Tribunale Vicenza, 24/01/2022, n.2
Nei reati fiscali, la prova dell'emissione di fatture per operazioni inesistenti deve essere fondata su elementi concreti e inequivoci, come la presenza di firme, timbri o altri segni di riconducibilità all'emittente. Dichiarazioni di terzi non sufficientemente riscontrate, documenti mancanti o non esibiti, e la mancanza di elementi diretti che colleghino l'imputato alle fatture incriminate, non soddisfano lo standard probatorio richiesto per affermare la responsabilità penale al di là di ogni ragionevole dubbio. L’assoluzione si impone laddove la paternità delle fatture sia priva di riscontri univoci o ove sia possibile l’esistenza di ipotesi alternative.
Svolgimento del processo
Con decreto che dispone il giudizio del 17/12/2020, notificato all'imputato a mani e alla persona offesa a mezzo posta, Lo. Gi. veniva tratto a giudizio per i reati di cui agli artt. 8 (capi 1-6), 5 (capi 7-10) e 10, d.lgs. 74/2000 (capo 11).
All'udienza del 19/3/2021 l'imputato veniva dichiarato assente avendo ricevuto la notifica a mani e avendo nominato difensore di fiducia. Veniva, quindi, aperto il dibattimento e venivano ammesse le prove.
All'udienza del 15/10/2021 con il consenso delle parti, veniva acquisito il fascicolo del Pubblico Ministero con rinuncia alle prove ammesse, il Giudice revocava la relativa ordinanza ammissiva.
Infine, all'udienza del 7/1/2022 le parti discutevano, concludendo come da verbale. Dichiarato chiuso il dibattimento e utilizzabili gli atti, al fascicolo il Giudice, ritiratosi in camera di consiglio, deliberava come da dispositivo, riservando la motivazione nel termine di 60 giorni.
Diritto
Motivi della decisione
1. Ricostruzione del fatto
1.1. Emissione di fatture per operazioni inesistenti
La prova dei fatti di cui ai capi 1-6, ovvero l'emissione di fatture per operazioni inesistenti asseritamente commessa dall'imputato in quanto imprenditore individuale con ditta "Vi. Ma. di Lo. Gi." tra il 2012 e il 2017, presuppone la prova del fatto che le fatture rinvenute dalla Guardia di Finanza presso terzi siano effettivamente state emesse dall'imputato e non abbiano, invece, un'altra origine. Tale prova, almeno in parte, non è stata raggiunta.
Sotto questo profilo, è necessario prendere le mosse dalla constatazione che l'imputato non risulta avere mai registrato le fatture emesse e che la Guardia di Finanza di (omissis) non ha rinvenuto alcuna copia delle fatture de quo nella disponibilità dell'imputato, ma che anzi lo stesso imputato ha dichiarato che la Vi., fin dalla sua costituzione nel 2004, oltre a non avere mai svolto alcuna attività, non ha mai tenuto alcuna documentazione contabile (C.N.R. del 7/8/2018, p. 8, foglio 17 e allegato 10). La Guardia di Finanza ha evidenziato anche che la Vi. non ha neppure mai comunicato alcuna operazione attiva o passiva ai fini dello "Spesometro" (C.N.R. cit., p. 9, foglio 18, p.v.c. del 27/6/2018, p. 6).
D'altro canto, dall'assoluta inverosimiglianza dell'oggetto delle fatture asseritamente emesse dall'imputato, così come descritto da Pe. e Pi. agli operanti, si ricava che tali fatture avessero ad oggetto operazioni inesistenti. Tale circostanza è confermata sia dall'assoluta sproporzione tra le operazioni attive e le operazioni passive poste in essere dalla Vi., in favore delle prime, che emerge dallo "Spesometro Integrato" (C.N.R. cit., p. 9, foglio 18, p.v.c. del 27/6/2018, p. 6) sia dal fatto che risultano fatture della Vi. emesse anche dopo la chiusura d'ufficio della sua partita I.V.A. da parte della Agenzia delle Entrate (ibidem).
