RITENUTO IN FATTO
1. La Corte di appello di Brescia con sentenza del 23/5/2023 - in parziale riforma della sentenza pronunciata dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Brescia in data 26/4/2022, che aveva condannato Be.Gi. e Mo.Ba. per i reati loro rispettivamente ascritti – in accoglimento della proposta di concordato avanzata dal Be.Gi. riduceva la pena lui irrogata in primo grado e, con riferimento alla posizione della Mo.Ba., dichiarato non doversi procedere in relazione ai reati di cui ai capi 26) e 27) per carenza della condizione di procedibilità, confermava la pena per le residue imputazioni.
2. Be.Gi., a mezzo dei difensori, ha interposto ricorso per cassazione, affidandolo ad un unico motivo, con cui deduce la nullità della sentenza per omessa valutazione delle condizioni per il proscioglimento ai sensi dell'art. 129 cod. proc. pen.
2.1 In data 28/2/2024 sono pervenute conclusioni scritte.
3 Mo.Ba., a mezzo del difensore, ha interposto ricorso per cassazione, deducendo con il primo motivo l'inosservanza o l'erronea applicazione della legge penale in ordine all'affermazione di penale responsabilità per il reato associativo, nonché insufficienza o carenza di motivazione. Rileva che manca nel caso di specie l'affectio societatis, tenuto conto dei rapporti conflittuali tra la coppia Mo.Ba. -Be.Gi. e quella To.-Gh., che emergono in maniera evidente dalle conversazioni telefoniche intercettate.
3.1 Con il secondo motivo eccepisce la violazione dell'art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc pen. per insufficienza o carenza di motivazione con riferimento al reato di cui al capo 13). Evidenzia da un lato la genericità del capo di imputazione, che non specifica quando sarebbero avvenute le singole cessioni di farmaci che le sono ascritte e dall'altro la frammentarietà del materiale investigativo, compendiato solo nelle intercettazioni telefoniche, che non consente di ritenere la responsabilità della ricorrente.
3.2 Con il terzo motivo lamenta la violazione dell'art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc pen. per insufficienza o carenza di motivazione con riferimento al reato di cui al capo 12). Osserva che la collocazione dell'autovettura dell'imputata "nelle zone di interesse" non appare decisiva ai fini dell'affermazione della penale responsabilità della ricorrente e che il ruolo da essa rivestito nelle vicende per ci si procede non si connota in termini concorsuali, atteso che - in relazione all'episodio del 29/3/2016 - la Mo.Ba. non è entrata all'interno della farmacia, essendo rimasta in auto, dunque essendo una mera accompagnatrice; che altrettanto si desume dal contenuto delle conversazioni intercettata con riferimento alla truffa del 5/4/2016.
3.3 Con il quarto motivo lamenta la violazione dell'art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc pen. per omessa motivazione con riferimento agli aumenti di pena operati per la continuazione. Rileva che, a fronte di aumenti significativi di pena per i reati satellite, manca qualsivoglia motivazione; che, invece, agli atti vi sono elementi dai quali si desume agevolmente che la condotta della Mo.Ba. è stata del tutto marginale ed ancillare, oltre che protrattasi per un breve periodo di tempo, circostanze queste che avrebbero dovuto comportare aumenti di pena per la continuazione sensibilmente più contenuti.
3.4 Con il quinto motivo deduce la violazione dell'art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc pen. in relazione agli artt. 133 e 62-bis cod. pen., nonché insufficienza o carenza della motivazione. Evidenzia che il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche non ha tenuto conto della condotta post delictum, scevra da qualsiasi richiamo antisociale, tenuto conto che la ricorrente nelle more ha trovato lavoro; che il trattamento sanzionatorio non ha considerato il ruolo del tutto marginale svolto dalla Mo.Ba. nella vicenda delittuosa per cui si procede.
3.5 Con il sesto motivo eccepisce la violazione dell'art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen. in relazione agli artt. 640-quater e 322-ter cod. pen., nonché insufficienza o carenza della motivazione in relazione alla determinazione del quantum della confisca. Osserva che il profitto del reato di truffa deve essere individuato non nel valore dei farmaci, come ordinariamente e lecitamente commerciati, ma nel prezzo ricavato dalla illecita cessione; che, invero, il profitto del reato corrisponde al lucro, cioè al vantaggio di natura economica di diretta derivazione causale dall'attività del reo, dunque, l'utilità acquisita dalla realizzazione del reato; che cosa diversa è il danno patrimoniale cagionato alla persona offesa, che nel caso di specie corrisponde alla somma aritmetica del valore nominale dei farmaci oggetto della truffa, cioè al totale dei più alti prezzi di vendita; che, in altri termini, il profitto confiscabile si sostanzi nel denaro percepito al momento della consegna dei farmaci agli acquirenti e non nel danno patito dalle persone offese, che potrà costituire oggetto di richiesta risarcitoria; che altrimenti si arriverebbe alla paradossale conclusione per cui si sottoporrebbero a confisca per equivalente beni per un valore maggiore rispetto a quanto percepito a seguito della commissione della truffa.
