RITENUTO IN FATTO
1.Con l'ordinanza impugnata, la Corte di appello di Torino ha dichiarato inammissibile il ricorso, nell'interesse di C.E., per la revisione della sentenza del Tribunale di La Spezia del 13 dicembre 2005, che ha dichiarato non doversi procedere per intervenuta prescrizione dei reati di associazione per delinquere, di contrabbando di T.L.E. e falso, fino al dicembre 1993.
1.1. La Corte territoriale ha premesso che analoga istanza era stata già dichiarata inammissibile con ordinanza del 14 aprile 2016; che la contestazione aveva a oggetto la falsificazione di documenti di trasporto di materiale che, fatti figurare a destinazione in altri paesi tramite importatore o destinatari fittizi o compiacenti, arrivavano poi in Italia o in altri Stati, con evasione delle imposte e destinazione al contrabbando; che l'istanza si fonda sulla prospettazione che, per gli stessi fatti, il coindagato G.F. - dopo essere stato oggetto di indagini in Gran Bretagna, da cui era derivato altro procedimento in Germania, che aveva condotto alla individuazione e alla condanna di tale M.W., il quale avrebbe reso piena confessione, dichiarandosi unico responsabile - era stato prosciolto dalla autorità giudiziaria britannica; che, sempre secondo l'istante, dalla documentazione agli atti dei fascicoli tedesco e inglese, emergerebbe la estraneità anche del C. ai fatti per cui era stato condannato dal Tribunale spezzino, documentazione che, tuttavia, non era pervenuta all'A.G. di La Spezia, in quanto i rapporti internazionali erano stati trattati dal Pubblico Ministero di Genova; che, a fondamento della propria istanza, il C. sostiene di avere subito conseguenze sul piano fiscale - tributario analoghe a quelle in cui sarebbe incorso in caso di pronunciamento di una sentenza di condanna, in quanto l'accertamento dell'Ufficio delle Dogane di La Spezia, avente a oggetto il recupero dei diritti doganali, fa riferimento anche alla sentenza di La Spezia del 13/12/2005, giacché la pronuncia di non doversi procedere per prescrizione non esclude il diritto di recuperare i tributi evasi. A ciò consegue - nella prospettazione difensiva - che la sentenza di non doversi procedere è un provvedimento avente contenuto analogo a una di condanna.
1.2. Ciò premesso, la declaratoria di inammissibilità impugnata si è fondata su due rilievi:
1.2.1. in primis, la Corte di appello ha considerato che la revisione è rimedio straordinario consentito, per espresso dettato normativo, solo con riferimento alle sentenze di condanna,
secondo l'interpretazione che di esse hanno dato le Sezioni Unite "Milanesi", in cui si è ritenuto "ammissibile sia agli effetti penali che agli effetti civili la revisione, richiesta ai sensi dell'art. 630 c.p.p., comma 1, lett. c), della sentenza del giudice dell'appello che, decidendo anche sull'impugnazione ai soli effetti civili delle disposizioni e dei capi concernenti gli effetti civili, in applicazione della disciplina dettata dall'art. 578 c.p.p., abbia prosciolto l'imputato per l'intervenuta prescrizione del reato e contestualmente confermato la sua condanna al risarcimento del danno nei confronti della parte civile. estendendo il concetto di condanna anche alle sentenze dichiarative della prescrizione pronunciate dal Giudice di appello che abbiano confermato, ai fini civili, la condanna al risarcimento del danno a favore della parte civile." Ha precisato, l'ordinanza impugnata, che le Sezioni Unite, nel citato arresto, hanno espressamente escluso dal novero delle sentenze soggette a revisione quelle in relazione alle quali sia stata pronunciata soltanto l'estinzione del reato per prescrizione, senza alcuna condanna neppure agli effetti civili, altresì escludendo profili di incostituzionalità di una siffatta interpretazione.
Pertanto, ha affermato che, nel caso di specie, quella del Tribunale di La Spezia non può considerarsi né una sentenza di condanna né una sentenza di appello che pronunci condanna ai soli effetti civili, essendo, invece, una sentenza di primo grado, meramente dichiarativa di estinzione dei reati per prescrizione.
