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Intercettazioni: omessa consegna dei files audio da parte del PM - Art. 268 c.p.p.

Intercettazioni

Cassazione penale , sez. VI , 19/12/2023 , n. 4021

In tema di riesame, l'omessa consegna da parte del pubblico ministero dei files audio delle registrazioni di conversazioni intercettate, utilizzate per l'emissione dell'ordinanza cautelare, determina l'inutilizzabilità a fini cautelari di tali conversazioni nel caso in cui, pur in mancanza di formule sacramentali nella richiesta di accesso, sussistano elementi, desumibili dal suo contenuto o dal comportamento del difensore, da cui desumere inequivocabilmente la riferibilità di detta richiesta al soddisfacimento di esigenze correlate allo stato custodiale dell'indagato.

Utilizzazione dei risultati delle intercettazioni operate con captatore informatico: La Corte chiarisce l'ambito di applicazione dell'art. 270, comma 1-bis c.p.p.

Intercettazioni: omessa consegna dei files audio da parte del PM - Art. 268 c.p.p.

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Intercettazioni con captatore informatico: sono utilizzabili se eseguite nel domicilio anche in assenza di attività criminosa

Intercettazioni: il mancato rilascio di copia delle registrazioni da parte del PM non è causa di inutilizzabilità

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La sentenza integrale

FATTI DI CAUSA 1. Il Tribunale del riesame di Catanzaro confermava l'ordinanza con la quale il ricorrente era stato sottoposto alla misura della custodia cautelare in carcere, in quanto indiziato dei reati di associazione mafiosa di cui all'art. 416-bis cod. peno (cap. 1) e di estorsione (capo 48). 2. Avverso tale ordinanza, il ricorrente ha formulato quattro motivi di impugnazione. 2.1. Con il primo motivo, deduce la nullità dell'ordinanza in quanto resa nonostante la difesa avesse chiesto e non ottenuto di ascoltare la conversazione di cui al progr. 2312 R.i.t. 652/19, costituente la prova principale quanto meno con riferimento al reato di estorsione. Rappresenta il ricorrente che il Tribunale aveva erroneamente ritenuto l'insussistenza della lesione del diritto di difesa, sul presupposto che non era stata esplicitata la ragione dell'urgenza derivante dalla proposizione del riesame. Sostiene la difesa che, al momento in cui l'istanza di accesso è stata formulata (16 giugno 2023), non era stata fissata la data del riesame e, quindi, l'istanza non poteva essere motivata con riguardo a tale incombente processuale. 2.2. Con il secondo motivo, deduce violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza relativamente alla partecipazione all'associazione di 'ndrangheta, operante nel territorio di Br., della cui effettiva esistenza non era stata data alcuna prova. Il ricorrente sottolinea, altresì, plurime carenze motivazionali, evidenziando che: i collaboratori di giustizia non l'avevano mai indicato quale associato; non vi erano rapporti con il fratello, da tempo detenuto, tanto meno risultavano buoni rapporti con il nipote, Ac.An., nonostante questi fosse indicato quale soggetto apicale dell'associazione; non risultavano rapporti diretti con altri partecipanti all'associazione; la somma in contanti rinvenuta presso la sua abitazione, pari a Euro 6.800,00, non poteva essere ricondotta ad attività delittuose, tant'è che non era stata neppure sequestrata, avendo origine lecita di cui era stata data dimostrazione; il suddetto importo non poteva sicuramente essere ritenuto il provento dell'estorsione contestata al capo 48), posto che il rinvenimento della stessa (nel corso della perquisizione del 21 febbraio 2019) è precedente rispetto all'asserita epoca di commissione del reato; il ricorrente era stato vittima di due tentate estorsioni - contestate ai capi 33) e 34) - commesse da altri soggetti ritenuti appartenenti al sodalizio, il che dimostrerebbe di per sé l'infondatezza della contestazione di cui all'art. 416-bis cod. pen., non essendo logicamente ipotizzabile la commissione di tali reati tra soggetti operanti all'interno del medesimo sodalizio. In conclusione, il ricorrente ritiene che il Tribunale non abbia esaminato compiutamente i plurimi elementi ritenuti idonei a dimostrando la sua estraneità all'associazione. A tal riguardo, è stata stigmatizzata la circostanza per cui, a fronte della complessiva contestazione di quasi 200 reati fine, al ricorrente si contesti il 5010 episodio estorsivo formulato al capo 48): già tale dato dovrebbe ritenersi di per sé dimostrativo dell'estraneità del ricorrente rispetto alla cospicua attività criminale svolta dal sodalizio. 