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Fatture per operazioni inesistenti e configurabilità del reato di riciclaggio

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Corte appello Cagliari sez. II, 22/03/2022, n.266

L’indicazione in fattura di un valore notevolmente divergente da quello reale, con successiva registrazione ai fini fiscali, integra il reato di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture per operazioni inesistenti, ai sensi dell’art. 2 del D.Lgs. 74/2000, qualora il valore dichiarato in fattura sia strumentale all’evasione tributaria. Contestualmente, la successiva movimentazione finanziaria volta a rendere opaca la provenienza del denaro originato dall’operazione fittizia configura il reato di riciclaggio ex art. 648-bis c.p. Tale reato richiede che le operazioni di sostituzione o trasferimento siano finalizzate ad ostacolare l’identificazione della provenienza delittuosa del denaro, anche in assenza di un rapporto diretto tra i soggetti coinvolti.

Reati tributari e responsabilità dell’amministratore uscente e subentrante

Emissione di fatture per operazioni inesistenti: responsabilità penale e accertamenti tributari

Dichiarazione fraudolenta e interposizione fittizia: condanna di titolare formale e dominus effettivo

Assoluzione e onere della prova nell’utilizzo di fatture sospette.

Dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture per operazioni inesistenti e rilevanza del pagamento del debito tributario.

Emissione di fatture inesistenti: responsabilità del titolare formale e gravità del reato

Dichiarazione fraudolenta con utilizzo di fatture inesistenti: responsabilità e dolo specifico nell'elusione fiscale

Prova dell'emissione di fatture per operazioni inesistenti e limiti di responsabilità penale

Fatture per operazioni inesistenti e configurabilità del reato di riciclaggio

Assenza di prova sull’inesistenza giuridica delle operazioni sottostanti alle fatture e assoluzione per insussistenza dei fatti

La sentenza integrale

Svolgimento del processo
Pe. Ma. e Pi. Pa., rispettivamente imputati dei reati di cui all'art. 2 D.l.vo. n. 74/2000 e dell'art. 648 bis c.p., sono stati mandati entrambi assolti, dal Tribunale di Oristano con la sentenza sopra indicata, per insussistenza del fatto e contro il proscioglimento ha interposto appello il Pubblico Ministero presso il medesimo Tribunale chiedendo, in riforma della stessa, l'affermazione di penale responsabilità dei medesimi soggetti in quanto responsabili e

IMPUTATI

"Pe. Ma.

Reato p. e p. dagli artt. 81 cpv. c.p. e 2 D.l.vo n. 74/2000 perché, al fine di evadere le imposte sul reddito, quale titolare della ditta GM. di Pe. Ma., con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, avvalendosi della fattura n. (omissis), emessa in data (omissis) dalla ditta Me. Sa. per un imponibile di Euro 90.000,00 ed IVA al 20% per Euro 18.000,00 in relazione alla cessione di un muletto 7 marca (omissis) modello (omissis) con matricola (omissis), completo di castello e forche, indicando un corrispettivo dello stesso di gran lunga maggiore rispetto al reale e a quanto effettivamente pagato (al massimo 18.000 Euro comprensivi di IVA) e quindi a fronte di una operazione parzialmente inesistente, registrava tale fattura in contabilità e indicava nelle dichiarazioni annuali, relative agli anni d'imposta 2007, 2008, 2009, 2010 e 2011 relative a tale imposta, elementi passivi (quote di ammortamento) per i seguenti importi (cfr. specchietto riepilogativo).

In (omissis) fino al (omissis) termine di presentazione dell'ultima dichiarazione;

Pi. Pa.

Del reato p. e p. dagli artt. 81 cpv e 648 bis c.p. perché, con più atti esecutivi di un medesimo disegno criminoso, non avendo partecipato al reato di emissione e utilizzo a fronte di operazioni inesistenti della fattura n. (omissis), emessa in data (omissis) dalla ditta Me. Sa. nei confronti della ditta GM. di Ma. Pe. per un imponibile di Euro 90.000,00 ed IVA al 20% per Euro 18.000,00, così come indicato nel capo che precede: in un primo tempo incassando, attraverso il proprio conto corrente n. (omissis) acceso presso la Banca Un. di (omissis), gli assegni per complessivi 72.000 Euro emessi dalla ditta GM. a favore della ditta Me. Sa. formalmente a pagamento parziale della fattura indicata: successivamente, restituendo sempre a mezzo altri assegni a Pe. Ma. e ai suoi familiari tale importo; sostituiva denaro proveniente dall'attività illecita fiscale indicata e, in ogni caso, compiva atti finalizzati ad ostacolare l'identificazione della provenienza delittuosa del suddetto denaro. In (omissis) dal (omissis) al (omissis)".

