Tribunale Nola, 27/01/2022, n.178
In tema di reati edilizi, il dolo è integrato dalla volontarietà e consapevolezza di realizzare opere abusive in assenza o difformità di titoli abilitativi, aggravata dalla finalità di aumentare volumetrie o superfici utili. La concessione della sospensione condizionale della pena può essere subordinata alla demolizione delle opere abusive e alla rimessione in pristino dello stato dei luoghi.
Riferimenti giurisprudenziali:
Cass. Sez. 3, Sentenza n. 16802 del 2015: "L'esecutore di lavori edilizi ha il dovere di verificare la regolarità dei titoli autorizzativi."
Cass. Sez. 3, Sentenza n. 7283 del 2018: "Legittimità della sospensione condizionale subordinata alla demolizione delle opere abusive."
Cass. Sez. 3, Sentenza n. 1810 del 2008: "I lavori su manufatti abusivi ripetono le caratteristiche di illegittimità dell'opera principale."
RAGIONI IN FATTO E IN DIRITTO DELLA DECISIONE
Con decreto del 13/7/2017 il Pubblico Ministero del Tribunale di Nola citava a giudizio per l'udienza del 25/1/2018, da celebrarsi dinanzi a questo Tribunale, l'imputato Si.Gi., chiamato a rispondere dei reati in rubrica contestati. In quell'udienza il GM, ricorrendone i presupposti di legge, dichiarava procedersi in assenza dell'imputato. In assenza di questioni o eccezioni preliminari, il Giudice dichiarava aperto il dibattimento, ammettendo i mezzi di prova richiesti dalle parti, in quanto legittimi, non manifestamente superflui o irrilevanti. Il processo veniva rinviato all'udienza del 12/7/2018 per l'escussione dei testi. In quella sede, stante l'assenza dei testi, il Giudice rinviava il procedimento al 4/4/2019 e in quell'udienza, in accoglimento della richiesta di rinvio proveniente dal difensore dell'imputato, rinviava al 19/9/2019, previa sospensione dei termini di prescrizione (centosessantacinque giorni di sospensione del termine di prescrizione).
In quella data il Giudice, in adesione all'istanza avanzata dal difensore, disponeva la riunione del presente procedimento avente R.G. DIB. 2093/2017 con i procedimenti R.G. DIB. 133/2018 e 1869/2018 e, per l'effetto, rinnovava la dichiarazione di apertura del dibattimento, ammettendo le prove richieste dalle parti in quanto legittime, non manifestamente superflue o irrilevanti. Il GM disponeva con il consenso delle parti l'acquisizione delle relazioni tecniche redatte dal Geometra Ca. e, nulla opponendo le parti, revocava l'ordinanza ammissiva della prova sul punto. Il Giudice, in accoglimento della richiesta avanzata dal difensore di Si.Gi., nulla opponendo le altre parti, rinviava all'udienza del 19/3/2020, previa sospensione del termine di prescrizione (centottanta giorni di sospensione del termine di prescrizione). Con decreto emesso d'ufficio in data 13/3/2020, in attuazione della normativa di contrasto all'emergenza epidemiologica da COVID-19 e dei conseguenti decreti attuativi, questo Giudice differiva il procedimento all'udienza del 30/4/2020 con sospensione dei termini di prescrizione non oltre il 31 maggio 2020 (settantadue giorni di sospensione del termine di prescrizione) e, per gli stessi motivi, all'udienza del 18/6/2020, con sospensione dei termini di prescrizione non oltre il 30 giugno 2020 (quarantotto giorni di sospensione del termine di prescrizione).
In quella sede, si procedeva all'escussione del teste Ol.Da. e il GM acquisiva materiale fotografico sottoposto in visione al teste. Il processo veniva rinviato al 24/9/2020.
In quell'udienza il Giudice dava atto dell'intervenuta revoca del mandato difensivo da parte di Si.Gi. nei confronti dell'avv. An.Gi. e, stante l'istanza di rinvio per legittimo impedimento dell'altro difensore, rinviava all'udienza dei 18/11/2020 con sospensione dei termini di prescrizione (quarantotto giorni di sospensione del termine di prescrizione). In quella sede il GM, in accoglimento dell'istanza di legittimo impedimento presentate dall'imputata Si.An. nonché dal difensore Fe.Ca., rinviava al 17/12/2020 con sospensione dei termini di prescrizione (trentuno giorni di sospensione del termine di prescrizione).
In quella udienza il difensore di Si.Gi. eccepiva la nullità dell'avviso di conclusione delle indagini ex art. 415 bis c.p.p. nei confronti delle imputate Si.Ro., Si.Gi. e Si.An. per omessa notifica nei confronti del loro difensore, con la conseguente nullità del decreto di citazione a giudizio nei confronti delle medesime. II GM, ritenuta infondata o comunque preclusa l'eccezione, la rigettava disponendo procedersi oltre.
Si escuteva il teste PM Ad.An. ed il PM procedeva alla correzione dell'errore materiale del capo di imputazione relativo alla procedura con R.G.N.R. 523/2017 nella misura in cui laddove era indicato il numero civico "335" deve intendersi "380" ed il Giudice, sentite le altre parti che nulla opponevano, provvedeva in conformità, il PM rinunciava al teste Napolitano Giuseppe e, con il consenso delle parti, si acquisiva il verbale di sommarie informazioni rese dal teste Pr.Ma.; il Giudice, sentite le parti che nulla opponevano, revocava le rispettive ordinanze ammissive della prova. Si disponeva altresì la revoca dell'ordinanza ammissiva della prova relativamente all'escussione dei testi Sa.Es., Fr.Ma. e Fr.La.. Il GM rinviava il procedimento all'11/2/2021 e, stante l'assenza giustificata del teste Pa.Si., al 8/4/2021.
Il Giudice, in accoglimento dell'istanza di rinvio per legittimo impedimento presentata dalla difesa di Si.Gi., stante altresì l'assenza giustificata del teste, rinviava il procedimento al 24/6/2021 e, per le medesime ragioni, al 8/7/2021, previa sospensione dei termini di prescrizione (quattordici giorni di sospensione del termine di prescrizione).
In quella udienza il Tribunale acquisiva il verbale di sopralluogo a firma di Pa.Si. con il consenso delle parti e disponeva il rinvio del processo alla data del 20/10/2021.
In quella data il Giudice, nulla opponendo le parti, revocava l'ordinanza ammissiva della prova relativa all'escussione del teste Pa.Si.. Con il consenso delle parti veniva acquisita la relazione tecnica redatta dal consulente Ed.Gi. e si procedeva all'escussione dei testi D'A.An. ed Es.Sa.. Il GM rinviava al 2/12/2021 ed in quella sede si procedeva all'escussione del teste Pa.Si.. Ai sensi dell'art. 513 c.p.p. si acquisiva il verbale di interrogatorio reso da Si.Gi. e l'imputato Pa.Sa., debitamente avvisato delle sue facoltà di legge, dichiarava di volersi sottoporre all'esame dibattimentale. Il processo veniva rinviato all'udienza del 20/1/2022 per l'escussione dell'ultimo teste della difesa, da citare a pena di decadenza, e per la discussione.
