RITENUTO IN FATTO
1. La Corte di Appello di Brescia confermava la sentenza del Tribunale di Brescia la quale riconosceva la responsabilità di V.G. per il reato di omicidio colposo aggravato dalla violazione della disciplina della circolazione stradale, per avere investito A.S., che era intento all'attraversamento della sede stradale da sinistra verso destra rispetto alla direzione di marcia del veicolo, provocandogli lesioni personali da cui era conseguita la morte.
2. Il giudice di appello evidenziava che sulla base degli accertamenti acquisiti agli atti e dell'esame testimoniale il mancato tempestivo avvistamento del pedone, intento nell'attraversamento della sede stradale era senz'altro attribuibile a colpa del conducente, a prescindere dall'esistenza di un segnale verticale di segnalazione dell'attraversamento pedonale il quale era ben visibile, tenuto altresì conto che il pedone era prevenuto all'impatto dopo aver percorso oltre metà della sede stradale, impiegando un tempo di 4/5 secondi da ritenersi assolutamente sufficiente per consentire al conducente del veicolo una adeguata perlustrazione della strada e per predisporre una manovra di frenata.
3. Avverso la sentenza proponeva ricorso per cassazione la difesa del V. affidandosi a tre motivi di ricorso.
3.1 Con un primo motivo deduceva violazione di legge per erronea applicazione dell'art. 42 c.p., laddove dalle risultanze processuali era emerso che l'attraversamento era scarsamente visibile e inadeguatamente presegnalato, come invece avrebbe dovuto essere ai sensi del regolamento del codice della strada, e la percezione era altresì ostacolata dalle modalità con le quali l'attraversamento era stato attuato.
3.2 Con un secondo motivo di ricorso chiedeva l'applicazione della ipotesi prevista dall'art. 589 bis c.p., istituto che era sopravvenuto alla pronuncia della sentenza di secondo grado da ritenersi di immediata applicazione in quanto di rilievo sostanziale e maggiormente favorevole nei confronti del condannato in quanto contemplava una speciale circostanza attenuante, che nel caso in specie poteva ricorrere in ragione della particolare insidiosità dell'incrocio e della operazione di attraversamento operata dalla persona offesa.
Con un terzo motivo di ricorso deduceva vizio motivazionale e violazione di legge in punto all'omesso riconoscimento dell'avvenuto risarcimento del danno ad opera dell'assicuratore, circostanza che era stata riferita da una erede del de cuius dichiarazione ritenuta insufficiente perchè non documentalmente riscontrata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Ritiene il collegio che il primo motivo di ricorso sia manifestamente infondato, in quanto teso ad ottenere una rilettura degli elementi di prova che non è consentita in questa sede, laddove le censure concernenti asserite carenze argomentative sui singoli passaggi della ricostruzione fattuale dell'episodio e dell'attribuzione dello stesso alla persona dell'imputato non sono, infatti, proponibili nel giudizio di legittimità , quando la struttura razionale della decisione sia sorretta, come nella specie, da logico e coerente apparato argomentativo, esteso a tutti gli elementi offerti dal processo, e il ricorrente si limiti sostanzialmente a sollecitare la rilettura del quadro probatorio, alla stregua di una diversa ricostruzione del fatto, e, con essa, il riesame nel merito della sentenza impugnata.
Il ricorso, in concreto, non si confronta adeguatamente con la motivazione della sentenza impugnata, che appare logica e congrua, nonchè corretta in punto di diritto, e pertanto immune da vizi di legittimità in quanto il giudice territoriale ha rappresentato, in termini del tutto coerenti con le risultanze processuali che, la condotta di guida del V. era certamente improntata a distrazione e mancata perlustrazione della sede stradale, atteso che sia il pedone quanto l'attraversamento pedonale erano agevolmente percepibili da un attento utente della strada, sia in ragione della lunghezza dell'attraversamento pedonale (oltre dieci metri), sia del fatto che il pedone aveva intrapreso l'attraversamento con largo anticipo (4-5) secondi rispetto all'istante della collisione, dopo avere percorso circa i due terzi dell'attraversamento, sia del fatto che il V., nonostante una andatura moderata, aveva omesso del tutto di apprestare qualsivoglia manovra di salvataggio, sia infine in ragione del fatto che il teste C., che seguiva nella marcia il veicolo del V., ha riferito di avere avuto ampia e tempestiva percezione di tutte le fasi dell'attraversamento del pedone.