Svolgimento del processo

Il giudizio di proscioglimento per entrambi gli imputati, reso dal Giudice a quo, all'esito della compiuta istruttoria dibattimentale, consistita nell'esame dei testi (m.llo Ca. della G.d.F., il teste Mo. della ditta GM., il teste Pu., il C.T. del P.M. Cu. e il C.T. Me., della difesa del Pe.), e l'acquisizione della documentazione contabile, amministrativa e bancaria, le intercettazioni telefoniche sull'utenza di Pi. Pa., e l'esame dell'imputato Pe., si fonda, in buona sintesi, sulla incertezza del valore di mercato avuto dal macchinario oggetto della fattura n. (omissis) del (omissis) emessa dalla venditrice ditta Me. Sa. alla ditta acquirente G.M., di Pe. Ma. per il corrispettivo di Euro 90.000,00 con Iva al 20%, atteso che le valutazioni agli atti del processo, una del consulente del P.M. per Euro 5.000,00 ed una del consulente della difesa del Pe. per Euro 60.000,00, palesavano un'ampia divergenza economica dalla quale conseguiva, sul piano processuale, una condizione probatoria del tutto labile per via di codesta incertezza sul valore del macchinario oggetto di fatturazione (contestata come falsa e/o inesistente), di talché, stante la situazione di incertezza, si imponeva il proscioglimento del Pe. dal reato fiscale sopra detto e, in via consequenziale, dato l'intrinseco legame tra tale reato e quello di riciclaggio contestato alla Pi., per aver (secondo la contestazione) realizzato la sostituzione degli assegni usati per il pagamento del prezzo di cui alla fattura con assegni consegnati al Pe., in guisa da rendere difficoltosa l'identificazione della provenienza delittuosa del denaro costituente corrispettivo reale del prezzo pagato dal Pe. al Me. per l'acquisto del suddetto macchinario.

IMPUGNAZIONE

Avverso tale assoluzione, come detto, ha interposto appello il P.M. presso il Tribunale di Oristano chiedendone l'integrale riforma, dunque, la condanna degli imputati per i reati loro rispettivamente contestati e proponendo, a sostegno dell'impugnazione, i seguenti motivi:

- la dichiarazione fiscale del Pe. doveva ritenersi fraudolenta in quanto il bene mulettone indicato nella falsa fattura non poteva valere 90.000 Euro, visto che i lavori di manutenzione era costati almeno 30.000 Euro per rendere tale macchinario funzionante e che il venditore Me. Sa. aveva ricevuto-incassato solo il corrispettivo pari all'Iva dovuta, ossia 18.000 Euro e non l'intero prezzo dichiarato, mentre il restante importo di 72.000 era stato versato, mediante girata degli assegni dal Me. alla madre (Ca.) della Pi., sul conto di quest'ultima e da questa successivamente restituiti al Pe. con altri assegni;

- la valutazione del mezzo fatta dal c.t. del P.M., per Euro 5.000, era stata comparata a quella del c.t. del Pe., per Euro. 60.000, senza tener conto dei lavori di manutenzione fatti dopo l'acquisto per un costo di almeno 30.000 Euro;

- la stessa deposizione del c.t. del P.M., il teste Cu., era stata travisata dal Tribunale che, senza alcun dato ragionevole ed attendibile, aveva attribuito dignità probatoria alla stima del c.t. della difesa del Pe., benché priva di qualunque elemento tecnico di rilievo rispetto a quella resa dal Cu. sulla base di nozioni meccaniche e tecniche pacifiche;

- le stesse scritture contabili in atti confermavano il dato affermato dal c.t. Cu. che il macchinario non aveva alcun valore commerciale, tanto da essere stato annotato nel registro dei beni ammortizzabili con valore negativo e poi fatturato dalla ditta di trasporto come macchinario fuso e da rottamare;

- la Pi. nel corso della conversazione, intercettata il (omissis), con la propria madre Ca. affermava di non conoscere il Me. né di aver con questo rapporti commerciali nel contempo precisando di aver ricevuto gli assegni da questo per fare un piacere al Pe., e di tale dato di fatto probatorio il Tribunale non aveva minimamente tenuto conto, nonostante la rilevanza anche sul piano dell'individuazione dell'elemento soggettivo del reato di riciclaggio.

