RITENUTO IN FATTO
1. In data 6 marzo 2018, la Corte d'appello di Torino ha riformato, condannando l'imputata alla pena di giustizia, alle sanzioni accessorie e alle statuizioni civili, la sentenza con la quale, il 26 maggio 2017, il Tribunale di Torino aveva assolto L.R.J., all'esito di giudizio abbreviato, dal reato a lei ascritto ex art. 589-bis cod. pen. (omicidio colposo con violazione di norme sulla circolazione stradale in danno del motociclista R.M.) in relazione a un incidente occorso in loc. (OMISSIS).
La sentenza assolutoria di primo grado era stata impugnata tanto dal Pubblico ministero quanto dalle parti civili, il cui appello, per quanto detto, è stato accolto.
2. E' utile per comprendere l'oggetto del processo una sintetica ricostruzione della dinamica del sinistro accolta nella suddetta sentenza d'appello, sulla base delle stesse fonti di prova raccolte in primo grado.
E' risultato accertato che la L.R., alla guida della sua Smart (a bordo della quale viaggiava, come passeggero, il fratello A.), in ora serale ma con visibilità giudicata sufficiente, percorreva una strada extraurbana circondata da campi agricoli non delimitati da protezioni e con segnaletica per la presenza di possibili animali in attraversamento, con una sola corsia per ciascun senso di marcia.
A un tratto - a suo dire per evitare alcuni animali che attraversavano la strada - la L.R. deviava la traiettoria della propria autovettura, spostandosi a sinistra e così invadendo l'opposta corsia di marcia. Da quest'ultima proveniva il R., alla guida del suo motociclo; costui, vedendo che la Smart condotta dall'odierna imputata invadeva la propria corsia di marcia, si spostava istintivamente e repentinamente a sinistra per evitare l'impatto; ma, contemporaneamente, la L.R. spostava nuovamente la propria traiettoria di marcia per rientrare nella propria corsia. A quel punto il R. perdeva il controllo del proprio motociclo, rovinando sul fianco destro e andando poi a impattare con la parte frontale del veicolo della L.R., procurandosi gravi lesioni che lo traevano a morte.
2.1. La Corte distrettuale ha ribaltato la decisione assolutoria adottata in primo grado dal Tribunale, accreditando la ricostruzione della dinamica dell'incidente nei termini dianzi esposti. Secondo i giudici d'appello vi fu, nella condotta del giudicabile, violazione delle regole cautelari, atteso che la stessa ben avrebbe potuto evitare l'impatto tenendo un comportamento adeguato e rispettoso degli artt. 141,143 e 146 C.d.S.: ossia, innanzitutto, mantenendo una velocità inferiore a quella effettivamente tenuta (stimata in circa 50 kmh in base alle prove raccolte) e ritenuta inadeguata allo stato dei luoghi, alle caratteristiche della strada e alla presenza di animali selvatici segnalata da apposita cartellonistica; ed inoltre non invadendo l'opposta corsia di marcia, come invece fece la L.R.. I giudici d'appello hanno poi escluso la sussistenza della scriminante dello stato di necessità, che era stata riconosciuta in primo grado (avendo la stessa L.R. creato la situazione di pericolo con il suo comportamento colposo).
3. Avverso la prefata sentenza ricorre la L.R., per il tramite del suo difensore di fiducia.
Il ricorso, corredato di una ricostruzione sommaria del processo, è affidato a nove motivi di lagnanza.
3.1. Con il primo motivo l'esponente lamenta vizio di motivazione in relazione alla mancata rinnovazione dell'istruzione dibattimentale, pervenendo a una sentenza di condanna (a fronte dell'assoluzione in primo grado) senza procedere a nuovo esame testimoniale: ciò a fronte del fatto che, come dichiarato in primo grado dall'imputata e dall'unico testimone oculare, la manovra di spostamento a sinistra della Smart fu resa necessaria dall'invasione della carreggiata da parte di animali. Tale modus procedendi viola, secondo il ricorrente, i principi affermati dalle Sezioni Unite in materia di necessità della rinnovazione dell'istruzione dibattimentale nel caso di riforma in appello della sentenza di proscioglimento in primo grado.