Tuttavia, tali circostanze, di per sé sole, non provano che le fatture de quo siano state emesse dall'imputato. Infatti, non si può escludere a priori che dette fatture siano state artefatte dagli stessi soggetti presso i quali sono state rinvenute o da altri soggetti diversi dall'imputato.
1.1.1. Le fatture asseritamente emesse all'impresa individuale Sc. Fe.
Quanto alle fatture asseritamente emesse dall'imputato a Sc., questo ha dichiarato di avere ricevuto dette fatture direttamente dalle mani dell'imputato (verbale di sequestro probatorio di iniziativa del 10/3/2017), ma, a ben vedere, le sue dichiarazioni sono molto generiche e altrettanto sintetiche.
Egli, infatti, ha riferito di avere conosciuto Lo. tramite un amico di cui non ha saputo o voluto indicare il nome; ha spiegato che in passato aveva già prestato del denaro a questo amico, che lo aveva minacciato di non restituirglielo se non gliene avesse prestato ancora; ha aggiunto che Lo. gli aveva procurato alcune fatture - che riconosceva espressamente come aventi ad oggetto operazioni inesistenti - che egli aveva utilizzato per risolvere i seri problemi finanziari in cui versava dal 2013 e di averlo ricambiato con qualche piacere non meglio precisato, ma comunque senza pagarlo; ha chiosato che l'amico che gli aveva presentato Lo. successivamente gli aveva estorto del denaro minacciandolo di rivelare alla Guardia di Finanza la falsità di tali fatture (verbali di sequestro del 10/3/2017 e del 13/3/2017).
Né allegate ai verbali di sequestro del 10/3/2017 e del 13/3/2017 - dove sono semplicemente elencate - né allegate al processo verbale di operazioni compiute del 1/6/2018, né altrove all'interno del fascicolo del dibattimento si rinvengono le fatture consegnate da Sc. alla Guardia di Finanza, nonostante quanto riportato a p. 11 della C.N.R. del 7/8/2018 (foglio 20). Infatti, come riportato a p. 8 del P.V.C., del 27/6/2018, le fatture in questione e i registri in cui sono state annotate sono stati, sequestrati nell'ambito di un altro procedimento dal Nucleo di Polizia Tributaria della Compagnia di Vicenza della Guardia di Finanza e non sono state acquisite nemmeno in copia al fascicolo del Pubblico Ministero dalla Guardia di Finanza di (omissis). Non vi è, quindi, la possibilità di confrontare le fatture in questione con quelle che sarebbero state emesse a Pe. e Pi. né si può accertare se siano state firmate dall'imputato o se riportino altri segni che le rendano a lui immediatamente riconducibili.
Nonostante ciò, il contenuto essenziale delle fatture asseritamente emesse dall'imputato a Sc. è riportato nella tabella di cui a p. 9 del p.v.c. del 27/6/2018. Si può notare come la descrizione dell'oggetto di tali fatture sia molto generica e gli importi siano piuttosto consistenti, il che sembrerebbe suggerire - a parziale riscontro delle sue dichiarazioni - che si tratti effettivamente di fatture per operazioni inesistenti, come affermato da Sc.. Ciò è ulteriormente riscontrato dal fatto che Lo. abbia riferito che la Vi. non abbia mai svolto alcuna attività.
La falsità di tali fatture, tuttavia, di per sé non dice nulla quanto alla provenienza delle stesse dall'imputato, che rimarrebbe provata dalle sole dichiarazioni di Sc.. Ci si deve chiedere, dunque, se tale elemento di prova sia sufficiente a ritenere provata al di là di ogni ragionevole dubbio la provenienza dall'odierno imputato delle fatture emesse a Sc..
