RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 23.02.2022 la Corte di appello di Catanzaro ha rigettato l'istanza di revisione, proposta ai sensi degli artt. 630,633 c.p.p. e D.Lgs. n. 231 del 2001, art. 73 della sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti, RG n. 62/2015, emessa dal GUP di Reggio Calabria il 13.01.2025, divenuta irrevocabile nei confronti della società Italstage Compay S.r.l., cui era stata applicata la sanzione pecuniaria di 70.000,00 Euro, in relazione all'illecito amministrativo di cui al D.Lgs. n. 231 del 2001, artt. 5, 6 e 25 septies perché traeva vantaggio o interesse dal delitto di cui al capo 1 commesso da A.P. quale amministratore con violazione delle norme antinfortunistiche e a tutela della sicurezza avendo la società omesso un modello di gestione organizzativo idoneo a prevenire reati della specie di quello verificatosi (crollo di un struttura in alluminio in (Omissis) che doveva servire a sostenere impianti luce ed audio del palco sul quale si doveva esibire il concerto della cantante P. e a seguito del quale crollo perdeva la vita A.).
L'istanza veniva proposta dalla società ricorrente per la risoluzione del conflitto, ex art. 630 c.p.p., comma 1, lett. a), tra la sentenza di patteggiamento, pronunciata nei confronti dell'ente e la sentenza del 24.04.2018 pronunciata dal Tribunale di Reggio Calabria che aveva dichiarato colpevole l' A. dal delitto di omicidio colposo ascrittogli oltre quello di crollo colposo con l'esclusione però della circostanza aggravante di cui all'art. 589 c.p., comma 2.
2. La Corte territoriale ha rigettato l'istanza rilevando la mancata ricorrenza dei presupposti applicativi dell'istituto della revisione. In proposito ha richiamato il consolidato principio stabilito in sede di legittimità, in base al quale, in caso di contrasto tra giudicati, è possibile la revisione soltanto ove vi sia inconciliabilità tra i fatti storici stabiliti a fondamento delle due sentenze.
3. Ha proposto ricorso per Cassazione mezzo del difensore, Italstage Company s.r.l. in persona del rappresentante pro tempore A.P., lamentando contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione.
La motivazione addotta dalla Corte d'appello, sostiene la difesa, è meritevole di essere censurata.
L'orientamento citato dalla Corte di merito è inconferente rispetto al thema decidendum, poiché esso si riferisce ad ipotesi di conflitto di giudicati risultanti da sentenze pronunciate nei confronti di persone fisiche.
L'impostazione ermeneutica richiamata dalla Corte d'Appello di Catanzaro può ritenersi consolidata solo rispetto alle ipotesi di sentenze pronunciate nei confronti delle persone fisiche.
Deduce che il giudice di primo grado con la sentenza n. 729/2018 del 24.04.2018 pur pronunciando sentenza di condanna nei confronti dell' A. ha escluso nei suoi confronti l'aggravante della violazione delle norme antinfortunistiche, tale impostazione è rimasta confermata anche nella pronuncia definitiva della Corte di Cassazione di qui l'inconciliabilità della sentenza di patteggiamento che ha come reato presupposto l'infortunio sul lavoro D.Lgs. n. 231 del 2001, ex art. 25 sepies. Nessun addebito quindi può essere formulato a carico dell'ente in relazione all'omicidio colposo realizzatosi nei confronti di A..
Con riferimento alle ipotesi di revisione di sentenze pronunciate nei confronti dell'ente, invece, deve ritenersi ammissibile la richiesta di revisione della sentenza di patteggiamento a carico dell'ente collettivo a fronte di una pronuncia irrevocabile del giudice penale che escluda la sussistenza del reato presupposto (sentenza n. 3507/2013 della Corte d'Appello Brescia).
L'addebito all'ente collettivo andrebbe sicuramente escluso nel caso in cui la persona fisica autrice dell'illecito penale venga assolta "perché il fatto non sussiste", mancando in tal caso un vero e proprio presupposto del regime di responsabilità disciplinato dal D.Lgs. n. 231 del 2001.