1.2 Sotto questo profilo pertanto il giudice di appello ha svolto buon governo delle risultanze processuali escludendo la ricorrenza di elementi eccezionali perturbatori che possano avere precluso al V. la possibilità di percepire la presenza delle strisce pedonali e l'attraversamento intrapreso dal pedone, laddove la giurisprudenza del S.C. esclude la responsabilità del conducente, in ipotesi di investimento del pedone che attraversi la sede stradale, solo allorquando lo stesso si trovi nella oggettiva impossibilità di notare il pedone e di osservarne tempestivamente i movimenti, attuati in modo rapido, inatteso e imprevedibile (sez. 4, 2.7.2013 n.33207; 16.4.2008 n.20027).
2. Infondato si presenta il secondo motivo di ricorso.
Assume il ricorrente che dovrebbe trovare applicazione, nel caso in specie, la nuova ipotesi criminosa di omicidio stradale di cui all'art. 589 bis c.p., di immediata applicazione in quanto norma sostanziale maggiormente favorevole per l'imputato la quale prevede, al comma 7 una speciale circostanza attenuante, qualora l'evento non sia esclusiva conseguenza dell'azione della omissione del colpevole, con abbattimento della pena edittale "fino alla metà ". Assume il ricorrente che risulterebbe integrata la ipotesi attenuata in ragione di una asserita condotta avventata del pedone, che avrebbe proceduto all'attraversamento con andatura spedita e imprudente e dell'ente gestore della strada che avrebbe omesso obbligatori accorgimenti relativi alla segnalazione dell'attraversamento.
2.1 Ritiene il S.C. che è errato il presupposto da cui si muove il ragionamento logico giuridico del ricorrente e cioè che la nuova disciplina sull'omicidio stradale, entrata in vigore in data 25 Marzo 2016 per effetto della L. 23 marzo 2015, n. 41, art. 1 si presenti quale disposizione più favorevole per il V. rispetto alla previsione di cui all'art. 589 c.p., comma 2, vigente prima della introduzione della nuova disposizione sull'omicidio stradale. Se è vero infatti che la disciplina sanzionatoria delle due disposizioni penali, nella ipotesi base (omicidio colposo commesso con violazione delle norme sulla disciplina della circolazione stradale) è la medesima (reclusione da due a sette anni) e pertanto sussiste piena continuità normativa e sanzionatoria sotto questo profilo, del tutto distinto è il regime giuridico delle due fattispecie succedutesi, atteso che la disposizione di cui all'art. 589 c.p., comma 2 costituiva, unitamente a quella dell'omicidio colposo commesso con violazione delle norme per la prevenzione di infortuni, ipotesi aggravata ad effetti speciali del reato di omicidio colposo, mentre la nuova previsione dell'omicidio stradale, nella fattispecie base di cui all'art. 589 bis c.p., comma 1 di nuova introduzione integra una ipotesi autonoma di reato.
2.2 In tale senso depone infatti la introduzione di un nuovo titolo di reato e di una previsione normativa distinta da quella che contempla l'omicidio colposo (art. 589 c.p.); in tale senso depone altresì la circostanza che la nuova figura di reato presenti, come pena base, un trattamento sanzionatorio del tutto corrispondente a quello originariamente previsto per l'omicidio colposo aggravato dalla violazione delle norme sulla circolazione stradale, così da delineare il nuovo ambito della previsione e da delimitare la piattaforma sanzionatoria per una fattispecie interamente dedicata a tutelare il bene giuridico della vita dagli attentati che, sotto diversa forma e con crescente intensità e grado di colpa, possano essere realizzati nell'ambito della circolazione stradale.
2.3 In tale senso depone infine la circostanza che sia per il delitto di cui all'art. 589 bis c.p. sia per quello di cui all'art. 590 bis c.p. sono previste una congerie di ipotesi aggravate, nonchè una ipotesi attenuata che risulterebbero giustificate solo qualora si ritenesse che la ipotesi base, disciplinata al primo comma delle disposizioni predette, costituisca una (nuova) ipotesi autonoma di reato e non una fattispecie circostanziale del reato di omicidio colposo.