Ebbene, esiste la possibilità che Scapiti avesse un interesse ad additare nell'odierno imputato (anziché in sé stesso o in terzi) l'autore delle fatture, di cui Sc. stesso ha riconosciuto il carattere fittizio: ad esempio, l'interesse a fornire una giustificazione coerente con quella fornita da Pe. e Pi. oppure l'esistenza di motivi di risentimento tra i due. Il fatto che i rapporti tra Lo., Sc., Pe. e Pi. non siano stati investigati non consente di escludere ragionevolmente tale ipotesi alternativa.
Inoltre, il tenore delle dichiarazioni rese da Sc., peraltro al di fuori del contraddittorio, e l'impossibilità di esaminare direttamente le fatture precludono la possibilità di un riscontro adeguato alle sue dichiarazioni, in particolare sotto il profilo della paternità delle fatture.
Per tali ragioni non si può ritenere che sia stato provato al di là di ogni ragionevole dubbio che l'imputato abbia emesso le fatture in questione.
1.1.2. Le fatture asseritamente emesse all'impresa individuale Pe. Br.
Le fatture rinvenute dalla Guardia di Finanza nella disponibilità di Pe. Br., titolare di un'impresa individuale operativa nel settore edile (p.v.c. del 27/6/2018, p. 10), hanno certamente un oggetto inesistente e ciò è evincibile dalla molteplicità di indizi significativi e tra loro concordanti evidenziati dalla Guardia di Finanza (C.N.R. del 7/8/2018, p. 13, foglio 22):
- il fatto che rechino una descrizione assolutamente generica (ad es.: "lavori di manodopera eseguiti presso vs. cantieri per vs. ordine e conto al totale concordato");
- il fatto che Pe. non abbia saputo precisarne l'oggetto e, in particolare, indicare i cantieri di riferimento, specificare le modalità di calcolo del corrispettivo e il fatto che non abbia esibito i prospetti delle ore di lavoro prestate da Lo. (p.v.c. del 27/6/2018, p. 11);
- il fatto che abbiano importi consistenti, in considerazione dell'oggetto (cfr. p.v.c. del 27/6/2018, p. 17);
- il fatto che alcune fatture (n. 16 del 30/9/2014 e 18 del 31/10/2014) riguardino un periodo di tempo in cui l'imputato era in detenzione domiciliare (p.v.c. del 27/6/2018, p. 12);
- il fatto che l'imputato non risulti avere mai lavorato nell'edilizia fino al febbraio 2012, quando avrebbe cominciato a lavorare per Pe., risalendo la prima fattura al 28/2/2012 (p.v.c. del 27/6/2018, p. 13);
- il fatto che l'impresa individuale dell'imputato si sarebbe occupata di commercio d'auto, come attesterebbe il fatto che a Lo. fossero intestati 21 veicoli (C.N.R. del 7/8/2018, foglio 17 e allegato 10, p.v.c. del 27/6/2018, p. 13);
- il fatto che in corrispondenza dell'emissione di alcune fatture (n. 6 del 31/5/2012, n. 8 del 30/6/2012, n. 4 del 30/4/2013, n. 19 del 31/12/2013) l'imputato avesse percepito degli stipendi come lavoratore dipendente di alcune società (p.v.c. del 27/6/2018, pp. 13 e 14);
- il fatto che Pe. abbia riferito di non avere avuto più bisogno di Lo. a partire dal 2015 ma che siano comunque state rinvenute fatture relative anche all'anno 2016 (ben 13 fatture per 41.680 Euro) e che Pe. non sia stato in grado di spiegare tale incongruenza (p.v.c. del 27/6/2018, pp. 14-15);
- il fatto che Pe. abbia riferito di avere pagato tali fatture sempre in contanti, quindi con pagamenti non tracciati;
- il fatto che tali fatture rappresentino da sole in media il 44,74% dei costi annui dichiarati da Pe. (p.v.c. del 27/6/2018, pp. 18 e 19).