3.2. Con il secondo motivo di ricorso l'esponente denuncia vizio di motivazione in rapporto alla condotta della vittima alla guida del suo motociclo: la sentenza impugnata da un lato non considera che il R. non era obbligato a spostarsi nella corsia di sinistra, dall'altro accredita in modo apodittico le conclusioni del consulente del P.M. e non prende in esame quelle, opposte, del consulente della difesa in ordine al fatto che la moto cadde sul lato destro e non su quello sinistro, il che non si spiega con una reazione di emergenza.
3.3. Con il terzo motivo si lamenta violazione dell'art. 40 cod. pen.: è pacifico, sostiene l'esponente, che se il R. non si fosse spostato sulla corsia alla sua sinistra (quella di pertinenza dell'imputata) lo scontro non vi sarebbe stato; ciò posto, egli non era necessitato a compiere tale manovra, in quanto, anche nelle condizioni date, avrebbe avuto sufficiente spazio per proseguire la marcia restando nella sua corsia, atteso che la Smart condotta dalla L.R. invase di poco la corsia opposta.
3.4. Con il quarto motivo si denuncia vizio di motivazione, ancora sul nesso causale: sia a proposito del fatto che la moto cadde sul fianco destro, sia a proposito del fatto che l'impatto non avvenne per il cambio di corsia ma perchè il R. perse il controllo della moto.
3.5. Con il quinto motivo il deducente lamenta violazione di legge in relazione alla presunta violazione dell'art. 141 C.d.S.: norma cautelare elastica di cui non è stato fatto buon governo, atteso che, in primo luogo, il limite di velocità in quel tratto di strada era di 70 kmh, e che di fatto la L.R. fu nelle condizioni di mantenere il controllo del veicolo evitando gli animali.
3.6. Con il sesto motivo la ricorrente lamenta vizio di motivazione, ancora in relazione all'applicazione dell'art. 141 C.d.S.: erra la Corte di merito nell'asserire che la velocità minima di 45-50 kmh stimata dal consulente tecnico del P.M. fu riferita all'autovettura dell'imputata, quando invece era quella della moto condotta dalla vittima; nella stessa relazione del C.T.P.M. si legge che il motociclo del R. arrivò all'impatto a una velocità di circa 30-35 kmh, mentre la Smart dell'imputata procedeva a circa 10-15 kmh, come si legge del resto anche nell'imputazione. E, quanto alle dichiarazioni della stessa L.R., costei si era limitata a riferire che procedeva piano, a non più di 50 kmh: il che è cosa diversa dal dire che viaggiava a 50 kmh, come sostenuto dalla Corte di merito. Ancora, erra la Corte torinese nel sostenere che, di fronte a un cartello stradale che segnala un pericolo di attraversamento di animali, non vi sia necessità di distinguere tra previsione del pericolo astratta e concreta: la presenza o meno del segnale non rende concreto il pericolo, e la valutazione della prevedibilità del fatto va effettuata ex ante e non ex post come ha fatto la Corte di merito.
3.7. Con il settimo motivo di ricorso si denuncia vizio di motivazione in riferimento alla presunta violazione degli artt. 143 e 146 C.d.S.: il leggero superamento della linea di mezzeria era conseguenza di una manovra d'emergenza, ma su tale aspetto la Corte di merito ha reso una motivazione apparente, limitandosi a richiamare quanto previsto dalle citate disposizioni.
3.8. Con l'ottavo motivo la ricorrente denuncia violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla denegata scriminante dello stato di necessità: non può parlarsi di condotta negligente dell'imputata che causò il pericolo, ma di manovra di emergenza, resa necessaria dalla presenza di animali sulla carreggiata.
3.9. Con il nono e ultimo motivo si lamenta vizio di motivazione in ordine all'attenuante di cui all'art. 589 c.p., comma 7: l'attenuante, invocata in sede di conclusioni avanti la Corte d'appello, doveva trovare applicazione in relazione alla condotta alla guida del R., il quale concorse certamente al prodursi dell'evento tenendo a sua volta un comportamento colposo.