1.2.2. Una seconda ragione di inammissibilità è stata individuata nella reiterazione di analoga istanza fondata esattamente sugli stessi elementi già valutati in precedenza, e allo stesso modo dichiarata inammissibile, risolvendosi le asserite prove nuove in una sentenza della CEDU sentenza Grande Stevens c/Italia - osservando, tuttavia, che la riapertura del processo per conformarsi a una sentenza definitiva della CEDU non costituisce prova nuova ma un caso di revisione che si aggiunge, in virtù della pronuncia della Corte costituzionale n. 113/2011, a quelli già tassativamente previsti dall'art. 630 c.p.p., azionabile dal soggetto in cui favore sia intervenuto il riconoscimento della violazione di norma convenzionale. Inoltre, ha osservato che il principio enunciato dalla sentenza Grande Stevens - che vieta un secondo giudizio - può essere evocato solo nel secondo procedimento e non nel primo.
1.2.3. Infine, la Corte d'appello ha considerato che, in assenza di rinuncia alla prescrizione, il giudizio di revisione non potrebbe che concludersi con analoga declaratoria di prescrizione, non ricorrendo nel caso di specie la condizione della evidenza della prova che consente il proscioglimento nel merito, ai sensi dell'art. 129 c.p.p., giacché la stessa Difesa allega che la prova dell'innocenza dell'imputato si trarrebbe da una ricca produzione di documenti provenienti da autorità straniere.
2. Ha proposto ricorso per cassazione C.E., con il ministero dei difensori di fiducia, avvocati Paolo Munafò e Rosalba Cannone. Il ricorso dell'avv. Munafò articola tre motivi; due quello dell'avv. Cannone. I motivi prospettano in parte questioni comuni, e saranno enunciati congiuntamente nei limiti richiesti per la motivazione ai sensi dell'art. 173 disp. att. c.p.p.. 2.1. Con il primo motivo del rispettivo ricorso, i difensori denunciano violazione degli artt. 629 c.p.p. e art. 630 c.p.p., lett. a) e c), e correlati vizi della motivazione, amentando la erronea interpretazione - in malam partem - dei principi di diritto enunciati dalle Sezioni Unite "Milanesi" (Sez. Un. 6141 del 25/10/2018), alla luce dei richiami alla giurisprudenza convenzionale e ai principi affermati, altresì, dalle Sezioni Unite "Pisano" e "Marani", in ordine alla astratta ammissibilità delle ipotesi di revisione ritenute dalla legge sintomatiche della probabilità di errore giudiziario e dell'ingiustizia della sentenza irrevocabile. Si sostiene che tali pronunce abbiano lasciato aperta la possibilità di considerare la declaratoria di proscioglimento agli effetti penali per prescrizione, che non sia accompagnata dalla condanna agli effetti civili, come assoggettabile al giudizio di revisione, in quanto decisum idoneo a produrre, come nel caso di specie, effetti sfavorevoli per l'imputato. Si richiamano i cc.dd. criteri Engel elaborati dalla Corte EDU ai fini della attribuzione del carattere penale a una sanzione, per significare che il C., nel giudizio tributario, avente a oggetto le medesime condotte di rilievo penale, ha subito una pena, inflitta dal giudice tributario, che, per gravità, presenta le caratteristiche della pena e che la sottoposizione del ricorrente al giudizio tributario integra anche una violazione dell'art. 4 del prot. 7 CEDU ("diritto a non essere giudicato o punito due volte"), altresì, richiamando la sentenza Grande Stevens c/Italia che, nella individuazione della "identità del fatto", ha accolto la concezione naturalistica di "stesso fatto storico", ed ha posto l'equiparazione, ai fini del ne bis in idem, del giudicato amministrativo al giudicato penale. Alla luce di tali approdi, la Difesa segnala che l'azione promossa dall'Agenzia delle Dogane - già costituitasi parte civile nel procedimento penale conclusosi con la declaratoria di prescrizione - per il recupero dei diritti doganali pretesi per l'illecita immissione in consumo di T.L.E. per l'importo di Euro 1.360.875,00 - si è fondata sull'azione penale avviata nei confronti del Calò, cosic:ché non può negarsi l'inscindibile legame tra la declaratoria di prescrizione e l'affermazione di responsabilità derivante dall'azione per il recupero dei diritti doganali che attribuisce al C. lo status di condannato.