Sotto altro profilo, si evidenzia che, in relazione alla responsabilità solidale propria del concorso di persone nel reato in tema di confisca per equivalente, si registrano nella giurisprudenza di legittimità diversi orientamenti e che, anche a voler seguire quello più rigoroso, le conclusioni cui è giunta la Corte territoriale sono errate; che, invero, laddove non siano ascritti all'imputato tutti i reati accertati - come appunto nel caso di specie - la confisca di valore non può eccedere il profitto corrispondente ai reati specificamente attribuiti al soggetto attinto dal provvedimento ablatorio; che, dunque, la confisca per equivalente deve essere riferita solo al reato di truffa e segnatamente solo agli episodi successivi al 29/3/2016, cioè quello del 29/3/2016 ai danni della farmacia Me. di C, per un totale di sei confezioni, dovendo invece escludersi i fatti occorsi in data 5/4/2016, in considerazione della indisponibilità della ricorrente legata a motivi di salute; che in ogni caso, pur volendosi addebitare all'imputata anche i fatti del 5/4/2016 per aver messo a disposizione persone o mezzi per la realizzazione della truffa, si arriverebbe a centotrentadue confezioni; che per i fatti del 6/4/2016 il profitto del reato è stato già sequestrato al coimputato Cr.Vi., per cui si potrà procedere alla confisca diretta di quanto versato sul libretto di depositi giudiziari.
3.6 In data 1/3/2024 sono pervenute conclusioni scritte.
4. In data 1/3/2024 sono pervenute memorie difensive e conclusioni scritte nell'interesse delle parti civili ATS di Bergamo e ATS di Brescia.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso di Be.Gi. è inammissibile per essere non consentito l'unico motivo cui è affidato.
Ed invero, secondo il costante insegnamento di questa Corte, in tema di concordato in appello, è ammissibile il ricorso in cassazione avverso la sentenza emessa ex art. 599-bis cod. proc. pen. che deduca motivi relativi alla formazione della volontà della parte di accedere al concordato, al consenso del pubblico ministero sulla richiesta ed al contenuto difforme della pronuncia del giudice, mentre sono inammissibili le doglianze relative a motivi rinunciati, alla mancata valutazione delle condizioni di proscioglimento ex art. 129 cod. proc. pen. e, altresì, a vizi attinenti alla determinazione della pena che non si siano trasfusi nella illegalità della sanzione inflitta, in quanto non rientrante nei limiti edittali ovvero diversa da quella prevista dalla legge (Sez. 1, n. 944 del 23/10/2019, Mineccia, Rv. 278170 - 01; Sez. 2, n. 22002 del 10/4/2019, Mariniello, Rv. 276102 - 01; Sez. 5, n. 7333 del 13/11/2013, Alessandria, Rv. 275234 - 01).
Ed invero, quando l'imputato rinuncia ai motivi di appello, concordando esclusivamente la rideterminazione della pena, la motivazione sulla responsabilità dell'imputato è quella contenuta nella sentenza di primo grado e la Corte di appello non è tenuta a motivare nuovamente sull'an della responsabilità, proprio per effetto della rinuncia ai motivi sul punto da parte dell'imputato. Sul punto, è costante l'orientamento per cui la rinuncia dell'imputato ai motivi di appello in funzione dell'accordo sulla pena ex art. 599-bis cod. proc. pen., introdotto dall'art. 1, comma 56, della legge 23 giugno 2017, n. 103, entrata in vigore il 03/08/2017, limita la cognizione del giudice di secondo grado che ha ad oggetto solo i motivi non oggetto di rinuncia. Il concordato in appello, dunque, produce effetti preclusivi, anche sulle questioni rilevabili d'ufficio, sull'intero svolgimento processuale, ivi compreso il giudizio di legittimità, analogamente a quanto avviene nella rinuncia all'impugnazione (Sezione 3, n. 19983 del 9/6/2020, Coppola, Rv. 279504 - 01; Sezione 5, n. 29243 del 4/6/2018, Casero, Rv. 273194 - 01).
Poiché la rinuncia è irretrattabile (Sezione 2, n. 43893 del 4/11/2021, Zapparini, Rv. 282312 - 01), si forma, per effetto delle preclusioni, il giudicato sui relativi punti della decisione (Sezione 6, n. 44625 del 3/10/2019, Kadha Hamza, Rv. 277381 - 01, in motivazione). Dunque, ove vi sia stata la rinuncia ai motivi relativi all'an della responsabilità e l'accordo riguardi solo la pena, si forma il giudicato sul punto relativo alla responsabilità.