In questa sede perveniva all'attenzione del Giudice istanza di rinvio per legittimo impedimento da parte del difensore delle Si.. Il Giudice, sentite le parti, ritenuto legittimo l'impedimento, rinviava il processo, previa sospensione dei termini di prescrizione ed avviso al difensore impedito, all'udienza odierna (sette giorni di sospensione della prescrizione).
In questa sede le parti rinunciavano all'escussione del teste Mascia ed il Giudice revocava l'ordinanza ammissiva sul punto; al termine, non residuando ulteriori adempimenti istruttori, questo Giudice dichiarava chiusa l'istruttoria dibattimentale, utilizzabili gli atti acquisiti al fascicolo del dibattimento ed invitava le parti a concludere.
Le parti rassegnavano quindi le conclusioni di cui in epigrafe e questo Giudice, dopo essersi ritirato in camera di consiglio, decideva come da dispositivo letto in udienza ed allegato al verbale, con contestuale redazione dei motivi.
MOTIVI IN FATTO DELLA DECISIONE
Ritiene questo Giudice che l'istruttoria dibattimentale ha pienamente confermato l'ipotesi accusatoria nei confronti di Si.Ro., Si.Gi. e Si.An. con la conseguenza che queste vanno dichiarate colpevoli del reato in rubrica loro contestato; per converso, l'istruttoria dibattimentale non ha dimostrato, oltre ogni ragionevole dubbio, la responsabilità penale di Si.Gi. e Pa.Sa., che devono pertanto essere assolti dai reati loro ascritti per non aver commesso il fatto.
Giova sul punto evidenziare che gli elementi di prova portati al vaglio di questo Giudice sono costituiti dalle dichiarazioni rese dai testi escussi, nonché dagli atti irripetibili versati nel fascicolo del dibattimento, ovvero il verbale di sequestro redatto dalla Polizia Municipale - Comando di Nola del 10/1/2017 e del 11/1/2017; verbale di perquisizione locale e sequestro redatto dalla Guardia di Finanza di Nola del 10/1/2017; verbale di sopralluogo e sequestro redatto dalla Legione Carabinieri Campania - Stazione di Piazzolla di Nola il 9/10/2017 (acquisito peraltro nel contenuto dichiarativo con il consenso delle parti), con i rispettivi atti di convalida, le prove documentali rappresentate dal materiale fotografico allegato agli atti di sopralluogo, dalle visure catastali relative alle particelle oggetto di causa e dai titoli edilizi acquisiti, nonché gli atti utilizzabili con il consenso delle parti, ovvero la relazione tecnica redatta dall'ingegnere Gi.Ed. il 24/4/2017, le relazioni tecniche redatte dal geometra Ca.Ra. il 10/1/2017, il 18/1/2017, il 9/10/2017 ed il verbale di sommarie informazioni rese da Pr.Ma. alla Polizia Municipale - Comando di Nola in data 11/1/2017.
Completano il quadro probatorio le dichiarazioni rese in sede di interrogatorio da Si.Gi. acquisite ex art. 513 c.p.p. e quelle rese in sede di esame dibattimentale dal Pa..
Con riferimento a ciascuna prova dichiarativa assunta in questo processo devono essere quindi seguiti i canoni di valutazione che la giurisprudenza della Suprema Corte indica quando la piattaforma probatoria sia costituita da fonti dichiarative rese da persone estranee rispetto alla vicenda processuale.
Ebbene, costituisce principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità l'affermazione secondo cui se deve ritenersi esclusa la possibilità di recepire acriticamente una testimonianza senza un vaglio critico dell'attendibilità della stessa, svolto assumendo a riscontro tutti gli elementi della vicenda, la prova deve ritenersi sussistente e raggiunta quando la testimonianza risulti logicamente e armonicamente inserita nel contesto dell'intera vicenda. Applicando al caso di specie la esposta regola di giudizio, ritiene questo giudice che non vi sia motivo di dubitare dell'attendibilità delle testimonianze rese di ciascun teste del PM escusso, attesa l'assenza di incongruenze o di altri vizi logici che hanno caratterizzato le dichiarazioni rese e la provenienza da parte di soggetti estranei alla vicenda, peraltro rivestiti di pubbliche funzioni nel cui esercizio hanno appreso ciò che hanno riferito.
Preliminarmente, deve precisarsi che i presenti procedimenti rappresentano il frutto di diversi e stratificati accertamenti, svolti in diverse occasioni temporali nel medesimo comprensorio in parte di proprietà della famiglia Si., a sua volta occupante diverse particelle catastali ed includente diversi manufatti. Il teste Ad.An., maresciallo in servizio presso la Polizia Municipale di Nola riferiva che in data 10/1/2017 alle ore 12:00 circa personale operante si recava in Nola alla via (…) presso la proprietà della famiglia Si. sita al n. (…). Ivi, all'interno di un'area agricola composta da più particelle catastali insisteva un complesso edilizio composto da capannoni industriali attigui fra loro, alcuni dei quali adibiti ad opificio e deposito di confezioni tessili, ove erano in corso delle opere edili di ampliamento. Il teste riferiva che sul posto era presente un operaio, generalizzato come Es.Sa., escusso a sommarie informazioni mentre era intento ad eseguire lavorazioni edili. Il complesso di capannoni asseritamente abusivi occupava una superficie totale di metri quadri 2300 per un'altezza media di 4.30 metri ed un volume di metri cubi 9890. Le particelle (…), riportate al foglio (…) del Catasto Terreni del Comune di Nola, risultavano di proprietà di tale Pr.Bi., mentre quella (…) era di proprietà delle sorelle Si., odierne imputate.
La polizia municipale provvedeva a porre sotto sequestro l'intera area, come da verbale versato in atti.
Quanto ai capannoni, il teste riferiva che - oltre a quelli oggetto di ampliamento - alcuni si presentavano colmi di biancheria per la casa e per la persona, altri erano allestiti con macchinari per la produzione di confezioni tessili. Secondo la ricostruzione accusatoria, il complesso di capannoni oggetto dell'accertamento era nella disponibilità di Si.Gi., individuato quale proprietario di fatto e committente dei lavori.
Il teste Ad., a domanda del Giudice, riferiva che gli unici elementi dai quali gli operanti avevano dedotto la gestione di fatto del Si.Gi. erano dati dalla sua presenza in loco - sebbene il teste, a domanda della difesa, avesse precisato di non poter escludere che il Si. fosse stato chiamato da qualcuno e non spontaneamente presente sul posto - e dalle sommarie informazioni rese dal teste Es.Sa..
