Corte d'Appello di Napoli, 25 giugno 2024, n. 3556 - Presidente Sorrentino, Consiglieri Mastrominico e Troisi
In tema di rissa e lesioni personali, segnaliamo la sentenza n. 3556/24 della Corte d'Appello di Napoli, che ha assolto gli imputati ai sensi dell’art. 131-bis c.p. per particolare tenuità del fatto.
La Corte ha valutato come le condotte contestate si collocassero nell’ambito di una disputa tra vicini, caratterizzata da modalità non particolarmente aggressive e priva di gravità dei motivi scatenanti. Confermate le statuizioni accessorie, la Corte ha riformato la condanna di primo grado e ha dichiarato la non punibilità degli imputati.
RAGIONI IN FATTO E IN DIRITTO DELLA DECISIONE
Con sentenza emessa a seguito di giudizio ordinario in data 23.06.2023, il G.M. del Tribunale di Avellino assolveva Li. dal reato di cui all'art. 585 c.p. ai danni di Pe.Gi. per non aver commesso il fatto e dichiarava Li.Ci. ed altri (…) penalmente responsabili del delitto di cui all'art. 588 comma 2 c.p. condannandoli, previa concessione a tutti delle attenuanti generiche equivalenti, alla pena di euro 700,00 di multa ciascuno, oltre al pagamento delle spese processuali. Confisca e distruzione del bastone in sequestro.
Avverso la predetta sentenza di condanna hanno proposto appello le Difese degli imputati, reclamando:
per LI.Ci.
1. l'assoluzione dell'imputato ai sensi dell'art. 530, comma I, c.p.p. per non aver commesso il fatto. Assume, al riguardo, la Difesa come tutte le prove raccolte nel corso del giudizio non evidenzino alcuna condotta offensiva ascrivibile al Li.Ci., il quale sarebbe intervenuto nella contesa con l'intento di sedare gli animi e di separare il padre dai Pe.
Tale condotta difetterebbe tanto dell'elemento oggettiva quanto dell'elemento soggettivo previsti dal reato di cui all'art. 588 c.p.
Ed invero, dai referti medici e dalle sit fornite dalla P.O. Pe.Fr., nonché da Va.Ma. (madre e moglie rispettivamente di Pe.Fr. e di Pe.Gi.) si evincerebbe che il Pe.Gi. sarebbe stato colpito alla testa con un bastone di legno da Li.Er. (padre di Ci.), che le lesioni riportate dal Pe.Fr. ascrivibili ad un morso di un cane, sarebbero incompatibili con la presunta aggressione consumata in suo danno da Li.Ci. (il quale, a sua volta, lo avrebbe colpito con un bastone, come successivamente dichiarato dal Pe. in data 25.06.2019);
2. l'assoluzione dell'imputato ai sensi dell'art. 530, comma I c.p.p. in applicazione della scriminante della legittima difesa ex. art. 52 c.p. Assume al riguardo la Difesa che, come emerso dalle dichiarazioni fornite dall'imputato Li.Ci., quest'ultimo si sarebbe precipitato fuori di casa nel momento in cui si era accorto che il padre, all'interno del domicilio dei Li., stava litigando con i Pe.; di qui la necessità di interporsi tra i contendenti con l'intento di preservare il padre e conseguente configurabilità dell'esimente della legittima difesa. Secondo la prospettazione difensiva, la contraddittorietà della sentenza di primo grado si coglierebbe nella mancata concessione dell'esimente della legittima difesa, non tanto a Li.Er. (il quale avrebbe colpito con un bastone Pe.Gi.), ma anche a Li.Ci., in relazione al quale risulterebbero indefiniti i contorni della condotta tenuta;
3. l'assoluzione dell'imputato quantomeno ai sensi dell'art. 530, comma II c.p.p. essendo la prova emersa nel corso dell'istruttoria del tutto inidonea a supportare l'imputazione al di là di ogni ragionevole dubbio. Assume, al riguardo, la Difesa, come la motivazione della sentenza non specificherebbe le modalità offensive con le quali il Li.Ci. avrebbe partecipato alla rissa, alimentando più di un dubbio sul reale spirito con cui lo stesso sarebbe intervenuto nella contesa.
per PE.Gi. e Fr.
