RITENUTO IN FATTO
1. Mo.Sa., Ch.Ma. ed El.Kh., a mezzo dei rispettivi difensori, propongono ricorso per cassazione avverso la sentenza del 24 marzo 2023 con la quale la Corte di Appello di Milano, in parziale riforma della sentenza emessa, in data 16 giugno 2021, dal Tribunale di Milano, li ha condannati in relazione ai reati rispettivamente contestati, previa declaratoria della sopravvenuta prescrizione dei reati di cui ai capi 20), 21), 25) e 28).
Ricorso Mo.Sa.:
2. Primo motivo: contraddittorietà della motivazione in ordine determinazione della pena irrogata a seguito della correzione dell'errore materiale contenuto nel dispositivo di sentenza.
La Corte di appello dopo aver corretto, con ordinanza del 20 aprile 2023, l'errore materiale contenuto nel dispositivo letto in udienza non ha proceduto alla necessaria rideterminazione della pena conseguente alla declaratoria di prescrizione del reato di cui al capo 25.
2.1. Secondo motivo: violazione degli artt. 157 e 160 cod. pen. conseguente alla mancata declaratoria di prescrizione del reato di cui al capo 22).
Secondo la difesa il reato di cui all'art. 10-quater D.Lgs. 74/2000 descritto nel capo 22) si sarebbe estinto per sopravvenuta prescrizione in data 17 giugno 2022 e, quindi, in data anteriore alla emissione della sentenza di appello con conseguente necessità di rideterminare la pena irrogata.
2.2. Terzo motivo: violazione dell'art. 415-bìs cod. proc. pen. conseguente alla mancata notifica all'imputato dell'avviso di chiusura delle indagini preliminari.
La difesa ha evidenziato che il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Milano, a seguito di sentenza di incompetenza del giudice dell'udienza preliminare del Tribunale di Pavia, avrebbe emesso richiesta di rinvio a giudizio senza procedere a nuova notifica dell'avviso di chiusura delle indagini preliminari.
La conseguente nullità, eccepita innanzi al giudice dell'udienza preliminare, al Tribunale ed alla Corte di appello, sarebbe stata rigettata sull'erroneo presupposto del mancato svolgimento di ulteriore attività di indagine e del mancato utilizzo da parte del Pubblico Ministero del processo verbale di contestazione datato 30 gennaio 2018.
Secondo la difesa, la lettura di tale verbale dimostrerebbe che le indagini sarebbero proseguite quantomeno fino al gennaio 2018 e quindi in data successiva a quella di emissione dell'avviso di chiusura delle indagini preliminari da parte della Procura della Repubblica di Pavia ed i risultati di tali ulteriori indagini non sarebbero stati depositati con conseguente violazione dell'art. 430 cod. proc. pen.
Lo svolgimento di ulteriore attività investigativa, a prescindere dall'effettiva utilizzazione per procedere a nuove contestazioni, avrebbe comportato l'obbligo per la Procura della Repubblica di Milano di procedere alla notifica di un nuovo avviso di chiusura delle indagini preliminari; l'omissione di tale notifica avrebbe impedito al ricorrente di chiedere di essere interrogato e di svolgere ulteriore attività di carattere investigativo con conseguente indebita compressione dei diritti di difesa e nullità di tutti gli atti successivi ai sensi dell'art. 185 cod. proc. pen.
2.3. Quarto motivo: violazione dell'art. 268, commi 4 e 6, cod. proc. pen.
La difesa ha evidenziato che il provvedimento di ritardato deposito delle intercettazioni emesso dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Pavia sarebbe relativo al procedimento penale 8666/2015 mod. 44 e non al procedimento penale 7723/2015 R.G.N.R. indicato nella richiesta avanzata dal Pubblico Ministero.
Di conseguenza la mancata emissione del provvedimento di ritardato deposito comporterebbe l'inutilizzabilità delle captazioni poste a fondamento della sentenza impugnata per violazione degli artt. 268 e 271 cod. proc. pen.
I giudici di appello avrebbero erroneamente affermato che la richiesta del Pubblico Ministero sarebbe stata accolta con successivo provvedimento del 17 dicembre 2015, affermazione illogica in quanto se fosse vero che era già stato emesso un provvedimento di autorizzazione al ritardato deposito "non si comprende il motivo per il quale ne doveva essere emesso un secondo con lo stesso contenuto" (vedi pag. 7 del ricorso).
2.4. Quinto motivo di impugnazione: violazione degli artt. 356,364,365 e 366 cod. proc. pen. e 220 disp. att. e conseguente inutilizzabilità dei processi verbali di contestazione redatti dalla Guardia di Finanza.
La difesa ha rimarcato che l'Agenzia delle Entrate, in data 14 ottobre 2015, avrebbe comunicato alla Guardia di Finanza l'imminente compimento di controlli fiscali nei confronti dei soggetti coinvolti nel presente giudizio, comunicazione girata alla Procura della Repubblica di Pavia con l'indicazione del procedimento penale n. 7723/2015 RGNR, procedimento iscritto a carico di tutti gli imputati in data 10 settembre 2015.
È stato, altresì, segnalato che, proprio a seguito della comunicazione dell'Agenzia delle Entrate, in data 8 ottobre 2021 e quindi in data anteriore all'effettuazione degli accessi fiscali, la Procura della Repubblica avrebbe attivato le operazioni tecniche volte all'intercettazione delle comunicazioni degli indagati.
Secondo il ricorrente, quindi, il personale dell'Agenzia dell'Entrate, consapevole delle indagini in corso, avrebbe dovuto applicare le modalità e le garanzie previste dal codice di procedura penale stante la natura sostanzialmente penale dell'attività, formalmente amministrativa, svolta nei confronti degli indagati.
La difesa ha, quindi, eccepito l'inutilizzabilità dei verbali di accesso, dei processi verbali di constatazione, delle dichiarazioni e della documentazione acquisita dall'Agenzia delle Entrate in occasione degli accessi del 04.10.2015, 14.10.2015, 02.10.2015, 04.11.2015, 05.11.2015, 10.11.2015, 17.11.2015, 03.12.2015, 10.12.2015, 14.12.2015 perché acquisiti in violazione degli artt. 356,364,365 e 366 cod. proc. pen. e 220 disp. att.
2.5. Sesto motivo: inosservanza ed erronea applicazione dell'art. 648-ter cod. pen. in relazione ai capi 23 e 24.
La Corte territoriale avrebbe erroneamente ritenuto la sussistenza del reato di riciclaggio, ignorando quanto riferito dal teste Pi. in ordine al mancato utilizzo delle somme provenienti dalla società Zeta Group per il pagamento delle quote ai soci cessionari ed in assenza di prova documentale in ordine all'ipotizzato acquisto delle quote della società TEVA.
2.6. Settimo motivo: manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione in ordine alla valutazione delle deposizioni dei testi Pi. e St. in relazione al capo 23).
I giudici di appello avrebbero erroneamente ignorato le dichiarazioni del Pi. nella parte in cui il teste avrebbe escluso l'utilizzo delle somme provenienti dalla vendita dei crediti IVA per il pagamento delle quote di Teva.
Peraltro, la stessa Corte di merito, facendo riferimento a quanto riferito dal teste St., avrebbe escluso l'avvenuto reimpiego delle somme provenienti dalla vendita dei crediti IVA all'interno della Teva per poi affermare la sussistenza del reato di riciclaggio in modo del tutto contraddittorio.
2.7. Ottavo motivo: manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione in ordine alla valutazione delle deposizioni dei testi Pi. e St. ed alla responsabilità del ricorrente in relazione al reato di cui al capo 24).
La Corte territoriale, con motivazione sommaria e generica, avrebbe affermato che il ricorrente era l'amministratore di fatto delle società RT Multimedia e Mondwer ed il promotore del sistema fraudolento oggetto di giudizio senza indicare le risultanze probatorie poste a fondamento di tale affermazione.
La motivazione sarebbe carente in ordine alla dimostrazione dell'influenza completa e sistematica con poteri analoghi a quelli di un amministratore di diritto che avrebbe esercitato il Mo.Sa.; la difesa ha, in proposito, rimarcato che il teste St. avrebbe riferito di aver ricevuto direttive di stampo organizzativo dal Mo.Sa. solo in relazione alla società Teva e sottolineato che il coimputato El.Kh. era il soggetto che gestiva i conti correnti e deteneva le password della RT Multimedia, come peraltro affermato dalla stesse Corte territoriale.
Secondo la difesa, inoltre, le dichiarazioni rese dal notaio Li. in ordine alla presenza del Mo.Sa. al momento del compimento di alcune operazioni societarie, non sarebbero idonee a dimostrare che il ricorrente abbia svolto le funzioni di amministratore di fatto, non avendo il Li. fatto riferimento al compimento di atti di ingerenza sociale da parte del Mo.Sa.
La motivazione sarebbe apodittica in ordine alla provenienza illecita delle somme trasferite dalle società RT Multmedia e Mondwer alle società Teva e CM Immobiliare; la difesa ha rimarcato che secondo il teste St. le predette società, pienamente operative come fornitrici di Teva e CM, disponevano di leciti introiti periodici; di conseguenza non sarebbe possibile escludere che le somme trasferite fossero conseguenza dei rapporti commerciali intercorsi tra tali persone giuridiche.
2.8. Nono motivo: manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione in ordine alla valutazione del teste St. in relazione al capo 1) ed inutilizzabilità della deposizione del teste Li. conseguente alla violazione dell'art. 197-bis cod. proc. pen.