Considerato che Pe. risulta avere mentito nel rispondere alle domande degli operanti circa l'oggetto delle fatture rinvenute nella sua disponibilità, ci si deve chiedere se quanto ha affermato circa la provenienza delle fatture medesime dall'odierno imputato sia credibile.
Ebbene tale affermazione trova un elemento di riscontro molto forte nel fatto che le fatture rinvenute nella sua disponibilità, in gran parte, riportino il timbro "Vi. di Lo. Gi." e una sottoscrizione (cfr. p.v.c. del 27/6/2018, p. 18 e fatture di cui agli allegati 13-16 di cui al DVD agli atti). Sebbene il modello di fattura utilizzato tra l'anno 2012 e l'anno 2014 sia diverso da quello utilizzato nell'anno il 2016, esaminando le singole fatture si nota subito come la firma appostavi sia effettivamente sempre la stessa. Tale firma, peraltro, appare coincidere proprio con quella apposta nella relata di notifica a mani dell'imputato e con quella apposta nell'atto di nomina di difensore di fiducia da parte dell'imputato.
Tale elemento di riscontro consente di affermare, al di là di ogni ragionevole dubbio, che l'imputato abbia quantomeno concorso all'emissione delle fatture per operazioni inesistenti rinvenute nella disponibilità di Pe., sottoscrivendole.
1.1.3. Le fatture asseritamente emesse all'impresa individuale "Pi." di Pi. Ro.
Infine, per quanto attiene alle fatture rinvenute nella disponibilità di Pi., anch'egli, così come Sc., ha affermato di avere ricevuto tali fatture direttamente dall'imputato. Tuttavia, lo stesso imputato ha contraddetto tale affermazione asserendo di non avere mai intrattenuto rapporti di lavoro con Pi. e di non avere mai acquistato né venduto nulla allo stesso (p.v.c. del 13/7/2017, p. 3).
Tali fatture sono state ritenute dalla Guardia di Finanza come aventi ad oggetto operazioni soggettivamente inesistenti in quanto, al netto di tutto quanto in premessa evidenziato in relazione alla Vi., l'acquisto di pellame da parte dell'impresa individuale "Pi." di Pi. Ro., oggetto di tali fatture, si inserirebbe nell'ambito di un sistema di cessioni di cospicue partite di pellame "in nero" da parte di alcune concerie di (omissis) per il tramite dell'interposizione fittizia di terze imprese di fatto inesistenti. Tale ricostruzione non è stata, però, ulteriormente documentata.
La riferibilità delle vendite di pellame oggetto di tali fatture a soggetti diversi dall'impresa individuale dell'odierno imputato è confermata, tuttavia, dal fatto che la stessa, stando allo "Spesometro Integrato", non risulta avere acquistato pellame, se non per importi infinitesimali e solo negli anni 2012 e 2016.
Le fatture che vedono Pi. come destinatario, nonostante siano state emesse in larga misura nello stesso periodo, sono state redatte utilizzando un modello diverso da entrambi quelli utilizzati per le fatture emesse a Pe.. Tale circostanza è anomala: non si vede, infatti, per quali ragioni l'imputato avrebbe dovuto utilizzare modelli diversi per emettere fatture a persone diverse nel medesimo periodo di tempo. Per di più, nessuna delle fatture asseritamente emesse dall'imputato a Pi. risulta essere stata timbrata e firmata. Di nuovo, non si vede per quale ragione l'imputato avrebbe dovuto timbrare e firmare le sole fatture emesse a Pe. e non invece quelle emesse a Pi..
Valutate alla luce di tutte tali circostanze, le dichiarazioni di Pi. non appaiono sufficienti a provare la provenienza delle fatture rinvenute nella sua disponibilità dall'imputato. Peraltro, anche con riguardo a Pi. valgono le considerazioni già svolte rispetto a Sc. circa la mancanza di una ricostruzione particolareggiata dei rapporti tra emittente ed emissari e degli eventuali rapporti tra questi ultimi, che avrebbe potuto fornire ulteriori elementi di riscontro. D'altro canto, la prova dell'emissione di fatture a Pe. non dice nulla quanto alla prova del fatto che Lo. abbia emesso fatture anche a Sc. e Pi..