Inoltre, nella limitrofa particella (…), di proprietà delle sorelle Si., insisteva un ulteriore fabbricato composto da tre piani, di cui uno seminterrato e due fuori terra, ove vi erano ulteriori lavori in corso di esecuzione e per il quale la p.g. si riservava di effettuare un separato accesso.
Ed infatti, in data 11/1/2017, ovvero il giorno immediatamente successivo, la polizia municipale effettuava un nuovo accesso presso la proprietà dei Si., concentrandosi stavolta sul fabbricato sito al foglio (…) p.lla (…), ove insisteva uno stabile di proprietà delle germane Si.An. e Si.Ro..
Con riferimento specifico a tale manufatto, costituito da un fabbricato a tre piani, il teste riferiva che il Comune di Nola aveva rilasciato permesso a costruire n. 28 del 2015 - come confermato dal documento in atti - in favore delle proprietarie Si.An. e Si.Ro., per la realizzazione di un fabbricato agricolo. Successivamente con permesso di costruire n. 85 del 2016 fu assentito il cambio di destinazione d'uso e con pratica SCIA n. 19901 del 2015 fu assentita la variazione di altezza del piano interrato. Il giorno 11/1/2017 la Polizia Municipale effettuava un sopralluogo, constatando la totale difformità dei lavori realizzati. Ed infatti il personale operante, congiuntamente ai tecnico comunale, riscontrava la presenza di un fabbricato in fase di realizzazione composto da un piano interrato e da due piani fuori terra.
Dalle misurazioni effettuate in loco emergeva che il manufatto era stato realizzato all'epoca dei controllo in totale difformità rispetto ai grafici assentiti dai permessi ottenuti, essendo stata realizzata abusivamente una cubatura pari a 2678,000 metri cubi a fronte dei 388,600 assentiti (senza tenere conto dei capannoni precedentemente sequestrati, insistenti sulla stessa particella catastale). La p.g., inoltre, accertava altresì che la restante area scoperta di suolo agricolo circostante il fabbricato era in realtà dotata di pavimentazione industriale e munita di sottoservizi, realizzando un cambio di uso del terreno "da agricolo ad industriale" in assenza di qualsiasi titolo concessorio. Il piano interrato del costruendo fabbricato, infine, risultava adibito già a deposito di confezioni tessili. Il teste riferiva che Si.Gi. era presente in loco al momento dell'accertamento, mentre dall'esame degli atti presso gli uffici comunali la p.g. rilevava gli estremi dell'impresa esecutrice dei lavori, tale "Costruzioni Pa. s.r.l." rappresentata legalmente da Pa.Sa..
Il direttore dei lavori, arch. Pa.Ca., aveva rassegnato le proprie dimissioni dall'incarico nel giugno 2016, descrivendo sommariamente l'opera realizzata fino a quel momento in termini assolutamente non coincidenti con quanto accertato al momento del controllo.
Da ciò la p.g. desumeva che i lavori di ampliamento del piano interrato e del piano terra, la realizzazione ex-novo del piano primo e del locale in corrispondenza della scala, dunque, erano stati effettuati in assenza di direzione tecnica. 11 corpo di fabbrica, peraltro realizzato in zona E - Agricola del P.R.G. in Comune e sottoposta a vincolo con grado di sismicità S=9, veniva sottoposto a sequestro penale.
Il Si.Gi. veniva convocato per la sottoscrizione della nomina di custode giudiziale ma non si presentava presso gli uffici, rendendosi irreperibile e rifiutando la nomina.
Le dichiarazioni del teste Ad., perfettamente attendibili dal punto di vista oggettivo e soggettivo stante l'assenza di contraddizioni e la provenienza del narrato da un pubblico ufficiale, risultano corroborate dalla restante istruttoria, ovvero dagli atti irripetibili e da quelli acquisiti con il consenso delle parti. Come confermato dal verbale di perquisizione redatto dai militari appartenenti alla Guardia di Finanza di Nola in data 10/1/2017, gli operanti ricevevano ordini di dare assistenza a personale della Polizia Municipale in Nola, località Piazzolla, alla via (…) n. 375. Alle ore 11.20 circa raggiungevano la località predetta ove procedevano a perquisizione dei locali della sede operativa della società "Tr. s.r.l." costituita da un'area coperta adibita a deposito e alla lavorazione per un totale di circa 3.500 mq nonché di un locale adibito ad ufficio. Come riferito dal teste Ad., nell'opificio si rinvenivano un gran numero di prodotti tessili confezionati e da confezionare di diverse marche "Fr.", "Vo.", "Bl.", Si.Gi., presente sul posto, veniva invitato a produrre documentazione giustificante la produzione, la detenzione e la commercializzazione dei medesimi ma, atteso che dalla documentazione versata dal Si. non emergevano contratti o autorizzazioni idonei a giustificare l'attività di commercializzazione e produzione degli articoli riproducenti i marchi in parola, si procedeva al sequestro della merce presumibilmente contraffatta esistente nel locale.
Quanto sequestrato era lasciato nelle aree coperte adibite ad opificio e deposito cautelate. D'A.An., legale rappresentante della Tr. s.r.l., società titolare dell'attività, delegava il nipote D'A.An. alla custodia di quanto in sequestro.
Dalle relazioni tecniche, redatte dal geometra Ca.Ra. ed acquisite con il consenso delle parti, della cui attendibilità non vi è motivo di dubitare stante il contenuto eminentemente tecnico degli atti, confortati dalla restante istruttoria, è emerso che al civico n. 372 della Via Castellammare in Nola-Piazzolla, sui suoli attigui di proprietà di Pr.Bi. e delle sorelle Si.An. e Ro., riportati nel Catasto Terreni del Comune di Nola al foglio (…) e contraddistinti dalle particelle (…) (proprietà Pr.) e dalla particella (…) (proprietà Si.) insisteva un complesso di capannoni adibiti ad opificio e a deposito per la produzione di biancheria per la casa e per la persona. I capannoni, attigui e comunicanti fra loro, risultavano chiusi perimetralmente con blocchi di lapil-cemento e si presentavano dotati di intonaco bianco di sottofondo. Agli stessi si accedeva mediante porte in ferro scorrevoli e serrande metalliche. L'area di fondo su cui ricadeva il complesso edilizio aveva una superficie di circa 6341 metri quadri mentre le opere realizzate avevano una superficie totale di circa 2300 metri quadri, per un'altezza media di 4,30 metri ed un volume totale di circa 9890 metri cubi.
All'interno del capannone, posto in fondo al viale (…) accesso da via Castellammare, era in corso la realizzazione di un locale da adibire ad ufficio con annesso bagno, allo stato grezzo e dalla superficie di metri quadri 30, con predisposizioni per impianti tecnologici e serranda metallica avvolgibile. Il geometra Ca.Ra., nel corpo della relazione del 10/1/2017, confermava che sul suolo della particella 1423 era presente, oltre al capannone abusivo, un manufatto edilizio in costruzione, al quale riservava un separato sopralluogo, i cui esiti sono confluiti nella relazione tecnica dell'I 1/1/2017, parimenti acquisita con il consenso delle parti.