La Corte di merito avrebbe interpretato in modo contraddittorio le dichiarazioni della teste St. in ordine al reato associativo di cui al capo A), in particolare i giudici di appello - dopo aver affermato a pag. 44 che il teste avrebbe "ricordato che gli ordini ricevuti da El.Kh. e Mo.Sa. fossero tutti finalizzati alle fraudolente compensazioni e non al funzionamento della società" e riferito che, nonostante le promesse fatte, i nuovi proprietari non avrebbero proceduto ad alcun finanziamento -hanno asserito alla successiva pag. 48 che gli imputati davano alla St. indicazioni in merito ai fornitori di Teva da pagare in via prioritaria mentre le indicazioni sulle compensazioni venivano date dallo studio di commercialisti di G e dal Ch.Ma.
La Corte di appello avrebbe confuso il ruolo di promotore dell'associazione a delinquere con il ruolo di titolare occulto delle società RT Multimedia e Mondwer senza tenere conto che il ricorrente, imprenditore di nazionalità marocchina, rivoltosi in buona fede a professionisti italiani, sarebbe stato indotto ad effettuare operazioni che non era in grado di comprendere per le difficoltà del linguaggio tecnico.
La difesa ha eccepito, inoltre, che il notaio Li. è stato escusso senza l'assistenza di un difensore ed in spregio delle garanzie previste dall'art. 210 cod. proc. pen, nonostante fosse stato iscritto nel registro degli indagati in data anteriore a tale escussione, con conseguente inutilizzabilità delle sue dichiarazioni per violazione dell'art. 197-bis, comma 3, cod. proc. pen.
2.9. Decimo motivo: violazione dell'art. 62-bis cod. pen. conseguente alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche.
I giudici di appello non avrebbero tenuto conto dell'incensuratezza del Mo.Sa., del suo comportamento precedente e successivo ai reati contestati e del fatto che il ricorrente, suo malgrado, si sarebbe trovato invischiato nella vicenda a causa delle mancate verifiche effettuate dal notaio Li. sulla bontà dei crediti Iva e della consulenza del Ch.Ma., il quale non avrebbe impedito all'imprenditore di commettere gli errori che hanno assunto rilevanza penale.
Ricorso Ch.Ma.
3. Primo motivo: inosservanza ed erronea applicazione dell'art. 416 cod. pen. nonché carenza, erroneità e manifesta illogicità della motivazione in ordine alla partecipazione dell'imputato all'associazione a delinquere di cui al capo 1).
Le intercettazioni dimostrerebbero l'estraneità del ricorrente rispetto all'attività criminosa organizzata e l'assenza di qualsiasi ruolo del Ch.Ma. all'interno del sodalizio oggetto di giudizio. L'imputato non avrebbe svolto il ruolo di socio occulto delle società attenzionate, essendosi limitato a svolgere la sua attività professionale di intermediario, senza predisporre dichiarazioni dei redditi, modelli F24 e bilanci sociale e senza partecipare ad alcuno degli atti di cessione dei crediti rogati dal notaio Li..
A giudizio della difesa, il rinvenimento di documentazione presso la sede della Audit Center, non sarebbe idonea a dimostrare il coinvolgimento del Ch.Ma. in considerazione del fatto che quest'ultimo aveva il proprio studio professionale all'interno di tale immobile.
3.1. Secondo motivo: carenza, erroneità e manifesta illogicità della motivazione in ordine alla penale responsabilità dell'imputato per il reato di cui al capo 1), lett. a), b), c), d), e), f), g), h) ed i).
La motivazione sarebbe illogica, apodittica e fondata su generiche presunzioni non tenendo conto del fatto che il Ch.Ma. non avrebbe apposto visti di conformità sui crediti delle società attenzionate, non si sarebbe occupato di acquisire crediti dalle società oggetto di giudizio né avrebbe distratto somme dalle casse della società Z Group, come confermato dai testi escussi nella fase dibattimentale.
3.2. Terzo motivo: violazione dell'art. 416 cod. pen. in relazione al reato di cui al capo 1), lett. a), b), c), d), e), f), g), h) ed i).
Gli stessi testi della Pubblica Accusa avrebbero riferito che il ricorrente non avrebbe svolto alcun ruolo nella commissione dei reati fiscali, essendosi limitato a trasmettere, su indicazione dei propri clienti, le dichiarazioni dei redditi predisposte da altri soggetti.
Pertanto, il Ch.Ma. non avrebbe posto in essere condotte idonee a perfezionare i reati fiscali, non avrebbe emesso o utilizzato fatture per operazioni inesistenti, non sarebbe partecipe di alcuna società e non avrebbe beneficiato di alcun provento illecito.
I giudici di merito avrebbero interpretato le conversazioni intercettate in modo decontestualizzato, senza tenere conto del fatto che il Ch.Ma. avrebbe partecipato a pochi colloqui nell'arco di quattro anni.
3.3. Quarto motivo di impugnazione: violazione dell'art. 648-ter cod. pen. in relazione ai reati di cui ai capi 14) e 15).
La declaratoria di responsabilità in ordine ai reati di autoriciclaggio si porrebbe in contrasto con le risultanze istruttorie attestanti l'estraneità del ricorrente (in particolare il Ch.Ma. non avrebbe alcun ruolo nella società Z Group, non avrebbe ricoperto cariche sociali, non avrebbe mai operato sui conti corrente e non avrebbe beneficiato di alcuna movimentazione di denaro al di là delle parcelle emessa per la sua attività di consulente ed intermediario, estrinsecatasi nella trasmissione per via telematica delle dichiarazioni e dei bilanci predisposti da altri studi di commercialisti).
3.4. Quinto motivo: omessa motivazione in ordine al quarto motivo di appello con cui era stata chiesta l'assoluzione dell'imputato per carenza di prova in ordine al suo coinvolgimento nella commissione dei reati contestatigli.
3.5. Sesto motivo: inutilizzabilità della deposizione del teste Li. conseguente alla violazione degli artt. 197 e 197-bis cod. proc. pen.
A giudizio della difesa, le dichiarazioni accusatorie del Li. sarebbero fondate sulla volontà di "spogliarsi di responsabilità legate al suo unico operato e di addossare i reati al Ch.Ma." (vedi pag. 19 del ricorso).
3.6. Settimo motivo: violazione dell'art. 62-bis cod. pen. conseguente alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche.
I giudici di appello avrebbero rigettato il motivo di appello esclusivamente in considerazione della ritenuta gravità dei fatti senza considerare che il Ch.Ma. è soggetto incensurato che non ha commesso alcuno dei reati contestati e non ha beneficiato di alcun vantaggio a seguito delle presunte contestazioni.
3.7. Ottavo motivo: inutilizzabilità delle intercettazioni per carenza dei provvedimenti autorizzativi.
A giudizio della difesa "nessuna delle autorizzazioni del Gip di Pavia vi è sulle intercettazioni che vanno tutte rigettate parimenti alle motivazioni assunte e riportate in motivazione nelle due sentenze" come già eccepito nel corso dei giudizi di merito (vedi pag. 20 del ricorso).
Ricorso El.Kh.
4. Primo motivo: violazione dell'art. 415-bis cod. proc. pen. conseguente alla mancata notifica all'imputato dell'avviso di chiusura delle indagini preliminari.
Il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Milano, a seguito di sentenza del giudice dell'udienza preliminare del Tribunale di Pavia e conseguente trasmissione degli atti al Pubblico Ministero, avrebbe dovuto procedere alla notifica dell'avviso di chiusura delle indagini preliminari.
La conseguente nullità, eccepita innanzi al giudice dell'udienza preliminare, al Tribunale ed alla Corte di appello, sarebbe stata rigettata sull'erroneo presupposto del mancato svolgimento di ulteriore attività di indagine e del mancato utilizzo da parte del Pubblico Ministero del processo verbale di contestazione datato 30 gennaio 2018.
La trasmissione del fascicolo alla Procura di Milano da parte del giudice dichiaratosi incompetente avrebbe comportato l'obbligo per la Procura della Repubblica di Milano di procedere alla notifica di un nuovo avviso di chiusura delle indagini preliminari, l'omissione di tale notifica avrebbe impedito al ricorrente di chiedere di essere interrogato ovvero di svolgere ulteriore attività di carattere investigativo con conseguente indebita compressione dei diritti di difesa e nullità di tutti gli atti successivi ai sensi dell'art. 185 cod. proc. pen., nullità tempestivamente eccepita dal ricorrente ed erroneamente respinta dai giudici di merito.
4.1. Secondo motivo: incompetenza territoriale del Tribunale di Milano.
La Corte di merito avrebbe erroneamente ritenuto la competenza territoriale del primo giudice indicando il reato di autoriciclaggio come il reato più grave tra quelli contestati agli imputati; tale deliberazione, fondata sulla individuazione del luogo di reimpiego delle somme di provenienza delittuosa, sarebbe erronea in quanto il pagamento di tali somme non sarebbe mai avvenuto, come desumibile dalla motivazione della sentenza di primo grado.
La mancata consumazione del reato di autoriciclaggio comporterebbe la competenza territoriale del Tribunale di Monza, luogo ove ha sede la società RT Multimedia ed ove sarebbe stata bonificata la provvista che costituirebbe il presupposto del reato di autoriciclaggio.
4.2. Terzo motivo: erronea applicazione degli artt. 356,364,365,366 cod. proc. pen. e 114, 220 disp. att. e conseguente inutilizzabilità dei processi verbali
di contestazione redatti dalla Guardia di Finanza e del verbale di sommarie informazioni rese da Sa.Gi.
La difesa ha evidenziato che l'Agenzia delle Entrate, in data 14 ottobre 2015, avrebbe comunicato alla Guardia di Finanza l'imminente compimento di controlli fiscali nei confronti dei soggetti coinvolti nel presente giudizio, comunicazione girata alla Procura della Repubblica di Pavia con l'indicazione del procedimento penale n. 7723/2015 RGNR, procedimento iscritto a carico di tutti gli imputati in data 10 settembre 2015.