1.1.4. Conclusione
Dato che "Ai fini dell'applicazione della disposizione prevista dal comma 1, l'emissione o il rilascio di più fatture o documenti per operazioni inesistenti nel corso del medesimo periodo di imposta si considera come un solo reato" (art. 8, co. 2, d.lgs. 74/2000), essendo stata raggiunta la prova dell'emissione di fatture solo nei confronti di Pe., si impone una pronuncia di assoluzione per non avere commesso il fatto con formula dubitativa per quei capi di imputazione che hanno ad oggetto annualità in cui è contestata l'emissione di fatture per operazioni inesistenti solo nei confronti di Sc. e di Pi. (capi 4 e 6).
1.2. Omessa dichiarazione I.V.A.
Quanto ai reati di omessa dichiarazione I.V.A. (capi 7-10), si osserva preliminarmente che l'imputato avrebbe dovuto presentare la dichiarazione I.V.A. ex art. 8, co. 1, d.P.R. 322/1998 anche se non avesse effettuato alcuna operazione imponibile e che, nonostante ciò, non risulta avere mai presentato la dichiarazione I.V.A. per nessuna delle annualità contestate (2013-2016) e, addirittura, fin dalla sua costituzione nel 2004 (C.N.R. del 7/8/2018, p. 9, foglio 18). Più in generale, non risulta avere presentato mai alcuna dichiarazione fiscale (p.v.c. del 27/6/2018, p. 6).
Si pone, tuttavia, il problema di verificare il superamento della soglia di punibilità. Alla data di consumazione del reato di cui al capo 7 (29/12/2014) la soglia di punibilità prevista dall'art. 5, co. 1, d.lgs. 74/2000 era pari a 30.000 Euro, mentre alle date di consumazione dei reati, di cui ai capi 8-10 (il 29/12/2015, il 29/12/2016 e il 29/5/2017) la soglia di punibilità prevista dall'art. 5, co. 1 cit. era di 50.000 Euro. L'art. 5, co. 1, lett. a, d.lgs. 158/2015 è norma penale sfavorevole al reo sotto il profilo dell'aumento della cornice edittale prevista per il reato in questione, ma è norma penale favorevole sotto il profilo dell'aumento della soglia di punibilità ed è quindi, potenzialmente suscettibile di applicazione retroattiva ex art. 2, co. 4 c.p. a seconda dell'imposta evasa nel caso concreto.
Data l'impossibilità di attribuire con certezza all'imputato l'emissione delle fatture relative a Sc. e Pi., l'imposta evasa per ciascuna annualità deve essere stimata in misura della somma dell'I.V.A. esposta nelle fatture emesse a Pe. per ciascun anno: 3.912,30 Euro per l'anno 2012, 4.742,40 Euro per il 2013, 4.802,60 Euro per l'anno 2014 e 9.169,60 per l'anno 2016 (si veda la tabella di cui a p. 12 della C.N.R. del 7/8/2018, foglio 21).
È evidente, quindi, come rispetto a nessuno dei periodi di imposta per i quali è stata contestata l'omessa dichiarazione sia stato provato il superamento della soglia di punibilità. Pertanto, rispetto ai capi 7-10 si impone una pronuncia di assoluzione perché il fatto non è previsto dalla legge come reato, in quanto l'omessa dichiarazione senza superamento della soglia di punibilità costituisce comunque illecito amministrativo ex art. 5, co. 1, d.lgs. 471/1997.