2. Il ricorso di Mo.Ba. è fondato nei limiti che seguono.
2.1 I primi tre motivi non sono consentiti, in quanto costituiti da mere doglianze di fatto, tutte finalizzate a prefigurare una rivalutazione alternativa delle fonti probatorie, estranee al sindacato di legittimità. Peraltro, detti motivi sono reiterativi di medesime doglianze inerenti alla ricostruzione dei fatti e all'interpretazione del materiale probatorio già espresse in sede di appello ed affrontate in termini precisi e concludenti dalla Corte territoriale.
Va, poi, evidenziato che la sentenza di appello oggetto di ricorso in relazione alla affermazione della responsabilità degli imputati costituisce una c.d. doppia conforme della decisione di primo grado, con la conseguenza che le due sentenze di merito possono essere lette congiuntamente costituendo un unico corpo decisionale, essendo stato rispettato sia il parametro del richiamo da parte della sentenza d'appello a quella del Giudice per le indagini preliminari, sia l'ulteriore parametro costituito dal fatto che entrambe le decisioni adottano i medesimi criteri nella valutazione delle prove (Sezione 2, n. 6560 del 8/10/2020, Capozio, Rv. 280654 - 01).
Tanto premesso, si osserva che la modifica dell'art. 606 lett. e) cod. proc. pen., per effetto della legge n. 46 del 2006, non consente alla Corte di legittimità di sovrapporre la propria valutazione a quella già effettuata dai giudici di merito, mentre comporta che la rispondenza delle dette valutazioni alle acquisizioni processuali possa essere dedotta sotto lo stigma del cosiddetto travisamento della prova, a condizione che siano indicati in maniera specifica e puntuale gli atti rilevanti e sempre che la contraddittorietà della motivazione rispetto ad essi sia percepibile ictu oculi, dovendo il sindacato di legittimità al riguardo essere limitato ai rilievi di macroscopica evidenza, senza che siano apprezzabili le minime incongruenze (Sezione 3, n. 18521 del 11/01/2018, Ferri, Rv. 273217 -01; Sezione 6, n. 25255 del 14/02/2012, Minervini, Rv. 253099 - 01; Sezione 4,
n. 35683 del 10/07/2007, Servidei, Rv. 237652 - 01). Questa Corte, infatti, con orientamento (Sezione 2, n. 5336 del 9/1/2018, L., Rv. 272018 - 01; Sezione 6, n. 19710 del 3/2/2009, Buraschi, Rv. 243636 - 01) che il Collegio condivide e ribadisce, ritiene che, in presenza della c.d. "doppia conforme", ovvero di una doppia pronuncia di eguale segno (nel caso di specie, riguardante l'affermazione di responsabilità in ordine al reato associativo e la sussistenza della circostanza aggravante di cui all'art. 416-bis.1 cod. pen.), il vizio di travisamento della prova possa essere rilevato in sede di legittimità solo nel caso in cui il ricorrente rappresenti (con specifica deduzione) che l'argomento probatorio asseritamente travisato sia stato per la prima volta introdotto come oggetto di valutazione nella motivazione del provvedimento di secondo grado.
In altri termini, secondo la giurisprudenza della Suprema Corte (Sezione 2, n. 9106 del 12/2/21, Caradonna, Rv. 280747 - 01; Sezione 6, n. 5465 del 4/11/2020, F., Rv. 280601 - 01), il sindacato del giudice di legittimità sul discorso giustificativo del provvedimento impugnato deve mirare a verificare che la relativa motivazione sia: a) "effettiva", ovvero realmente idonea a rappresentare le ragioni che il giudicante ha posto a base della decisione adottata; b) non "manifestamente illogica", ovvero sorretta, nei suoi punti essenziali, da argomentazioni non viziate da evidenti errori nell'applicazione delle regole della logica; c) non internamente "contraddittoria", ovvero esente da insormontabili incongruenze tra le sue diverse parti o da inconciliabilità logiche tra le affermazioni in essa contenute; d) non logicamente "incompatibile" con altri atti del processo, dotati di una autonoma forza esplicativa o dimostrativa tale che la loro rappresentazione disarticoli l'intero ragionamento svolto dal giudicante e determini al suo interno radicali incompatibilità così da vanificare o radicalmente inficiare sotto il profilo logico la motivazione (nell'affermare tale principio, la Corte ha precisato che il ricorrente, che intende dedurre la sussistenza di tale incompatibilità, non può limitarsi ad addurre l'esistenza di "atti del processo" non esplicitamente presi in considerazione nella motivazione o non correttamente interpretati dal giudicante, ma deve invece identificare, con l'atto processuale cui intende far riferimento, l'elemento fattuale o il dato probatorio che da tale atto emerge e che risulta incompatibile con la ricostruzione adottata dal provvedimento impugnato, dare la prova della verità di tali elementi o dati invocati, nonché dell'esistenza effettiva dell'atto processuale in questione, indicare le ragioni per cui quest'ultimo inficia o compromette in modo decisivo la tenuta logica e l'interna coerenza della motivazione).
