (come evidenzia il co. 9 dell'art. 309, richiamato dal co. 7 dell'art. 324, cod. proc. pen., dovendosi ritenere che la mancanza di motivazione sul periculum in mora sia equiparabile in sede di cautela reale a quella relativa alle esigenze cautelari in sede di cautela personale) è configurabile, per l'accertata mancanza di motivazione - alla quale può essere equiparata la mera apparenza della medesima - la radicale nullità prevista dalla citata norma. Consegue, dunque, che il tribunale non può avvalersi del menzionato potere integrativo-confermativo, bensì deve provvedere esclusivamente all'annullamento del provvedimento coercitivo, non essendo consentito un potere sostitutivo quanto all'emissione di un valido atto, che potrà eventualmente essere adottato dal medesimo organo la cui decisione è stata annullata. Pacifica, sul punto, è infatti la giurisprudenza di questa Corte in tema di divieto di esercizio del potere integrativo da parte del tribunale del riesame in caso assenza motivazionale (tra le tante, sin da Sez. 1, n. 5122 del 19/09/1997, Rv. 208586 - 01, si v. da ultimo, Sez. 3, n. 49175 del 27/10/2015, Rv. 265365 - 01), come del resto sottolineato dalle Sezioni Unite "Capasso", le quali ritennero che nel procedimento di riesame avverso i provvedimenti di sequestro, le disposizioni concernenti il potere di annullamento del tribunale, introdotte dalla legge 8 aprile 2015, n. 47 al comma nono dell'art. 309 cod. proc. pen., sono applicabili - in virtù del rinvio operato dall'art. 324, comma settimo dello stesso codice - in quanto compatibili con la struttura e la funzione del provvedimento applicativo della misura cautelare reale e del sequestro probatorio, nel senso che il tribunale del riesame annulla il provvedimento impugnato se la motivazione manca o non contiene la autonoma valutazione degli elementi che ne costituiscono il necessario fondamento, nonché degli elementi forniti dalla difesa (Sez. U, n. 18954 del 31/03/2016, Capasso, Rv. 266789 - 01). 4. Il vizio rilevato preclude l'esame di ogni questione concernente il fumus commissi delieti. Le censure formulate nel ricorso con riguardo al profilo del fumus commissi delieti, infatti, potrebbero, eventualmente, determinare l'annullamento con rinvio dell'ordinanza impugnata, ma non certo la caducazione di essa e del provvedimento genetico, e la restituzione dei beni in sequestro all'avente diritto P.Q.M. Annulla senza rinvio l'ordinanza impugnata nonché l'ordinanza del GIP del Tribunale di Vallo della Lucania in data 19/03/2023 e ordina la restituzione di quanto in sequestro all'avente diritto. Manda alla cancelleria per l'immediata comunicazione al Procuratore Generale in sede per quanto di competenza ai sensi dell'art. 626, cod. proc. pen. Così deciso, il 14 novembre 2023 Depositata in Cancelleria il 24 gennaio 2024.
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