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Rissa sul luogo di lavoro: legittimità del licenziamento disciplinare per condotta incompatibile con il vincolo fiduciario

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Tribunale Vicenza sez. lav., 14/10/2019, n.326

La nozione civilistica di rissa nell’ambito disciplinare si distingue da quella penalistica, comprendendo anche contese fisiche tra due soli soggetti quando idonee a creare pericolo per l’incolumità personale o a disturbare il regolare svolgimento dell’attività lavorativa. La giusta causa di licenziamento è configurabile se la condotta integra una violazione grave e irrimediabile del vincolo fiduciario, valutata anche in base ai precedenti disciplinari del lavoratore.

Riduzione della pena per rissa aggravata: concessione delle attenuanti generiche ed esclusione della legittima difesa

Assoluzione per il reato di rissa: mancanza di prova della partecipazione attiva e configurabilità di condotte difensive (Giudice Luca Purcaro)

Assoluzione per insufficienza probatoria nel reato di rissa: mancanza di contrapposizione tra gruppi e motivazione sottesa alla condotta violenta (Giudice Serena Corleto)

Reato di rissa aggravata: esclusione della legittima difesa e responsabilità penale di tutti i partecipanti

Configurazione del reato di rissa e limiti alla legittima difesa nei confronti di condotte attive

Riforma della condanna per rissa aggravata: rideterminazione della pena e limiti alla particolare tenuità del fatto

Resistenza a pubblico ufficiale e lesioni aggravate: conferma della condanna con concessione della non menzione della pena

Rissa sul luogo di lavoro: legittimità del licenziamento disciplinare per condotta incompatibile con il vincolo fiduciario

Rissa: esclusione della responsabilità per chi agisce al solo fine di separare i litiganti.

Partecipazione attiva e reciproca come requisito per la configurabilità del reato di rissa.

La sentenza integrale

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Il ricorrente impugna il licenziamento disciplinare intimatogli con comunicazione del 17-10-2018, assumendo la mancanza di giusta causa e di giustificato motivo soggettivo, e chiede l'applicazione della tutela di cui all'art. 8 l. 604\1966.

La società resistente ribadisce la sussistenza della giusta causa di recesso.

MOTIVI DELLA DECISIONE
Il licenziamento impugnato ha fatto seguito alla lettera di contestazione disciplinare dell'11-10-2018 (cfr. doc. 5 allegato al ricorso), con cui è stato addebitato al ricorrente: "Lei ha messo in pericolo la Sua incolumità e quella dei suoi colleghi, oltre a poter causare danni al materiale aziendali, contravvenendo a quanto previsto dalla Legge e dal CCNL, in materia di prevenzione e sicurezza; Lei si è rivolto in maniera litigiosa verso un suo collega, provocando una rissa nel reparto di lavoro".

Il ricorrente esclude di aver provocato o partecipato ad una rissa, intesa come colluttazione o anche solo come contatto fisico con un collega di lavoro (cfr. punto 26 del ricorso). Impugna il licenziamento per violazione del principio di proporzionalità tra addebito e sanzione applicata, evidenzia di non aver mai ricevuto alcun addebito disciplinare nei 16 anni di durata del rapporto e di essere stato vittima della condotta incauta e negligente del collega di lavoro M. (cfr. punto 28 del ricorso). Un ulteriore motivo di impugnazione è poi costituito dalla violazione dell'obbligo di affissione del codice disciplinare (cfr. punto 33 del ricorso).

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Quanto a quest'ultimo motivo, il fatto oggetto di contestazione disciplinare si colloca nell'ambito di quei doveri fondamentali del lavoratori o della violazione di norme previste per tutti i consociati, rientranti nel cosiddetto minimo etico (cfr. 54\2017; Cass. 6893\2018).

Nel caso in esame, l'addebito si sostanzia nella violazione di regole generali di condotta, che escludono e sanzionano il ricorso ingiustificato a forme di violenza sulle persone, con la conseguente irrilevanza dell'affissione del codice disciplinare.

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Quanto agli ulteriori motivi di impugnazione, occorre preliminarmente esaminare le prove testimoniali acquisite, per accertare se il fatto contestato si sia verificato e con quali modalità.

A questo proposito, il testimone F.P., fratello del ricorrente e dipendente della società con mansioni di capofficina e responsabile per la sicurezza, ha escluso che via stata colluttazione o scambio di colpi tra il ricorrente e il collega di lavoro M.. Il testimone ha riferito che il ricorrente si è limitato ad allontanare e tenere lontano il signor M., che si era avvicinato troppo al suo viso, urlando e offendendolo. Va tuttavia precisato che il testimone ha anche riferito di non aver assistito all'intero episodio, ma solo alla parte finale.

Proprio per questo, la testimonianza maggiormente attendibile è quella del signor Montagna, che ha assistito direttamente all'intero episodio. Il testimone ha confermato quanto già riferito dal teste F.P., riguardo al comportamento del signor M., che ha intenzionalmente urtato con la staffa del proprio muletto quello del signor F.P., provocando la caduta di lamiere che avrebbero potuto cadere sui piedi del ricorrente. Questo episodio ha dato origine ad un diverbio verbale, con insulti reciproci. Il testimone ha aggiunto che quando M. è rientrato dopo essersi allontanato, il ricorrente "ha iniziato a offenderlo e M. gli ha risposto. M. è sceso dal muletto e hanno iniziato a spintonarsi. F.P. ha messo le mani addosso a M. e questi ha reagito...I due hanno continuato a spintonarsi ed è intervenuto il signor Bari, ma quando è arrivato i due non stavano già più spintonandosi anche se continuavano a offendersi. Quello che ho visto è che i due si spingevano, si spintonavano. Non ricordo in specifico di colpi, ricordo queste spinte".