Le peculiarità della responsabilità dell'ente, diversamente da quanto proposto nell'impianto motivazionale dell'ordinanza, deve essere considerata in via autonoma rispetto agli arresti giurisprudenziali richiamati. L'accertamento della responsabilità amministrativa degli enti, infatti, si fonda su un modello di imputazione che, seppur mutuato da quello penalistico, è peculiare, prevedendo l'affermazione di responsabilità solo in caso di ricorrenza del presupposto della commissione di un fatto che costituisce reato.
Dal punto di vista sistematico, la struttura generale dell'illecito dell'ente tipizzata dalla legge insiste proprio sulla commissione di un reato presupposto da parte di un soggetto funzionalmente legato all'ente.
Deve, inoltre, rilevarsi come la responsabilità degli enti per i reati commessi dai soggetti in posizione apicale' sia stata costruita dal legislatore secondo il meccanismo peculiare di cui al D.Lgs. n. 231 del 2001, art. 6. Si tratta di una disposizione che esprime il principio per cui "il fondamento della responsabilità dell'ente è costituito dalla "colpa di organizzazione", essendo proprio il deficit organizzativo quello che consente la piena ed agevole imputazione all'ente dell'illecito penale" (così Sez. 6^, 15/06/2022, n. 23401).
Il D.Lgs. n. 231 del 2001, nella prospettiva di indicare l'esimente della responsabilità, non prevede affatto la sanzionabilità dell'ente per aver meramente omesso di adottare un modello di organizzazione e gestione e controllo (ovvero per averlo efficacemente attuato), ma prevede, invece, la punibilità dell'ente che abbia consentito la realizzazione del reato presupposto elemento indefettibile e irrinunciabile della responsabilità degli enti -perché privo di un'organizzazione idonea a minimizzare il rischio di verificazione di tali reati.
In mancanza del reato presupposto, pertanto, nessuna responsabilità può essere addebitata all'ente.
3. Il Procuratore Generale con requisita scritta da valere come memoria ha chiesto il rigetto del ricorso richiamando i principi secondo cui "questa Corte ha chiarito che è ammissibile la richiesta di revisione di una sentenza di patteggiamento per inconciliabilità con l'accertamento compiuto in giudizio nei confronti di altro imputato per il quale si sia proceduto separatamente ma e', tuttavia, necessario che l'inconciliabilità si riferisca ai fatti stabiliti a fondamento della sentenza di condanna e non già alla loro valutazione" (Sez. 1, n. 15088 del 08/01/2021, Elia, Rv. 281188 - 02; Sez. 5, n. 10405 del 13/01/2015, Contu, Rv. 262731 - 01)".
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile in quanto manifestamente infondato.
2. Il contrasto di giudicati, cui si riferisce l'art. 630 c.p.p., comma 1, lett. a), sussiste anche tra l'accertamento contenuto in una sentenza di patteggiamento e quello contenuto in una sentenza emessa a seguito di giudizio ordinario, in quanto l'art. 629 c.p.p., come modificato dalla L. 12 giugno 2003, n. 134, prevede espressamente la revisione "delle sentenze emesse ai sensi dell'art. 444 c.p.p., comma 2" (in questo senso, Cass., Sez. 4, 21/12/2010, n. 2635, Rv. 249621).
E' ovvio che tale procedura possa essere attivata anche nell'ambito della responsabilità amministrativa degli enti, dovendosi estendere ad essi tutte le garanzie previste per il condannato in quanto compatibili (D.Lgs. n. 231 del 2001, art. 35: "All'ente si applicano le disposizioni processuali relative all'imputato, in quanto compatibili").
Ciò premesso, venendo al merito della regiudicanda, deve ritenersi come la decisione di cui al provvedimento impugnato sia corretta.