1. l'assoluzione degli imputati ai sensi del 530 c.p.p. stante il mancato raggiungimento della responsabilità oltre ogni ragionevole dubbio. Assume, al riguardo, la Difesa come, dalle risultanze probatorie emerse durante l'istruttoria dibattimentale, la partecipazione del Pe.Gi. si sarebbe limitata alla difesa del figlio Fr.
Ed invero, sia dalle sommarie informazioni che dalla comunicazione delia notizia di reato, emergerebbe come a richiedere l'intervento dei carabinieri sia stato il Pe.Fr., il quale sentendosi minacciato da Li.Er. ed al fine di tutelarsi, avrebbe ritenuto necessario richiedere l'intervento di una pattuglia. I militari intervenuti sul posto avrebbero accertavano che il Pe.Gi. presentava una ferita lacero contusa alla testa, derivante da un colpo inferto dal Li.Er. con un bastone intriso di sangue, rinvenuto solo successivamente all'interno della sua proprietà. Dalla comunicazione della notizia di reato emergerebbe, altresì, l'assenza dei Li. sul posto, i quali si sarebbero dati alla fuga senza attendere l'arrivo della pattuglia dei Carabinieri. Degna di nota apparirebbero - secondo la prospettazione difensiva-l'escussione del Maresciallo Capo Gi.Ca. (l'agente che aveva interrogato i Li. a poche ore dall'accaduto), il quale nulla aveva riferito in merito ad eventuali lesioni riportate dagli stessi e la mancata menzione da parte del Li.Ci. di qualsivoglia aggressione subita;
2. la nullità della sentenza ai sensi dell'art. 125 comma III c.p.p. per insufficiente motivazione in merito alla ritenuta colpevolezza del Pe.Gi.
Assume, al riguardo, la Difesa come il confusionario percorso logico-giuridico adottato dal giudicante non avrebbe consentito alla difesa di recepire il ragionamento posto alla base della penale responsabilità oltre ogni ragionevole dubbio del Pe.;
3. l'assoluzione degli imputati ai sensi del 530 c.p.p. stante il mancato raggiungimento della responsabilità oltre ogni ragionevole dubbio attesa la discrepanza tra le dichiarazioni rese dai coimputati Li. Ercole e Li.Ci. che andrebbero ad incidere in modo preponderante sull'attendibilità delle stesse. Ed invero, assume la Difesa, come la colpevolezza dei Pe. affermata dal giudicante, si poggerebbe unicamente su mere presunzioni, quali appunto le dichiarazioni rese dai Mongiello, non confortate da nessun altro dato probatorio;
4. la concessione del beneficio della sospensione condizionale delia pena ai sensi dell'art. 163 c.p.
Assume, al riguardo, la Difesa come nella sentenza mancherebbe del tutto il percorso logico-giuridico che ha condotto il giudicante a negare il beneficio della pena sospesa, laddove Io stesso avrebbe dovuto menzionare gli elementi negative che lo bufino indotto al rigetto e,
contestualmente, enucleare le ragioni per le quali i predetti elementi sarebbero stati decisivi in tal senso. Ed invero, assume la Difesa come il giudicante avrebbe concesso ai Pe. il minimo della pena edittale; a tal riguardo, la Difesa richiama un recente arresto giurisprudenziale il quale, con riferimento alla pena irrogata, afferma che pur non sussistendo un nesso di correlazione tra la determinazione della pena e la concessione della sospensione condizionale, sussiste il vizio motivazionale laddove la pena comminata sia pari al minimo edittale;
5. l'assoluzione degli imputati per particolare tenuità del fatto ai sensi dell'art. 131 bis c.p. stante la modalità della condotta, non indicativa di una particolare pericolosità sociale, nonché l'esiguità del danno, ritenuto tale dal giudice di prime cure il quale decideva di applicare il minimo della pena.
6. la rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale ai sensi dell'art 603 c.p.p. con riferimento al sig. De.Ga.
Secondo la prospettazione difensiva il De.Ga. potrebbe riferire in merito ai fatti contestati, emergendo la rilevanza della sua testimonianza a seguito dell'escussione resa in data 07.01.2021 nell'ambito del procedimento civile n. 2115/2020.
