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Reciproca volontà di offesa come presupposto imprescindibile per il reato di rissa

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Corte appello Trento, 02/03/2022, n.7

Il reato di rissa richiede una condotta caratterizzata da reciproca volontà di attentare all'altrui incolumità, escludendo l'aggressione unilaterale come presupposto del reato.

Riduzione della pena per rissa aggravata: concessione delle attenuanti generiche ed esclusione della legittima difesa

Assoluzione per il reato di rissa: mancanza di prova della partecipazione attiva e configurabilità di condotte difensive (Giudice Luca Purcaro)

Assoluzione per insufficienza probatoria nel reato di rissa: mancanza di contrapposizione tra gruppi e motivazione sottesa alla condotta violenta (Giudice Serena Corleto)

Reato di rissa aggravata: esclusione della legittima difesa e responsabilità penale di tutti i partecipanti

Configurazione del reato di rissa e limiti alla legittima difesa nei confronti di condotte attive

Riforma della condanna per rissa aggravata: rideterminazione della pena e limiti alla particolare tenuità del fatto

Resistenza a pubblico ufficiale e lesioni aggravate: conferma della condanna con concessione della non menzione della pena

Rissa sul luogo di lavoro: legittimità del licenziamento disciplinare per condotta incompatibile con il vincolo fiduciario

Rissa: esclusione della responsabilità per chi agisce al solo fine di separare i litiganti.

Partecipazione attiva e reciproca come requisito per la configurabilità del reato di rissa.

La sentenza integrale

Svolgimento del processo
Con sentenza n. 90/20, in data 10 febbraio - 7 maggio 2020, il Tribunale di Trento all'esito del giudizio abbreviato ha dichiarato Ab.Ed. e Is.Es. responsabili del reato di rissa aggravata, riconosciute le lesioni guarite in giorni 20, e li ha condannati alla pena di mesi due di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali. Il primo giudice ha ritenuto provata la responsabilità degli imputato sulla base degli atti di indagine preliminare, ritenendo inutilizzabili solo le dichiarazioni rese da Ab.Ed., ai sensi dell'art. 63, comma 2, c.p.p., mentre ha ritenuto pienamente utilizzabili sia la denuncia sporta da Is.Es. che il verbale di spontanee dichiarazioni rese da Bi.El., coimputato nel reato di rissa, che ha definito la sua posizione separatamente. Il contesto all'interno del quale è scaturita la rissa vede nella gelosia la causa deflagrante l'alterco avvenuto tra le fazioni contrapposte di Is.Es. e Ab.Ed. contro Bi.El. e il gruppo di amici venuti a dare manforte a questi. Infatti, osservando con attenzione gli accadimenti è Taneska, ex ragazza di Bi.El. e quel giorno compagna di uscita del gruppo Is.Es. e Ab.Ed., l'unico comune denominatore tra le fazioni che in precedenza non si conoscevano e che nel corso della serata non hanno mai vicendevolmente manifestato alcun motivo di acredine. Dalle dichiarazioni delle persone informate risulta evidente come l'alterco tra i gruppi Is.Es. e Ab.Ed. contro Bi.El. e i suoi amici abbia certamente coinvolto il numero di persone maggiore di tre e poco importa che tutte queste si conoscessero o meno e che fossero effettivamente amici. Ciò che si deve rilevare è che più persone hanno via via partecipato all'alterco dando manforte alla colluttazione iniziata tra Is.Es. e Bi.El.: è del tutto irrilevante comprendere se l'inizio della lite debba imputarsi ad Is.Es. o Bi.El., ciò che importa è che ciascuno fosse animato dalla reciproca volontà di recare offesa agli avversari. Per la precisione, nella narrazione dei fatti appare chiaro che Bi.El. fosse aiutato da amici, nonostante l'intento di questi di non coinvolgere altre persone nelle dichiarazioni rese quando afferma "io come gli altri giovani presenti che non conosco inseguivo i due ritrovando il mio aggressore". Infatti è inverosimile che sconosciuti abbiano dato manforte a Bi.El. prima nel pestaggio poi nell'inseguimento del suo presunto aggressore, senza che vi fosse un rapporto a monte con lo stesso Bi.El. ed è per questo che An., spettatrice non coinvolta nella colluttazione, qualifica i nuovi intervenuti come amici di Bi.El. Secondo il giudicante, Is.Es. e Ab.Ed., sebbene fossero ad un certo punto in numero inferiore all'altra fazione, ebbero vicendevole intenzione di offendere l'altrui incolumità di Bi.El. e dei suoi amici intervenuti.

Apparentemente la fuga dei due lascerebbe intendere una volontà di mera difesa, cosa che escluderebbe la possibilità di configurare per loro il reato di rissa. Tuttavia, una più attenta analisi dei fatti mette esattamente in luce come le condotte di questi non siano state di mera difesa, ma abbiano avuto lo specifico intento di ledere l'altrui incolumità personale. Infatti, leggendo le dichiarazioni di Is.Es. è possibile osservare come Ab.Ed. arrivi in un secondo momento in soccorso del primo, tentando di bloccare l'aggressore. La stessa descrizione della condotta è fornita da An. quando afferma il tentativo di Ab.Ed. di frapporsi e dividere i contendenti specificando in seguito che la cosa, per la verità è riuscita per alcuni istanti.