Per consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità il giudizio di revisione non può essere fondato sulla incompatibilità di due giudicati, a meno che non vi sia prova che tale incompatibilità riguardi il fatto storico. In tema di revisione, infatti, il concetto di inconciliabilità fra sentenze irrevocabili di cui all'art. 630 c.p.p., comma 1, lett. a), deve essere inteso con riferimento ad una oggettiva incompatibilità tra i fatti storici stabiliti a fondamento delle diverse sentenze, non alla contraddittorietà logica tra le valutazioni operate nelle due decisioni; ne consegue che gli elementi in base ai quali si chiede la revisione devono essere, a pena di inammissibilità, tali da dimostrare, se accertati, che il condannato deve esser prosciolto e, pertanto, non possono consistere nel mero rilievo di un contrasto di principio tra due sentenze che abbiano a fondamento gli stessi fatti. (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 8419 del 14/10/2016 Cc. - dep. 21/02/2017 - Rv. 269757-01). Non è pertanto ammessa la revisione della sentenza di condanna fondata sugli stessi dati probatori utilizzati dalla sentenza di assoluzione in quanto la revisione giova ad emendare l'errore sulla ricostruzione del fatto e non sulla valutazione giuridica del fatto (Cass. Sez. 6, Sentenza n. 488 del 15/11/2016 Ud. - dep. 05/01/2017 - Rv. 269232-01).
Nel caso in esame la "inconciliabilità" non si riferisce ai "fatti stabiliti a fondamento della sentenza di condanna", bensì solo in parte alla loro valutazione giuridica.
Questo Collegio condivide pienamente l'orientamento secondo cui la lett. a) citata fa riferimento non ad un'inconciliabilità di natura logica tra due decisioni ma all'accertamento dei fatti stabiliti a fondamento della sentenza (della cui revisione si tratta), allorché si tratta di fatti che non possono conciliarsi con quelli stabiliti in un'altra sentenza penale irrevocabile.
Nel caso di specie, il fatto storico è rappresentato dalla esistenza di un infortunio occorso sul luogo di lavoro ad un dipendente della società medesima.
Nella sentenza richiamata, peraltro di condanna, non si è negato il fatto. La vicenda processuale riguarda il crollo di una struttura metallica, denominata ground support, in lega di alluminio, che doveva fungere da sostegno per gli impianti della luce e dell'audio, composta da sei pilastri reticolari a sezione quadrata e da un grigliato spaziale a doppio strato (space roof), da realizzarsi all'interno del palazzetto dello sport (Omissis) a copertura del palco, sul quale doveva esibirsi l'artista P.L. in occasione di un concerto musicale programmato per la serata del (Omissis). Agli imputati è stato innanzitutto contestato il reato di omicidio col poso (per alcuni aggravato dalla violazione della normativa antinfortunistica).
In particolare, al F., progettista nominato da ITALSTAGE COMPANY s.r.l. (società costruttrice incaricata dalla F&P GROUP s.r.l. di realizzare la costruzione della citata struttura) si è contestato di avere causato il collasso e l'improvviso crollo laterale dell'opera e, così, la morte del lavoratore A.M. (operaio c.d. rigger, ossia allestitore in quota, dipendente della società cooperativa per azioni INSIEME, impegnato nei lavori di allestimento del concerto musicale) e le lesioni subite da altri tre operai, uno dipendente della medesima cooperativa, gli altri due della HARLEY ROCK CREW soc. coop. a r.l.), per colpa generica e specifica, in violazione del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 64, attraverso la commissione di errori e omissioni nella progettazione (analiticamente descritti dal punto comma 1 al punto c. 7 della imputazione). Al legale rappresentante della citata ITALSTAGE, A.P., lo stesso reato è stato contestato per colpa generica e specifica, questa in riferimento al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 65, per non avere denunciato l'opera, prima dell'inizio dei lavori, all'ufficio tecnico regionale competente (già genio civile), impedendo l'attivazione di ogni opportuna forma di controllo; per avere dato inizio alla costruzione sulla scorta di un progetto errato e assolutamente carente, privo delle necessarie verifiche sulle caratteristiche del piano di posa; infine, per avere omesso di contestare alla committente F&P GROUP s.r.l. la mancata nomina di un direttore dei lavori.
All'imputato S.F. il reato è stato contestato, nella qualità di legale rappresentante della società da ultimo citata, committente in via esclusiva dei lavori di realizzazione della struttura metallica e, unitamente alla (Omissis) di S.M., anche dell'allestimento e realizzazione dell'evento musicale, per non avere nominato un direttore dei lavori, richiesto al costruttore una adeguata integrazione del progetto e per avere omesso le verifiche sulle concrete caratteristiche del piano di posa.