4. Con memoria depositata in Cancelleria il 22 ottobre 2018, il difensore delle parti civili ha chiesto che il ricorso dell'imputata venga dichiarato inammissibile o, in subordine, rigettato.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il primo motivo di ricorso è infondato.
Diversamente da quanto sostenuto dalla ricorrente, non può affermarsi che la Corte di merito abbia operato una diversa valutazione delle prove raccolte in primo grado; deve piuttosto affermarsi che il significato di dette prove è stato apprezzato in termini di sostanziale conformità rispetto a quello attribuito dal Tribunale, e che però sulla base di esso la Corte di merito è pervenuta a diverse, anzi opposte conclusioni.
Per quanto in particolare riguarda la circostanza (riferita dalla L.R. e dal fratello) che la repentina manovra di svolta a sinistra fu conseguenza dell'effettiva invasione della carreggiata da parte di animali, si tratta di circostanza che la Corte di merito non esclude: a pag. 6 della sentenza impugnata la Corte di merito si confronta espressamente, ammettendola quanto meno in via d'ipotesi, con la tesi sostenuta dall'imputata e dal fratello, per trarne però la conclusione che, anche in tal caso, la condotta alla guida della L.R. non sarebbe stata improntata a rispetto delle regole cautelari che si assumono violate, con riferimento sia alla velocità da tenere nelle condizioni date, sia al divieto di violare la linea di mezzeria.
Non si versa, dunque, in una situazione di diverso apprezzamento dell'attendibilità di una prova dichiarativa ritenuta decisiva (vds. Sez. U, n. 27620 del 28/04/2016, Dasgupta, Rv. 267489; Sez. U, n. 18620 del 19/01/2017, Patalano, Rv. 269787) tale da rendere necessaria la rinnovazione dell'istruzione dibattimentale; vale invece il principio, già affermato in altre recenti pronunzie e qui condiviso, secondo il quale il giudice d'appello, che riformi la sentenza assolutoria di primo grado, non è tenuto a procedere alla rinnovazione dell'istruttoria ove la sua decisione si sia fondata sul medesimo materiale probatorio utilizzato in primo grado e senza che vi sia stata una difforme valutazione della prova dichiarativa (vds. per tutte Sez. 6, Sentenza n. 12397 del 27/02/2018, Gagliano, Rv. 272545).
Ci si può peraltro chiedere se, nella specie, possa parlarsi di motivazione "rafforzata".
La risposta è, ad avviso del Collegio, affermativa.
Secondo un orientamento consolidato e qui condiviso, la sentenza di appello di riforma totale del giudizio assolutorio di primo grado deve confutare specificamente, pena altrimenti il vizio di motivazione, le ragioni poste dal primo giudice a sostegno della decisione assolutoria, dimostrando puntualmente l'insostenibilità sul piano logico e giuridico degli argomenti più rilevanti della sentenza di primo grado, anche avuto riguardo ai contributi eventualmente offerti dalla difesa nel giudizio di appello, e deve quindi corredarsi di una motivazione che, sovrapponendosi pienamente a quella della decisione riformata, dia ragione delle scelte operate e della maggiore considerazione accordata ad elementi di prova diversi o diversamente valutati (Sez. 6, Sentenza n. 6221 del 20/04/2005, dep. 2006, Aglieri e altri, Rv. 233083; in senso conforme ex multis vds. Sez. 6, Sentenza n. 10130 del 20/01/2015, Marsili, Rv. 262907).
Nel caso della sentenza in esame ciò è senz'altro avvenuto, non solo nella parte in cui la Corte di merito ricostruisce i fatti e valuta le prove dell'accaduto in modo critico, pur non ponendo come detto in discussione l'attendibilità delle fonti di prova orale e il contenuto delle loro dichiarazioni; ma anche nella parte in cui la sentenza impugnata si confronta esplicitamente con quella di primo grado, fornendo puntuale indicazione, debitamente argomentata, in ordine agli errori e alle manchevolezze attribuiti al Tribunale nell'assolvere la L.R..