All'udienza del 28 marzo 2024, dopo una serie di rinvii necessari per sanare i difetti di notifica, sentita la relazione del Consigliere relatore, il P.G. e la Difesa hanno concluso come da verbale in atti e la Corte ha deciso dopo aver deliberato in camera di consiglio, mediante lettura del dispositivo che in questa sede si motiva, assegnando il termine indicato in dispositivo ex art. 544 co III c.p.p. per il deposito della motivazione in considerazione dei termini più stringenti per i numerosi e concomitanti procedimenti con imputati detenuti.
La sentenza impugnata va riformata nei limiti di, seguito indicati.
Ritiene preliminarmente questa Corte territoriale di dover precisare come la sentenza impugnata debba essere confermata quanto a ricostruzione del fatto-reato in contestazione e riconducibilità dello stesso ai prevenuti, evidenziandosi come il Giudice di prime cure abbia compiutamente ed esaustivamente motivato, con ineccepibile percorso logico, supportato da attenta analisi dei fatti, la condanna inflitta ai predetti imputati, potendosi cosi riportare - in senso del tutto conforme - alle determinazioni esposte nella sentenza appellata, che deve intendersi qui integralmente richiamata, nella parte in cui le censure formulate non contengono elementi ed argomenti diversi da quelli già esaminati e disattesi dal predetto giudice. Il rinvio alla sentenza di primo grado è, infatti, ritenuto legittimo dalla giurisprudenza della Suprema Corte proprio per tali motivi, potendo la motivazione della sentenza di secondo grado "essere concisa e riguardare gli aspetti nuovi o contradditori o effettivamente mal valutati" (vedi tra le altre Cass. Sez. I, sent. n. 46350 del 2013).
Per di più - nel caso che ci occupa - deve osservarsi che anche le censure sviluppate nell'atto di appello ripropongono in buona parte i rilievi già sollevati in primo grado, rilievi che appaiono essere stati già analizzati in modo esaustivo dal Tribunale nella parte motiva della sentenza impugnata. Pertanto, è a tali argomentazioni che la Corte intende fare ricorso per avvalorare la propria decisione in termini di affermazione della penale responsabilità dei prevenuti, condividendo pienamente e riportandosi alle argomentazioni logiche svolte dal giudice di prime cure, tenuto conto del principio, da tempo affermato dalla giurisprudenza di legittimità (sez. un, 04/02/1992, Musumeci, rv. 191229; sez. 1, 26/06/2000, Sangiorgi, rv. 216906) della ammissibilità della integrazione reciproca fra la sentenza di primo grado e quella di appello che si pronunci in conformità, "sicché entrambe contribuiscono a formare un unicum organico ed inscindibile espressivo della volontà del giudice il quale, in sede di gravame, non è tenuto a compiere un'analisi approfondita di tutte le deduzioni delle parti ed a prendere in esame tutte le risultanze processuali, essendo sufficiente che anche attraverso una valutazione globale delle stesse egli spieghi adeguatamente le ragioni che hanno determinato il suo convincimento, dovendosi in tal caso ritenersi disattesa ogni singola doglianza che, anche se non espressamente confutata, sia logicamente incompatibile con la complessiva - da intendersi nel senso testé precisato - giustificazione della decisione (sez. 2A, 10/11/2000, Gianfreda, rv 218590).
Ed invero la Corte non può mancare di rilevare come la sentenza impugnata, oltre ad essere sapientemente motivata, presenti una forza autonoma di resistenza tale da permettere di escludere non solo una ulteriore rivalutazione del fatto, ma anche una diversa valutazione delle censure già in precedenza mosse e puntualmente disattese dal Giudice di prime cure, il quale si è già pronunciato non solo sulla effettiva partecipazione del Li.Ci. alla contesa (cfr. pag. 3 della sentenza di primo grado), ma anche sulla convergenza delle dichiarazioni rese sia dai Li. che dai Pe., dichiarazioni che, lungi dall'essere antitetiche, presentano comunque un nucleo comune. Ed infatti, diversamente da come ritenuto dalle Difese in termini di non corretta ricostruzione dei fatti, la penale responsabilità dei prevenuti per il fatto reato in disamina appare chiara e priva di lacune, trovando piena corrispondenza nelle prove acquisite, essendo fondata non soltanto sulle dichiarazioni di Ca.Gi., ma anche sulle sit di Va.Ma., acquisite su consenso delle parti, e sulle dichiarazioni rese dal deceduto Li.Er., acquisite ai sensi del 512 c.p.p.