1.3. Occultamento o distruzione di documenti contabili
Quanto al reato di distruzione o occultamento delle copie delle fatture emesse (capo 11), la prova del fatto emerge univocamente, da un lato, dalla prova dell'emissione di fatture nei confronti di Pe. e, dall'altro lato, dal fatto che gli operanti non ne abbiano rinvenuto le copie nella disponibilità dell'imputato nel corso della verifica fiscale o comunque questo non le abbia esibite (C.N.R. del 718/2018, p. 9, foglio 18, e p. 19, foglio 28, p.v.c. del 27/6/2018, p. 1). Il fatto che l'imputato abbia dichiarato di non avere mai istituito le scritture contabili e i registri, fiscali (C.N.R. cit., p. 8 foglio 17 e allegato 10, p.v.c. del 27/6/2018, p. 4), non toglie che avrebbe comunque dovuto custodire copia delle fatture emesse a Pe..
Infatti, la giurisprudenza di legittimità ha chiarito che: "In tema di reati tributari, poiché la fattura deve essere emessa in duplice esemplare, il rinvenimento di uno di essi presso il terzo destinatario dell'atto può far desumere che il mancato rinvenimento dell'altra copia presso l'emittente sia conseguenza della sua distruzione o del suo occultamento" (Cass., Sez. III, sent. 41683/2018, Rv. 274862). In particolare, la Corte ha evidenziato che, dato l'obbligo previsto dall'art. 22, co. 4 d.P.R. 633/1972, per cui "la fattura cartacea è compilata in duplice esemplare di cui uno è consegnato o spedito all'altra parte", allora "risponde [...] a canoni di logica desumere dal rinvenimento di una fattura presso un terzo il fatto che di quel documento esista fisicamente una copia presso chi l'ha emessa. Ne consegue che non è manifestamente illogico desumere dal mancato rinvenimento di detta copia la conseguenza della sua distruzione ovvero del suo occultamento [...]".
2. Qualificazione giuridica del fatto
2.1. Emissione di fatture per operazioni inesistenti
La condotta di emissione di fatture per operazioni inesistenti è punita solo ove sussista il dolo specifico di "consentire a terzi l'evasione delle imposte sui redditi o sul valore aggiunto". Il requisito ricorre nel caso di specie in quanto Pe. ha effettivamente registrato le fatture emesse dall'imputato nei suoi confronti e riportato nelle proprie dichiarazioni relative alle imposte sui redditi e sul valore aggiunto il credito risultante, quindi si è effettivamente realizzato l'oggetto del dolo specifico. L'imputato, nell'emettere o concorrere ad emettere tali fatture, anche solo firmandole, non poteva non essere consapevole dell'unico scopo cui potevano essere finalizzate.
Il fatto che i costi relativi alle operazioni oggetto di tali fatture siano stati rilevati anche nelle dichiarazioni relative all'imposta sui redditi (C.N.R. del 7/8/2018, p. 14, foglio 23) fa sì che il dolo specifico debba essere ritenuto sussistente anche rispetto al fatto commesso nell'anno 2016 (capo 10), esclusivamente relativo a fatture assoggettate ex art. 17, co. 6, lett. a-ter d.P.R. 633/1972 al regime di reverse charge - che realizzano cioè non un credito I.V.A. ma un debito I.V.A. per il cessionario - e che, in quanto tali, non riportano l'I.V.A.
La disposizione dell'art. 8, d.lgs. 74/2000 non prevede alcuna soglia di punibilità, pertanto è irrilevante l'ammontare dell'imposta evasa ai fini dell'integrazione della fattispecie.
2.2. Occultamento o distruzione di documenti contabili
Non vi è dubbio che le copie delle fatture emesse sono "documenti contabili di cui è obbligatoria la conservazione" ex art. 10, d.lgs. 74/2000. Infatti, l'art. 2214, co. 2 c.c. prevede, ai fini civilistici, l'obbligo per l'imprenditore di conservare, tra le altre cose, copia delle fatture spedite. La durata dell'obbligo di conservazione è di 10 anni (art. 2220, co. 2 c.c.). Ugualmente prevedono, ai fini fiscali, l'art. 39, co. 3, d.P.R. 633/1972 e l'art. 22, co. 3, d.P.R. 600/1973.