2. Il secondo, il terzo e il quarto motivo sono manifestamente infondati, nel senso che essi non sono proponibili in questa sede, in quanto tesi sostanzialmente a sottoporre a sindacato della Corte regolatrice, nella totalità delle questioni oggetto di doglianza, una ricostruzione alternativa delle prove e una diversa valutazione dei fatti, in termini non consentiti nel giudizio di legittimità, sulla base della giurisprudenza pacifica, anche a Sezioni Unite, della Corte regolatrice (Sez. U, n. 24 del 24/11/1999, Spina, Rv. 214794; si vedano anche in terminis Sez. U, n. 12 del 31/05/2000, Jakani, Rv. 216260, e Sez. U, n. 47289 del 24/09/2003 -, Petrella, Rv. 226074; più di recente Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, Musso, Rv. 265482; Sez. 1, n. 42369 del 16/11/2006, De Vita, Rv. 235507).
In proposito, va ribadito che non possono formare oggetto di sindacato di legittimità le doglianze relative a questioni di mero fatto e tese a prospettare valutazioni alternative delle prove assunte: la disamina di esse è demandata in via esclusiva al giudice del merito ed è sottratta allo scrutinio della Corte regolatrice, laddove dette doglianze non attingano profili di macroscopica illogicità o inadeguatezza della motivazione del provvedimento impugnato.
Per quanto riguarda specificamente i sinistri stradali, merita di essere richiamato il principio in base al quale sono sottratti al sindacato di legittimità, se sorretti da adeguata motivazione, gli apprezzamenti di fatto necessari alla ricostruzione di un incidente stradale nella sua dinamica e nella sua eziologia (valutazione delle condotte dei singoli utenti della strada coinvolti, accertamento delle relative responsabilità, determinazione dell'efficienza causale di ciascuna colpa concorrente) (ex multis Sez. 4, n. 37838 del 01/07/2009, Tarquini, Rv. 245294).
A fronte di quanto precede, la sentenza impugnata fa complessivamente buon governo del materiale probatorio ed offre una ricostruzione degli eventi e degli elementi probatori inappuntabile sul piano logico, nonchè congrua e coerente, sia in ordine alla ricostruzione delle fasi antecedenti l'impatto fra i due veicoli, sia in ordine alla serie causale che determinò l'impatto stesso, sia infine in riferimento alle ragioni per le quali i due veicoli (prima l'uno, poi l'altro) modificarono la rispettiva traiettoria nei termini già visti.
Ciò vale anche per la parte del ricorso in cui vengono contrapposte le conclusioni dei diversi periti/consulenti di parte cui è stata affidata la ricostruzione del sinistro. In proposito va ricordato che in tema di prova, in virtù del principio del libero convincimento, il giudice di merito può scegliere, tra le diverse tesi prospettate dai periti e/o consulenti delle parti, quella che ritiene condivisibile, purchè dia conto con motivazione accurata ed approfondita, delle ragioni della scelta nonchè del contenuto della tesi disattesa e delle deduzioni contrarie delle parti e, ove tale valutazione sia effettuata in modo congruo, è inibito al giudice di legittimità procedere ad una differente valutazione, trattandosi di accertamento di fatto, come tale insindacabile in sede di legittimità (Sez. 4, n. 8527 del 13/02/2015, Sartori, Rv. 263435; conforme Sez. 4, n. 45126 del 06/11/2008, Ghisellini, Rv. 241907).