All'udienza del 14.3.2022 il processo a carico dei predetti imputati, dopo l'esame dei testi richiesti dalla pubblica accusa e ammessi dal Collegio, la Corte definiva il giudizio di appello come da dispositivo che segue.

Motivi della decisione
L'appello del P.M. è fondato e va accolto.

Appare opportuno preliminarmente dare conto della rinuncia da parte del Pe. Ma. alla prescrizione, come dallo stesso personalmente espressa all'udienza del 31.5.2021 con riguardo al reato al medesimo contestato.

Ciò detto, va rilevato che l'esito dell'istruttoria rinnovata davanti a questo Collegio di secondo grado ha fornito utili e inequivoci elementi attestanti la sussistenza di entrambi i reati in discussione.

Come già accennato in premessa, la decisione di assoluzione per entrambi gli imputati ruota intorno alla ritenuta congruità del valore del macchinario di cui alla suindicata fattura giacché lo stesso macchinario, che il consulente del P.M. aveva stimato a mero valore di rottamazione per Euro 5.000,00, era stato valutato da una ditta terza (la Ma. S.p.A.) ad un prezzo notevolmente più elevato, ossia Euro 60.000,00 oltre Iva a distanza di otto anni dalla vendita incriminata, il che, a giudizio del Tribunale, dimostrava la prossimità del valore di Euro 90.000,00 attribuito nella fattura emessa dalla ditta Me. alla ditta GM. del Pe..

Tale percorso valutativo del compendio probatorio agli atti non è condiviso da questo Collegio, atteso che il primo Giudice a tralasciato, nel compiere tale vaglio degli elementi indiziari, decisivi dati di fatto che, ove correttamente, presi in esame avrebbero portato ad un ribaltamento della decisione di assoluzione già dal primo grado.

Invero, un primo dato di fatto emerso dal processo attiene alla necessaria considerazione - totalmente omessa dal Tribunale - che tra i due suddetti valori di mercato attribuiti al macchinario occorreva tener presente che la ditta del Pe. dopo l'acquisto dalla ditta del Me. aveva effettuato importanti lavori di manutenzione straordinaria, quali la sostituzione integrale del motore, del sistema frenante ed altri parti strutturali importanti del macchinario, per un costo (dichiarato dal diretto interessato e non documentato, dunque in "nero", per assenza di dati contabili ufficiali) di almeno 30.000,00 Euro, il che dimostra che il valore all'acquisto dalla ditta del Me. non poteva essere certo quello indicato dalla ditta Ma. S.p.A. di Euro 60.000,00 + Iva dopo otto anni dalla prima cessione al Pe..

Tuttavia, il dato fondamentale non considerato dallo stesso Giudice riguarda il tipo di valutazione operata dagli incaricati della Ma. S.p.A., ossia una valutazione necessariamente collegata all'acquisto di un nuovo corrispondente macchinario con cessione dell'usato in permuta parziale, dunque una valutazione commerciale finalizzata alla conclusione di un affare, ossia della vendita del nuovo, nel cui contestato, come è noto, essendo un dato di fatto di comune nozione, viene, per

invogliare l'acquirente, aumentata la valutazione dell'usato da cedere in permuta. Sicché, già da questi iniziali rilievi emerge un'assoluta carenza nella valutazione degli elementi in fatto agli atti del processo, da cui ben emergeva l'irrealtà della citata valutazione (Euro 60.000) commerciale del macchinario, per le suddette ragioni (dopo importanti e costosi interventi di manutenzione straordinaria da parte del Pe. e in sede di permuta per l'acquisto di un nuovo macchinario).