2.3. Con il terzo motivo, deduce violazione di legge e vizio di motivazione in merito alla ritenuta sussistenza della gravità indiziaria per l'imputazione di cui al capo 48). Evidenzia il ricorrente la sua sostanziale estraneità all'estorsione, materialmente commessa da altri, ai danni del proprietario di una struttura turistica, il quale era costretto a versare la somma mensile di Euro 5.000,00. Il coinvolgimento del ricorrente emergerebbe solo nella conversazione del 15 luglio 2019, nella quale Ba.Fr., parlando con Va.Da. (entrambi ritenuti associati), chiedeva a quest'ultimo di procurargli il numero telefonico di Ac.Vi. Successivamente Ac.Vi. e Ba.Fr. si sono incontrati e, dalla conversazione di cui al progr. 2312 del 15/7/2019 (di cui la difesa aveva chiesto vanamente l'audizione), non risulterebbe in alcun modo che Ac.Vi. avesse partecipato all'estorsione o ne fosse anche meramente consapevole. 2.4. Con il quarto motivo, deduce violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza dell'aggravante dell'agevolazione mafiosa. Sostiene il ricorrente che, ove pure si ritenesse che l'estorsione contestata al capo 48) fosse finalizzata a garantire le somme necessarie per il sostentamento del fratello detenuto, non potrebbe per ciò solo desumersi che il reato era volto ad agevolare l'associazione. RAGIONI DELLA DECISIONE 1. Il ricorso è fondato. 2. Il primo motivo di ricorso, concernente l'omesso rilascio di copia della registrazione delle intercettazioni sulle quali si fonda la gravità indiziaria relativamente al capo 48), è fondato. Occorre premettere che non è contestato l'omesso accesso alla registrazione audio, avendo il Tribunale ritenuto che la richiesta non conteneva l'esplicitazione della necessità di acquisire la conversazione in vista della proposizione del riesame, il che legittimerebbe l'intempestivo rilascio della copia. A supporto di tale assunto, il Tribunale richiama un orientamento giurisprudenziale (Sez.2, n. 27865 del 14/5/2019, Sepe, Rv. 277016; Sez. 2, n. 51935 del 28/9/2018, Pannofino, Rv. 275065) che, tuttavia, non appare condivisibile. Ritiene questa Corte, infatti, che debba darsi prevalenza all'orientamento secondo cui, in tema di riesame, l'omessa consegna da parte del pubblico ministero dei file audio delle registrazioni di conversazioni intercettate, utilizzate per l'emissione dell'ordinanza cautelare, determina l'inutilizzabilità a fini cautelari di tali conversazioni nel caso in cui, pur in mancanza di formule sacramentali nella richiesta di accesso, sussistano elementi, desumibili dal suo contenuto o dal comportamento del difensore, da cui desumere inequivocabilmente la riferibilità di detta richiesta al soddisfacimento di esigenze correlate allo stato custodiale dell'indagato (Sez.6, n. 32391 del 22/5/2019, Rugnetta, Rv. 276476). 2.1. La disciplina concernente i diritti difensivi conseguenti all'adozione della misura cautelare è chiaramente improntata all'esigenza di consentire la tempestiva ed incondizionata possibilità dell'indagato ad esaminare tutti gli atti che sono stati utilizzati dal pubblico ministero nell'avanzare la richiesta. In base al combinato disposto degli artt.291, comma l, e 293, comma 3, cod. proc. pen., il pubblico ministero deve depositare presso la cancelleria del g.i.p. quanto meno le trascrizioni sommarie delle intercettazioni, limitatamente alle comunicazioni e conversazioni rilevanti, ove devono rimanere a disposizione della difesa dopo l'adozione della misura. In tal modo si realizza, quindi, la selezione delle conversazioni rilevanti in fase cautelare, consentendo da un lato al pubblico