Tale manufatto consisteva in un fabbricato, costituito da un piano interrato e due piano fuori terra, oltre ad un locale realizzato in corrispondenza del vano scala sul solaio di copertura del primo piano.
Dalla relazione tecnica, conformemente a quanto riferito dal teste Ad., emerge che il Comune di Nola aveva rilasciato permesso a costruire n. 28 del 2015 - come confermato dal documento in atti - in favore delle proprietarie Si.An. e Si.Ro., per la realizzazione di un fabbricato agricolo. Successivamente con permesso di costruire n. 85 del 2016 fu assentito il cambio di destinazione d'uso e con pratica SCIA n. 19901 del 2015 fu assentita la variazione di altezza del piano interrato.
Al contrario, il tecnico comunale riscontrava che al piano interrato era stata realizzato un vero e proprio cambio di destinazione d'uso, da agricola a commerciale, con una superficie di 580 metri quadri per 3,90 metri a fronte della dimensione assentita di 311 metri quadri per 4,50 metri di altezza. Il piano terra era comprensivo di un vano scala interamente abusivo ed occupava una superficie di 510 metri quadri per un'altezza di 2,80 metri ed un volume di 1428 metri cubi, a fronte invece di una superficie assentita di 144 metri quadri, con altezza 2,70 metri e volumetria di 390 metri cubi. Il primo piano ed il locale in corrispondenza del vano scala sul solaio di copertura erano interamente abusivi, così come abusiva era la pavimentazione di tipo industriale con sottoservizi, apposta sull'area agricola scoperta.
In sintesi, il tecnico comunale riferiva nel corpo della relazione che sulla particella catastale in questione, al netto del capannone abusivo già sequestrato, insisteva una volumetria di 2840 metri cubi, a fronte di quella autorizzata di 388 metri cubi. Il narrato dei testi di p.g. risulta altresì confermato dalle sommarie informazioni rese da Pr.Ma., figlia di Pr.Bi., acquisite con il consenso delle parti e della cui attendibilità non vi è motivo di dubitare, stante il narrato conciso e proveniente da un soggetto tutto sommato estraneo alle vicende processuali all'attenzione di questo Giudice.
Pr.Ma. confermava, come da visura catastale in atti, che il fondo di Nola in via Castellammare era di esclusiva proprietà di suo padre Pr.Bi., in forza di un testamento redatto dalla nonna D'A.Ma.. Il fondo era, secondo la dichiarante, detenuto, all'epoca dei fatti, da Si.Gi., senza tuttavia addurre ulteriori specificazioni sul punto.
La Pr. riferiva altresì di essersi recata da un legale insieme ai padre prima delle feste natalizie del 2016 per diffidare Si.Gi., che a suo dire occupava il fondo senza titolo, ma nessuna ulteriore specificazione o corroborazione documentale è stata fornita a questo Giudice.
L'istruttoria dibattimentale ha chiarito che in data 18/1/2017 la polizia municipale effettuava un nuovo intervento nei luoghi già oggetto di intervento il 10 e l'11 gennaio 2017, questa volta presso una particella attigua, la n. 556, in comproprietà di Ro., Gi. e An.Si., come confermato dalla visura catastale in atti e posta di fronte al civico di residenza delle sorelle Si.. Il teste Ad. riferiva che, sebbene un permesso di costruire n. 40 del 2015 rilasciato in favore delle comproprietarie consentisse loro la costruzione di due unità abitative, la polizia municipale appurava l'esistenza di lavori in corso per la realizzazione di ulteriori due unità, per un totale di quattro abitazioni. Le unità abitative erano complete di infissi e intonacate ma prive di porte, munite di pavimenti ed ingressi con porte blindate ma sprovviste di serrature, mentre l'impiantistica si limitava alla sola messa in opera.
Rispetto ad una superficie assentita di 152 metri quadri, gli operanti riscontravano una superficie occupata quasi del triplo, pari a 426 metri quadri circa e 800 metri cubi di volumetria.
Il manufatto fu posto sotto sequestro e gli agenti nominarono Si.Ro., presente in quel momento all'atto del sopralluogo, custode giudiziario; a domanda della difesa, il teste non ricordava se fossero presenti anche le altre sorelle, mentre Si.Gi., pur presente, era stato sollecitato dagli agenti presso la sua limitrofa residenza e si era portato sul posto.
Il narrato del teste di p.g. ha trovato indubbia conferma - anche con riferimento all'accesso del 18/1/2017 - nel contenuto della relazione tecnica redatta dal geometra Ca., egualmente acquisita con il consenso delle parti. Dal contenuto della relazione è emerso che il tecnico si recava il 18/1/2017 in Piazzolla di Nola alla via (…) n. 380 presso un fabbricato destinato a civile abitazione insistente su un terreno riportato in Catasto Urbano al foglio (…) particella n. (…) di cui risultavano proprietarie le germane Si.Ro., Si.An. e Si.Gi., tutte residenti in Piazzolla di Nola alla via (…) n. 335.
Il fabbricato era composto da tre piani fuori terra, solaio di copertura a falda inclinata, ed era interessato da lavori edili eseguiti in forza del permesso di costruire n. 40 del 2015 che prevedeva la realizzazione di due unità abitative al piano secondo.
Tuttavia il geometra Ca. accertava sul posto che l'ampliamento era stato eseguito in totale difformità rispetto ai grafici di progetto assentiti, essendo state realizzate quattro unità abitative in luogo di due. L'aumento di superficie era di 273,40 metri quadri circa, l'aumento di volumetria di circa 780,788 metri cubi. Le quattro unità abitative si mostravano complete di infissi ed intonaco alle pareti, all'interno erano prive di porte ma munite di pavimenti. Gli ingressi insistevano in un locale comune ed erano muniti di porte blindate prive di serrature. L'impianto elettrico era limitato alla sola posa in opera di cavi conduttori in assenza di quadri di comando, prese, interruttori e luci. L'impianto idrico e di riscaldamento erano limitati ad una sola posa in opera delle tubazioni ed i locali WC mancavano dei pezzi igienici. Il fabbricato insisteva in una zona E-Agricola del vigente P.R.G. non soggetta a vincoli.
Infine, la polizia municipale ritornava ad effettuare un nuovo sopralluogo in data 9/10/2017.
Il maresciallo dei Carabinieri Ol.Da. - della cui attendibilità non vi è motivo di dubitare, in ragione del narrato chiaro e preciso, confortato dalla restante istruttoria, e della provenienza da un pubblico ufficiale nell'esercizio delle sue funzioni - riferiva che l'intervento del 9/10/2017 era occasionato da una denuncia querela sporta da tale Ma., proprietario limitrofo ai Si., che segnalava alla polizia giudiziaria dei presunti abusi edilizi.