Sussiste nel caso di specie l'evento del reato di distruzione o occultamento di documenti contabili, consistente nella circostanza che l'occultamento sia tale "da non consentire la ricostruzione dei redditi o del volume d'affari". Infatti, secondo l'orientamento più consolidato della giurisprudenza di legittimità (ex multis Cass., Sez. III, 50350/2019, Cass., Sez. III, 11267/2015, Cass., Sez. III, 36624/2012), è sufficiente un'impossibilità relativa ovvero una semplice difficoltà di ricostruzione del volume d'affari o dei redditi. È stato anche chiarito che il delitto di occultamento o distruzione di documenti contabili sussiste anche quando per la ricostruzione del reddito o del volume d'affari "è necessario procedere all'acquisizione presso terzi della documentazione mancante" (Cass., Sez. III, 7051/2019, Cass., Sez. III, 41683/2018, Cass., Sez. III, 36624/2012), che è ciò che è avvenuto nel caso di specie.
Quanto al requisito del dolo specifico, consistente nel "fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, ovvero di consentirlo a terzi", il fatto che l'occultamento delle copie di tali fatture emesse sia stato volontario e che si inserisca in una più ampia condotta finalizzata all'evasione delle imposte summenzionate (quantomeno da parte dei terzi) è confermato dal fatto che tali fatture non risultano essere state annotate da Lo. nei registri I.V.A., che invero non ha mai nemmeno istituito.
La disposizione dell'art. 10, d.lgs. 74/2000 non prevede alcuna soglia di punibilità, pertanto è irrilevante l'ammontare dell'imposta evasa ai fini dell'integrazione della fattispecie.
3. Trattamento sanzionatorio
Per tutti i reati per cui deve essere affermata la responsabilità penale dell'imputato (capi 1, 2, 3, 5 e 11) è prevista la stessa cornice edittale: quella della reclusione da un anno e sei mesi a sei anni.
Deve essere ritenuto sussistente il vincolo della continuazione tra i reati, contestati, in quanto commessi avvalendosi della medesima impresa individuale, con continuità temporale e al medesimo scopo di consentire a terzi l'evasione delle imposte.
Si stima equo determinare la pena base per il reato di cui al capo 10 - ritenuto in concreto più grave avendo ad oggetto le fatture per operazioni inesistenti di maggiore importo e in quanto la condotta di occultamento o distruzione si pone come successiva e strumentale rispetto a quella di emissione - nella misura di 1 anno e 9 mesi di reclusione, quindi discostandosi lievemente ma significativamente dal minimo edittale, tenuto conto, da un lato, dell'importo comunque ridotto delle fatture di cui è stata provata l'emissione e, dall'altro lato, della condotta del reo antecedente al reato (si veda il casellario giudiziale agli atti, da cui emergono due precedenti specifici) e della condotta successiva non collaborativa dell'imputato con gli accertatori.
Devono essere applicate nella loro massima estensione le circostanze attenuanti generiche per il consenso espresso dall'imputato, seppure per il tramite del suo difensore, all'acquisizione al fascicolo del dibattimento degli atti del fascicolo del Pubblico Ministero, che ha determinato una significativa accelerazione dell'accertamento processuale dei fatti addebitatigli. Si giunge così alla pena di 1 anno e 2 mesi di reclusione.
Sulla pena per il reato più grave così determinata si applica un aumento di 1 mese di reclusione per ciascuno dei quattro reati concorrenti. Si tratta di un aumento non insignificante ma che rende l'applicazione del criterio del c.d. "cumulo giuridico" comunque estremamente favorevole per l'imputato. In mancanza, sarebbe stata comminata per ciascun reato la pena minima edittale di 1 anno e 6 mesi di reclusione.