Al momento dell'ingresso presso la società RT Multimedia, il personale dell'Agenzia delle Entrate avrebbe dovuto informare il ricorrente del reale scopo del controllo finalizzato all'accertamento di un reato e non ad una mera attività amministrativa. Di conseguenza, l'acquisizione di documenti cartacei ed informatici sarebbe dovuta avvenire con le forme previste dalla disciplina processual-penalistica delle perquisizioni e dei sequestri in applicazione dell'art. 220 disp. att. che impone al personale operante, non appena emergano degli indizi di reato, l'applicazione immediata delle garanzie difensive previste per il processo penale.
L'omissione dell'avviso previsto dall'art. 114 disp. att. nei confronti del ricorrente comporterebbe una nullità di ordine generale ai sensi dell'art. 178 cod. proc. pen. trattandosi di disposizione concernente l'assistenza dell'imputato.
La difesa ha anche rimarcato che i documenti acquisiti nel corso degli accessi non sarebbero stati spontaneamente consegnati agli operanti in quanto, durante un accertamento amministrativo, il soggetto sottoposto al controllo è obbligato a fornire qualunque documentazione richiesta, diversamente da quanto previsto nel corso delle indagini penali in ossequio del principio del nemo tenenur se detegere.
La difesa ha, quindi, eccepito l'inutilizzabilità dei verbali di accesso, dei processi verbali di constatazione, delle dichiarazioni e della documentazione acquisita dall'Agenzia delle Entrate in occasione degli accessi del 14.10.2015, 30.10.2015,
24.e11.2015 perché acquisiti in violazione degli artt. 356,364,365 e 366 cod. proc. pen. e 220 disp. att.
4.3. Quarto motivo: violazione dell'art. 648-ter cod. pen. in relazione al reato di cui al capo 30).
I giudici di appello hanno ritenuto sussistente il reato di autoriciclaggio nonostante dalla lettura della sentenza di primo grado emergerebbe che nessun pagamento del prezzo stabilito per l'acquisto delle quote della società Teva sarebbe mai stato effettuato.
La difesa ha, inoltre, evidenziato che, nel caso di specie, nessuna condotta idonea in concreto ad ostacolare l'identificazione della provenienza delittuosa delle somme indicate nel capo di imputazione sarebbe stata dimostrata con conseguente insussistenza del reato di cui all'art. 648-ter cod. pen.
4.4. Quinto motivo: erronea applicazione degli artt. 187 e seguenti in considerazione dell'applicazione della prova presuntiva tributaria.
La motivazione sarebbe carente in quanto priva di autonoma valutazione delle risultanze degli accessi amministrativi e del restante materiale probatorio; nessun accertamento in concreto sarebbe stato effettuato nonostante la società oggetto di indagine fosse attiva, avesse numerosi dipendenti ed ampi spazi di lavoro, come peraltro chiarito nella sentenza di primo grado.
La Corte di merito avrebbe fondato la decisione su una serie di presunzioni tributarie desunte dai verbali di accesso in violazione del principio del libero convincimento del giudice e del divieto di ingresso delle presunzioni legali nel processo penale.
I giudici di appello non avrebbero proceduto alla necessaria indicazione dei criteri adottati e dei risultati acquisiti per la valutazione degli indizi posti a fondamento della decisione ai sensi dell'art. 192, comma 2, cod. proc. pen.
4.5. Sesto motivo: erronea applicazione dell'art. 10-quater D.L.gs. 74/2000.
I giudici di appello avrebbero ritenuto sussistente il reato di cui all'art. 10 quater D.L.gs. 74/2000 in considerazione del fatto che detta norma contiene indistinto riferimento all'art. 17 d.l.gs. 241/1997 e che, di conseguenza, tutti i crediti ivi contemplati sarebbero idonei all'indebita compensazione; tale affermazione sarebbe erronea in quanto l'omesso versamento delle somme riguarderebbe esclusivamente le imposte sui redditi e sul valore aggiunto e non già debiti di natura previdenziale o assistenziale.
Tale interpretazione, a giudizio della difesa, sarebbe in linea con le disposizioni comuni contenute nel Titolo III che si confrontano unicamente con i debiti tributari e le imposte evase; inoltre, le disposizioni contenute nell'art. 13, comma 1, che disciplinano la causa di non punibilità del pagamento del debito tributario in modo unitario rispetto alle tre fattispecie criminose di cui agli artt. 10-bis, 10ter e 10-quater, non sarebbero compatibili con gli obblighi di natura assistenziale o previdenziale, con conseguente punibilità delle sole condotte di omesso versamento delle succitate imposte.
4.6. Settimo motivo: mancanza di motivazione in ordine alla determinazione del trattamento sanzionatorio.
La difesa ha lamentato l'eccessività della pena irrogata nei confronti del ricorrente, determinata in modo irragionevole ed illogico in entità superiore a quella di imputati nei confronti dei quali è stata contestata anche la partecipazione al reato associativo.
5. Il difensore del ricorrente Ch.Ma., in data 11 dicembre 2023, ha depositato conclusioni scritte con le quali ha insistito nei motivi di ricorso.
6. Il difensore del ricorrente Mo.Sa., in data 11 dicembre 2023, ha depositato conclusioni scritte con le quali ha insistito nei motivi di ricorso.
Diritto
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il primo motivo del ricorso proposto dal Mo.Sa. è manifestamente infondato e dedotto in carenza di interesse.
Deve essere evidenziato che i reati di cui ai numeri 22 e 25 del capo di imputazione hanno ad oggetto condotte assolutamente sovrapponibili (si tratta di due violazioni dell'art. 10-quater D.Lgs. 74/2000 conseguenti al mancato versamento della somma di Euro 59.156,00 nel caso del capo 22 e della somma di Euro 51.327,00 nel caso del capo 25), di conseguenza, nessuna rideterminazione della pena era necessaria a seguito dell'ordinanza con la quale i giudici di appello hanno emendato l'errore materiale contenuto nel dispositivo letto in udienza (nella parte in cui veniva dichiarata l'estinzione per intervenuta prescrizione del reato di cui al capo 22 anziché del reato di cui al capo 25 come invece indicato in motivazione) trattandosi di condotte pressocché identiche e, quindi, sanzionabili nella medesima misura.
Peraltro, le Sezioni Unite hanno chiarito che, nel sistema processuale penale, la nozione di interesse ad impugnare va individuata in una prospettiva utilitaristica, ossia nella finalità negativa perseguita dal soggetto legittimato, di rimuovere una situazione di svantaggio processuale derivante da una decisione giudiziale, e in quella, positiva, del conseguimento di un'utilità, ossia di una decisione più vantaggiosa rispetto a quella oggetto del gravame, e che risulti logicamente coerente con il sistema normativo (Sez. U, n. 6624 del 27/10/2011, dep. 17/02/2012, Marinaj, Rv. 251693; Sez. 1, n. 8763 del 25/11/2016, Attanasio, Rv. 269199-01). Tali caratteristiche mancano nel caso in esame, visto che l'imputato non otterrebbe alcun vantaggio dall'annullamento della sentenza impugnata per le ragioni sopra esposte.
2. Il secondo motivo del ricorso proposto dal Mo.Sa. è fondato.
L'accesso agli atti, consentito ed anzi necessario in caso di questioni processuali, comprova, infatti, che, in considerazione della data di commissione del reato di cui al capo 22 (17 dicembre 2014) e della sospensione dei termini di prescrizione conseguente all'adesione del difensore all'astensione indetta dalle Camere Penali (pari a 14 giorni), il termine massimo di prescrizione si è perfezionato, in data 18 aprile 2022 e, quindi, in un momento antecedente all'emissione della sentenza di appello del 01 luglio 2022.
Si impone, pertanto, l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata limitatamente al capo 22 perché il reato è estinto per prescrizione. L'estinzione di detto reato rende necessario rideterminare la pena. In base all'art. 620, cod. proc. pen., tenuto conto dei criteri indicati nelle sentenze di merito, è possibile procedere direttamente ad eliminare il relativo aumento di pena e rideterminare la pena finale per le residue imputazioni in anni quattro, mesi otto di reclusione ed Euro 16.000 di multa.
3. Il terzo motivo del ricorso proposto dal Mo.Sa. ed il primo motivo del ricorso proposto dall'El.Kh., che possono esser trattati unitariamente in quanto sostanzialmente sovrapponibili, sono manifestamente infondati.
I giudici di merito hanno correttamente dato seguito al principio di diritto secondo cui la notifica dell'avviso di chiusura delle indagini preliminari, in caso di trasmissione degli atti conseguente ad una decisione del giudice che dichiari la propria incompetenza, deve essere rinnovata esclusivamente quando l'avviso sia fondato su ulteriori indagini ovvero abbia ad oggetto reati o aggravanti diverse da quelle contestate nel precedente avviso di conclusione (vedi Sez. 5, n. 10288 del 05/11/2018. El Kaisi, Rv. 275634 -01; Sez. 5, n. 1813 del 17/11/2021, non massimata).
Trattasi di una interpretazione, condivisa dal Collegio, aderente alla finalità dell'avviso della conclusione delle indagini preliminari, cioè quella di mettere la parte privata nella condizione di disporre di un patrimonio conoscitivo, in relazione al fatto per cui si procede e alle norme che si assumono violate, con la contestuale informazione dell'avvenuto deposito della documentazione relativa alle indagini e dell'esercizio delle facoltà difensive conseguenti.
Al di fuori di tale ambito, le esigenze di difesa della parte privata non appaiono meritevoli di tutela, pena la violazione di un principio di economia processuale - anch'esso posto a difesa dell'imputato e del tempo del processo - che attua la regola euristica pluralitas non est ponenda sine necessitate.