Giunti sul posto gli operanti notavano che vi era stato un completamento dei lavori rispetto al sequestro dell'11 gennaio 2017, relativo al fabbricato a tre piani di proprietà di Si.Ro. e Si.An.. Il teste, a domanda del PM, riferiva che il cantiere sembrava tuttavia fermo, con dei piccoli attrezzi e alcuni materiali.
Il teste, a domanda del PM, riferiva che Si.Gi. era all'atto del controllo presente sul posto, ma perché residente nel civico antistante e titolare di un'azienda ivi situata, munita di un cancello per accedere alle abitazioni retrostanti. Ed infatti Si.Gi. provvedeva a far accedere gli operanti, come già accaduto in occasione dei precedenti sopralluoghi. Il teste specificava di non ricordare se il Si. fosse già presente o contattato dalla p.g. Il narrato del teste trova pedissequa conferma nel verbale di sopralluogo e ri-sottoposizione a sequestro per violazione di sigilli, redatto dalla Legione Carabinieri Campania - Stazione di Piazzolla di Nola il 9/10/2017, acquisito con il consenso delle parti e confermato dall'escussione a chiarimenti resa dal teste Pa.Si., nonché nella relazione tecnica redatta dal geometra Ca. e parimenti acquisita con il consenso delle parti.
Il 9/10/2017 personale operante della P.G. unitamente al geometra Ca.An. si recava in via Castellammare n. 335 presso la proprietà delle sorelle Si.Ro. e Si.An., ove constatava che sul manufatto sequestrato in data 11/1/2017 dalla Polizia Municipale, insistente nella particella catastale n. (…) pag. (…) del Catasto Terreni del Comune di Nola, erano proseguiti i lavori di rifacimento.
Il manufatto, infatti, presentava alcune variazioni edili e segnatamente al piano terra gli ambienti interni, alla data del sequestro limitati alla sola bozza, apparivano intonacati di colore bianco, ad eccezione delle pareti dei locali presumibilmente destinati a cucine e bagni. La parete destinata alla corte, anch'essa al momento del sequestro al grezzo, appariva intonacata di bianco. Si accertava altresì la posa in opera delle soglie di marmo ai vani di porte e finestre, mancanti all'atto del sequestro, con eccezione dei vani dell'ingresso principale. Al primo piano la parete esterna prospettante l'area cortiliva, all'atto del sequestro consistente in una sola bozza, appariva rivestita di intonaco bianco di sottofondo. Anche al primo piano risultavano applicate le soglie di marmo ai vani di porte e finestre, e i fili elettrici erano inseriti nei corrugati, già esistenti all'atto del sequestro del 11/1/2017.
Il vano scala ed il locale in corrispondenza del solaio di copertura apparivano internamente rifiniti con intonaco bianco di sottofondo, non esistente al momento del sequestro.
A fronte di tali elementi accusatori, la versione difensiva da un lato non è stata in grado di sconfessare l'assunto accusatorio nei confronti di Si.Ro., Si.An. e Si.Gi. Per converso, gli elementi assunti hanno permeato di ragionevole dubbio l'impianto accusatorio nei confronti di Si.Gi. e Pa.Sa..
Preliminarmente, le imputate Si.Ro., Si.An. e Si.Gi. non hanno reso dichiarazioni utilizzabili in questa sede. Per converso, Pa.Sa. si è sottoposto ad esame dibattimentale, riferendo di avere sempre avuto, in qualità di muratore, diverse ditte aventi ad oggetto lavorazioni edili. A fronte delle contestazioni mosse, il Pa. negava ogni addebito, riferendo di non aver mai svolto nel 2017 la realizzazione di intere unità abitative - essendo peraltro all'epoca dei fatti privo di dipendenti - e di aver effettuato per conto della famiglia Si., cui era legato da antichi rapporti di conoscenza, soltanto dei piccoli interventi di manutenzione, presso l'immobile di residenza (antistante al comprensorio oggetto di causa).
Significativamente l'imputato - e ciò a sostegno della sua attendibilità, avendo reso altresì un narrato potenzialmente a lui sfavorevole - ammetteva comunque di aver realizzato dei rattoppi stradali ed il posizionamento di soglie in marmo - lavorazioni oggetto dell'accertamento del 9/10/2017, formalmente non contestate al Pa. - presso l'immobile antistante quello di residenza della famiglia Si..
A domanda del difensore, l'imputato riferiva che in ogni caso si interfacciava prevalentemente con la signora Si.An., che provvedeva a remunerarlo, dopo la morte della madre.
Parimenti, in sede di interrogatorio acquisito ex art. 513 c.p.p., Si.Gi. negava ogni addebito, affermando che gli immobili oggetto di contestazione erano stati costruiti in parte prima degli anni '90, poi ristrutturati nel 2010-2011, dai suoi genitori. Il Si., inoltre, riferiva di non essere a conoscenza nel dettaglio delle vicende proprietarie familiari in quanto non in buoni rapporti con la madre e con le sorelle.
Le ulteriori prove acquisite su istanza della difesa hanno corroborato la versione difensiva degli imputati Pa. e Si.Gi., già di per sé ragionevole e priva di evidenti contraddizioni.
Con riferimento alla relazione tecnica redatta dall'ingegnere Giglio ed acquisita con il consenso delle parti - pur non dubitando dell'attendibilità del narrato del consulente, dal contenuto tecnico e sprovvisto di contraddizioni - deve concludersi per una irrilevanza della prova, alla stregua delle considerazioni che di seguito si effettueranno circa la posizione processuale di Si.Gi. (unico, tra gli odierni imputati, a rispondere di reati inerenti i manufatti oggetto della relazione tecnica il cui contenuto, in ogni caso, perora una presunta vetustà delle opere realizzate sulle particelle n. (…) e (…) del foglio (…) Catasto Terreni che non ha trovato riscontro - ed anzi ha trovato smentita - nelle dichiarazioni assunte dai testi di polizia giudiziaria).
Per converso, sono risultate dotate di maggiore rilevanza probatoria le dichiarazioni dei testi della difesa escussi.
D'A.An., titolare della società As. s.r.l.s. riferiva di essere un fabbricante di biancheria e di svolgere questa attività a Piazzolla di Nola, in Via (…) presso l'opificio di proprietà delle sorelle Si.; a domanda del difensore il teste confermava che i capannoni ove insiste il suo l'opificio furono ristrutturati nel 2017 ma che il complesso preesisteva.
A domanda del difensore, il teste affermava che i lavori furono curati dalle sorelle Si., a cui egli stesso versava l'affitto per i locali commerciali.
Il teste, inoltre - in questo confermando il narrato reso in sede di interrogatorio da Si.Gi. - riferiva che Si.Gi. non si interessava della proprietà familiare e che all'atto della verifica da parte della polizia giudiziaria il Si.Gi. non era presente sul posto.