3. Si rivelano infondati il quinto e il sesto motivo di ricorso, riguardanti l'applicazione dell'art. 141 C.d.S..
A prescindere, infatti, dal presunto errore della Corte nell'attribuire alla Smart della L.R. una velocità nettamente superiore rispetto a quella stimata dal consulente tecnico del P.M., sta di fatto che la stessa violò comunque regole cautelari decisive per il prodursi del sinistro, costituite non solo da quelle oggetto del settimo motivo di ricorso (ossia dall'obbligo di circolare in prossimità del margine destro della carreggiata - art. 143 C.d.S. - e dal divieto di violare la linea di mezzeria - artt. 40 e 146 C.d.S., art. 139 reg. C.d.S. -), ma anche dalle prescrizioni contenute dall'art. 141 C.d.S., che impone al conducente del conducente non solo di "regolare la velocità del veicolo in modo che avuto riguardo alle caratteristiche, allo stato ed al carico del veicolo stesso, alle caratteristiche e alle condizioni della strada e del traffico e ad ogni altra circostanza di qualsiasi natura, sia evitato ogni pericolo per la sicurezza delle persone e delle cose ed ogni altra causa di disordine per la circolazione"; ma altresì di "conservare il controllo del proprio veicolo ed essere in grado di compiere tutte le manovre necessarie in condizione di sicurezza, specialmente l'arresto tempestivo del veicolo entro i limiti del suo campo di visibilità e dinanzi a qualsiasi ostacolo prevedibile"; e, fra l'altro, di "ridurre la velocità e, occorrendo, anche fermarsi (...) quando, al suo avvicinarsi, gli animali che si trovino sulla strada diano segni di spavento". Dunque, pur dando per acquisito l'assunto sostenuto dalla ricorrente, deve ritenersi che il suo spostamento a sinistra, quand'anche fosse stato occasionato dalla presenza di animali selvatici sulla carreggiata, non era l'unico comportamento da lei esigibile, ben potendo arrestare la sua marcia, ove non fosse stato sufficiente rallentarla ulteriormente, senza per questo invadere l'opposta corsia; tanto più che - par di comprendere in relazione alla descrizione dei luoghi ricavabile dagli atti disponibili - siffatta diversa condotta alla guida (che qui assume i connotati del comportamento alternativo lecito) non avrebbe creato intralcio alcuno alla circolazione. Condotta alla guida che sicuramente, proprio in relazione a quanto stabilito dall'art. 141 C.d.S., era imposta da una situazione certamente prevedibile ex ante, atteso che il pericolo di attraversamento della carreggiata da parte di animali selvatici era evidenziato dalla presenza di apposita segnaletica stradale; e che del resto ciò che sarebbe accaduto (accreditando la tesi dell'imputata in ordine all'invasione della carreggiata da parte di caprioli e/o cinghiali) altro non sarebbe che la concretizzazione di tale pericolo, debitamente annunciato. Quanto, poi, alla condotta alla guida del R., della quale la ricorrente tenta di prospettare una diversa ricostruzione e una spiegazione alternativa, si richiamano le considerazioni svolte a proposito del secondo, del terzo e del quarto motivo, in ordine all'inammissibilità di tale prospettazione in sede di legittimità, trattandosi di questione di fatto demandata in via esclusiva al giudice di merito.
4. Il settimo motivo di lagnanza è manifestamente infondato, atteso che la violazione degli artt. 143 e 146 C.d.S. non è stata ritenuta unicamente mediante il richiamo testuale al precetto di tali disposizioni, ma anche e soprattutto sulla base di tutto l'iter logico-descrittivo della dinamica del sinistro, nel quale vengono ampiamente descritte in fatto le condotte attribuite alla L.R. e ritenute in contrasto con le suddette disposizioni del Codice della Strada: condotte, del resto, specificamente contestate nell'imputazione.
5. L'ottavo motivo di ricorso è, a sua volta, manifestamente infondato.
Le considerazioni appena svolte rendono evidente l'assoluta mancanza di fondamento della tesi del ricorrente che ripropone la questione della configurabilità della scriminante dello stato di necessità.
Avuto riguardo a quanto osservato a proposito della mancata osservanza, da parte della L.R., del comportamento alternativo lecito previsto dalle disposizioni del C.d.S. dianzi richiamate, deve trarsene la conclusione che, se l'imputata avesse tenuto tale comportamento alternativo doveroso, anzichè violare il divieto di invadere l'opposta corsia di marcia, non solo avrebbe rispettato le regole di cautela nella specie previste, ma avrebbe evitato il sinistro e non avrebbe esposto a pericoli nè gli altri utenti della strada, nè il passeggero presente sulla sua autovettura (suo fratello A.), nè se medesima.
Da tale osservazione discende, in primo luogo, che l'invocata scriminante non può trovare applicazione a causa del comportamento colposo dell'imputata che la costrinse alla manovra costata la vita al R.; e che, d'altronde, l'evento non era "altrimenti inevitabile". Pertanto, non può in alcun modo parlarsi di causa di giustificazione dello stato di necessità.