Facendo buon governo di questi consolidati principi, i giudici di merito hanno ritenuto che correttamente, nell'esercitare nuovamente l'azione penale dinanzi al giudice ritenuto competente, il Pubblico ministero non abbia provveduto a riemettere l'avviso ex art. 415-bis cod. proc. pen., posto che il Pubblico ministero, oltre a non modificare l'originaria imputazione, non ha svolto ulteriori indagini nel periodo intercorrente tra la trasmissione degli atti da parte della Procura della Repubblica di Pavia e l'esercizio dell'azione penale (vedi pag. 6 della sentenza di primo grado e pag. 38 della sentenza impugnata).
In particolare, i giudici di appello hanno correttamente affermato che il processo verbale di contestazione del 30 gennaio 2018, prodotto dalla difesa, non può rientrare nel concetto di "nuove indagini" in considerazione del fatto che tale verbale ha ad oggetto meri controlli amministrativi posti in essere "in autonomia" dall'Agenzia delle Entrate e del tutto indipendenti dall'attività di indagine svolta dalla Procura della Repubblica di Milano.
Si tratta di una motivazione, immune da profili di illogicità o erroneità, che ricostruisce correttamente la fase del passaggio del procedimento da Pavia a Milano, evidenziando in modo logico e condivisibile la mancanza di alcuna lesione dei diritti di difesa e correttamente applicando i principi enunciati dalla giurisprudenza di legittimità con conseguente manifesta infondatezza delle censure difensive.
4. Il quarto motivo del ricorso proposto dal Mo.Sa. è al contempo aspecifico e manifestamente infondato.
Il ricorrente reitera un'eccezione di inutilizzabilità già valutata e confutata dai giudici di merito i quali, con motivazione coerente con le risultanze processuali e priva di illogicità manifeste, hanno evidenziato che l'errore materiale contenuto nel provvedimento di ritardato deposito emesso dal giudice per le indagini preliminari non inficia la riferibilità di tale provvedimento alle attività di intercettazione oggetto della doglianza difensiva in considerazione della corretta indicazione del numero del registro intercettazioni che è identico (213/16) sia nella richiesta del pubblico ministero che nel provvedimento di ritardato deposito (vedi pagg. 7 ed 8 della sentenza di primo grado e pagg. 38 e 39 della sentenza impugnata).
Non può non essere rilevato come, nel riproporre la doglianza, il ricorrente si limiti a reiterare le censure già dedotte nelle precedenti fasi del giudizio, senza confrontarsi adeguatamente con le argomentazioni svolte dai giudici di merito, mancato confronto cui consegue l'aspecificità del motivo di ricorso.
Ciò premesso deve esser rimarcato che il ricorrente, insistendo nell'eccezione di inutilizzabilità già avanzata nella fase di merito, ignora il consolidato principio di diritto secondo cui le violazioni inerenti al ritardato deposito delle intercettazioni previsto dal comma 4 dell'art. 268 cod. proc. pen. non comportano l'inutilizzabilità delle captazioni giacché tale sanzione processuale è prevista dall'art. 271, comma 1, cod. proc. pen. soltanto nel caso di intercettazioni effettuate fuori dei casi stabiliti dalla legge o eseguite in difformità delle prescrizioni stabilite dagli artt. 267 e 268, commi 1 e 3 cod. proc. pen. (vedi Sez. 6, n. 14248 del 01/03/2017, Marinelli, Rv. 270025-01; Sez. 6, n. 8880 del 12/01/2018, Lo Iacono, Rv. 272337-01).
Di conseguenza la violazione degli altri obblighi previsti dall'art. 268 cod. proc. pen. non incidenti sull'obbligo di redazione del verbale e sulla certa individuazione degli impianti adoperati, non è causa di inutilizzabilità del contenuto delle intercettazioni con conseguente manifesta infondatezza del motivo di ricorso.
5. Il quinto motivo del ricorso proposto dal Mo.Sa. ed il terzo motivo del ricorso proposto dall'El.Kh., che possono esser trattati unitariamente avendo ad oggetto la medesima eccezione di inutilizzabilità, sono manifestamente infondati.
La Corte territoriale, con motivazione coerente con le risultanze istruttorie ed esente da illogicità manifeste, ha rimarcato che le attività di verifica di cui si duole il ricorrente "sono state decise su autonoma iniziativa dell'Agenzia delle Entrate in base ai propri poteri accertativi. i funzionari non risultano aver mai avuto contatti diretti con la Procura della Repubblica, essendosi esclusivamente interfacciati con la Guardia di finanza a cui avevano trasmesso i risultati delle verifiche", al contempo evidenziando che l'Ufficio Antifrode dell'Agenzia delle Entrate non è venuto a conoscenza dell'iscrizione degli indagati nel registro delle notizie di reato, come espressamente riferito dal teste Mo.Si. e che tutte le operazioni sono state svolte nel rispetto delle garanzie previste dal d.P.R. 633/1972 (vedi pagg. 39 e 40 della sentenza impugnata).
In ogni caso i giudici di merito hanno dato seguito al principio di diritto secondo cui i processi verbali di constatazione redatti dal personale dell'Agenzia delle Entrate possono essere acquisiti al fascicolo del dibattimento - con esclusione delle parti valutative e dichiarative - anche laddove l'accertamento sia stato svolto in data successiva all'iscrizione nel registro delle notizie di reato dei soggetti sottoposti a controllo amministrativo, non rientrando tra gli atti tassativamente indicati dall'art. 456 cod. proc. pen. per i quali è imposto l'avviso di cui all'art. 144 disp. att. (vedi Sez. 3, n. 7930 del 30/01/2015, Marchetti, Rv. 262518-01).
Deve essere, inoltre, ribadito che i processi verbali di contestazione dell'Agenzia delle Entrate sono predisposti da soggetti non legittimati a svolgere attività di polizia giudiziaria (vedi Sez. 3, n. 13502 del 09/02/2016, Mana, Rv. 266957-01) e non possono essere qualificati come atti processuali poiché non previsti dal codice di rito o dalle norme di attuazione né possono essere qualificati quali "particolare modalità di inoltro della notizia di reato" (art. 221 disp. att. cod. proc. pen.) in quanto i connotati di quest'ultima sono diversi.
I giudici di merito, pertanto, hanno correttamente applicato il granitico orientamento della giurisprudenza di legittimità, che questo Collegio intende ribadire, secondo cui i processi verbali di contestazione redatti dai dipendenti dell'Agenzia delle Entrate rientrano nella categoria dei verbali ricognitivi di natura amministrativa utilizzabili come documenti ai sensi dell'articolo 234 cod. proc. pen. (vedi Sez. 3, n. 15236 del 16/01/2015, Chiarella, Rv. 263050, in motivazione; Sez. 3 n. 51497 del 18/09/2018, Di Peso, non massimata).
6. Il sesto, settimo e ottavo motivo con i quali il ricorrente Mo.Sa. reitera le medesime doglianze inerenti alla ricostruzione dei fatti e all'interpretazione del materiale probatorio già espresse in sede di appello ed affrontate in termini precisi e concludenti dalla Corte territoriale sono articolati esclusivamente in fatto proposti al di fuori dei limiti del giudizio di legittimità, restando estranei ai poteri della Corte di Cassazione quello di una rilettura degli elementi probatori posti a fondamento della decisione ovvero l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti.
Detti motivi sono, al contempo, aspecifici in quanto reiterativi di medesime doglianze inerenti alla ricostruzione dei reati di cui ai capi 23 e 24 ed all'interpretazione del materiale probatorio già espresse in sede di appello ed affrontate in termini precisi e concludenti dalla Corte territoriale.
Tenuto conto della peculiare modalità di redazione dei motivi di ricorso, che hanno sostanzialmente riprodotto i motivi di appello inerenti ai reati di autoriciclaggio, si rende opportuno premettere, inoltre, che la funzione tipica dell'impugnazione è quella della critica argomentata avverso il provvedimento cui si riferisce.
Deve essere ribadito, in proposito, che se il ricorso si limita a riprodurre i motivi di appello, per ciò solo si destina all'inammissibilità, venendo meno in radice l'unica funzione per la quale è previsto e ammesso, posto che con siffatta mera riproduzione il provvedimento impugnato, lungi dall'essere destinatario di specifica critica argomentata, è di fatto del tutto ignorato (vedi Sez. 2, n. 42046 del 17/07/2019, Boutartour, Rv. 277710-01; Sez. 6, n. 23014 del 29/04/2021, B., Rv. 281521-01).
6.1. Ciò premesso deve essere rimarcato che i giudici di appello, con motivazione esaustiva e conforme alle risultanze processuali, che riprende le argomentazioni del giudice di primo grado come è fisiologico in presenza di una doppia conforme, hanno indicato la pluralità di elementi (la documentazione acquisita dalla polizia giudiziaria suffragata dalle dichiarazioni dei testi escussi nel giudizio di merito, dalle conversazione intercettata e dai PVC limitatamente alle parti non valutative) idonei a dimostrare la sussistenza dei contestati reati di cui all'art. 648-ter.1 cod. pen. ed il pieno coinvolgimento del ricorrente nella commissione di tali fattispecie criminose (vedi pagg. da 43 a 51 della sentenza impugnata).
A differenza di quanto apoditticamente affermato dal ricorrente, i giudici di merito hanno argomentato in modo articolato ed esente da illogicità manifesta in ordine alla provenienza delittuosa del denaro provento delle plurime frodi fiscali descritte nei capi 1.3 ed 1.4. e descritto analiticamente i meccanismi finanziari grazie ai quali il Mo.Sa. ed i suoi sodali hanno reimpiegato tali profitti illeciti in modo da ostacolare concretamente l'identificazione della loro provenienza delittuosa (vedi pagg. da 43 a 51 della sentenza impugnata).