Dal contenuto di questa deposizione si trae che tra il ricorrente e M. vi è stato un contatto fisico, perché entrambi si sono spintonati e messi le mani addosso. Emerge anche che l'iniziativa è partita dal ricorrente, che ha per primo iniziato lo scontro fisico, poiché, fino a quel momento, vi era stato soltanto uno scambio di offese verbali.

È necessario a questo punto verificare se questo comportamento sia riconducibile alla nozione di rissa, rilevante sul piano disciplinare. Va infatti considerato che l'art. 10 sezione B), lettera h) del titolo VII del CCNL sanziona con il licenziamento senza preavviso la "rissa all'interno dei reparti di lavorazione" (cfr. doc. 14 prodotto dalla resistente).

A questo proposito, va considerato come la giurisprudenza di legittimità abbia sottolineato l'autonomia della nozione civilistica di rissa rispetto alla fattispecie penalistica ed abbia affermato, in particolare, il superamento di questa nozione, tanto con riferimento al numero minimo di partecipanti e al carattere violento della contesa, tale da costituire pericolo per l'incolumità pubblica, per adottare una nozione "più aderente, da un lato, al significato che del termine viene dato nella vita comune (e cioè di contesa anche tra due sole persone idonea a procurare, per le modalità dell'azione e per la sua capacità di coinvolgere terzi, una situazione di pericolo non limitata ai soli protagonisti); e, dall'altro, più in linea con le necessità peculiari dell'ambiente di lavoro, prendendo in considerazione l'idoneità del fatto a provocare una qualche alterazione della regolarità e del pacifico e ordinato svolgersi della vita collettiva all'interno di esso: e cioè una nozione connotata da una più esatta capacità definitoria" (cfr. Cass. 2830\2016).

Se dunque è questa la nozione di rissa rilevante sul piano civilistico e disciplinare, si ritiene la sussistenza di questa fattispecie nella vicenda in esame, caratterizzata da uno scontro fisico voluto da entrambi i contendenti, provocato dal ricorrente, che per primo vi ha fatto ricorso, in grado di realizzare un pericolo per l'incolumità di entrambi e di incidere sulla regolare attività produttiva, tanto che sono intervenuti colleghi di lavoro per porre fine al litigio. In questo senso, è irrilevante che non vi sia stato scambio di colpi, dal momento che è sufficiente, per configurare la fattispecie, che i due colleghi di lavoro siano venuti alle mani spintonandosi.

Riguardo alla configurabilità di una giusta causa di recesso, va considerato come l'individuazione di determinate condotte da parte della contrattazione collettiva da un lato rende necessario verificare se esse siano comunque riconducibili alla nozione legale di cui all'art. 2119 c.c., attraverso un esame in concreto del principio di proporzionalità. E tuttavia, come affermato dalla S.C., "la scala valoriale ivi recepita deve costituire uno dei parametri cui occorre fare riferimento per riempire di contenuto la clausola generale dell'art. 2119 c.c., e che le parti ben potranno sottoporre il risultato di tale valutazione cui è pervenuto il giudice di merito all'esame di questa Corte sotto il profilo della violazione del parametro integrativo della clausola generale costituito dalle previsioni del codice disciplinare (v. Cass. n. 18715 del 23/09/2016, Cass. n. 9396 del 16/04/2018)." (cfr. Cass. 28492\2018).

A questo riguardo, occorre anzitutto verificare se il comportamento del ricorrente abbia costituito una reazione alla condotta del M.. Il ricorrente sottolinea infatti di aver reagito ad un comportamento provocatorio del M., che ha urtato il muletto provocando la caduta di lamiere che avrebbero potuto mettere in pericolo la sua integrità fisica.

Tuttavia, lo scontro fisico non è stato immediato, ma è avvenuto dopo che il M. si era allontanato dal luogo dell'urto ed era poi tornato indietro. Per il ricorrente vi era quindi tutto il tempo di segnalare questa condotta pericolosa e di ottenere dal proprio superiore un intervento sanzionatorio nei confronti del collega di lavoro.

Inoltre, occorre considerare che già nel 2008 al ricorrente era stato contestato di essere venuto alle mani col M. (cfr. doc. 3 prodotto dalla resistente); in proposito, il ricorrente, nella lettera di giustificazioni, ha ammesso il comportamento violento in risposta a provocazioni verbali del M. ("sistemandolo fisicamente dentro un contenitore", cfr. doc. 5 prodotto dalla resistente).

Ora, l'esistenza di questo episodio precedente manifesta ulteriormente la gravità disciplinare di quello che ha portato al licenziamento. La valutazione in concreto della giusta causa di recesso e della proporzionalità della sanzione adottata non può quindi prescindere dall'esistenza di questo precedente, dall'iniziativa del ricorrente nello spintonare il collega di lavoro, dalla distanza di tempo rispetto all'asserita provocazione.

Le considerazioni che precedono portano quindi al rigetto della domanda.

La complessità dell'accertamento in fatto costituisce giusto motivo di compensazione delle spese di lite.

P.Q.M.
Definitivamente decidendo, ogni diversa istanza disattesa,

A. Respinge la domanda;

B. Compensa tra le parti le spese di lite;

C. Fissa in 60 giorni il termine per il deposito della motivazione.

Vicenza, 3-10-2019.

Il cancelliere Il giudice del lavoro

(dr. Gaetano Campo)

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