2.1.1 Non è dunque sufficiente che gli atti del processo invocati dal ricorrente siano semplicemente "contrastanti" con particolari accertamenti e valutazioni del giudicante e con la sua ricostruzione complessiva e finale dei fatti e delle responsabilità, né che siano astrattamente idonei a fornire una ricostruzione più persuasiva di quella fatta propria dal giudicante. Ogni giudizio, infatti, implica l'analisi di un complesso di elementi di segno non univoco e l'individuazione, nel loro ambito, di quei dati che - per essere obiettivamente più significativi, coerenti tra loro e convergenti verso un'unica spiegazione - sono in grado di superare obiezioni e dati di segno contrario, di fondare il convincimento del giudice e dì consentirne la rappresentazione, in termini chiari e comprensibili, ad un pubblico composto da lettori razionali del provvedimento. È, invece, necessario che gli atti del processo richiamati dal ricorrente per sostenere l'esistenza di un vizio della motivazione siano autonomamente dotati di una forza esplicativa o dimostrativa tale che la loro rappresentazione sia in grado di disarticolare l'intero ragionamento svolto dal giudicante e determini al suo interno radicali incompatibilità, così da vanificare o da rendere manifestamente incongrua o contraddittoria la motivazione. Il giudice di legittimità è, pertanto, chiamato a svolgere un controllo sulla persistenza o meno di una motivazione effettiva, non manifestamente illogica e internamente coerente, a seguito delle deduzioni del ricorrente concernenti "atti del processo".
2.1.2 Tale controllo, per sua natura, è destinato a tradursi in una valutazione, di carattere necessariamente unitario e globale, sulla reale "esistenza" della motivazione e sulla permanenza della "resistenza" logica del ragionamento del giudice. Al giudice di legittimità resta, invero, preclusa, in sede di controllo sulla motivazione, la pura e semplice rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, preferiti a quelli adottati dal giudice di merito, perché ritenuti maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa. Queste operazioni trasformerebbero, infatti, la Corte nell'ennesimo giudice del fatto e le impedirebbero di svolgere la peculiare funzione assegnatale dal legislatore di organo deputato a controllare che la motivazione dei provvedimenti adottati dai giudici di merito (a cui le parti non prestino autonomamente acquiescenza) rispettino sempre uno standard di intrinseca razionalità e di capacità di rappresentare e spiegare l'iter logico seguito dal giudice per giungere alla decisione. Può quindi affermarsi che, anche a seguito delle modifiche dell'art. 606 cod. proc. pen., comma 1, lett. e) ad opera dell'art. 8 della L. n. 46 del 2006, "mentre non è consentito dedurre il travisamento del fatto, stante la preclusione per il giudice di legittimità si sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di merito, è invece, consentito dedurre il vizio di travisamento della prova, che ricorre nel caso in cui il giudice di merito abbia fondato il proprio convincimento su una prova che non esiste o su un risultato di prova incontestabilmente diverso da quello reale, considerato che in tal caso, non si tratta di reinterpretare gli elementi di prova valutati dal giudice di merito ai fini della decisione, ma di verificare se detti elementi sussistano" (Sezione 5, n. 39048 del 25/09/2007, Casavola, Rv. 238215 - 01).
2.1.3 Pertanto, il sindacato di legittimità non ha per oggetto la revisione del giudizio di merito, bensì la verifica della struttura logica del provvedimento e non può quindi estendersi all'esame ed alla valutazione degli elementi di fatto acquisiti al processo, riservati alla competenza del giudice di merito, rispetto alla quale la Suprema Corte non ha alcun potere di sostituzione al fine della ricerca di una diversa ricostruzione dei fatti in vista di una decisione alternativa. Né il giudice di legittimità può trarre valutazioni autonome dalle prove o dalle fonti di prova, neppure se riprodotte nel provvedimento impugnato. Invero, solo l'argomentazione critica che si fonda sugli elementi di prova e sulle fonti indiziarie contenuta nel provvedimento impugnato può essere sottoposto al controllo del giudice di legittimità, al quale spetta di verificarne la rispondenza alle regole della logica, oltre che del diritto e all'esigenza della completezza espositiva (Sezione 6, n. 40609 del 01/10/2008, Ciavarella, Rv. 241214 - 01).