La Corte di merito ha anche adeguatamente motivato in ordine al ruolo di artefice dell'intero disegno criminoso e di partecipe alla gestione di fatto delle società utilizzate per la realizzazione delle condotte di cui ai capi 23 e 24 dell'imputazione, facendo particolare riferimento: a) alla deposizione della teste St., responsabile amministrativa della società TEVA, la quale ha chiarito come gli ordini ricevuti da Mo.Sa. e El.Kh. fossero tutti finalizzati alle fraudolente compensazioni e non al reale funzionamento delle società; b) alla deposizione delle testi Br.Si. ed Di.An. che hanno indicato nel ricorrente il reale proprietario della società RT Multimedia dal dicembre 2012; c) al contenuto del foglio manoscritto in sequestro in cui sono indicate le diciannove società riconducibili al ricorrente; d) alle mail intercorse tra il Mo.Sa. e terzi aventi ad oggetto le procedure fraudolente oggetto di giudizio; e) al contenuto delle intercettazioni riportate nella sentenza di primo grado comprovanti il ruolo svolto dal Mo.Sa. nella complessiva vicenda delittuosa (vedi pagg. 44, 45, 46, 47, 48 e 51 della sentenza di appello).
Tale complessiva ricostruzione, in nessun modo censurabile sotto il profilo della completezza e della razionalità, è fondata su apprezzamenti di fatto non qualificabili in termini di contraddittorietà o di manifesta illogicità, e perciò è insindacabile in questa sede.
6.2. Il ricorrente, invocando una rilettura di elementi probatori estranea al sindacato di legittimità, chiede a questa Corte di entrare nella valutazione dei fatti e di privilegiare, tra le diverse ricostruzioni, quella a lui più gradita, senza confrontarsi adeguatamente con quanto motivato dalla Corte territoriale al fine di confutare le censure difensive prospettate in sede di appello e con le emergenze probatorie determinanti per la formazione del convincimento dei giudici di merito con conseguente aspecificità del motivo di ricorso.
I presunti travisamenti e vizi di motivazione indicati dal ricorrente hanno ad oggetto una considerazione parcellizzata ed atomistica degli elementi logico-fattuali riportati nella sentenza impugnata. Tali doglianze, peraltro, non corrispondono ad effettivi travisamenti di fatti storici o di prove da parte della Corte territoriale ma propongono visioni alternative alla realtà processuale posta alla base della decisione impugnata ovvero suggeriscono una interpretazione più dettagliata di fatti correttamente individuati dai giudici di merito, con conseguente inammissibilità in sede di legittimità.
6.3. Le doglianze con le quali il ricorrente lamenta l'illogica e contradditoria interpretazione e valutazione del contenuto delle dichiarazioni rese dai testi St. e Pi. non sono consentite in sede di legittimità.
La motivazione oggetto di ricorso contiene, infatti, una valutazione globale e completa in ordine a tutti gli elementi rilevanti del giudizio; non risultano esservi errori nell'applicazione delle regole della logica né contraddizioni interne tra i diversi momenti di articolazione del giudizio e risulta corretta attribuzione di significato dimostrativo agli elementi valorizzati nell'ambito del percorso seguito.
La Corte di Cassazione, che è giudice della motivazione e dell'osservanza della legge, non può, di conseguenza, divenire giudice del contenuto della prova, non competendogli un controllo sul significato concreto di ciascun elemento probatorio, riservato al giudice di merito, essendo consentito alla Corte regolatrice esclusivamente l'apprezzamento della logicità della motivazione.
Secondo la costante giurisprudenza di legittimità, è preclusa infatti "la possibilità di una nuova valutazione delle risultanze acquisite, da contrapporre a quella effettuata dal giudice di merito, attraverso una diversa lettura, sia pure anch'essa logica, dei dati processuali o una diversa ricostruzione storica dei fatti o un diverso giudizio di rilevanza o comunque di attendibilità delle fonti di prova" (così Sez. 3,
n. 18521 del 11/01/2018, Ferri, Rv. 273217; Sez. 5, n. 15041 del 24/10/2018, Battaglia, Rv. 275100 e Sez. 2, n. 29006 del 09/10/2020, Furci, non massimata).
7. Il nono motivo del ricorso del Mo.Sa. è in parte aspecifico ed in parte manifestamente infondato.
7.1. Destituita di fondamento è l'eccepita contraddittorietà della motivazione in ordine alla valutazione della deposizione della teste St. in relazione al reato associativo.
Oltre a ribadire quanto argomentato al precedente 6.3. in ordine ai limiti del giudizio di legittimità in tema di valutazione della prova testimoniale, deve esser rimarcata la carenza dell'ipotizzata contraddittorietà; i giudici di merito, con percorso argomentativo logico ed articolato, hanno desunto il ruolo di promotore del sodalizio criminoso non solo dalle dichiarazioni della St. ma dal complesso di elementi a suo carico desumibile dalla documentazione acquisita nel corso del dibattimento e dalle intercettazioni in atti, di conseguenza appare del tutto irrilevante l'ipotizzata diversa valutazione delle singole parti delle propalazioni della St. relative al contenuto delle plurime direttive che il Mo.Sa. dava alla testimone.
7.2. I giudici di appello hanno evidenziato, in modo logicamente ineccepibile, gli indicatori logico-fattuali da cui desumere il ruolo di promotore dell'associazione a delinquere rivestito dal Mo.Sa., il quale, unitamente al Ch.Ma., è stato l'ideatore e l'artefice del complesso meccanismo fraudolento rientrante nell'indeterminato programma criminale dell'associazione a delinquere di cui al capo 1 (vedi pagg. da 43 a 51 della sentenza impugnata).
La decisione dei giudici di appello, oltre ad esser coerente con le risultanze probatorie ed in particolare con il contenuto delle intercettazioni, delle deposizioni testimoniali e della documentazione acquisita dagli acquirenti, fa buon uso del costante indirizzo giurisprudenziale che ritiene promotore chi sia stato l'iniziatore ed ideatore dell'associazione, provocando l'adesione di terzi ai suoi scopi attraverso una attività di diffusione del programma (vedi Sez. 2, n. 52316 del 27/09/2016, Riva, Rv. 268962-01, e Sez. 1, n. 7462 del 22/04/1985, Arslan, Rv. 170230-01). I giudici di merito hanno, quindi, ragionevolmente affermato la sussistenza della fattispecie di cui al comma primo dell'art. 416 cod. pen. in quanto il compendio probatorio chiarisce inequivocabilmente l'insostituibile ruolo decisionale e gestionale ricoperto dal Mo.Sa.
7.3. A fronte di una motivazione articolata, priva di contraddizioni ed illogicità manifeste, il ricorrente si è limitato a riproporre una lettura generica e frazionata delle risultanze istruttorie, nel tentativo di accreditare una ricostruzione in fatto alternativa rispetto a quella recepita nelle sentenze di merito, senza peraltro confrontarsi con le coerenti argomentazioni sulle quali si fonda l'affermazione di responsabilità con conseguente vizio di specificità del motivo.
7.4. L'eccezione di inutilizzabilità delle dichiarazioni dibattimentali rese dal Notaio Li. è generica ed aspecifica.
7.4.1. Il Tribunale ha affermato che il notaio Li. è stato escusso come teste in quanto dagli atti a disposizione dei giudici del merito emergeva che il predetto non era stato mai "indagato dal P.M. nel presente procedimento o in procedimenti connessi" (vedi pag. 12 della sentenza di primo grado) con conseguente inapplicabilità della disciplina prevista dagli artt. 197-bis e 210 cod. proc. pen.
Le difese, al momento dell'escussione dibattimentale del Li., nulla hanno eccepito in merito alla necessità di escutere il dichiarante quale indagato o imputato in reato connesso o collegato e nessuna violazione degli artt. 197-bis e 210 cod. proc. pen. è stata eccepita in sede di appello.
Va, in proposito, ribadito l'orientamento ermeneutico di questa Corte secondo cui allorché venga in rilievo la verifica della veste processuale di un soggetto da escutere in dibattimento, è onere della parte interessata, di allegare, prima della assunzione delle dichiarazioni, le circostanze fattuali da cui risultano situazioni di incompatibilità a testimoniare ai sensi dell'art. 197-bis cod. proc. pen., sempre che la posizione del dichiarante non risulti già dagli atti nella disponibilità del giudice (Sez. 6, n. 12379 del 26/02/2016, Picciolo, Rv. 266422 -01; da ultimo Sez. 1, n. 1833 del 28/10/2022, Morisciano, non massimata).
Nel caso di specie, non è stato provato che il Tribunale, al momento dell'escussione del Li., avrebbe potuto evincere dagli atti a sua disposizione una eventuale incompatibilità a testimoniare del notaio e, di conseguenza, era onere degli imputati indicare gli elementi attestanti l'asserita incompatibilità, onere cui sia il Mo.Sa. che gli altri ricorrenti sono venuti meno.
7.4.2. Peraltro, la censura formulata in sede di legittimità è generica in quanto il ricorrente non ha prospettato la possibile, ed in ipotesi, decisiva influenza dell'elemento probatorio ritenuto inutilizzabile sulla complessiva motivazione posta a fondamento della affermazione di responsabilità, mediante l'esperimento della c.d. prova di resistenza.