Si sostiene, in conclusione, che l'interpretazione data dalla Corte di appello, ritenendo non estensibile il giudizio di revisione alle sentenze dichiarative della mera prescrizione, integri una violazione dell'art. 3 Cost..
2.2. Con un secondo motivo, entrambi i difensori denunciano violazione degli artt. 631 e 641 c.p.p. e contraddittorietà della motivazione, per avere la Corte di appello dichiarato inammissibile la richiesta di revisione per mancanza di elementi di novità rispetto alla precedente istanza, rilevando che, invece, la sentenza emessa il 22/06/1996, irr. il 05/07/1996, dall'Autorità Giudiziaria tedesca (Tribunale di Mannheim) nei confronti di M.W., e la documentazione correlata, non erano state precedentemente allegate.
2.3. Con il terzo motivo, l'avvocato M. denuncia contraddittorietà della motivazione nella parte in cui la Corte di appello ha ritenuto insussistente l'evidenza della prova dell'innocenza del richiedente, giacché, per un verso, nell'ordinanza impugnata, si afferma che l'istanza si fonda sui medesimi elementi già valutati in precedenza, e, dall'altra, si si dice che essa contiene copiosa documentazione incompatibili con l'evidenza della prova dell'innocenza. Analoghi rilievi si leggono anche nel ricorso a firma dell'avvocato Cannone.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Non è fondato, in maniera assorbente, il primo motivo poc'anzi enunciato.
1.L'art. 629 c.p.p. stabilisce che è ammessa in ogni tempo, a favore dei condannati e nei casi determinati dalla legge, la revisione delle sentenze di condanna e dei decreti penali; facoltà poi estesa alle sentenze emesse ai sensi dell'art. 444 c.p.p., con L. 12 giugno 2003.
2. Dunque, la revisione è un mezzo, sia pur straordinario, di impugnazione, e, dunque, essa è soggetta al principio di tassatività di cui all'art. 568 c.p.p., comma 1. E' altrettanto indiscutibile che, riguardando l'art. 629 c.p.p. soltanto le sentenze di condanna e di patteggiamento, quelle di proscioglimento non siano suscettibili di revisione, come per l'appunto costantemente ribadito da questa Corte (per il principio generale ex multis Sez. 5 n. 15973 del 24/02/2004, Rv. 228763). 3.Tale ultima affermazione si ritrova anche nella pronuncia che, per prima, ha propugnato l'orientamento poi condiviso dalle Sezioni Unite: Sez. 5 n. 46707 del 03/10/2016, Panizzi, Rv. 269939, - dissentendo dalla opinione unanime fino a quel tempo - ritenne, infatti, non condivisibile la tesi secondo cui la sentenza di proscioglimento non possa essere sottoposta a revisione qualora con la stessa si sia provveduto in maniera pregiudizievole per l'imputato in ordine alle richieste della parte civile, giungendo a negare che l'art. 629 c,p.p., nell'individuare i provvedimenti soggetti a revisione, si riferisca esclusivamente a quelli che abbiano affermato in maniera definitiva la responsabilità dell'imputato agli effetti penali. Si osservava, infatti, in quell'arresto, come il citato art. 629 c.p.p. indichi tra i provvedimenti soggetti a revisione "le sentenze di condanna", senza precisare ulteriormente l'oggetto delle stesse e come, simmetricamente, il successivo art. 632, nell'individuare i soggetti legittimati a proporre la richiesta di revisione, evochi in maniera altrettanto generica la figura del "condannato".