Non di meno, appare utile in stretta aderenza a quanto testé detto, riportare un ulteriore e decisivo dato di fatto quanto all'attendibilità di detta seconda valutazione, ossia che l'incaricato della ditta Ma. S.p.A. era un soggetto che, benché indicato dalla difesa del Pe. come consulente tecnico, è risultato privo di competenze tecniche e meccaniche per valutare un siffatto macchinario, in quanto mero addetto al settore commerciale e vendite della ditta Ma., il quale (come riferito nel corso della sua deposizione) si era limitato a rendere tale valutazione per la permuta del predetto macchinario in prospettiva dell'acquisto di un nuovo modello, tanto da non aver nemmeno compiuto una prova su strada e in funzione del macchinario stesso, ma basandosi unicamente su quelli che lo stesso soggetto riteneva il prezzo da offrire al Pe. in connessione con l'acquisto del nuovo macchinario equipollente. Inoltre, sempre il teste - a precisa domanda di questo Giudice - ammetteva di non aver nemmeno verificato la documentazione amministrativa del macchinario, del pari riconoscendo - sempre in riposta a domanda del Collegio - che ove questa non fosse stata regolare ovvero mancante il bene non avrebbe avuto alcuna possibilità di essere commercializzato.

Orbene, sulla scorta di tali risultanze - di cui, come detto, il primo Giudice non teneva conto - emerge in modo palese che il macchinario di fatto non aveva alcun valore commerciale in quanto, come accertato in precedenza, non era munito di idonea documentazione amministrativa per il suo utilizzo e la sua circolazione, di modo che la sintesi di tali elementi porta incontestabilmente alla correttezza della valutazione operata dal consulente del P.M., ovverosia al valore di rottamazione per Euro 5.000,00, dovendosi ritenere del tutto irrilevante la contrapposta valutazione dedotta dalla difesa del Pe. in base al suddetto dipendente della ditta Ma. S.p.A., considerata la totale, se non sospetta, superficialità e approssimazione del valore di Euro 60.000 oltre l'Iva assegnata al macchinario.

Per di più, non è stato in alcun modo tenuto conto che a tutto concedere siffatta valutazione successiva interveniva a lavori di manutenzione straordinaria compiuti otto anni prima della vendita di cui alla fattura, di talché il costo di detti lavori sarebbe dovuto essere quanto meno decurtato per risalire in modo più aderente alla realtà al valore del bene all'epoca della vendita, cosa del tutto omessa dal Tribunale che si è basato su tale valutazione di Euro 60.000 in modo aprioristico e disomogeneo nel tempo e rispetto alle due ben diverse condizioni del veicolo in coincidenza delle due valutazioni a confronto. Ove, infatti, detto Giudice avesse interpolato correttamente tali elementi sarebbe pervenuto ad una valutazione prossima e collimante con quella del consulente del P.M., non di meno ove avesse, come era doveroso, considerato che il valore commerciale del veicolo (come confermato dallo stesso c.t. della difesa nel corso del suo esame anche dinnanzi a questo Collegio) era nullo, in quanto mezzo privo di certificazione amministrativa per l'utilizzo sui cantieri di lavoro (come pacificamente emerso dall'istruttoria di primo grado (cfr. verb. ud. del 5.5.2016, pag. 14), così ribadendosi la correttezza della valutazione (a prezzo di rottamazione) operata dal c.t. del P.M.

Da ultimo, deve evidenziarsi il dato che la valutazione operata dal dipendente della ditta Ma. S.p.A., assunto come c.t. della difesa del Pe., scaturiva in epoca successiva alla conoscenza da parte di quest'ultimo del procedimento a suo carico, di modo che non sembra dubitarsi della singolare coincidenza di tali eventi riversatisi nel processo, di cui, al pari di altri, il Tribunale non teneva in debito conto ai fine di individuare la reale rilevanza ed attendibilità del compendio probatorio.

Altro tassello indiziario è quello rappresentato dalle annotazioni contabili della ditta del Me. Sa., giacché in esse compariva quella riferita alla rottamazione proprio di un muletto (omissis) riportato con valore negativo nel registro beni ammortizzabili, nonché certamente collegabile alla fattura emessa nei confronti di detta ditta dalla CM. di Pi. G. Pa. per il trasporto e la rottamazione di un mulettone marca (omissis) fuso e arrugginito.

La continuità e convergenza degli atti relativi a tale macchinario appare di una evidenza sorprendente, tale da non potersi enucleare nel procedimento valutativo adottato dal primo Giudice il senso della decisione assolutoria a cui lo stesso è pervenuto.