Il Collegio intende dare continuità al principio fissato da questa Corte per il quale, quando si lamenti l'inutilizzabilità di un elemento probatorio, il ricorso deve illustrare, a pena di inammissibilità, l'incidenza dell'eventuale eliminazione ai fini della cosiddetta "prova di resistenza"; gli elementi di prova acquisiti illegittimamente devono incidere, scardinandola, sulla motivazione censurata e compromettere, in modo decisivo, la tenuta logica e l'intera coerenza della 1 motivazione, introducendo profili di radicale incompatibilità all'interno dell'impianto argomentativo del provvedimento impugnato (Sez. 2, n. 7986 del 18/11/2016, Lagumina, Rv. 269218-01; Sez. 5, n. 31823 del 06/10/2020, Lucamarini Rv. 279829-01; da ultimo Sez. 6, n. 46792 del 28/09/2023, Dedja, non massimata).
Nel caso di specie la genericità con cui viene formulato il motivo di ricorso non consente a questa Corte di apprezzare la eventuale decisività di quanto sostenuto dal ricorrente; non consente, in altri termini, di effettuare la prova di resistenza della motivazione e, quindi, di valutare se le residue risultanze probatorie siano comunque sufficiente a giustificare una identica decisione anche nella eventualità della sussistenza del vizio procedurale denunciato con conseguente vizio di specificità del ricorso.
8. Il decimo motivo di ricorso con cui il Mo.Sa. lamenta la mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche è al contempo aspecifico e dedotto per motivi non consentiti in sede di legittimità in quanto mira ad una rivalutazione della congruità del complessivo trattamento sanzionatorio la cui determinazione non è stata frutto di ragionamento viziato ma illogicità manifesta (vedi Sez. 2, n. 36104 del 27/04/2017, Mastro, Rv. 271243 Sez. 2, n. 47512 del 03/11/2022, Mannarino, non massimata).
La Corte territoriale ha correttamente valorizzato, ai fini del diniego delle circostanze attenuanti generiche, la gravità dei fatti - desumibile dalla sistematicità delle condotte e dalla significativa rilevanza del danno patito dall'Erario - nonché l'assenza di resipiscenza e la spregiudicatezza manifestata dal Mo.Sa. (vedi pag. 59 della sentenza impugnata), elementi con cui il ricorrente non si confronta con conseguente aspecificità del motivo.
9. Il primo, secondo e terzo motivo del ricorso proposto dal Ch.Ma., che possono essere trattati congiuntamente avendo ad oggetto doglianze inerenti alla partecipazione del ricorrente all'associazione a delinquere di cui al capo 1), sono aspecifici e non consentiti.
Il ricorso, fondato su una considerazione atomistica e parcellizzata delle risultanze probatorie, chiede a questa Corte di privilegiare ipotesi ricostruttive alternative e ciò all'evidente scopo di tacciare di illogicità manifesta il governo dei fatti positivamente accertati dai giudici di merito e sollecitare una diversa interpretazione e valutazione del compendio probatorio non perseguibile in sede di legittimità.
Deve essere, in proposito, sottolineato come le doglianze formulate dal Ch.Ma. siano dirette a contestare, nella sostanza, la ricostruzione del fatto non illogicamente operata nella sentenza impugnata, in termini sovrapponibili a quelli effettuati nella sentenza di primo grado; ciò senza considerare che, ai sensi dell'art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., non appartengono al controllo di legittimità sulla motivazione: la rilettura degli elementi fattuali posti a fondamento della decisione impugnata, il giudizio sulla rilevanza e attendibilità delle fonti di prova nonché l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito, essendo invece tale controllo circoscritto alla verifica che il provvedimento impugnato contenga l'esposizione delle ragioni giuridicamente significative che lo sorreggono, che il discorso giustificativo sia effettivo ed idoneo a rappresentare le ragioni che il giudicante ha posto a base della decisione adottata e, infine, che nella motivazione non siano riscontrabili contraddizioni né illogicità evidenti (Sez. 5, n. 51604 del 19/09/2017, D'Ippedico, Rv. 271623-01; Sez. 2, n. 39563 dell'08/09/2023, Lo Presti, non massimata).
9.1. Nel caso di specie la Corte di merito non si è limitata a richiamare la sentenza di primo grado, ma ha risposto specificamente alle doglianze oggi riproposte con argomentazioni adeguate, logiche ed omogenee rispetto a quelle del primo giudice.
I giudici di appello hanno, in particolare, rimarcato la specifica valenza probatoria delle prove raccolte nel corso del dibattimento sottolineando la chiarezza, univocità e concordanza del contenuto delle prove dichiarative e dibattimentali e la conseguente idoneità a dimostrare il ruolo di ideatore e promotore dell'ipotizzata associazione a delinquere svolto dal Ch.Ma.
La deliberazione della Corte territoriale è fondata su una interpretazione delle prove conforme a consolidate massime di esperienza e fondata su apprezzamenti di fatto non qualificabili in termini di manifesta illogicità e perciò insindacabili in questa sede.
Le sentenze di merito espongono plurimi, significativi e convergenti elementi, logico-probatori a sostegno dell'intraneità del ricorrente al sodalizio oggetto di scrutinio, desumibili dalle prove dichiarative e documentali nonché dalle conversazioni intercettate nel corso delle indagini preliminari che, a differenza di quando sostenuto dalla difesa, appaiono idonee a dimostrare la stabile ed attiva adesione del Ch.Ma. all'attività del sodalizio in esame ed il ruolo apicale dallo stesso rivestito (vedi pagg. da 43 a 58 della sentenza impugnata).
9.2. I giudici di appello, con percorso argomentativo privo di contraddizioni e fondato sulle prove documentali e dichiarative raccolte, hanno valorizzato come il ricorrente, in stretta collaborazione con il Mo.Sa., fosse la "mente" dei meccanismi fraudolenti nel capo di imputazione, interloquendo con il notaio Li. per la materiale redazione degli atti necessari per la costituzione delle società adoperate per il reimpiego del denaro provento dei reati tributari in precedenza commessi ed ottenendo profitti ben superiori a quelli che sarebbero spettati ad un mero intermediario (vedi su quest'ultimo aspetto pag. 48 della sentenza impugnata).
L'errore di impostazione nel quale cade il ricorrente è quello di far leva su elementi di prova ipotetici ovvero negativi (ci si riferisce alle doglianze con cui la difesa lamenta che il ricorrente non avrebbe ricoperto alcuna carica nelle società coinvolte, non avrebbe materialmente redatto dichiarazioni dei redditi e bilanci sociali, non avrebbe apposto visti di conformità né partecipato agli atti di cessione dei crediti rogati dal notaio Li.), abbandonando il piano dell'esperienza fenomenica per privilegiare ipotesi alternative e ciò all'evidente scopo di sollecitare una diversa interpretazione e valutazione del compendio probatorio, inammissibile in questa sede.
Le doglianze difensive si incentrano, in particolare, sul fatto che i giudici di merito avrebbero valorizzato un numero limitato di intercettazioni, peraltro ritenute dalla difesa generiche e non idonee a dimostrare la fattiva partecipazione del Ch.Ma. al sodalizio. La doglianza è destituita di fondamento, in quanto, pur cogliendo un aspetto oggettivo non contestabile e cioè il limitato numero di captazioni, non si confronta adeguatamente con il contenuto delle stesse.
Le conversazioni intercettate poste a fondamento della decisione, alla luce dei principi costantemente affermati dalla giurisprudenza di legittimità in materia di interpretazione e valutazione dei contenuti intercettati, risultano correttamente apprezzate dai giudici di merito in assenza di profili di illogicità o irragionevolezza ed in mancanza di travisamenti del loro contenuto.
La valutazione delle conversazioni captate e delle altre prove documentali e dichiarative attestanti il ruolo svolto dall'imputato in seno all'associazione in esame e la continuità che contraddistingueva l'attività svolta dal ricorrente, rendono ragione dell'attribuzione al Ch.Ma. di una posizione apicale nella struttura organizzativa del sodalizio criminoso di cui al capo 1 dell'imputazione.
In particolare, i giudici di appello hanno correttamente argomentato che proprio la necessità di non "esporre" in maniera evidente il Ch.Ma., in considerazione del fondamentale ruolo ideativo e decisionale dell'intero meccanismo fraudolento conseguente all'accertata piena conoscenza della legislazione tributaria e societaria, ha indotto l'imputato ed il suo sodale Mo.Sa. ad affidare le cariche sociali e le mansioni esecutive a soggetti compiacenti o a vere e proprie "teste di legno".
Il giudizio espresso nella doppia decisione conforme, pertanto, non presenta aspetti di illogicità o contraddittorietà, posto che il tenore delle prove valutate in motivazione consente di affermare la correttezza della valutazione dei giudici di merito che hanno ritenuto provato il ruolo di promotore e organizzatore svolto dal Ch.Ma.
La complessiva ricostruzione descritta in sentenza, in nessun modo censurabile sotto il profilo della completezza e della coerenza con le risultanze processuali, è fondata su apprezzamenti di fatto non qualificabili in termini di contraddittorietà o di manifesta illogicità ed è pertanto insindacabile in questa sede.
Va, in proposito, ribadito che non è compito del giudice di legittimità stabilire se la decisione di merito proponga o meno la migliore ricostruzione dei fatti né che debba condividerne la giustificazione, dovendo limitarsi a verificare se questa giustificazione sia compatibile con il senso comune e con i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento.
10. Il quarto motivo dell'impugnazione del Ch.Ma. è aspecifico e non consentito.
10.1. Il ricorrente, pur eccependo formalmente violazione di legge e motivazione manifestamente illogica e contraddittoria, contesta in realtà la ricostruzione dei fatti svolta dai giudici di merito in ordine ai reati di cui ai capi 14) e 15), sollecitando una rilettura degli elementi posti a fondamento della decisione mediante l'adozione di diversi parametri di ricostruzione e valutazione, richiesta preclusa in sede di legittimità.