3. Orbene, alla stregua di una tale premessa dogmatica volta a chiarire i rapporti tra i reati di omicidio colposo e di omicidio stradale, può trarsi la conseguenza che, pure ricorrendo la ipotesi attenuata di cui all'art. 589 bis c.p., comma 7, che prevede la riduzione fino alla metà della pena base, il V. non potrebbe beneficiare nella specie di un trattamento sanzionatorio più favorevole rispetto a quello applicato, laddove essendo state allo stesso riconosciute le circostanze attenuanti generiche con giudizio di equivalenza rispetto alla circostanza aggravante di cui all'art. 589 c.p., comma 2, gli è stata applicata la pena minima riservata alla ipotesi non aggravata di omicidio colposo (mesi sei di reclusione), mentre pure riconoscendo al prevenuto la speciale attenuante invocata, come inserita nell'art. 589 bis c.p., in concorso con le circostanze attenuanti generiche, pure applicate nella massima estensione, la pena minima prevista per la ipotesi criminosa di cui all'art. 589 bis c.p., comma 1 non potrebbe essere inferiore a mesi otto di reclusione (anni due di reclusione ridotta della metà per l'attenuante speciale ex art. 589 bis c.p., comma 7 e infine ridotta di un terzo per le circostanze attenuanti generiche), pena pertanto superiore a quella in concreto applicata.
Ne consegue pertanto il rigetto del motivo di ricorso essendo irrilevante verificare se, alla stregua delle argomentazioni di diritto svolte dal ricorrente, fossero ravvisabili i presupposti per la sussunzione del fatto nell'ambito della ipotesi di minore gravitò di cui all'art. 589 bis c.p., comma 7.
4. Infondato risulta altresì il terzo motivo di ricorso in relazione al mancato riconoscimento della circostanza attenuante dell'intervenuto integrale risarcimento del danno (art. 62 c.p., n. 6). Il ricorso sotto questo profilo non si confronta con l'argomentare del giudice di appello, il quale non ha escluso il riconoscimento della invocata circostanza attenuante in quanto il risarcimento sarebbe stato operato da un terzo, come nella ipotesi in cui vi abbia provveduto l'istituto assicuratore garante per la responsabilità civile (sez. 4, 9.6.2015, Locatelli, Rv. 263878) e più in generale tutte le volte in cui l'imputato abbia conoscenza dell'intervento dell'assicuratore in chiave risarcitoria e mostri la volontà di farlo proprio (sez. 4, 6.2.2009, Cappelletti, Rv. 243202).
4.1 In realtà il giudice di appello ha ritenuto non adeguatamente provata la circostanza dell'intervenuto risarcimento del danno in misura congrua e integrale laddove, in presenza di una mera dichiarazione di scienza operata da una figlia del de cuius, ha ritenuto la stessa non del tutto concludente, in assenza della produzione di documentazione indicativa delle somme in concreto erogate e dei destinatari delle erogazioni.
4.2 La motivazione del giudice territoriale appare logica e coerente rispetto alle risultanze processuali, atteso che ai fini della configurabilità della circostanza attenuante di cui all'art. 62 c.p., comma 1, n. 6, il risarcimento del danno deve essere volontario, integrale, comprensivo sia del danno patrimoniale che morale, ed effettivo (sez.6, 12.11.2015, Minzolini, Rv.265831) e la valutazione sulla ricorrenza di tali presupposti è rimessa all'apprezzamento del giudice (sez.2, 24.1.2013, Corsini e altri, Rv. 254880), laddove nel caso in esame non è dato sapere chi siano stati i beneficiari delle erogazioni e quali siano stati gli importi liquidati, così da impedire al giudice di svolgere un compiuto apprezzamento in ordine alla integralità del profilo risarcitorio.
Il ricorso deve pertanto essere rigettato e il ricorrente va condannato al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 1 marzo 2017.
Depositato in Cancelleria il 14 giugno 2017