Si giunge così alla pena finale di 1 anno e 6 mesi di reclusione.
Non può essere concesso il beneficio della sospensione condizionale, di cui l'imputato ha già beneficiato in passato, in quanto è già stato condannato a pena detentiva per delitto non sospesa.
Devono essere applicate le pene accessorie previste dall'art. 12, co. 1 e 2, d.lgs. 74/2000. Si stima coerente determinare la durata di tali pene accessorie nella medesima durata della pena detentiva principale.
Per i reati di emissione di fatture per operazioni inesistenti di cui ai capi 1, 2, 3, e 5 non deve essere applicatala confisca ex art. 12-bis, d.lgs. 74/2000, in quanto non è stato provato il pagamento di alcun prezzo da parte di Pe. per l'emissione delle fatture, né l'emissione in sé realizza alcun profitto per l'emittente.
Invece, per il reato di cui al capo 11 deve essere disposta la confisca, anche per equivalente ex art. 12-bzs, d.lgs. 74/2000 del profitto del reato, che coincide con l'imposta evasa. Le risultanze degli atti consentono di quantificare solo l'IVA, non invece l'imposta sul reddito, evasa da Pe.. L'I.V.A. evasa da Pe. coincide con la somma dell'I.V.A. esposta nelle fatture emesse da Lo. nei suoi confronti negli anni 2012 (3.912,00 Euro), 2013 (4.742,00 Euro) e 2014 (4.803,00 Euro), per un totale di 13.457,00 Euro. Non va tenuto conto a questo fine delle fatture emesse nell'anno 2016 in quanto, come si è detto, almeno formalmente soggette al regime del reverse charge.
P.Q.M.
visti gli artt. 533 e 535 c.p.p.,
dichiara Lo. Gi. colpevole dei reati ascrittigli ai capi 1, 2, 3, 5 e 11 e, riconosciuta la continuazione tra gli stessi, riconosciutele circostanze attenuanti di cui all'art. 62-bis c.p. lo condanna alla pena di 1 anno e 6 mesi di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali;
visto l'art. 530, co. 2 c.p.p.,
assolve l'imputato dai reati ascrittigli ai capi 4 e 6 per non avere commesso il fatto;
visto l'art. 530, co. 2 c.p.p.,
assolve l'imputato dai reati ascrittigli ai capi 7, 8, 9 e 10 perché il fatto non è previsto dalla legge come reato;
visto l'art. 12 d.lgs. 74/2000,
dichiara l'imputato interdetto dagli uffici direttivi delle persone giuridiche e delle imprese per la durata di 1 anno e 6 mesi;
dichiara l'imputato incapace di contrattare con la pubblica amministrazione per la durata di 1 anno e 6 mesi;
dichiara l'imputato interdetto dalle funzioni di rappresentanza e assistenza in materia tributaria per la durata di 1 anno e 6 mesi;
dichiara l'imputato interdetto in perpetuo dall'ufficio di componente di commissione tributaria;
dichiara l'imputato interdetto dai pubblici uffici per la durata di anni 1 anno e 6 mesi;
ordina la pubblicazione per estratto della sentenza di condanna nel sito internet del Ministero della giustizia, ai sensi dell'art. 36 c.p., per la durata di giorni quindici;
visto l'art. 12-bis d.lgs. 74/2000,
ordina la confisca della somma di Euro 13.457,00, ovunque rinvenuta nella disponibilità dell'imputato, ovvero, qualora tale somma non sia rinvenuta in tutto o in parte, la confisca di beni diversi dal denaro di cui l'imputato ha la disponibilità, fino a concorrenza del valore di Euro 13.457,00;
visto l'art. 544, comma 3, c.p.p.,
fissa in giorni 30 il termine per il deposito della motivazione;
Così deciso in Vicenza, il 7 gennaio 2022
Depositata in Cancelleria il 24 gennaio 2022