La difesa propone una interpretazione alternativa del ruolo svolto dal Ch.Ma. nelle condotte che hanno permesso il reimpiego dei proventi dei reati tributari che, oltre a risultare irricevibile in questa sede in quanto volta ad una diversa valutazione fattuale del materiale probatorio, è del tutto congetturale, priva di riscontri ed incompatibile con il contenuto delle conversazioni intercettate, dei documenti acquisiti e delle dichiarazioni rese dai testimoni escussi.
Occorre ribadire, in proposito, che il sindacato di legittimità non ha ad oggetto la revisione atomistica del giudizio di merito, bensì la verifica della struttura logica del provvedimento, verifica che non può quindi estendersi alla valutazione dei singoli elementi di fatto acquisiti al processo, compito riservato alla competenza del giudice di merito.
10.2. La Corte territoriale, con motivazione priva di illogicità manifeste e congrua rispetto alle risultanze processuali, che riprende le argomentazioni dal Giudice di primo grado come è fisiologico in presenza di una doppia conforme, ha correttamente indicato e valutato gli elementi probatori ritenuti idonei a dimostrare come le condotte poste in essere dal Ch.Ma. e dai suoi complici fossero destinate ad ostacolare l'identificazione della provenienza delittuosa dei profitti dei reati tributari indicati nel capo di imputazione (vedi pagg. 50 e 51 della sentenza impugnata).
La valutazione finale della Corte territoriale in ordine alla penale responsabilità del Ch.Ma. in ordine ai reati di cui ai capi 14) e 15) dell'imputazione risulta, in conclusione, immune da rilievi censori sul piano logico e da aporie di carattere giuridico.
11. Il quinto motivo del ricorso proposto dal Ch.Ma. è manifestamente infondato.
A differenza di quanto apoditticamente affermato dal ricorrente, i giudici di appello hanno valutato e confutato le argomentazioni difensive nonché indicato in modo approfondito ed articolato gli elementi logico-probatori da cui desumere il pieno coinvolgimento del Ch.Ma. nella commissione dei reati contestatigli (vedi pagg. da 43 a 51 della sentenza di appello).
Deve essere, inoltre, ribadito che il giudice di appello non è tenuto a compiere un'analisi approfondita di tutte le deduzioni delle parti, essendo invece sufficiente che, anche attraverso una valutazione globale delle risultanze processuali, spieghi, in modo logico e adeguato, le ragioni del suo convincimento, dimostrando di aver tenuto presente ogni fatto decisivo. Ne consegue che debbono considerarsi implicitamente disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata; in sede di legittimità, non è, infatti, censurabile la sentenza, per il suo silenzio su una specifica deduzione prospettata col gravame, quando questa risulta disattesa dalla motivazione complessivamente considerata, essendo sufficiente, per escludere la ricorrenza del vizio previsto dall'art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., che la sentenza evidenzi, come nel caso di specie, una ricostruzione dei fatti che conduca alla reiezione della prospettazione difensiva implicitamente e senza lasciare spazio ad una valida alternativa (Sez. 2, n. 35817 del 10/07/2019, Sirica, Rv. 276741; Sez. 5, n. 6746 del 13/12/2018, Currò, Rv. 275500).
12. Il sesto motivo di impugnazione con cui il Ch.Ma. eccepisce l'inutilizzabilità delle dichiarazioni rese dal teste Li. è generico ed aspecifico.
In proposito è sufficiente riportarsi a quanto già argomentato (par. 7.4) in ordine all'identica doglianza esposta nel nono motivo del ricorso proposto dal Mo.Sa.
13. Il settimo motivo di ricorso con cui il Ch.Ma. lamenta la mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche è aspecifico e dedotto per motivi non consentiti in sede di legittimità.
La Corte territoriale, con motivazione coerente con le risultanze istruttorie ed esente da illogicità manifeste, ha fondato il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, sulla gravità dei fatti - desumibile dalla sistematicità delle condotte e dalla significativa rilevanza del danno patito dall'Erario - nonché sulla mancata dimostrazione di alcuna resipiscenza da parte del Ch.Ma. (vedi pag. 59 della sentenza impugnata).
Deve essere, in proposito, ribadito il principio di diritto secondo cui, nel motivare il mancato riconoscimento delle attenuanti generiche, il giudice di merito non è obbligato a prendere in considerazione tutti gli elementi rilevabili dagli atti o dedotti dalle parti, essendo sufficiente che la motivazione faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo disattesi o l superati tutti gli altri da tale valutazione.
Tale giudizio costituisce, infatti esercizio di un potere valutativo riservato alla discrezionalità del giudice di merito nei soli limiti atti a far emergere in misura sufficiente la valutazione circa l'adeguamento della pena alla gravità effettiva del reato e alla personalità del reo e non censurabile in sede di legittimità se fondato, come nel caso di specie, su una motivazione esente da illogicità manifeste (Sez. 3, n. 2233 del 17/06/2021, Bianchi, Rv. 282693-01; Sez. 2, n. 23903 del 15/07/2020, Marigliano, Rv. 279549-02).
14. L'ottavo motivo del ricorso con il quale il Ch.Ma. eccepisce l'inutilizzabilità delle intercettazioni per carenza dei provvedimenti autorizzativi, è del tutto generico e aspecifico.
Il ricorrente si limita a dedurre la mancanza dei provvedimenti autorizzativi con affermazioni generiche, estremamente sintetiche e prive di un reale nesso critico con il percorso argomentativo delle sentenze di merito.
Il Collegio intende dare seguito al principio di diritto affermato dalle Sezioni Unite secondo cui il ricorso per cassazione è inammissibile per difetto di specificità dei motivi quando non risultano, come nel caso di specie, esplicitamente enunciati e argomentati i rilievi critici rispetto alle ragioni di fatto o di diritto poste a fondamento della decisione impugnata (Sez. U, n. 8825 del 27/10/2016, Galtelli, Rv. 268822-01).
15. Il secondo motivo di impugnazione con cui l'El.Kh. eccepisce l'incompetenza territoriale del Tribunale di Milano è al contempo aspecifico e manifestamente infondato.
Il ricorrente, con affermazioni apodittiche ed assertive, sostiene la mancata consumazione del reato di autoriciclaggio e la conseguente competenza territoriale del Tribunale di Monza senza confrontarsi con le corrette argomentazioni con le quali i giudici di appello hanno rigettato l'identico motivo di appello.
La Corte territoriale, con motivazione priva di aporie ed illogicità, ha ritenuta corretta la decisione con cui il primo giudice ha respinto l'eccezione di incompetenza territoriale in considerazione del fatto che il reato più grave tra quelli in contestazione (l'autoriciclaggio di cui ai capi 14 e 30) si è consumato a G - comune che rientra nel circondario del Tribunale di Milano - al momento del versamento nelle casse della società TEVA della somma pari 343.896,57, denaro proveniente dai reati tributari di cui al capo di imputazione che veniva, quindi, reimpiegato dagli imputati per l'acquisto delle quote societarie della predetta persona giuridica (vedi pagg. 5 e 6 della sentenza di primo grado e pag. 40 della sentenza oggetto di ricorso), ricostruzione non censurabile in quanto fondata su apprezzamenti di fatto non qualificabili in termini di contraddittorietà o di manifesta illogicità.
Detta valutazione, peraltro, risulta insindacabile, considerato che "la competenza va determinata, in base al principio della perpetuatio iurisdictionis, con criterio ex ante, sulla scorta della situazione risultante dalle figure soggettive e dagli addebiti indicati nella formulazione dell'imputazione e che la competenza va attribuita sulla base di ciò che si "prospetta " e non di ciò che si "ritiene", e quindi facendo riferimento alle linee fattuali contenute nella originaria notizia di reato, prescindendo da ogni valutazione di merito in ordine alla sua fondatezza o alla effettiva ravvisabilità delle originarie ipotesi di connessione" (così Sez. U, n. 53390 del 26/10/2017, G., Rv. 271223, in motivazione).
16. Il quarto motivo di impugnazione proposto dal ricorrente El.Kh. è aspecifico.
Entrambe le sentenze hanno dato adeguatamente conto delle ragioni che hanno indotto i giudici di merito ad affermare che il ricorrente abbia commesso il reato di cui all'art. 648-ter.1 cod. pen., a seguito di una valutazione degli elementi probatori che appare rispettosa dei canoni di logica e dei principi di diritto che governano l'apprezzamento delle prove.
La Corte territoriale, con motivazione coerente con le risultanze istruttorie ed esente da illogicità, ha ritenuto dimostrato il reimpiego in attività economiche dei proventi dei reati tributari per un importo pari a 343.896,57 Euro; le condotte descritte nel capo 30 sono state correttamente ritenute idonee a perfezionare gli elementi costitutivi del reato di cui all'art. 648-ter.1 cod. pen. in considerazione della natura fraudolenta e dissimulatoria delle operazioni di trasferimento del denaro di provenienza delittuosa ed a prescindere dalla formale causale con cui tali versamenti sono stati indicati nella documentazione contabile e finanziaria delle società coinvolte (vedi pagg. 50 e 51 della sentenza impugnata).
Il ricorso, a fronte della ricostruzione adottata dai giudici di appello, non offre la compiuta rappresentazione e dimostrazione, di alcuna evidenza di per sé dotata di univoca, oggettiva e immediata valenza esplicativa, tale, cioè, da disarticolare, a prescindere da ogni soggettiva valutazione, il costrutto argomentativo della decisione impugnata con conseguente aspecificità del motivo di impugnazione.
17. Il quinto motivo di ricorso, con cui l'El.Kh. lamenta la violazione degli artt. 187 e seguenti cod. proc. pen. conseguente all'asserita applicazione della prova presuntiva tributaria, è generico ed aspecifico.