Con riferimento alla suddivisione del fabbricato limitrofo in quattro unità abitative, il teste riferiva che le sorelle Si. si interessarono del lavoro, demandandolo ad una impresa, dal teste non identificata. A domanda del Giudice, tuttavia, il teste riferiva di conoscere Pa.Sa. quale suo compaesano essendo dello stesso paese ma non in riferimento alle attività di ristrutturazione degli immobili in questione.
A domanda del PM il teste riferiva di sapere, lavorando in loco, che l'11 gennaio 2017 l'immobile in questione o comunque parte di questo immobile fu posto sotto sequestro ma il vincolo non interessò il suo opificio.
Parimenti le dichiarazioni del teste Es.Sa. hanno corroborato la versione difensiva nei confronti di Si.Gi., fornendo, invece, ulteriori riscontri accusatori nei confronti di Si.Ro., Si.An. e Si.Gi.
Il teste, operaio di professione, ha riferito di aver lavorato nei capannoni su commissione delle sorelle Si., avendo effettuato in favore di Si.Gi. soltanto piccoli lavori domestici presso la sua abitazione. Il teste riferiva che le sorelle Si. gli avevano commissionato lavorazioni idrauliche all'interno dei capannoni, dove il teste, a domanda del PM, riferiva di sapere che l'11 gennaio 2017 furono apposti dei sigilli.
In conclusione le dichiarazioni rese dai testi escussi - come detto attendibili e credibili - oltre a confortarsi reciprocamente, sono a loro volta confortate dalle foto redatte all'atto di ogni sopralluogo (che descrivono, in modo immediato e diretto, lo stato dei luoghi), nonché dagli atti irripetibili versati nel fascicolo del dibattimento.
La disamina delle fonti di prova finora condotta, dunque, consente di ritenere provate oltre ogni ragionevole dubbio le vicende per come dettagliatamente ricostruite nelle pagine precedenti della presente sentenza.
MOTIVI IN DIRITTO DELLA DECISIONE
Così ricostruita la vicenda, con riferimento ai reati contestati nei confronti di Si.Gi., l'istruttoria dibattimentale non ha consentito di dimostrare, oltre ogni ragionevole dubbio, la qualifica di proprietario di fatto asseritamente rivestita dall'imputato, che deve pertanto essere assolto dai reati di cui ai capi A), B) e C) contestati nel procedimento RG DIB 2093/2017 e dai reati di cui ai capi A) e B) contestati nel procedimento RG DIB 1869/2018 per non aver commesso il fatto.
Gli stessi testi di polizia giudiziaria, infatti, hanno riferito che gli unici elementi sui quali fondare la prova della responsabilità di Si.Gi. sono costituiti dalla presenza dell'imputato all'atto degli accessi, nonché dalle dichiarazioni rese in sede di sommarie informazioni da Es.Sa., operaio presente all'atto degli accertamenti.
Orbene, l'elemento rappresentato dalla presenza del Si. all'atto dei diversi sopralluoghi - che, di per sé, avrebbe avuto indubbio carattere indiziante - nel dibattimento svoltosi dinnanzi a questo Giudice assume invece connotazione del tutto neutra.
Ed infatti, gli stessi testi di p.g. hanno chiarito che la presenza di Si.Gi. non era stata fortuita e spontanea - dato, questo, che avrebbe potuto indiziare secondo il criterio del cui prodest una compartecipazione dell'imputato ai reati in contestazione - ma più spesso sollecitata dagli stessi agenti di polizia giudiziaria, che chiedevano al Si., residente nel fabbricato antistante, di procurare loro l'accesso al comprensorio di famiglia.
Per quanto concerne le dichiarazioni rese dall'Estatico, questi ha negato ogni coinvolgimento di Si.Gi. nei fatti in contestazione (né, invero, il PM o le altre parti hanno proceduto ad effettuare contestazioni ex art. 500 c.p.p. al teste).
D'altro canto, l'istruttoria dibattimentale non ha fornito, in maniera complessiva, ulteriori elementi sui quali fondare la qualifica di vero e proprio "proprietario di fatto" di Si.Gi. e, conseguentemente, di committente sia di alcune delle opere originariamente abusive sia di quelle in prosecuzione. A fronte della negazione di ogni addebito da parte dell'imputato in sede di interrogatorio - che riferiva, come confermato anche dai testi della difesa, di disinteressarsi delle proprietà familiari - l'istruttoria dibattimentale non ha fornito ulteriori indici di coinvolgimento del Si., al netto della sua prossimità spaziale ai luoghi e del legame di parentela con le proprietarie.
Il Si.Gi. non ha mai presentato istanze di regolarizzazione o sanatoria per le opere in contestazione, né si è mai interessato al rilascio degli originari titoli abilitativi. Per converso, in occasione della riapposizione dei sigilli avvenuta in data 9/10/2017, l'imputato inizialmente rifiutò di accettare la custodia del manufatto (dato, questo, che se da un lato indizia una scarsa collaborazione dell'imputato con le forze dell'ordine, dall'altro tuttavia dimostra una spontanea presa di distanza del Si. da quanto realizzato negli immobili oggetto dei procedimenti).
Da quanto riferito, dunque, consegue che non è raggiunta la prova oltre ogni ragionevole dubbio circa la responsabilità penale del Si. in ordine ai fatti in contestazione.
Con riferimento alla posizione di Pa.Sa., cui è unicamente contestato il reato di cui al procedimento RG DIB 133/2018, deve giungersi alla medesima pronuncia assolutoria per non aver commesso il fatto.
Al Pa., quale rappresentante legale dell'impresa esecutrice dei lavori, è contestato di aver realizzato, in difformità rispetto ai titoli abilitativi, il frazionamento in quattro unità abitative, anziché in due, dell'immobile sito in Piazzolla di Nola, in comproprietà delle sorelle Si. (ovvero l'oggetto dell'accertamento di polizia giudiziaria svoltosi in data 18/1/2017). Il Pa., sottopostosi ad esame dibattimentale, negava ogni addebito, riferendo di non aver mai realizzato tali opere, non essendone all'epoca in grado in quanto sprovvisto di dipendenti.
Anche con riferimento alla posizione dell'imputato Pa. il quadro accusatorio è scarno, in quanto unicamente fondato sulle dichiarazioni del teste di p.g. Ad. il quale riferiva di aver semplicemente desunto i riferimenti della ditta del Pa., "Costruzioni Pa. s.r.l.", dalla disamina degli atti abilitativi depositati presso gli uffici comunali.
Invero, l'istruttoria dibattimentale ha riferito che effettivamente la polizia giudiziaria effettuò tale accertamento con riferimento al permesso di costruire n. 40 del 2015, relativo al manufatto sito nella particella n. 556, in comproprietà di Ro., Gi. e An.Si., oggetto dell'accertamento del 18/1/2017 (unica vicenda contestata nei confronti dell'imputato Pa.Sa.). Nessun ulteriore elemento accusatorio è stato raccolto nei confronti di Pa.Sa..