2.1.4 Nel caso di specie, le risposte alle doglianze avanzate dalla difesa si rinvengono nella lettura congiunta delle due sentenze di merito, che hanno evidenziato, quanto al reato associativo, che proprio l'insoddisfazione manifestata dai vertici del sodalizio in relazione al modo di lavorare della coppia Be.Gi.-Mo.Ba. è sintomatica della stabilità del vincolo associativo, tanto da indurre To. a proseguire la collaborazione con gli odierni imputati, piuttosto che allontanarli e sostituirli con altri soggetti; che le conversazioni intercettate restituiscono l'esistenza di una cassa comune; che in ultima analisi non è richiesto dall'art. 416 cod. pen. che gli associati intrattengano buoni rapporti tra loro. Analoghe considerazioni devono essere svolte con riferimento ai reati di cui al capo 13), rispetto ai quali va osservato che entrambe le sentenze evidenziano la messe di conversazioni intercettate, l'attività di pedinamento ed osservazione, i sequestri, che danno conto della ricezione da parte della Mo.Ba. dei farmaci oggetto della truffa e della successiva distribuzione; che la pretesa della difesa di riscontrare passo passo il contenuto delle conversazioni non fa i conti con il complessivo contesto in cui le condotte si inseriscono, che ha disvelato una efficace organizzazione finalizzata all'acquisizione illegittima di farmaci anatiolizzanti ed alla loro successiva clandestina distribuzione, che si fonda su condotte reiterate e, dunque, ben collaudate. Quanto, infine, alle truffe di cui al capo 12), rileva il Collegio che la Corte territoriale ha dato conto del monitoraggio cui è stata sottoposta l'autovettura in uso alla ricorrente, sempre individuata nelle zone di interesse investigativo, dato questo non contestato dalla difesa; del resto, lo stesso difensore evidenzia che, con riferimento al rilevamento dell'autovettura nel comune di B, non è stata elevata alcuna contestazione, proprio perché nell'elenco di farmacie visitate dalla ricorrente e dai coimputati non ne figura nessuna sita in quel comune.
Ebbene, a fronte di una motivazione congrua, analitica ed esaustiva, del tutto esente da qualsivoglia vizio logico, la difesa si è limitata a riproporre doglianze, già avanzate ai giudici di appello, con le quali ha continuato nell'opera di parcellizzazione del materiale probatorio ed ha cercato di fornire una lettura in fatto alternativa a quella fatta propria dai giudici di entrambi i gradi di merito.
2.2 Il quarto motivo è fondato, atteso che con riferimento agli aumenti effettuati per la continuazione difetta qualsivoglia motivazione. In proposito, la giurisprudenza di legittimità, anche nella sua più autorevole composizione, ha avuto modo di precisare che sul giudice di merito grava l'obbligo di rendere una motivazione specifica e dettagliata in ordine all'aumento effettuato per la continuazione, obbligo che si attenua solo qualora individui aumenti di esigua entità, essendo in tal caso escluso in radice ogni abuso del potere discrezionale conferitogli dall'art. 132 cod. pen. In altri termini, l'obbligo della motivazione non può essere astrattamente circoscritto secondo canoni predeterminati, non potendosi ritenere che il vizio renda nulla la decisione sul punto allorché la pena irrogata sia stata determinata in prossimità del minimo piuttosto che al massimo edittale. Dunque, l'astratto rigore che assiste la decisione del giudice di merito nell'operazione di calcolo dei vari aumenti, deve essere di volta in volta calato nel caso concreto, nel senso che il grado di impegno nel motivare richiesto in ordine ai singoli aumenti di pena è correlato all'entità degli stessi e deve essere funzionale alla verifica del rispetto del rapporto di proporzione esistente tra le pene, anche in relazione agli altri illeciti accertati, con particolare riferimento ai limiti previsti dall'art. 81 cod. pen. e che non si sia operato surrettiziamente un cumulo materiale di pene (Sezioni Unite, n. 47127 del 24/6/2021, Pizzone, Rv. 282269 - 01; Sezione 6, n. 44428 del 5/10/2022, Spampinato, Rv. 284005 -01).
Orbene, nel caso che si sta scrutinando, non vi è dubbio i consistenti aumenti di pena - segnatamente quelli relativi al reato di cui all'art. 586-bis, comma 7, cod. pen., pari ad un anno di reclusione ed Euro seicento di multa, al reato di cui all'art. 416 cod. pen., pari a nove mesi di reclusione ed Euro seicento di multa ed alle residue truffe di cui al capo 12), pari a sei mesi di reclusione ed Euro seicento di multa - necessitavano dell'esplicitazione delle ragioni che li hanno determinati in tale misura, al fine di consentire il controllo sulla correttezza del percorso motivazionale. La sentenza, dunque, va annullata in parte qua con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Brescia per nuovo esame sul punto.
2.3 Manifestamente infondato è il quinto motivo nella parte relativa al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, mentre il profilo relativo alla dosimetria della pena resta assorbito nell'accoglimento del quarto motivo.