6. Deve invece ritenersi fondato il nono e ultimo motivo.
Ed invero, la circostanza attenuante ad effetto speciale di cui all'art. 589-bis fa riferimento all'ipotesi in cui l'evento non sia esclusiva conseguenza dell'azione o dell'omissione del colpevole.
Tale ipotesi ricorre, certamente (ma, si badi, non esclusivamente), nel caso in cui sia accertato il c.d. "concorso di colpa" fra il presunto responsabile e altro utente della strada, ad esempio - ma non necessariamente - la stessa vittima.
E' da notare che la norma non evoca alcuna percentuale di colpa nè in capo al colpevole, nè in capo ad altri, con la conseguenza che anche una minima percentuale di colpa altrui potrà valere a integrare la circostanza attenuante; e già sotto questo profilo il motivo di ricorso coglie nel segno, atteso che, quanto meno in base alla ricostruzione dell'incidente accreditata in atti, lo spostamento del R. (alla guida del suo motociclo) sulla corsia di marcia opposta alla sua (spostamento dal quale conseguì l'impatto con l'auto condotta dall'imputata) avrebbe costituito anch'esso una violazione (quanto meno) degli artt. 143 e 146 C.d.S.; nè, in base agli atti disponibili, è dato affermare in modo univoco che la condotta alla guida della persona offesa fosse necessitata e inevitabile (non appare allo stato possibile escludere che egli, vedendo la Smart invadere la sua corsia, potesse spostarsi ancor più a destra).
Ma addirittura, sempre analizzando il contenuto della ridetta circostanza attenuante di cui all'art. 589-bis c.p., comma 7, anche il concorso di cause esterne alla condotta non costituite da altre condotte umane può integrare l'attenuante in questione, avuto riguardo all'ampiezza della previsione testuale (in dottrina si è fatto l'esempio di condizioni meteorologiche avverse che possano contribuire a cagionare l'evento, al di fuori delle ipotesi di caso fortuito o forza maggiore); in tale quadro, accreditando la versione dell'imputata - non esclusa dalla stessa Corte di merito - circa l'attraversamento (o l'invasione) della strada da parte di animali selvatici, ben potrebbe ravvisarsi un ulteriore fattore rivelatosi idoneo ad interagire nel corso degli eventi, sul piano della sequenza causale.
All'evidenza, tale questione non poteva essere prospettata dalla ricorrente in grado d'appello, non avendo la stessa interesse a impugnare la sentenza assolutoria di primo grado (cfr., in linea di principio, Sez. U, n. 45276 del 30/10/2003, Andreotti e altro, Rv. 226092).
Su di essa dovrà dunque pronunziarsi la Corte di merito in sede di rinvio, tenendo presenti i criteri interpretativi dianzi illustrati a proposito dell'estensione dell'attenuante a effetto speciale de qua e della sua applicabilità nel caso concreto.
7. Per i motivi che precedono, la sentenza impugnata va annullata limitatamente al punto concernente l'applicabilità dell'attenuante di cui all'art. 589-bis c.p., comma 7, con rinvio ad altra Sezione della Corte d'appello di Torino per nuovo giudizio sul punto; va altresì demandata al giudice del rinvio la regolamentazione delle spese tra le parti anche per questo giudizio di legittimità, in relazione all'ipotizzata configurabilità di un concorso di colpa tra l'imputata e la persona offesa e alle relative, possibili conseguenze sulle statuizioni civili.
Nel resto il ricorso va rigettato.
Va comunque dichiarata l'irrevocabilità della sentenza impugnata quanto all'affermazione di penale responsabilità dell'imputata, ai sensi dell'art. 624 cod. proc. pen..
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente al punto concernente l'applicabilità dell'attenuante di cui all'art. 589-bis c.p., comma 7, con rinvio per nuovo giudizio sul punto ad altra Sezione della Corte d'appello di Torino cui demanda la regolamentazione delle spese tra le parti anche per questo giudizio di legittimità. Rigetta il ricorso nel resto. Dichiara irrevocabile la sentenza quanto all'affermazione di penale responsabilità dell'imputata.
Così deciso in Roma, il 7 novembre 2018.
Depositato in Cancelleria il 6 dicembre 2018