La mera presenza dei riferimenti alla ditta del Pa. nel titolo abilitativo violato dalle committenti, pur residuando al rango di indizio, di per sé solo non è sufficiente a dimostrare il concorso dei rappresentante legale della ditta nella realizzazione dell'opera abusiva.
Come riconosciuto dalla Suprema Corte, infatti, è pur vero che "L'esecutore dei lavori edilizi ha il dovere di controllare preliminarmente che siano state richieste e rilasciate le prescritte autorizzazioni, rispondendo a titolo di dolo del reato di cui all'art. 44 del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, in caso di inizio delle opere nonostante l'accertamento negativo, e a titolo di colpa nell'ipotesi in cui tale accertamento venga omesso" (Sez. 3, Sentenza n. 16802 del 08/04/2015 Ud. (dep. 22/04/2015) Rv. 263474 ….. 01) e che "Le contravvenzioni edilizie previste dall'art. 44 del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 devono essere qualificate come reati comuni e possono dunque essere commessi da qualsiasi soggetto, fatta eccezione per le condotte di inottemperanza all'ordine di sospensione dei lavori, per quelle ascrivibili esclusivamente al direttore dei lavori, nonché per alcune fattispecie riconducibili alla lettera a) della norma in quanto riferibili a specifici destinatari. (In applicazione del principio, la Corte ha ritenuto corretta l'affermazione di responsabilità del socio di un'associazione culturale che aveva personalmente seguito tutte le fasi di esecuzione dei lavori abusivamente realizzati)" (Sez. 3, Sentenza n. 45146 del 08/10/2015 Ud. (dep. 11/11/2015) Rv. 265443 - 01), ma va fornita la prova, anche logica, quanto meno del concorso nella realizzazione dell'opera abusiva.
Nel caso di specie, a fronte della versione difensiva del Pa., che negava ogni addebito pur affermando di aver lavorato spesso e volentieri per la famiglia Si., nessun elemento è stato raccolto per corroborare il teorema accusatorio, rimasto alla stregua di un'ipotesi accusatoria.
Sorge quanto meno il ragionevole dubbio, infatti, che non sia stato il Pa., con la sua ditta, ad aver effettuato proprio quelle lavorazioni abusive contestate nel procedimento in epigrafe, non potendosi escludere che la committenza originaria - rivolta alla ditta del Pa. - avesse riguardato soltanto la realizzazione lecita del manufatto, né essendosi rinvenuti indici concreti, in occasione dei sopralluoghi, di una attiva presenza del Pa. sul cantiere oggetto di accertamento.
Ne consegue, dunque, che Pa.Sa. deve essere assolto dal reato a lui ascritto per non aver commesso il fatto.
Con riferimento alla posizione di Si.Ro., Si.An. e Si.Gi., invece, l'istruttoria dibattimentale ha pienamente dimostrato la sussistenza, nei suoi elementi oggettivi e soggettivi, del reato contestato, nonché la responsabilità penale delle imputate.
Con riferimento al reato contestato, di esso va affermata la sussistenza venendo in rilievo, per un verso, un'opera realizzata in totale difformità rispetto ad un permesso di costruire regolarmente rilasciato, comportante un aumento di superficie e di volumetria considerevole, trattandosi della realizzazione di quattro unità abitative anziché due regolarmente assentite.
Il dato in questione può ritenersi provato in termini di assoluta certezza, sia perché riferito dai testi di p.g. e dal geometra comunale e confortato dalle foto in atto, sia perché non contrastato da altre emergenze istruttorie.
Né rileva quanto prospettato dalla difesa, in merito alla presunta risalenza delle opere abusive (dato, questo, peraltro già in fatto sconfessato dalle risultanze fotografiche versate in atti, in cui è evidente la novità delle opere). Questo Giudice, inoltre, si conforma in ogni caso al consolidato orientamento giurisprudenziale secondo il quale lavori edili eseguiti di recente, come nel caso di specie (tinteggiatura, intonacatura, divisione dei tramezzi, predisposizione di cavi elettrici, tubature ed infissi), ripetono le caratteristiche di illegittimità dell'opera principale alla quale ineriscono strutturalmente, con la conseguenza che l'illecito penale realizzato al momento della costruzione dell'opera, rivive con i nuovi lavori e finisce con il "riattualizzare" l'abuso, che pertanto, essendo i lavori di rifacimento recenti, come descritto dagli stessi verbalizzanti, può ritenersi nuovamente consumato alla data dell'accesso della polizia giudiziaria, in data 18/1/2017.
È questo un principio espresso dalla Suprema Corte in più sentenze, nelle quale si è precisato che "in tema di edilizia, il regime di denuncia di inizio attività (DIA) non è applicabile a lavori da eseguirsi su manufatti originariamente abusivi che non risultino oggetto di condono edilizio o sanatoria, atteso che gli interventi ulteriori su immobili abusivi ripetono le caratteristiche di illegittimità dall'opera principale alla quale ineriscono strutturalmente" cfr. Cass. Sez. 3, Sentenza n. 1810 del 02/12/2008 Ce. (dep. 19/01/2008) Rv. 242269; in questo senso anche Cass. Sez. 3, sentenza n. 21490 del 19/04/2006 Ce. (dep. 21/06/2006) Rv. 234472).
Nel caso in esame, i recenti lavori che hanno interessato il manufatto originariamente abusivo e, in specie, il frazionamento e l'adibizione a quattro civili abitazioni anziché due, devono ritenersi illegittimi, in ragione del principio sopra espresso, e ciò connota illecitamente la condotta attiva posta in essere dalle imputate, che quegli ulteriori lavori hanno realizzato o comunque commissionato in qualità di proprietarie.
In relazione all'elemento soggettivo, la massività dell'intervento - vere e proprie abitazioni abusive - in uno con la pregressa richiesta del titolo abilitativo, poi violato, consente di ritenere provato il vero e proprio dolo delle sorelle Si. di edificare in difformità rispetto ai titolo rilasciato. Né è stato provato alcunché in ordine ad una presunta ignoranza della legge penale che, com'è noto, non è sufficiente a scusare. Infatti, pur ammettendo in astratto uno stato di dubbio, non risulta che le imputate si siano attivate, in modo da fornire base giuridica alla loro presunta buona fede: infatti, secondo la Suprema Corte, in caso di dubbio si determina l'obbligo di astensione dall'intervento e dell'espletamento di qualsiasi utile accertamento per conseguire la corretta conoscenza della legislazione vigente in materia (Cfr. Cass. Pen. Sez. 3, sent. n. 28397 del 16/04/2004, dep. 24/06/2004, Rv. 229060).