ministero di non disvelare integralmente il materiale d'indagine, dall'altro di permettere alla difesa l'immediato acceso alle fonti di prova sulle quali si basa l'adozione della misura. Tale selezione, peraltro, è sostanzialmente un'anticipazione parziale di quella - complessiva e tendenzialmente definitiva - che avviene nel momento del deposito delle intercettazioni telefoniche in sede di conclusione delle indagini preliminari. La compiuta regolamentazione della selezione e del deposito delle intercettazioni telefoniche in fase cautelare è strettamente funzionale al diritto dell'imputato ad estrarre copia delle trascrizioni sommarie, nonché a richiedere copia delle registrazioni ritenute rilevanti dalla pubblica accusa, come riconosciuto prima con gli interventi della Corte costituzionale (sent. n.336 del 2008 e sent. n. 192 del 1997) e, successivamente, mediante la riformulazione dell'art.293, comma 3, cod. proc. pen., in occasione della recente riforma delle intercettazioni. Proprio in virtù di tali principi, concorde giurisprudenza riconosce che, a seguito dell'adozione della misura cautelare, il difensore ha diritto di esaminare ed estrarre copia dei verbali delle intercettazioni, nonché di ottenere la trasposizione delle intercettazioni su supporto idoneo. L'illegittima compressione del diritto di difesa, derivante dal rifiuto o dall'ingiustificato ritardo del pubblico ministero nel consentire al difensore, prima del loro deposito ai sensi del quarto comma dell'art. 268 cod. proc. pen., l'accesso alle registrazioni di conversazioni intercettate e sommariamente trascritte dalla polizia giudiziaria nei cosiddetti brogliacci di ascolto, utilizzati ai fini dell'adozione di un'ordinanza di custodia cautelare, dà luogo ad una nullità di ordine generale a regime intermedio, ai sensi dell'art. 178, lett. c), cod. proc. pen., in quanto determina un vizio nel procedimento di acquisizione della prova, che pur non inficiando il risultato probatorio, ne impedisce l'utilizzo in fase cautelare (in tal senso, Sez. U, n.20300 del 22/4/2010, Lasala, Rv.246907; il principio è stato anche recentemente ribadito, tra le tante, da Sez.3, n.10951 del 17/1/2019, Spada, Rv. 275868; Sez.6, n.32391 del 22/05/2019, Rugnetta, Rv. 276476). 2.2. Premesso che l'ascolto diretto delle conversazioni poste a base dell'ordinanza cautelare rappresenta una insopprimibile garanzia difensiva, non si ritiene che il tempestivo assolvimento della messa a disposizione delle intercettazioni possa farsi dipendere dal fatto che la richiesta contenga o meno l'esplicitazione dell'esigenza difensiva legata alla proposizione ciel riesame. Invero, a seguito dell'adozione della misura cautelare, l'esigenza della difesa di avere compiuta conoscenza degli atti sui quali quella si fonda deve ritenersi in re ipsa, posto che solo l'esame degli atti consente di compiere consapevolmente le scelte difensive e, quindi, anche di valutare se e come proporre l'istanza di riesame. La tesi secondo cui la nullità si verificherebbe solo ave l'omesso rilascio di copia o la negazione della facoltà di ascolto consegua ad una richiesta in cui si è espressamente specificato che la stessa è finalizzata alla proposizione del riesame, introduce un motivo di inammissibilità non codificato e fondato su una lettura formalistica della disciplina. Nel momento in cui l'ordinanza genetica pone a fondamento della gravità indiziaria determinate intercettazioni, l'interesse della difesa al loro ascolto, ove la richiesta sia tempestivamente proposta, non richiede anche la specificazione della finalità della stessa, posto che il diretto collegamento con le esigenze difensive scaturenti dalla misura è di per sé manifesto, anche se il richiedente non specifichi l'intenzione di proporre riesame. Del resto, nulla esclude che l'indagato, una volta ascoltate le intercettazioni, potrebbe soprassedere alla proposizione del riesame, circostanza che di per sé dimostra come non si possa pretendere che la richiesta di ascolto debba necessariamente contenere l'indicazione della finalità cui la stessa mira. In conclusione, pertanto, deve