Ed invero, nonostante le diverse narrazioni dell'accaduto prospettate dalle due fazioni caratterizzate da reciproche attribuzioni di ruoli di aggressore e aggredito, dall'istruttoria in atti è emerso che fra i due nuclei familiari, indipendentemente da chi abbia iniziato la contesa, si è consumata una accesa disputa che ha oltrepassato ampiamente i limiti della legittima difesa che non appare "altrimenti evitabile", proprio perché avrebbe ben potuto essere evitata dalle parti, posto che
i Li. avrebbero potuto chiudersi nella propria abitazione, mentre i Pe. avrebbero potuto andar via, una volta ripreso Francesco e verificatene le condizioni fisiche.
Così ricostruiti i fatti ed esclusa la riconducibilità delle condotte alla invocata scriminante in assenza dei presupposti di legge, si impone la reiezione dei motivi di appello sub 1, 2 e 3 avanzati dalle Difese, in quanto impegnati a ripercorrere un percorso già ampiamente arato dalla sentenza di primo grado.
Va del pari disattesa la richiesta di rinnovazione dell'audizione del teste De.Ga. in quanto chiamato a riferire sul rapporto tra le parti, trattandosi di circostanza che, anche laddove verificata, non inciderebbe sull'accertamento dei fatti così come emersi.
Ciò nondimeno, ritiene il Collegio che l'episodio in disamina vada più correttamente ricondotto nella disciplina prevista ai sensi dell'art. 131 bis c.p. tenuto conto della modalità non particolarmente aggressive della condotta contestata ai prevenuti, della non gravità dei motivi che contestualizzano la condotta nell'ambito di una mera disputa tra soggetti confinanti, nonché della sporadicità dell'evento e dell'incensuratezza dei soggetti.
Rileva al riguardo la Corte ~ così come sostenuto dalla Suprema Corte nella pronuncia 19126/2016, richiamando autorevole dottrina, che trae spunto dai principi in passato fissati dal Giudice delle Leggi - C. Cost. sent. 15-24/06/1992, n. 299 - che nell'applicazione della innovativa norma ex art. 131 bis c.p. il giudice di merito (e nel caso di specie questa Corte) deve valutare l'indice-criterio "della particolare tenuità dell'offesa nonché l'indice requisito della modalità della condotta e dell'esiguità del danno e del pericolo, valutati secondo i criteri direttivi di cui all'art. 133 c.p., indici che possano pertanto incidere sulla non punibilità ovvero devono riguardare soltanto quei comportamenti penali (non abituali) che, sebbene non inoffensivi, in presenza dei presupposti normativamente indicati ( ovvero i reati con i limiti edittali fino ad anni 2 ovvero la pena pecuniaria, sola o congiunta alla predetta pena) risultino di così modesto rilievo da non ritenersi meritevoli di ulteriore considerazione in sede penale".
La sentenza va dunque riformata nei termini prima indicati e gli imputati vanno dichiarati assolti dai reati contestati per la particolare tenuità del fatto ascrittigli con conferma delle statuizioni non appellate.
Il complessivo carico di lavoro e la necessaria previsione di termini più stringenti per i numerosi e concomitanti procedimenti con imputati detenuti, impone di indicare nel presente procedimento il maggior termine per il deposito della motivazione.
P.Q.M.
Visti gli arti. 605 c.p.p. e 131 bis c.p., in riforma della sentenza emessa in data 23 giugno 2023 dal G.M. del Tribunale di Avellino, appellata da Li.Ci. ed altri (…), assolve i predetti dal reato ascritto, perché lo stesso non è punibile per la particolare tenuità del fatto.
Conferma nel resto.
Così deciso in Napoli il 28 marzo 2024.
Depositato in Cancelleria il 25 giugno 2024.