Nemmeno ha rilievo il fatto che - come dichiarato dall'interessato - il macchinario sia stato utilizzato e lo sia tuttora dal Pe. nel cantiere della cava gestita dal medesimo, giacché il dato processuale che interessa in questa sede è collegato alla corrispondenza del valore indicato nella suddetta fattura di vendita del macchinario dal Me. al Pe. nel (omissis), ossia Euro 90.000,00, laddove, per il complessivo e significativo quadro probatorio indiziario considerato detto valore risulta all'evidenza fittizio, da cui consegue la sussistenza del reato contestato al Pe. di utilizzazione di fattura per operazioni parzialmente inesistenti finalizzata all'evasione dell'imposta sul valore aggiunto.

Lo stesso, pertanto, va ritenuto colpevole di detto reato e condannato, con le attenuanti generiche concedibili allo stesso in ragione dell'età avanzata e del percorso regolare di vita essendo egli incensurato, condannato alla pena di anni uno di reclusione, partendo, come pena base, dal minimo edittale di anni uno e mesi sei di reclusione, ridotta di un terzo per dette attenuanti. Nel contempo, in virtù dell'art. 12 del D.l.vo n. 74/2000, vanno applicate al Pe. le pene accessori di legge che conseguono automaticamente alla condanna per il suddetto reato, segnatamente l'interdizione dagli uffici direttivi delle persone giuridiche e delle imprese (lett. a); l'incapacità di contrattare con la P.A. (lett. b); l'interdizione di rappresentanza in materia tributaria (lett. c), tutte per la durata di anni uno, ossia corrispondenti alla pena principale, nonché l'interdizione perpetua di componente delle commissioni tributarie.

Sulla scorta del suddetto reato, va in pari tempo affermata la responsabilità anche della Pi. in ordine al reato di riciclaggio ex art. 648 bis c.p. atteso che la stessa, come emerge dai plurimi dati di fatto e processuali, si è adoprata per sostituire gli assegni consegnati dal Pe. al Me. per far risultare il pagamento della suddetta fattura di Euro 90.000,00 con altri assegni riconsegnati al Pe., facendo transitare, per rendere disagevole la sequenza dei movimenti e operazioni finanziarie, connesse a quella commerciale in parola, nel conto corrente bancario della propria madre i predetti assegni.

Dette operazioni sono state accertate (come dettagliatamente illustrate dal teste della G.d.F. nuovamente escusso in udienza da questo Giudice) dai finanzieri i quali, infatti, riscontravano che il prezzo di Euro 90.000, indicato in fattura dal Me., era stato pagato dal Pe., al Me. con n. 2 assegni da Euro 9.000 cadauno, sicché Euro 18.000 pari esattamente all'Iva. del 20% collegata e dovuta per la citata fattura, mentre il Me. - senza alcuna ragione commerciali e/o finanziaria - girava alla madre della Pi. (ossia Ca. Ma. Fr.) n. 6 assegni da Euro 12.000 ciascuno, pari a Euro 72.000, ossia esattamente la differenza con la somma dovuta per l'Iva sino a raggiungimento di Euro 90.000 di cui alla fattura in contestazione. Da osservarsi che la Pi. aveva il conto cointestato con la predetta madre e che la stessa Pi. - nel corso di una conversazione intercettata - riferiva di non conoscere nemmeno il Me., oltre al fatto che dalla documentazione contabile delle rispettive impresa e ditte era assente qualunque rapporto commerciale, di modo che nulla giustificava la cennata operazione finanziaria tra costoro. Non di meno, come già detto, era la stessa Pi., parlando al telefono con la propria madre, a esternare ed ammettere (in modo non contestabile, attesa la rilevanza oggettiva della prova captativa acquisita il (omissis)) di non conoscere il Me. e di non aver avuto con questo alcun rapporto commerciale, aggiungendo, nella stessa conversazione, di aver fatto un favore al Pe., ragione per cui non può essersi dubbio alcuno in ordine alla finalità della citata condotta della Pi. di essersi la stessa prestata per occultare, con dette operazioni di negoziazione degli assegni ricevuti dal Me., che a sua volta li aveva avuti dal Pe. in pagamento fittizio del macchinario, il movimento finanziario in discussione, per poi emettere dal medesimo conto, ed a distanza di qualche tempo, altri assegni che consegnava, tra gli altri, anche al Pe. Ma. così completando e chiudendo l'operazione circolare concordata con lo stesso. Non è dato comprendere come tale elemento di prova oggettivo possa essere stato ignorato e superato dal Tribunale.