Ne' potrebbe dubitarsi - si osservava ancora - che la decisione che accoglie l'azione civile esercitata nel processo penale costituisca una "pronunzia di condanna che presuppone l'accertamento della colpevolezza dell'imputato per il fatto di reato, come espressamente stabilito dagli artt. 538 e 539 c.p.p." e che, dunque, in presenza di siffatta situazione processuale, l'imputato sia "condannato" alle restituzioni ed al risarcimento del danno (sez. 5 n. 46707/2016).
4. Le Sezioni Unite Milanesi - ampiamente evocate nei ricorsi - nel risolvere il contrasto formatosi a seguito della richiamata pronuncia - hanno, quindi, affrontato il tema dell'individuazione dei provvedimenti impugnabili con la revisione, dovendo in particolare stabilirsi se per soggetto "condannato", in quanto tale legittimato a proporre richiesta di revisione, si debba intendere anche quello nei cui confronti sia stata pronunciata una mera condanna agli effetti civili, con contestuale declaratoria di estinzione del reato ascrittogli agli effetti penali, ed hanno, come è noto, concluso nel senso che " è ammissibile (anche agli effetti penali) la revisione della sentenza dichiarativa dell'estinzione del reato per prescrizione (o per amnistia) che, decidendo, ai sensi dell'art. 578 c.p.p., anche sull'impugnazione ai soli effetti delle disposizioni e dei capi concernenti gli interessi civili, condanni l'imputato al risarcimento del danno (od alle restituzioni) in favore della parte civile" (Sez.U, n. 6141 del 25/10/2018 Cc. (dep. 07/02/2019) Rv. 27462701).
4.1. In tale approdo, dopo aver ricordato che, secondo la giurisprudenza costituzionale, l'istituto risponde alla "esigenza di altissimo valore etico e sociale, di assicurare, senza limiti di tempo ed anche quando la pena sia stata espiata o sia estinta, la tutela dell'innocente, nell'ambito della più generale garanzia, di espresso rilievo costituzionale, accordata ai diritti inviolabili della personalità" (Corte Cost., n. 28 del 1969), e richiamato le fonti nazionali (l'art. 24 Cost., comma 4, che, nell'imporre al legislatore crdinario di determinare "le condizioni e i modi per la riparazione degli errori giudiziari", ineludibilmente costituzionalizza anche lo strumento processuale finalizzato alla revoca delle sentenze di condanna frutto dei predetti errori, e trova conferma ulteriore nell'art. 27 Cost., comma 3, poiché la "rieducazione del condannato", cui le pene devono tendere, non deve aver luogo nei confronti di un innocente) e sovranazionali, poste a tutela dei diritti umani (l'art. 4, VII Protocollo alla Convenzione EDU prevede - in deroga al divieto di bis in idem - la possibilità della riapertura del processo "se fatti sopravvenuti o nuove rivelazioni o un vizio fondamentale nella procedura antecedente sono in grado di inficiare la sentenza intervenuta"), le Sezioni Unite hanno rilevato come "il presupposto imprescindibile per la legittimazione ad esperire l'impugnazione straordinaria de qua e', quindi, lo status di "condannato", da intendere necessariamente come "il soggetto che ha esaurito tutti i gradi del sistema delle impugnazioni ordinarie e rispetto al quale si è formato il giudicato in ordine alla decisione che lo riguarda" (così Sez. U., n. 13199 del 21/07/2016, Nunziata, Rv. 269790).
Ancora, hanno considerato come "Le Sezioni Unite (sentenza n. 28719 del 21/06/2012, Marani) hanno osservato che "la locuzione "condannato" che delimita soggettivamente la sfera di applicabilità del rimedio straordinario (...), non può arbitrariamente scandirsi in ragione del tipo di condanna in capo al soggetto che sia stato sottoposto, come imputato, al processo penale, giacché l'essere stato costui evocato in giudizio tanto sulla base della azione penale quanto in forza della azione civile esercitata nel processo penale, non può che comportare una ontologica identità di diritti processuali, a meno che la legge espressamente non distingua i due profili", il che si è ritenuto non avvenga in tema di ricorso straordinario".