Quanto al primo aspetto, è sufficiente evidenziare che tale statuizione è giustificata da motivazione esente da manifesta illogicità - avendo la Corte territoriale confermato il negativo giudizio di personalità effettuato dal giudice di prime cure, in considerazione della gravità delle condotte criminose poste in essere e della importanza dei beni giuridici offesi, dati questi ritenuti prevalenti rispetto agli elementi positivi evidenziati dal difensore - con la conseguenza che è insindacabile in cassazione (Sezione 3, n, 2233 del 17/6/2021, Bianchi, Rv. 282693 - 01; Sezione 5, n. 43952 del 13/4/2017, Pettinelli, Rv. 271269 - 01; Sezione 2, n. 3609 del 18/1/2011, Sermone, Rv. 249163 - 01; Sezione 6, n. 42688 del 24/9/2008, Caridi, Rv. 242419 - 01). Del resto, è ormai pacifico il principio affermato da questa Corte secondo cui non è necessario che il giudice di merito, nel motivare il diniego della concessione delle attenuanti generiche, prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma è sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo disattesi o superati tutti gli altri da tale valutazione (Sezione 2, n. 23903 del 15/07/2020, Marigliano, Rv. 279549 - 02; Sezione 5, n. 43952/20017 cit.; Sezione 3, n. 28535 del 19/03/2014, Lule, Rv. 259899 - 01; Sezione 6, n. 34364 del 16/6/2010, Giovane, Rv. 248244).
2.4 Il sesto motivo è fondato nei limiti che seguono.
Il primo profilo è manifestamente destituito di fondamento.
Giova premettere che nel nostro ordinamento non esiste una definizione normativa di profitto del reato. Della nozione di profitto si è più volte occupata questa Corte, anche nella sua più autorevole composizione, provando a darne una definizione, anche per evidenziarne le differenze rispetto al prezzo o al prodotto del reato. Così, Sezioni Unite n. 9149 del 3/7/1996, Chabni, Rv. 205707 - 01, hanno affermato che, in tema di confisca, il prodotto del reato rappresenta il risultato, cioè il frutto che il colpevole ottiene direttamente dalla sua attività illecita; il profitto, a sua volta, è costituito dal lucro, e cioè dal vantaggio economico che si ricava per effetto della commissione del reato; il prezzo, infine, rappresenta il compenso dato o promesso per indurre, istigare o determinare un altro soggetto a commettere il reato e costituisce, quindi, un fattore che incide esclusivamente sui motivi che hanno spinto 'interessato a commettere il reato. Tale nozione è stata ribadita anche in successivi arresti, che hanno specificato che il profitto illecito costituisce il "vantaggio di natura economica" ovvero "beneficio aggiunto di tipo patrimoniale" di "diretta derivazione causale" dall'attività del reo, segnatamente l'"utilità creata, trasformata od acquisita proprio mediante la realizzazione della condotta criminosa" (Sezioni Unite, n. 29951 del 24/5/2004, Focarelli, Rv. 228166 - 01; Sezioni Unite, n. 29952 del 24/5/2004, Romagnoli, in motivazione; Sezioni Unite, n. 41936 del 25/10/2005, Muci, in motivazione; Sezioni Unite, n. 26654 del 27/3/2008, Fisia Italimpianti Spa, in motivazione; Sezioni Unite, n. 38691 del 25/6/2009, Caruso, in motivazione), dovendo escludersi dalla nozione di profitto confiscabile tutte quelle conseguenze positive, pur economicamente valutabili, derivanti dal reato, che tuttavia non costituiscano risultato immediato e diretto della condotta illecita. Va, altresì, segnalato che vi è stato un filone giurisprudenziale che ha ampliato il concetto di profitto, nel senso di includervi anche ogni altra utilità che sia conseguenza, indiretta o mediata, dell'attività criminosa (Sezioni Unite, n. 10561 del 30/1/2014, Gubert, in motivazione; Sezioni Unite, n. 38343 del 24/4/2014, Espenhahn, Rv. 261116 - 01) e che allo stato l'orientamento è consolidato nell'affermare che costituiscono profitto soltanto il denaro e ogni altra utilità - vale a dire ogni vantaggio economico - derivato in via diretta ed immediata dalla commissione dell'illecito (Sezioni Unite, n. 31617 26/6/2015, Lucci, Rv. 264436 - 01; Sezione 6, n. 33226 del 14/7/2015, Azienda Agraria Greenfarm di Guido Leopardi, Rv. 264941 - 01; Sezione 2, n. 53650 del 5/10/2016, Maiorano, Rv. 268854 - 01). Dunque, il parametro della pertinenzialità al reato del profitto rappresenta l'effettivo criterio selettivo di ciò che può esser confiscato a tale titolo.
