Corte appello , Genova , 27/07/2023 , n. 1767
La condotta di indebito utilizzo di una carta di credito o di altro strumento di pagamento altrui integra il reato di cui all’art. 493-ter c.p., caratterizzato dall’uso arbitrario di strumenti di pagamento elettronici per finalità di profitto ingiusto. Inoltre, la trattenzione indebita di una carta e l’appropriazione del denaro su di essa accreditato, con sviamento rispetto alla destinazione concordata, può integrare anche il reato di appropriazione indebita (art. 646 c.p.), sussistendo una diversa condotta offensiva.
RAGIONI IN FATTO E IN DIRITTO DELLA DECISIONE
All'udienza fissata, all'esito della discussione, il Giudice decideva come da dispositivo di cui dava immediata lettura.
In sede di incidente probatorio, nel corso delle indagini, si procedeva all'escussione della persona offesa; nel corso del giudizio, all'escussione dei testi ammessi, nonché a produzioni documentali.
La persona offesa Si. ha riferito che, a partire dal mese di marzo 2020, a causa del lockdown, aveva incaricato sua nuora, Ne., di prelevare, dalla sua carta (…), il denaro necessario per pagare il canone di locazione (euro 950,00 al mese) della casa in cui viveva con la figlia disabile e le relative bollette; su detta carta era caricata mensilmente la pensione, che ammontava ad euro 1.300,00; in un primo momento, la nuora le riportava il bancomat dopo ogni prelievo ma, a partire da agosto 2020, ometteva di restituirglielo. Riferiva, altresì, che l'imputata aveva utilizzato il denaro contenuto nel (…), per un totale di euro 10.000,00 circa, senza pagare l'affitto né le utenze per almeno sette mesi (da marzo ad ottobre); la persona offesa si accorgeva della situazione in quanto aveva ricevuto una telefonata dal padrone di casa, il quale le rappresentava l'inadempimento contrattuale; nonostante molteplici richieste, la nuora non le consegnava le ricevute dei pagamenti; a seguito di una telefonata intercorsa con il Caf e con l'ufficio Tari, apprendeva con certezza che non erano stati versati, rispettivamente, i canoni di locazione e l'imposta comunale sui rifiuti; a causa del mancato pagamento delle utenze, inoltre, la società di energia elettrica aveva staccato la corrente e la compagnia telefonica aveva interrotto il servizio di telefonia fissa; dopo alcuni mesi, il proprietario di casa le intimava lo sfratto. Dichiarava che, avendo chiesto spiegazioni all'imputata per telefono, questa le imponeva di seguire le indicazioni sue e del figlio, altrimenti le avrebbero fatto firmare una procura ed avrebbero incaricato un assistente sociale di portare lei in un ospizio e la figlia malata in un manicomio; che già l'imputata le aveva cambiato arbitrariamente la dottoressa di famiglia; che, in data 29 settembre 2020, faceva bloccare la propria carta postale, ma la nuora aveva già prelevato anche l'importo corrispondente alla pensione del mese di ottobre.
Il teste Ga.St. ha riferito di conoscere la persona offesa da circa quindici anni; che, nel 2020, la Si. gli aveva chiesto di aiutarla nella gestione dei propri affari, in quanto impossibilitata a causa di difficoltà a deambulare e della pandemia; che, il 21 agosto 2021, era stato nominato amministratore di sostegno della stessa da parte del Tribunale. Confermava che la persona offesa aveva incaricato sua nuora di pagare l'affitto e le bollette per conto suo, affidandole la propria Postepay di cui perdeva, così, la disponibilità; che il signor Sc., proprietario della casa in cui risiedeva la sua amministrata, aveva contattato quest'ultima per lamentare il mancato pagamento dei canoni di locazione e che, dopo molti mesi, costui le aveva intimato lo sfratto di cui è attualmente in corso il relativo procedimento civile; che la persona offesa risultava morosa solo limitatamente alle mensilità non pagate dall'imputata, atteso che, dopo aver preso contezza dei fatti di cui all'imputazione, aveva provveduto a pagare personalmente i canoni successivi. Dichiarava di aver riscontrato insieme alla sua amministrata che il medico di base della stessa era stato arbitrariamente sostituito dall'imputata; che, a fine settembre del 2020, recatisi alle Poste, il conto corrente della Si. risultava pressoché azzerato, atteso che la Ne. aveva prelevato anche la somma accreditata a titolo di pensione relativa al mese di ottobre.
Il teste Sc., proprietario dell'appartamento locato alla persona offesa, ha riferito che la conduttrice era sempre stata regolare nella corresponsione del canone; che, a partire da marzo del 2020, riscontrava il mancato pagamento dell'affitto, di talché si era rivolto alla conduttrice per chiederle spiegazioni; quest'ultima gli riferiva di aver incaricato l'imputata del pagamento dei canoni, quindi di rivolgersi direttamente alla stessa; il teste contattava la Ne., la quale giustificava l'inadempimento nel senso che la suocera disponeva di scarsa liquidità, dopodiché corrispondeva la mensilità di giugno 2020 e, poi, reiterava negli inadempimenti.