Infine, hanno ricordato come, "chiamate a decidere se fosse ammissibile il ricorso straordinario ai sensi dell'art. 625-bis c.p.p. contro la sentenza o l'ordinanza della Corte di cassazione che rigetta o dichiara inammissibile il ricorso del condannato contro la decisione della corte d'appello che ha respinto ovvero dichiarato inammissibile la richiesta di revisione, le Sezioni Unite (sentenza n. 13199 del 21/07/2016, dep. 2017, Nunziata) hanno ribadito che il ricorso straordinario "si rifà al modello della disciplina della revisione", la quale, dal canto suo, "si inserisce nel sistema delle impugnazioni come un mezzo straordinario di difesa del condannato, per porre rimedio agli errori giudiziari, eliminando le condanne che siano riconosciute ingiuste, attraverso un giudizio che segue alla formazione del giudicato, la cui base giustificativa è di ordine prevalentemente pratico".
In accordo con i principi enunciati dalla giurisprudenza costituzionale, e già recepiti dalle Sezioni Unite, il Supremo Consesso ha ritenuto, quindi, che "l'istituto della revisione costituisca applicazione estrema del principio costituzionale che assegna al processo penale il compito dell'accertamento della verità ("poiché il fine primario e ineludibile del processo penale rimane la ricerca della verità": Corte Cost., sentenza n. 111 del 1993): proprio la necessità di perseguire il rispetto della verità impone di non accogliere opzioni ermeneutiche che portino a mantenere ferme decisioni condizionate da un quadro probatorio, esistente al momento della decisione, ma che in seguito risulti radicalmente smentito.
Questa funzione dell'istituto della revisione assume rilievo fondamentale ai fini della decisione della questione controversa.
4.2. Ciò posto, in quella decisione, il Massimo Consesso di legittimità ha expressis verbis affrontato la questione posta con l'odierno ricorso, prendendo in esame, in particolare, proprio la distinzione concettuale tra sentenza di condanna e sentenza di proscioglimento per intervenuta prescrizione, evidenziando l'esigenza di estendere il campo della revisione solo a quelle decisioni che comunque si fossero pronunciate in danno dell'imputato prosciolto sotto il profilo dell'obbligo di risarcire i danni. Si legge a paragrafo 19: "Si è anticipato che un problema potrebbe in astratto porsi in riferimento all'impossibilità di esperire la revisione nei confronti di sentenze che abbiano dichiarato l'estinzione del reato per amnistia o prescrizione senza contestualmente condannare l'imputato agli effetti civili: anche dal proscioglimento, in ipotesi conseguente ad un'amnistia oppure all'applicazione del perdono giudiziale, ovvero all'accertamento del difetto di imputabilità, e che pertanto postuli un quanto meno implicito accertamento di responsabilità, potrebbero conseguire effetti pregiudizievoli per l'imputato (ad esempio, l'applicazione di misure di sicurezza) (...) La presenza o meno, contestualmente alla declaratoria di estinzione del reato, dell'affermazione di responsabilità agli effetti civili, ovvero dell'accertamento incidentale di responsabilità ai fini della confisca ex art. 578 bis c.p.p., legittima l'accoglimento di una soluzione diversa quanto all'esperibilità della revisione contro le sentenze di proscioglimento non accompagnate dalle predette statuizioni ulteriori. La soluzione prescelta non pone, quindi, sotto questo profilo, problemi di costituzionalità in riferimento al principio di uguaglianza ex art. 3 della Costituzione.
5. Dunque, in sintesi, le Sezioni Unite "Milanesi", dopo avere esteso il rimedio della revisione anche alle sentenze dichiarative della prescrizione pronunciate dal giudice di appello, ove le stesse abbiano confermato la condanna al risarcimento del danno in favore delle parti civili, hanno ritenuto che si possano far rientrare nell'orizzonte giuridico della revisione solo quelle decisioni che comunque si fossero pronunciate in danno dell'imputato prosciolto sotto il profilo dell'obbligo di risarcire i danni.