La vicenda che ci occupa ha riguardato anche altre due figure di garanti. In particolare, a S.S., coordinatore della sicurezza per l'esecuzione dei lavori di realizzazione della struttura metallica (incaricato dalla EMME ESSE MUSICA), il reato di omicidio colposo è stato contestato per non avere sospeso i lavori, pur consapevole della mancata nomina di un direttore e pur avendo riscontrato i gravi errori e le omissioni progettuali di cui si è già detto; a C.M., invece, responsabile del settore progettazione e esecuzione LL.PP. del comune di Reggio Calabria, per non avere inibito, nell'ambito della procedura amministrativa intesa all'adozione di un'ordinanza sindacale che consentisse, in assenza del nulla osta della commissione provinciale di vigilanza, lo svolgimento del concerto, l'inizio dei lavori di costruzione della citata struttura metallica, e/o, dopo la consegna dell'impianto, per non averli immediatamente sospesi, non segnalando il grave e imminente pericolo di crollo, dopo avere ricevuto la documentazione funzionale al rilascio del prescritto parere tecnico e all'espletamento del sopralluogo per la verifica sul corretto allestimento delle strutture, nella consapevolezza della mancata nomina di un direttore dei lavori e della omessa denuncia dell'opera all'ufficio tecnico regionale e in mancanza degli elaborati progettuali relativi all'impianto sportivo e dei dati relativi al piano di posa della struttura.
A tutti gli imputati, inoltre, è stato contestato anche il reato di cui all'art. 449 c.p., in relazione all'art. 434 c.p., per avere ciascuno, nelle rispettive, descritte qualità, cagionato il crollo della struttura di cui sopra, facendone derivare un pericolo per la pubblica incolumità.
2,4 Il cuore delle doglianze ha riguardato le ragioni giustificative articolate dai giudici del merito in ordine alla ritenuta applicabilità del T.U. edilizia, avendo essi conformemente valorizzato la ratio giustificatrice della disciplina e delle regole cautelari ivi rinvenute, ma soprattutto evidenziato la predominanza della componente statica dell'opera, rispetto alla caratteristica della temporaneità del suo utilizzo.
La difesa sostiene che la pronuncia di merito del Giudice di primo grado, sostanzialmente confermata dalla pronuncia della Corte di Cassazione, aveva negato la violazione della norma antinfortunistica e quindi di un elemento costitutivo della sussistenza del reato presupposto dell'illecito amministrativo che costituirebbe, secondo il modello normativo di cui al D.Lgs. n. 231 del 2001, il reato-presupposto della responsabilità della società.
In realtà, il vulnus della ricostruzione offerta dalla difesa è insito nel prospettare che il giudice della sentenza abbia negato l'esistenza della violazione delle norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro.
La lettura della sentenza della Corte di Cassazione pronunciata da questa Sez. 4, Sentenza n. 14636 del 2021 rivela tutt'altro: proprio con riferimento al tema della operatività dell'aggravante antinfortunistica con specifico riferimento al luogo in cui è avvenuto l'incidente, e alla posizione dell'imputato F., progettista nominato da ITALSTAGE COMPANY s.r.l. (società costruttrice incaricata dalla F&P GROUP s.r.l. di realizzare la costruzione della citata struttura) la doglianza ha costituito oggetto di valutazione sin dal primo grado e ad essa il Tribunale di Reggio Calabria ha replicato richiamando il T.U. n. 81 del 2008, art. 22, a mente del quale i progettisti dei luoghi e posti di lavoro e degli impianti sono tenuti a rispettare i principi generali in materia di prevenzione infortuni al momento delle scelte progettuali e tecniche. Si e', così, ritenuto che il ground support è in sé un luogo di lavoro, sul quale sono chiamati a svolgere mansioni specifiche i riggers, cioè gli installatori in quota, uno dei quali era la stessa vittima, A.M. (anche mediante un opportuno richiamo ai principi già affermati da questa stessa sezione, cfr. sez. 4, n. 13866 del 6/2/2009, Stendardo, Rv. 243201, in cui si è ritenuto il progettista di uno scavo responsabile per la morte dei lavoratori deceduti nella sua esecuzione a causa di uno smottamento del terreno, in quanto non aveva svolto le indagini geologiche e geotecniche pure imposte nel caso di specie dalla legge e, conseguentemente, non avendo adeguatamente valutato il rischio di crolli, aveva anche omesso di prevedere la realizzazione di adeguate protezioni atte a prevenirlo).