Ciò posto e tornando al caso che si sta scrutinando, ritiene il Collegio che correttamente i giudici di merito abbiano individuato il profitto del reato di truffa nel prezzo di mercato delle singole confezioni di farmaci, atteso che quest'ultimo costituisce il "vantaggio di natura economica" di "diretta derivazione causale" dall'attività della Mo.Ba., cioè, l'utilità creata proprio mediante la realizzazione della condotta criminosa, essendo del tutto ininfluente sulla determinazione del quantum suscettibile di confisca il prezzo di vendita al nero praticato dalla odierna ricorrente e dai suoi coimputati. Ed invero, ciò che risulta causalmente collegato con la condotta delittuosa è il farmaco ricevuto e, di conseguenza, il suo ordinario prezzo di vendita, che costituisce, dunque, l'utilità economica conseguita con la commissione del reato, suscettibile di confisca all'esito del giudizio di condanna. Il profitto del reato, in altri termini, è costituito dal valore di vendita del bene oggetto della truffa perpetrata, mentre le successive determinazioni del reo costituiscono post-facta, che non sono pertinenti ai fini del quantum da sottoporre a confisca. Nel caso di specie, profitto del reato e danno cagionato alle persone offese coincidono, non rilevando le ragioni per le quali il farmaco veniva poi rivenduto a prezzi sensibilmente inferiori a quelli imposti. Dunque, ciò che conta ai fini della quantificazione del profitto del reato è il costo di mercato della singola confezione di medicinale che la ricorrente ha ottenuto mediante gli artifici sopra indicati. Del resto, il farmaco avrebbe potuto anche utilizzato per uso personale ovvero essere offerto in dono. Diversamente argomentando, si giungerebbe all'assurdo di sostenere che in tale ultima ipotesi non vi sia alcun profitto.
Questa Corte di legittimità, peraltro, ha già avuto cura di precisare, in relazione ad una ipotesi di truffa aggravata ai danni dell'azienda sanitaria provinciale posta in essere - tra gli altri - da alcuni farmacisti, che il profitto confiscabile corrisponde al danno arrecato all'ente pubblico, senza che debba essere detratto il costo sopportato per l'acquisto dei medicinali oggetto delle ricette ideologicamente false, che certificavano insussistenti esigenze terapeutiche di ignari pazienti (Sezione 2, n. 27126 del 3/5/2023, Di Donato, n. m.). È stato, invero, condivisibilmente ribadito che "rientrano nel profitto confiscabile anche le somme percepite in relazione a prestazioni eseguite con modalità non conformi a quanto convenuto, in quanto i costi eventualmente sostenuti dall'agente per l'esecuzione del contratto a prestazioni corrispettive integralmente contaminato da illiceità, risultano non defalcabili dal profitto confiscabile, trattandosi di spese, oltre che difficilmente documentabili e non determinabili in modo preciso, comunque sostenute a fronte di attività strettamente funzionali all'agire illegale ed esse stesse illecite, dunque immeritevoli di qualunque tutela da parte dell'ordinamento" (Sezione 2, n. 33092 del 18/4/2018, Trasimeno, Rv. 273432 - 01; Sezione 6, n. 9988 del 27/1/2015, Moioli, Rv. 262794 - 01). In conclusione, dunque, laddove il contratto sia inquinato integralmente da illiceità, come nel caso che si sta scrutinando, nella quantificazione del profitto da sottoporre a confisca deve aversi quale parametro il danno cagionato all'ente pubblico persona offesa.
Coglie, invece, nel segno l'altro profilo di doglianza, relativo alla responsabilità solidale propria del concorso di persone nel reato in tema di confisca per equivalente.
Ritiene il Collegio che - se pure si volesse condividere il percorso logico argomentativo seguito dall'orientamento più rigoroso (Sezione 5, n. 19091 del 26/2/2020, Buonpensiere, Rv. 279494 - 01; Sezione 3, n. 56451 del 5/12/2017, Maiorana, Rv. 273604 - 01; Sezione 5, n. 25560 del 20/5/2015, Gilardi, Rv. 265292 - 01; Sezione 2, n. 2488 del 27/11/2014, Giacchetto, Rv. 261852 - 01), ripreso da ultimo da Sezione 2, n. 22073 del 17/3/2023, Fiordigigli, Rv. 284740 - 01, secondo cui, in tema sequestro preventivo funzionale alla confisca ex art. 322-ter cod. pen., il vincolo può essere disposto nei confronti di uno dei concorrenti nel reato, per l'intero importo del prezzo o profitto dello stesso, nonostante le somme di illecita provenienza siano state incamerate, in tutto o in parte, da altri concorrenti, salvo l'eventuale riparto tra i medesimi, che costituisce fatto interno a costoro, privo di rilievo penale, stante il principio solidaristico che uniforma la disciplina del concorso di persone e che, di conseguenza, implica l'imputazione dell'intera azione delittuosa a ciascun agente, nonché la natura della confisca per equivalente, a cui va riconosciuto carattere eminentemente sanzionatorio - la confisca per equivalente non possa comunque eccedere, nel caso di coimputato cui non sono attribuiti tutti i reati accertati, il profitto corrispondente ai reati specificamente attribuiti al soggetto attinto dal provvedimento ablatorio (Sezione 2, n. 33755 del 15/7/2016, Nardecchia, Rv. 267576 - 01). Dunque, nel caso di specie, può riguardare solo il profitto dei reati di truffa di cui al capo 12), a decorrere dal 29/3/2016, vale a dire gli episodi truffaldini per i quali è intervenuta condanna e non anche l'intero importo delle truffe contestate dal gennaio 2015 al 2017.