La Corte territoriale, con percorso argomentativo privo di contraddizioni, aporie ed illogicità manifeste, hanno escluso che il primo giudice abbia fatto ricorso alle cd. presunzioni tributarie ed evidenziato che la condanna del ricorrente è fondata su una congerie di elementi indiziari ritenuti idonei a dimostrare la penale responsabilità del ricorrente secondo i criteri previsti dall'art. 192 cod. proc. pen. (vedi pag. 52 della sentenza impugnata).
Il ricorrente, a fronte di una motivazione coerente con le risultanze processuali e logicamente corretta, si limita a reiterare la doglianza già dedotta in appello con affermazioni generiche ed apodittiche, senza indicare i punti di motivazione in relazione ai quali i giudici di merito avrebbero fatto ricorso alle presunzioni tributarie e violato le disposizioni di cui agli artt. 187 e seguente cod. proc. pen. e senza confrontarsi con quanto affermato sul punto dalla Corte di merito con conseguente aspecificità del motivo di impugnazione.
Appare evidente che il ricorso così formato non si sostanzia in una ragionata censura del provvedimento impugnato ma si risolve in una generalizzata critica, che non permette al giudice di legittimità di percepire con esattezza l'oggetto delle censure e si pone come fonte strumentale di successivi ricorsi straordinari (vedi Sez. 2, n. 30918 del 07/05/2015, Falbo, Rv. 264441-01; Sez. 6, n. 10250 del 11/10/2017, Valle, Rv. 272725-01).
Deve essere, in proposito, ribadito che il requisito della specificità dei motivi implica l'onere di indicare, in modo chiaro e preciso, gli elementi fondanti le censure addotte, al fine di consentire al giudice di legittimità di individuare i rilievi mossi ed esercitare il proprio sindacato (Sez. 6, n. 17372 del 08/04/2021, Cipolletta, Rv. 281112-01; da ultimo Sez. 2, n. 47879 dell'08/11/2023, Costa, non massimata), onere che non risulta rispettato nel caso di specie.
18. Il sesto motivo del ricorso proposto dall'El.Kh. è manifestamente infondato.
18.1. I giudici di appello, con motivazione articolata e coerente con le risultanze istruttorie, hanno correttamente applicato il consolidato e condivisibile orientamento della giurisprudenza di legittimità secondo cui il mancato pagamento di somme dovute al titolo di contributi previdenziali e assistenziali costituisce condotta idonea a perfezionare il reato di cui all'art. 10-quater D.Lgs. 74/2000 in quanto tale norma incriminatrice ricomprende sia la c.d. compensazione verticale, riguardante crediti e debiti per tributi di natura omogenea sia la c.d. compensazione orizzontale, concernente crediti e debiti di imposta di natura diversa e, quindi, anche non afferenti alle imposte dirette o all'Iva (vedi Sez. 3, n. 8689 del 30/10/2018, dep. 2019, Dalla Torre, Rv. 27501501; Sez. 3, n. 5934 del 12/09/2018, dep. 2019, Giannino, Rv. 275833; Sez. 6, n. 37085 del 28/09/2021, De Maio, Rv. 281958-01; da ultimo Sez. 3, n. 2779 del 12/10/2023, Cravarezza, non massimata).
Il Collegio intende, ribadire, in proposito, che l'essenza della condotta sanzionata dall'art. 10-quater del d.l.gs. n. 74 del 2000 non è rappresentata dall'omogeneità o eterogeneità delle imposte compensate ma dal ricorso a un istituto applicato in assenza di un valido titolo legittimante, per cui a rilevare, più che la dimensione formale, è la natura sostanziale dell'operazione realizzata.
Di conseguenza il delitto contestato si concretizza ogniqualvolta la condotta omissiva supportata dalla redazione di un documento ideologicamente falso sia, come nel caso di specie, idonea a prospettare una compensazione fondata su un credito inesistente o non spettante, a prescindere dalla natura del tributo.
18.2. Anche l'ulteriore affermazione difensiva secondo cui la corretta interpretazione della causa di non punibilità del pagamento del debito tributario prevista dall'art. 13, comma 1, del D.Lgs. n. 74 del 2000 nella parte in cui parifica le tre fattispecie di cui agli art. 10-bis, 10-ter e 10-quater, dimostrerebbe che la norma di cui all'art. 10-quater punirebbe esclusivamente l'omesso versamento delle imposte sui redditi e sul valore aggiunto si pone in insanabile contrasto con quanto affermato da questa Corte in modo univoco ed assolutamente condivisibile (vedi Sez. 3, n. 13149 del 03/03/2020, Bonelli, Rv. 279118-01 secondo cui il medesimo argomento utilizzato dall'odierno ricorrente: "non tiene conto del chiaro disposto normativo del citato art. 17, del D.Lgs. 9 luglio 1997 n. 241. Quest'ultimo, menzionato dall'art. 10-quater, non limita infatti in alcun modo la facoltà del contribuente di procedere alla compensazione di postazioni di debito o credito afferenti alla medesima imposta (cd. compensazione verticale), essendo l'innovazione introdotta dalla disposizione dell'art. 10-quater, D.Lgs. n. 74 del 2000, costituita proprio dal superamento del concetto di compensazione tradizionale tra debiti e crediti di imposta della stessa natura (compensazione c.d. verticale, che non obbliga il contribuente alla presentazione del modello F24 se non nel caso in cui emerga un residuo a debito), mediante l'estensione della facoltà di compensazione anche a debiti e crediti di natura diversa, nonché alle somme dovute agli enti previdenziali (c.d. compensazione orizzontale, che invece viene effettuata mediante la presentazione obbligatoria del modello F24). Devesi cioè ritenere che l'art. 17 ha solo allargato le ipotesi di compensazione già previste dalle norme tributarie, senza prevedere che l'istituto possa trovare applicazione solo relativamente a tributi della stessa specie o di specie diversa").
19. Il settimo motivo di ricorso con cui l'El.Kh. deduce il vizio di motivazione in ordine alla determinazione della pena, è al contempo manifestamente infondato e non consentito in sede di legittimità in quanto mira ad una nuova valutazione della congruità della pena la cui determinazione, sorretta da sufficiente motivazione, non è stata frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico (vedi Sez. 2, n. 36104 del 27/04/2017, Mastro ed altro, Rv. 271243 Sez. 2, n. 47512 del 03/11/2022, Mannarino, non massimata).
19.1. La Corte territoriale, con argomentazioni coerenti con le risultanze processuali ed immuni da illogicità manifeste, ha ritenuto congrua la pena determinata dal primo giudice in misura superiore al minimo edittale in ragione della gravità dei fatti e delle ulteriori cinque condotte delittuose poste in essere dall'El.Kh. (vedi pag. 59 della sentenza impugnata), elementi con i quali il ricorso ha omesso di confrontarsi adeguatamente.
Il Collegio intende ribadire, in proposito, il consolidato orientamento di questa Corte in materia di oneri motivazionali correlati alla definizione del trattamento sanzionatorio, secondo il quale la determinazione della pena costituisce il risultato di una valutazione complessiva e non di un giudizio analitico sui vari elementi offerti dalla legge, sicché l'obbligo di una motivazione rafforzata sussiste solo allorché la pena si discosti significativamente dal minimo edittale, mentre, nel caso in cui venga irrogata una pena al di sotto della media, è sufficiente il richiamo al criterio di adeguatezza della pena, nel quale sono impliciti gli elementi di cui all'art. 133 cod. pen. (Sez. 3, n. 29968 del 22/02/2019, Del Papa, Rv. 276288-01; Sez. 5, n. 47783 del 27/10/2022, Haddi, non massimata).
19.2. Destituita di fondamento è la censura con cui il ricorrente lamenta l'illogicità della motivazione nella parte in cui i giudici di merito hanno irrogato nei confronti dell'El.Kh. una pena superiore a quella determinata nei confronti del co-imputato Sp., nonostante quest'ultimo sia stato condannato anche per il reato associativo.
La lamentata illogicità non è assolutamente ravvisabile in considerazione del fatto che, nel caso dell'El.Kh., la pena base è stata determinata in relazione ad un reato (art. 648-ter.1 cod. pen.) per cui era prevista una pena edittale sensibilmente maggiore di quella prevista per il reato più grave contestato allo Sp. (art. 8 D.Lgs. 74/2020 nella sua formulazione precedente alla novella del 2019).
Peraltro, il giudice di primo grado, con motivazione ritenuta corretta dalla Corte di merito, ha correttamente specificato di aver concesso le attenuanti generiche esclusivamente allo Sp. in ragione della minima importanza del suo ruolo e della conseguente necessità di una maggiore mitigazione della pena, circostanza non ritenuta sussistente nel caso dell'El.Kh. e degli altri imputati (vedi pag. 43 della sentenza di primo grado e pag. 59 della sentenza impugnata).
Appare, pertanto, evidente che tali circostanze (pena edittale superiore e mancato riconoscimento delle attenuanti generiche) hanno inevitabilmente e logicamente comportato l'applicazione al ricorrente di una pena più grave di quella irrogata al co-imputato Sp. con conseguente manifesta infondatezza della censura difensiva.
20. All'inammissibilità dei ricorsi consegue la condanna dei ricorrenti Ch.Ma. ed El.Kh. al pagamento delle spese del procedimento nonché, ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al pagamento in favore della cassa delle ammende della somma di Euro tremila ciascuno, così equitativamente fissata.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di Mo.Sa., limitatamente al capo 22 perché il reato è estinto per prescrizione, e per l'effetto ridetermina la pena per le residue imputazioni in anni quattro, mesi otto di reclusione ed Euro 16.000 di multa. Dichiara inammissibili i ricorsi di Ch.Ma. ed El.Kh. che condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila ciascuno in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso, il 14 dicembre 2023.
Depositata in Cancellaria il 3 aprile 2024.