affermarsi il principio per cui l'omessa consegna da parte del pubblico ministero dei file audio delle registrazioni di conversazioni intercettate, utilizzate per l'emissione dell'ordinanza cautelare, determina una nullità di ordine generale, a regime intermedio, ex art. 178, comma 1, lett. c), cod. proc. pen. nel caso in cui, pur in mancanza di formule sacramentali nella richiesta di accesso, sussistano elementi, desumibili dal suo contenuto o dal comportamento del difensore, da cui desumere inequivocabilmente la riferibilità di detta richiesta al soddisfacimento di esigenze correlate allo stato custodiale dell'indagato. 2.3. Infine, deve sottolinearsi come il fatto che la richiesta di ascolto era limitata al solo progr. 2312 Rit n.652/19, è stata erroneamente valutata dal Tribunale del riesame quale circostanza che ne denota l'irrilevanza ai fini della trattazione dell'impugnazione. Invero, l'intercettazione in questione è l'elemento principale, se non l'unico, che lega in qualche modo l'indagato alla vicenda estorsiva da altri realizzata, sicché deve ritenersi che la necessità di disporre del dato fonico emergeva ictu oculi, non sussistendo ragionevoli argomenti per negare l'accesso dell'indagato all'ascolto diretto del principale elemento indiziario a suo carico. 2.4. Sulla base delle argomentazioni sopra svolte, deve ritenersi che il mancato rilascio di copia delle registrazioni dia parte del pubblico ministero non determina l'inutilizzabilità delle stesse ai sensi dell'art. 191 cod. proc. pen., bensì dà luogo ad una nullità di ordine generale, a regime intermedio, ex art. 178, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., i cui effetti sono limitati alla sola fase dell'impugnazione cautelare. La nullità in questione, pertanto, travolge la sola pronuncia del tribunale del riesame, emessa sulla base delle intercettazioni non messe a disposizione della difesa, ma non determina alcun effetto invalidante retroattivo rispetto all'ordinanza cautelare genetica (da ultimo Sez. 6, n. 26447 del 14/4/2021, Puglia, Rv. 281689-02). 3. Procedendo all'esame degli ulteriori motivi di ricorso formulati in relazione all'estorsione contestata al capo 48), si rileva che l'accoglimento del primo motivo determina l'assorbimento delle questioni dedotte dalla difesa in ordine alla gravità indiziaria ed alla configurabilità dell'aggravante di cui all'art. 416-bis.1 cod. pen. Per mera completezza, tuttavia, pare opportuno segnalare come la ricostruzione dei fatti contenuta nell'ordinanza impugnata non dia conto dei rilievi difensivi. In particolare, l'ordinanza non chiarisce se l'indagato si sia prestato unicamente a far avere, al fratello detenuto, il denaro consegnatogli dagli associati, ovvero se abbia svolto un ruolo attivo in relazione alla commissione dell'estorsione. Il Tribunale del riesame, pertanto, dovrà motivare espressamente in ordine al ruolo ed al contributo causale fornito dall'Ac.Vi., dirimendo gli aspetti di incertezza segnalati dalla difesa. 4. Il secondo motivo di ricorso, concernente l'accertamento della gravità indiziaria in ordine al reato di partecipazione all'associazione di stampo mafioso, è fondato. Occorre in primo luogo evidenziare come, una volta venuta meno la gravità indiziaria in relazione al reato di estorsione contestato al capo 48), ne consegue l'obiettivo ridimensionamento degli elementi posti a sostegno dell'ulteriore imputazione associativa. E lo stesso Tribunale del riesame, infatti, che ha ritenuto la commissione dell'estorsione quale principale elemento dimostrativo dell'intraneità di Ac.Vi. all'associazione. L'ulteriore elemento significativo è stato individuato nell'accertata disponibilità da parte di Ac.Vi. della somma in contanti di Euro 6.800,00, rinvenuta nel corso di una perquisizione eseguita in data 21/2/2019. A tal riguardo occorre in primo luogo sottolineare come la suddetta somma non risulta se sia stata o meno sottoposta a sequestro, anzi, tale eventualità è espressamente negata dalla difesa. Il fatto che il denaro non sia stato sequestrato costituisce un elemento a favore dell'indagato, dovendosi evidentemente desumerne che il denaro non è stato ritenuto provento di reato e, quindi, lecitamente detenuto. Quanto detto comporta che l'attribuzione ad Ac.Vi. del ruolo di cassiere del sodalizio è frutto di una conclusione non adeguatamente motivata e meramente desunta da un elemento, il rinvenimento del denaro, che di per sé rappresenta un dato neutro. 