La sentenza impugnata deve dunque essere annullata con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Brescia per nuovo giudizio sul punto, tenendo conto che - fermo restando il principio solidaristico che informa la disciplina del concorso nel reato e che implica l'imputazione dell'intera azione delittuosa e dell'effetto conseguente in capo a ciascun concorrente, per cui, perduta l'individualità del profitto illecito, la confisca di valore di regola può interessare indifferentemente ciascuno dei concorrenti anche per l'intera entità del profitto accertato, essendo esso ricollegato alla corresponsabilità di tutti nella commissione dell'illecito, senza che rilevi il riparto del relativo onere tra i concorrenti, che costituisce fatto interno a questi ultimi -, qualora sia individuata o risulti chiaramente individuabile la quota di profitto del reato attribuibile al singolo concorrente, la confisca per equivalente non può eccedere per quest'ultimo la misura della quota di profitto del reato a lui attribuibile (Sezioni Unite, n. 26654/2008, cit., in motivazione; Sezione 6, n. 33757 del 10/6/2022, Primitivo, Rv. 283828 - 01; Sezione 6, n. 6607 del 21/10/2020, Venuti, Rv. 281046 - 01). In altri termini, la regola generale per cui la confisca per equivalente deve essere disposta per l'intero importo del profitto nei confronti di ciascuno dei concorrenti nel reato, senza alcuna duplicazione e nel rispetto dei canoni della solidarietà interna tra gli stessi, trova applicazione solo nel caso in cui la natura della fattispecie concreta ed i rapporti economici ad essa sottostanti non consentano d'individuare la quota di profitto concretamente attribuibile a ciascun concorrente o la sua esatta quantificazione, in quest'ultimo caso dovendo essere la confisca per equivalente parametrata sulla quota di profitto riferibile al singolo concorrente.
3. All'inammissibilità del ricorso di Be.Gi. segue, ai sensi dell'art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento nonché, ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al pagamento in favore della Cassa delle ammende della somma di Euro tremila, così equitativamente fissata.
4. Va rigettata la richiesta di liquidazione delle spese avanzata da entrambe le parti civili, in quanto le conclusioni scritte depositate non hanno fornito alcun contributo utile alla decisione, atteso che non è stata esplicata alcuna attività diretta a contrastare l'avversa pretesa a tutela dei propri interessi di natura civile risarcitoria. Le memorie contengono null'altro che l'indicazione delle conclusioni, che - per essere del tutto generiche - non risultano pertinenti rispetto alle questioni trattate nel presente giudizio e non risultano di nessuna utilità per la decisione (Sezioni Unite, n. 877 del 14/7/2022, Sacchettino, in motivazione; Sezioni Unite, ord. n. 5466 del 28/1/2004, Gallo, Rv. 226716 - 01; Sezione 6, n. 28615 del 28/4/2022, Landi, Rv. 283608 - 02; Sezione 5, n. 19177 del 31/1/2022, Musso, Rv. 283118 - 01; Sezione 4, n. 36535 del 15/9/2021, A., Rv. 281923 - 01; Sezione 2., n. 33523 del 16/6/2021, D., Rv. 281960 - 03). In particolare, "l'impegno cui si ricollega il diritto al ristoro delle spese sostenute non può esaurirsi nella pura e semplice presentazione delle richieste finali e della nota spese, ma deve consistere nella prospettazione, a sostegno delle medesime, degli argomenti ritenuti idonei allo scopo di contrastare l'iniziativa dell'imputato, in guisa che risulti evidente la "partecipazione" non meramente formale, ma effettiva e feconda dell'interessato al processo dialettico in cui si articola anche il particolare rito in considerazione" (Sezione 5, ord. n. 30743 del 26/3/2019, Loconsole, Rv. 277152 - 01).
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata nei confronti di Mo.Ba. limitatamente al trattamento sanzionatorio e alla confisca con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Brescia per nuovo giudizio sui suddetti punti; dichiara inammissibile il ricorso di Be.Gi., che condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il giorno 7 marzo 2024.
Depositato in Cancelleria il 9 aprile 2024.