Non può essersi, pertanto, dubbio alcuno sulla sussistenza del reato di riciclaggio contestato alla Pi. da cui segue la condanna della stessa alla pena di anni due e mesi otto di reclusione ed Euro 1.000 di multa, determinata in base alla pena base corrispondente, all'epoca dei fatti, al minimo edittale per la pena detentiva, di anni quattro di reclusione, ed Euro 1.500 di multa, poi ridotta, come nel caso del Pe., di un terzo per le attenuanti generiche.

Sulla scorta dei predetti elementi di prova appare certamente condivisibile la censura proposta dal P.M. appellante in merito al reale svolgimento dei fatti e delle condotte criminose rispettivamente ascritte agli imputati Pe. e Pi., giacché la natura e finalità fraudolenta dell'intera operazione emerge ictu oculi dal prezzo di 90.000 Euro, del tutto irrealistico, indicato in fattura dal Me. Sa. per la vendita a Pe. Ma. di un muletto di grandi dimensioni all'epoca totalmente non funzionante, tanto da necessitare, come visto, di un immediato intervento di manutenzione straordinaria per un costo di almeno 30.000 Euro, nonché dalla sequenza dei collegati flussi finanziari degli assegni dati dal Pe. al Me. in pagamento di detto macchinario, atteso che all'esito del movimento di tali assegni venivano incassati dal Me. (venditore) solo due assegni per complessivi Euro 18.000, esattamente corrispondenti all'IVA (del 20%) dovuta sulla fattura in contestazione, mentre i restanti assegni girati dal Me. alla madre della Pi., per l'importo totale di 72.000 Euro, incassati sul conto cointestato alle due donne, veniva successivamente restituito (mediante consegna di più assegni per importo complessivamente superiore a quello ricevuto) al Pe. ed agli stretti famigliari di quest'ultimo dalla Pi.. A ciò deve, aggiungersi, il fatto decisivo dell'assenza di qualunque rapporto economico, commerciale e finanziario tra la Pi., la madre della stessa e il dante causa Me. Sa., di cui, come detto, la stessa Pi. nel corso della conversazione con la propria madre ed intercettata, dava espressa conferma di non aver mai conosciuto e di aver fatto (accettato gli assegni girati dal Me.) un piacere al Pe.; ed altresì da considerarsi il fatto che l'operazione descritta veniva ulteriormente travisata e occultata mediante la restituzione al Pe. di un importo maggiore rispetto a quello negoziato per il mulettone in discorso in virtù del mutuo ricevuto dalla Pi. in un momento successivo all'incasso degli assegni ricevuti dal Me.. Inoltre, la circostanza di aver emesso vari assegni al Pe. ed agli stretti famigliari di questo, per un totale di 122.000 Euro, riveste senza dubbio (atteso che non è emerso alcun motivo concreto sotteso da tale pagamento) un comportamento oltre modo funzionale ad occultare l'operazione originaria del riciclaggio dell'importo fittiziamente pagato dal Pe. al Me. simulando l'operazione commerciale dell'acquisto per 90.000 Euro del macchinario in parola.

In ragione della riforma della sentenza assolutoria di primo grado, entrambi gli imputati vanno condannati al pagamento delle spese del doppio grado di giudizio.

La Corte

all'udienza del 14.3.2022, ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei confronti di:

Pe. Ma. + 1

APPELLANTE il P.M.

contro la sentenza del Tribunale di Oristano in data 12 settembre 2019.

P.Q.M.
Visti gli artt. 533, 599, 592 c.p.p., 62 bis c.p., in riforma della sentenza impugnata, dichiara Pe. Ma. Pi. Pa. colpevoli di reati loro rispettivamente ascritti e, con le attenuanti generiche, condanna Pe. Ma. alla pena di anni uno di reclusione e Pi. Pa. alla pena di anni due e mesi otto di reclusione e Euro 1.000,00 di multa. Visto l'art. 163 c.p. dispone che la pena inflitta a Pe. Ma. resti sospesa per i termini e alle condizioni di legge. Applica a Pe. Ma. le pene accessorie previste dall'art. 12, I comma D.l.vo n. 74/2000, indicando la durata di quelle previste dalle lettere a), b) e c) nella misura di un anno. Condanna altresì gli imputati al pagamento delle spese processuali dei due gradi di giudizio.

Indica il termine di giorni 30 per il deposito della sentenza.

Così deciso in Cagliari, il 14 marzo 2022

Depositata in Cancelleria il 22 marzo 2022

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