Dall'istruttoria dibattimentale sopra riassunta può dirsi provato che l'imputata abbia posto in essere i fatti contestati, con le seguenti precisazioni.
In relazione al capo 1) lett. b), l'art. 646 c.p. punisce, ai fini che rilevano in questa sede, chiunque, per procurare a sé un ingiusto profitto, si appropri della cosa mobile altrui di cui sia possessore a qualsiasi titolo.
Gli elementi costitutivi del fatto tipico sono rappresentati da: qualifica soggettiva di possessore del soggetto attivo, trattandosi di un reato a soggettività ristretta; condotta di appropriazione di un bene altrui; dolo specifico integrato dalla finalità di ingiusto profitto. Nel caso di specie, il primo elemento costitutivo risulta integrato in quanto la Ne. È depositaria della qualifica di possessore, intesa nell'accezione, più lata di quella civilistica, di titolare di un potere autonomo sulla res: come si evince dalle dichiarazioni rese dalla Si., confermate dai testi (…) e (…), la persona offesa ha consegnato la propria carta bancomat alla nuora, perché provvedesse al suo posto al pagamento di affitto e bollette durante il periodo della pandemia. Risulta, altresì, che l'imputata abbia realizzato una condotta appropriativa, avendo utilizzato uti domina la predetta carta; la ritenzione della stessa, nonostante la richiesta di restituzione da parte dell'effettiva titolare, integra il requisito dell'interversione del possesso, richiesto dalla giurisprudenza al fine di ritenere sussistente la condotta in esame. E', infatti, provato che la Si., impossibilitata ad adempiere alle ordinarie occupazioni a causa di difficoltà nella deambulazione e del lockdown, avesse affidato all'imputata la propria carta postale, affinché quest'ultima provvedesse, per suo conto, al pagamento dei canoni di locazione e delle bollette; che l'imputata, nonostante numerosi solleciti, non abbia restituito il bancomat alla suocera, né esibito le ricevute dei pagamenti, i quali non sono mai avvenuti; che la Ne. disponesse della carta come se ne fosse l'effettiva titolare, tanto che ha effettuato arbitrariamente numerosi prelievi di somme di denaro. Tali circostanze appaiono dimostrate alla luce delle testimonianze rese, oltre che dalla persona offesa, dal proprietario di casa locatore, nonché dalla lista dei movimenti del conto corrente. Con riferimento all'elemento soggettivo, la consapevolezza della Ne. circa l'appropriazione indebita del bene altrui è insita nelle stesse modalità di realizzazione del fatto, quali la protrazione del possesso della carta e la ritenzione della stessa nonostante l'invito alla restituzione. Quanto al dolo specifico, la finalità di trarre un ingiusto profitto per sé informa l'intera condotta sopra descritta e si apprezza, in particolare, dalla fruizione del denaro prelevato per soddisfare il proprio interesse egoistico, con conseguente sviamento dello stesso dalla destinazione impartita dalla titolare, ossia di pagamento di affitto ed utenze. Ai fini della procedibilità, la querela presentata dalla Si. in data 29 settembre 2020, poi integrata il 30 settembre ed il 28 ottobre 2020, si rivela tempestiva, in quanto avvenuta lo stesso giorno in cui la persona offesa, recatasi alle poste per effettuare un controllo dei movimenti sul conto corrente, si è accorta che questo fosse sostanzialmente azzerato e che le fosse stata prelevata anche l'ultima mensilità accreditata a titolo di pensione, in relazione al capo 1) lett. a), il fatto di appropriazione delle somme di denaro contenuto nella carta necessita di diversa qualificazione, quale fattispecie di cui all'art. 493 ter c.p. ed in esso può ritenersi assorbito il reato di cui al capo 2).
La norma incriminatrice in parola punisce chiunque indebitamente utilizzi una carta di credito altrui, ovvero altro strumento di pagamento diverso dai contanti, al fine di trarre profitto. A differenza della fattispecie di cui all'art. 646 c.p., imperniata sull'indebita appropriazione, l'art. 493 ter c.p. contempla la condotta di indebito utilizzo di strumenti di pagamento altrui, con la conseguenza che tra dette ipotesi di reato non è ravvisabile un rapporto da genere a specie, ben potendo sussistere un concorso tra queste.
Nel caso concreto, risulta provato che l'imputata abbia utilizzato indebitamente la carta bancomat appoggiata al conto corrente postale della Si., prelevando somme di denaro per l'importo complessivo di euro 10.000,00 circa.