Diretto precipitato di tale principio, ha affermato la Corte di Cassazione Sez. 4 nella sentenza sopra citata, è che, nella nozione "luogo di lavoro", rilevante ai fini della sussistenza dell'obbligo di attuare le misure antinfortunistiche, rientra ogni luogo in cui venga svolta e gestita una qualsiasi attività implicante prestazioni di lavoro, indipendentemente dalle finalità della struttura in cui essa si esplichi e dell'accesso ad essa da parte di terzi estranei all'attività lavorativa (cfr. sez. F. n. 45316 del 27/8/2019, Giorni Pietro, Rv. 277292), finalità che possono essere sportive, ludiche, artistiche, di addestramento o altro (cfr. sez. 4, n. 12223 del 3/2/2015, dep. 2016, Delmastro e altri, Rv. 266385; sez. 4, n. 2343 del 27/11/2013, dep. 2014, Rv. 258435) e ogni luogo nel quale il lavoratore deve o può recarsi per provvedere ad incombenze di qualsiasi natura in relazione alla propria attività (cfr. sez. 4, n. 43840 del 16/5/2018, Rv. 274265).
Il giudice quindi del processo di cognizione, sebbene abbia escluso per la personale di posizione di Aumenta l'aggravante della violazione della normativa antinfortunistica, ha affermato la sua responsabilità penale con riferimento all'infortunio mortale ritendo sussistente la violazione della normativa cautelare ricavabile dal TU sull'edilizia, e ha ritenuto sussistente l'aggravante di cui all'art. 589 c.p., comma 2 proprio con riferimento all'incarico al tecnico F., progettista nominato da ITALSTAGE COMPANY s.r.l. (società costruttrice incaricata dalla F&P GROUP s.r.l. di realizzare la costruzione della citata struttura).
Si rammenta come in tema di responsabilità da reato degli enti ex D.Lgs. n. 231 del 2001 la Suprema Corte abbia stabilito che all'assoluzione della persona fisica imputata del reato presupposto per una causa diversa dalla rilevata insussistenza di quest'ultimo non consegua automaticamente l'esclusione della responsabilità dell'ente per la sua commissione, poiché tale responsabilità, ai sensi del D.Lgs. n. 231 del 2001, art. 8, deve essere affermata anche nel caso in cui l'autore del suddetto reato non sia stato identificato. (Sez. 5, Sentenza n. 20060 del 04/04/2013 Ud. (dep. 09/05/2013) Rv. 255414 - 01).
Quanto affermato nella citata pronuncia può essere esteso al caso in esame. Sulla base di tali considerazioni, deve affermarsi che la responsabilità dell'ente disegnata dal D.Lgs. n. 231 del 2001, dipende dal reato della persona fisica, funzionalmente legata all'ente, nel caso di specie quindi occorre fa riferimento non solo all' A. nella sua qualità di legale rappresentante pro tempore ma anche al F., incaricato dall' A. progettista per la società e alla sua accertata responsabilità penale, nella qualità, per l'infortunio sul lavoro mortale occorso ad A.M. proprio in violazione delle normativa antinfortunistica.
Ne consegue che il motivo di ricorso è manifestamente infondato difettando i presupposti dell'istituto della revoca della sentenza di patteggiamento.
3. All'inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. Tenuto conto della sentenza della Corte costituzionale n. 186 del 13 giugno 2000 e rilevato che non sussistono elementi per ritenere che il ricorrente non versasse in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, deve essere disposto a suo carico, a norma dell'art. 616 c.p.p., l'onere di versare la somma di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende, somma così determinata in considerazione delle ragioni di inammissibilità.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, il 5 luglio 2023.
Depositato in Cancelleria il 20 luglio 2023