Infatti il mero errore di interpretazione diviene scusabile solo quando è determinato da un atto della pubblica amministrazione o da un orientamento giurisprudenziale univoco e costante, da cui l'agente tragga la convinzione della correttezza dell'interpretazione normativa e, di conseguenza, della liceità della propria condotta, ma non può essere considerato tour court un fattore positivo di incolpevolezza (Cfr. Cass. Pen., Sez. 3, sent. n. 4951 del 17/12/1999, dep. 21/04/20 00, Rv. 216561): ipotesi questa che non ricorre nel caso in esame. Che le opere abusive in contestazione debbano ascriversi a Si.Ro., Si.An. e Si.Gi. in qualità di comproprietarie e committenti emerge senza ombra di dubbio da un coacervo di elementi i quali, secondo l'ordinario criterio del cui prodesi, individua le tre imputate come le uniche interessate alle lavorazioni abusive riscontrate.
L'istruttoria dibattimentale, infatti, ha dimostrato non solo la qualità di comproprietarie del manufatto ove è situato l'immobile abusivo, ma altresì la loro prossimità spaziale - essendo le sorelle siano residenti nel civico antistante della medesima via e alcune presenti al momento del sopralluogo - nonché la loro concreta gestione non solo dell'immobile oggetto dell'accertamento del 18/1/2017, ma altresì del restante comprensorio della famiglia Si., desumibile dall'avvenuta presentazione dell'istanza di rilascio dei permesso di costruire da parte delle tre imputate, dalla nomina in qualità di custode di Si.Ro., nonché da quanto riferito dagli stessi testi della difesa, i quali dichiaravano che le sorelle Si. avevano commissionato le lavorazioni, riscuotevano i pagamenti delle aziende in fitto e remuneravano gli operai, prevalentemente tramite la persona di Si.An..
Le condotte sono dunque sicuramente riferibili ed imputabili in termini soggettivi alle imputate, venendo in rilievo non solo l'imperizia e la negligenza nel realizzare l'opera abusiva, in violazione dei prescritti titoli abilitativi, ma proprio il dolo, inteso come consapevolezza e volontarietà di realizzare nel più breve tempo possibile un'opera abusiva, aumentando a dismisura le volumetrie e le superfici utili.
Non sussistono i requisiti per il riconoscimento dell'art. 131 bis c.p., in ragione della gravità della condotta - trattandosi della vera e propria duplicazione di quanto regolarmente assentito nonché della costruzione di vere e proprie abitazioni abusive - che non consente di ritenere l'offesa al bene giuridico di particolare tenuità.
Inoltre la particolare scaltrezza delle imputate, desumibile dalle modalità dell'azione - le Si. non si limitavano ad edificare sine titulo, ma artatamente ottenevano un titolo "di copertura", per poi edificare abusivamente - nonché il loro comportamento processuale, per nulla resipiscente né collaborativo - le imputate non hanno reso dichiarazioni utilizzabili né hanno agevolato in alcun modo la celebrazione del presente processo - impone di negare senza dubbio alcuno le circostanze attenuanti generiche nei loro confronti, nonostante il loro stato di incensuratezza.
Alla luce quindi dei criteri di cui all'art. 133 c.p.p., tenuto conto della gravità del fatto, delle modalità dell'azione, nonché della capacità a delinquere delle imputate, tenuto altresì conto dei medesimi fattori che impongono di escludere il riconoscimento della causa di non punibilità per la particolare tenuità del fatto e le circostanze attenuanti generiche in favore delle imputate, si stima pena equa quella di mesi sei di arresto e 15.000 Euro di ammenda, oltre alla condanna al pagamento delle spese processuali.
L'entità della pena, infrabiennale ma di particolare severità, in uno con lo stato di incensuratezza delle imputate, consente di riconoscere in loro favore la sospensione condizionale della pena.
La stessa, però, in ragione della particolare natura del reato ascritto e del valore specialpreventivo connesso alla rimozione delle proprie condotte antigiuridiche, deve essere subordinata, ai sensi dell'art. 165 c.p., alla demolizione delle opere abusive ed alla remissione in pristino dello stato dei luoghi, da eseguirsi nel termine di trenta giorni dal passaggio in giudicato della presente sentenza. Come riconosciuto dalla giurisprudenza di legittimità, infatti, "In tema di reati edilizi è legittima la sentenza con cui il giudice subordina la concessione della sospensione condizionale della pena all'eliminazione delle conseguenze dannose del reato mediante demolizione dell'opera abusiva, sema dover procedere a specifica motivazione sul punto, essendo questa implicita nell'emanazione dell'ordine di demolizione disposto con la sentenza, che, in quanto accessorio alla condanna del responsabile, è emesso sulla base dell'accertamento della persistente offensività dell'opera stessa nei confronti dell'interesse protetto" (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 7283 del 09/01/2018 Ud. (dep. 15/02/2018) Rv. 272560 -01).
In caso di inottemperanza dell'obbligo cui è subordinata la sospensione condizionale della pena, ai sensi dell'art. 31 co. 9 D.P.R. 380/01 va poi ordinata, se ancora non altrimenti eseguita, la demolizione delle opere abusive descritte nel capo di imputazione di cui al procedimento RG DIB 133/2018 e la rimessione in pristino dello stato dei luoghi da eseguirsi a cura della p.g. procedente ed a spese delle imputate.
Attesa la restante natura assolutoria della presente pronuncia, si dispone il dissequestro e la restituzione agli aventi diritto, da individuarsi a cura della p.g. procedente, di tutto quanto ulteriormente ed eventualmente sottoposto a sequestro.
P.Q.M.
Letto l'art. 530 cpv. c.p.p., assolve Si.Gi. e Pa.Sa. dai reati loro rispettivamente ascritti per non aver commesso il fatto.
Letti gli artt. 533, 535 c.p.p.,
dichiara Si.Ro., Si.An. e Si.Gi. colpevoli del reato ascritto e condanna ciascuna alla pena di mesi sei di arresto ed Euro 15.000,00 (quindicimila) di ammenda, oltre al pagamento delle spese processuali.
Letto l'art. 31 co. 9 D.P.R. 380/2001 ordina, se non ancora eseguita e previo dissequestro da eseguirsi al passaggio in giudicato della sentenza, la demolizione delle opere abusive oggetto del procedimento RGNR 523/2017 - RGDIB 133/2018 e la rimessione in pristino, a cura della P.G. operante, dello stato dei luoghi a spese di Si.Ro., Si.An. e Si.Gi..
Letto l'art. 165 c.p.,
concede alle imputate Si.Ro., Si.An. e Si.Gi. il beneficio della sospensione condizionale della pena, subordinata alta demolizione delle opere abusive oggetto del procedimento RGNR 523/2017 – RG DIB 133/2018 ed alla remissione in pristino dello stato dei luoghi, da eseguirsi nel termine di trenta giorni dal passaggio in giudicato della presente sentenza.
Ordina il dissequestro e la restituzione agli aventi diritto, da individuarsi a cura della p.g. procedente, di quanto ulteriormente ed eventualmente in sequestro.
Motivi contestuali.
Così deciso in Nola il 27 gennaio 2022.
Depositata in Cancelleria il 27 gennaio 2022.