Anche in questo caso, la consapevolezza della Ne. circa l'utilizzo arbitrario del bene altrui è insito nelle stesse modalità di realizzazione del fatto, tra cui, in particolare, il prelievo sistematico e smodato, con cadenza periodica mensile, di ingenti somme di denaro corrispondenti alla pensione accreditata mensilmente sul conto della suocera. Quanto al dolo specifico, la finalità di trarre un ingiusto profitto per sé si apprezza dalla fruizione del denaro prelevato per soddisfare il proprio interesse egoistico, con conseguente sviamento dello stesso dalla destinazione impartita dalla titolare.
In relazione al capo 3), risulta provata l'integrazione del reato di cui all'art. 612, comma 2, c.p., da parte dell'imputata. La condotta realizzata dalla Ne. consiste, infatti, nell'aver minacciato la suocera di gravi ed ingiusti danni, dicendole per telefono: "Dovrai fare tutto ciò che ti diciamo, altrimenti prenderemo un appuntamento con gli assistenti sociali e faremo portare te in un ospizio e tua figlia in un manicomio"; tale circostanza risulta dimostrata alla luce delle dichiarazioni della Si. e del suo amministratore di sostegno (…). Ai fini della quantificazione della pena, non è emerso alcun elemento che motivatamente consenta la concessione delle attenuanti generiche. In presenza del medesimo disegno criminoso tra le ipotesi di reato integrate, è applicabile la disciplina della continuazione. Considerata l'entità dei fatti e la personalità dell'imputato, stimasi pena equa quella anni tre di reclusione ed euro 2.000,00 di multa così determinata: pena base per il più grave reato di cui al capo 1 lettera b) anni 2 di reclusione ed euro 1.800,00 di multa, aumentata per la continuazione con il reato di cui al capo 1 lettera a), come diversamente qualificato, ad anni due e mesi otto di reclusione ed euro 2.000,00 di multa, aumentata per la continuazione con il reato di cui al capo 3 alla pena finale di anni tre di reclusione.
La personalità dell'imputata e l'assenza di alcuna indicazione che permetta di formulare una prognosi favorevole non consentono la concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena. Del pari, non sussistono i presupposti per l'applicazione di una pena sostitutiva, peraltro neppure richiesta dall'imputata non presente.
Al riconoscimento della penale responsabilità dell'imputata consegue la condanna della stessa al risarcimento del danno in favore della parte civile costituita. Il danno può essere liquidato in questa sede, sussistendo in atti gli elementi per la sua quantificazione. Quanto al danno patrimoniale, consistito negli illeciti prelievi, viene in considerazione la circostanza che non è stato versato il canone di locazione per un importo pari a 6.650,00 euro (il canone risulta pari ad euro 950,00 mensili ed i mancati versamenti si sono verificati, quantomeno per sette mesi); inoltre, non sono state versate le somme relative alle spese condominiali. Sono documentati in atti numerosi prelievi non giustificati e, alla data del 29 settembre 2020, quando il bancomat è stato bloccato, il conto corrente era praticamente azzerato. La persona offesa riceveva una pensione mensile pari ad euro 1.394,00 somma che, per il periodo da marzo a settembre corrisponde ad euro 9.758,00 confluiti sul conto corrente. Ciò premesso, dovendosi escludere che siano stati effettuati prelievi per eseguire i pagamenti del canone di locazione e delle spese condominiale e considerato quando confluito sul conto a titolo di pensione, il danno patrimoniale e, cioè, gli illeciti prelievi, ben possono essere quantificati nell'importo di euro 9.640,00, come indicato nelle richieste della parte civile. A detta somma, va aggiunto un importo a titolo di risarcimento del danno morale, che si quantifica nella somma di euro 500,00.
L'imputata deve, dunque, essere condannata al pagamento a favore della parte civile costituita, a titolo di risarcimento del danno, della somma di euro 10.14,00 oltre accessori. L'imputata, inoltre, è condannata alla rifusione delle spese di costituzione e rappresentanza della parte civile che si liquidano come in dispositivo. Alla condanna segue il pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Visto l'art. 533 c.p.p.,
Dichiara l'imputata colpevole dei reati a lei ascritti e così specificati:
reato di cui al capo 1 lett. b); reato di cui al capo 1 lett. a), diversamente qualificato quale fattispecie di cui all'art. 493 ter c.p. ed in esso assorbito il reato di cui al capo 2; reato di cui al capo 3; reati unificati tutti sotto il vincolo della continuazione.
Condanna l'imputata alla pena di anni 3 di reclusione e di euro 2.000,00 di multa, oltre al pagamento delle spese processuali.
Dichiara l'imputata tenuta al risarcimento del danno a favore della parte civile costituita che si liquida in euro 10.140,00, oltre accessori.
Condanna l'imputata alla rifusione delle spese di costituzione e rappresentanza a favore della parte civile, che si liquidano in euro 1.800,00.
Termine di giorni 90 per il deposito della motivazione.
Così deciso in Genova il 22 giugno 2023.
Depositata in Cancelleria l'11 settembre 2023.