6. La ragione della possibile estensione dell'area delle sentenze assoggettabili a revisione sta nella considerazione che si tratti di un accertamento sostanziale - non incidentale - della responsabilità, giacché, anche nel caso di una condanna ai soli effetti civili, contestuale alla declaratoria di estinzione del reato, viene in rilievo una affermazione di responsabilità ad essa inscindibilmente collegata, per la medesimezza del fatto storico costituente oggetto della duplice valutazione (agli effetti penali e civili) e dei materiali probatori valutati, di tal che la condanna, pur pronunciata ai soli effetti civili, si risolve, pur incidentalmente, in una affermazione di responsabilità anche agli effetti penali.
7. Nel caso in scrutinio, invece, quest'affermazione di responsabilità manca, giacché la sentenza emessa nei confronti di C.E. in data 13.12.2005 è meramente dichiarativa della estinzione dei reati per essere integralmente decorso il termine di prescrizione già al momento del giudizio di primo grado, e ciò rende insussistente il presupposto per ritenere il ricorrente un "condannato".
7.1. L'ordinanza impugnata si è correttamente determinata secondo i parametri fissati dalla sentenza "Milanesi", né è possibile pervenire, come sostenuto dalla Difesa ricorrente, ad altra soluzione che quella indicata nel provvedimento impugnato, ossia la inammissibilità di una istanza di revisione di una sentenza che non sia di condanna, nel senso che non contenga l'accertamento della responsabilità. Il presupposto che consente di estendere l'area delle sentenza assoggettabili a revisione, secondo le espresse indicazioni fornite proprio dalle Sezioni Unite e', infatti, riferito alla esistenza di una "condanna", agli effetti penali o agli effetti civili, che può, comunque, conseguire anche ad una sentenza meramente dichiarativa di estinzione del reato per intervenuta amnistia o perdono giudiziale, ma non ad una pura e semplice dichiarazione di estinzione per prescrizione, giacché, in tal caso, la declaratoria di prescrizione non produce alcuna modifica dello status dell'imputato, che viene prosciolto, senza conseguenze, penali o civili che siano.
7.2. Nel caso di specie, la sentenza di cui si discute è una decisione di primo grado che ha preso atto del decorso del termine massimo di prescrizione, senza che l'imputato abbia chiesto di rinunciarvi e senza alcuna statuizione di condanna in favore delle parti civili, cosicché la decisione in questione si pone al di fuori del caso che la sentenza "Milanesi" descrive testualmente come una mera condanna agli effetti civili, con contestuale declaratoria di estinzione del reato ascritto, agli effetti penali.
7.3. Neppure è condivisibile l'assunto difensivo secondo cui la sentenza Milanesi lascerebbe residuare una sorta di beneficio del dubbio per altre possibili sentenze assoggettabili a revisione, anche in assenza di una condanna (amnistia, perdono giudiziale, difetto di imputabilità), perché fondato su una lettura parziale della sentenza la quale, in successivi passaggi, si esprime con chiarezza nel senso di ancorare la possibilità di una revisione alla esistenza di una pronuncia di condanna quantomeno agli effetti civili, con ampie argomentazioni sulla ragionevolezza costituzionale della estensione e sulla corrispondente mancanza di presupposti analoghi negli altri casi, come innanzi ricordato.
Non e', dunque, estensibile al caso in esame il riferimento, contenuto nella sentenza Milanesi, all'art. 578 bis c.p.p., giacché, come si ripete, qui manca un accertamento, anche solo implicito, della responsabilità, né in tal senso è valorizzabile la statuizione del giudice civile che ha autonomamente accertato i fatti, i quali non necessariamente sono quelli esaminati dal giudice penale.
8. La infondatezza del primo motivo di ricorso per la inammissibilità della istanza di revisione formulata da C.E. dinanzi alla Corte di appello di Torino, assorbe le ulteriori doglianze (in tema di riproposizione della istanza di revisione non fondata su nuove emergenze, ovvero la questione dell'evidenza della prova di innocenza dell'imputato prosciolto per prescrizione).
9. Al rigetto del ricorso segue la condanna, ex lege, al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 3 maggio 2022.
Depositato in Cancelleria il 28 giugno 2022