4.1. Ulteriore aspetto non adeguatamente valutato dal Tribunale del riesame è quello concernente l'accertamento in ordine ai rapporti tra Ac.Vi. e gli altri associati e l'apporto che il predetto avrebbe fornito al sodalizio. Per consolidata giurisprudenza, in tema di associazione di tipo mafioso, la condotta di partecipazione è riferibile a colui che si trovi in rapporto di stabile e organica compenetrazione con il tessuto organizzativo del sodalizio, tale da implicare, più che uno "status" di appartenenza, un ruolo dinamico e funzionale, in esplicazione del quale l'interessato "prende parte" al fenomeno associativo, rimanendo a disposizione dell'ente per il perseguimento dei comuni fini criminosi. In applicazione di tale principio, questa Corte ha ritenuto che non sia necessario catalogare in un ruolo stabile e predefinito la condotta del singolo associato, poiché il sodalizio mafioso è una realtà dinamica, che si adegua continuamente alle modificazioni del corpo sociale ed all'evoluzione dei rapporti interni tra gli aderenti, sicché le forme di partecipazione possono essere le più diverse e addirittura assumere caratteri coincidenti con normali esplicazioni di vita quotidiana o lavorativa (Sez.5, n. 6882 del 6/11/2015, dep. 2016, Caccamo, Rv. 266064; Sez. S, n. 32020 del 16/3/2018, Capraro, Rv. 273S71). Tale orientamento ha ricevuto l'avallo delle Sezioni unite che, recentemente, hanno confermato che la condotta di partecipazione ad associazione di tipo mafioso si caratterizza per lo stabile inserimento dell'agente nella struttura organizzativa dell'associazione, idoneo, per le specifiche caratteristiche del caso concreto, ad attestare la sua "messa a disposizione" in favore del sodalizio per il perseguimento dei comuni fini criminosi (Sez. U, n. 36958 del 27/5/2021, Modaffari, Rv. 281889). Applicando tali principi al caso di specie, emergono le carenze dell'ordinanza impugnata, nella quale non si chiarisce se ed in che modo Ac.Vi. potesse considerarsi quale soggetto stabilmente inserito nell'associazione e, soprattutto, quale fosse l'apporto causale fornito agli interessi della stessa. A tal fine, peraltro, non può neppure attribuirsi un rilievo assorbente al presunto contributo fornito da Ac.Vi. al sostentamento del fratello detenuto. In linea generale, questa Corte ha già avuto modo di affermare che, ai fini della prova della partecipazione ad un'associazione di tipo mafioso, la condotta di colui che contribuisce ad un fondo di solidarietà in favore dei sodali detenuti in carcere, pur rivestendo valenza indiziante, necessita di ulteriori elementi che confermino l'adesione del predetto al sodalizio (Sez. 2, n. 53477 del 15/6/2017, Benedetto, Rv. 271930). Nel caso di specie, Ac.Vi. non ha partecipato alla contribuzione in favore di più detenuti appartenenti all'associazione ma, secondo l'impostazione accusatoria, avrebbe offerto un contributo in favore del solo fratello, circostanza che può trovare logica spiegazione nel vincolo parentale e che, in ogni caso, dimostra una condotta volta a favorire un singolo soggetto e non l'associazione in quanto tale. 5. Alla luce di tali considerazioni, il ricorso deve essere accolto, con conseguente annullamento con rinvio per nuovo giudizio, nel quale il Tribunale del riesame dovrà attenersi ai principi sopra indicati. P.Q.M. Annulla l'ordinanza impugnata e rinvia per nuovo giudizio al Tribunale di Catanzaro, competente ai sensi dell'art. D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, comma 7, c.p.p. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all'art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen. Così deciso in Roma il 19 dicembre 2023. Depositato in Cancelleria il 30 gennaio 2024.
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