Ad avviso del primo giudice, con l'interruzione dell'aggressione, Is.Es., una volta liberatosi avrebbe ben potuto allontanarsi beneficiando dell'intervento di Ab.Ed.; tuttavia tale condotta, sebbene fosse nella piena disponibilità di Is.Es., egli scientemente ha deciso di non adottarla Anzi, la colluttazione poi è proseguita tra i tre fino all'arrivo degli amici di Bi.El. e solo a quel punto, come viene nuovamente dichiarato da Is.Es., cioè solo quando la fazione di Is.Es. e Ab.Ed. è stata sopraffatta dalle forze in campo, e non prima sebbene ne avessero avuto evidentemente modo, la stessa fazione ha deciso di allontanarsi. Nella piena disponibilità della scelta tra il rimanere o l'andarsene dalla colluttazione, e dalla scelta intrapresa di voler rimanere da parte della fazione di Is.Es. e Ab.Ed. è possibile riconoscere negli imputati quella volontà di restare e partecipare alla rissa fintantoché la scelta di fuggire è maturata in conseguenza dall'essere stati sopraffatti dalle forze avversarie in campo.

In tale contesto la scelta di rimanere e partecipare all'alterco rappresenta quella manifestazione di volontà rivolta a offendere l'incolumità altrui necessaria per configurare il fatto di rissa.

E' stata infine ritenuta non applicabile la circostanza attenuante del contributo di minore importanza ex art. 114, comma 1, c.p. in quanto il reato di rissa per cui si procede è un reato a concorso necessario e la riferibilità ai reati plurisoggettivi necessari delle disposizioni concorsuali nella loro funzione di disciplina non è integrale, né automatica. In ogni caso, è stata esclusa la sussistenza del contributo di minore importanza nel merito, ricordando che la giurisprudenza di legittimità ritiene configurabile tale attenuante solo nel caso di contributi "del tutto trascurabili". E' stata esclusa anche l'applicazione delle attenuanti generiche.

Ab.Ed. ha proposto appello a mezzo del proprio difensore con quattro motivi che possono essere come di seguito riassunti.

Con il primo motivo (pagg. 1-6 atto di appello) si eccepisce la inutilizzabilità delle dichiarazioni rese dagli imputati, in particolare le spontanee dichiarazioni rese da Bi.El., avendo il primo giudice già dichiarato inutilizzabili quelle rese da Ab.Ed..

Richiamando giurisprudenza di legittimità, l'appellante rinnova l'eccezione già svolta in primo grado, sostenendo che le dichiarazioni rese da Bi.El. alla polizia giudiziaria non sono affatto qualificabili come spontanee, e pertanto dovevano (e devono) ritenersi inutilizzabili perché rese senza l'osservanza delle prescritte avvertenze e procedure. Si osserva in particolare come dagli atti emerge che il signor Bi.El. è stato convocato presso la Caserma dei Carabinieri di Trento in data 23.09.2016 ove alle ore 10.30 veniva redatto il verbale di elezione di domicilio e di nomina di difensore chiuso alle ore 10.35; che poco dopo (ore 10.45 con verbale chiuso alle 11.15, sempre presso la Caserma dei Carabinieri di Trento) il Bi.El. ha reso le spontanee dichiarazioni con le quali ha fornito elementi auto incriminanti senza l'assistenza del legale.

Tali dichiarazioni, secondo l'eccezione della difesa, rese senza la presenza del difensore, avevano con evidenza una finalità difensiva ed eteroaccusatoria e sono palesemente inutilizzabili, a nulla valendo la dicitura contenuta nel verbale secondo cui l'interessato era stato preliminarmente reso edotta della facoltà di farsi assistere da un difensore di fiducia, facoltà alla quale aveva espressamente rinunciato, e ciò perché si tratta di facoltà non rinunciabile.

Secondo l'appellante, il Tribunale nel riconoscere che la denuncia porta da Is.Es. e il verbale di spontanee dichiarazioni rese da Bi.El. offrono un quadro circostanziato di reciproche aggressioni (viene, infatti, affermato che "in un'indagine per una lesione volontaria la cui condotta ivi contestata sussumeva pienamente anche quella di rissa nell'ambito aggressivo del quale le lesioni sono state causate") ritiene che le dichiarazioni rese nel verbale di ricezione della querela siano pienamente utilizzabili perché in quel momento risultava essere una semplice "persona informata sui fatti".

Il Giudice di prime cure ha limitato la propria valutazione ad una verifica meramente formale, in contrasto con la giurisprudenza sul principio che la verifica della sussistenza della qualità di persona indagata va condotta non secondo un criterio formale ma secondo il criterio sostanziale della qualità oggettivamente attribuibile al soggetto in base alla situazione esistente nel momento delle dichiarazioni (Cass. Pen., Sez. VI, n. 23776 del 22.4.2009; Sez. Un., n. 23868 del 23.4.2009; Sez. Un, n. 15208 del 25.2.2010).

Dalla querela emergono - come per vero rilevato dal Giudice di prime cure - elementi sussumibili alla fattispecie del reato di rissa. Pertanto, in tutti i casi in cui l'autorità procedente già era (o avrebbe potuto essere, con una condotta diligente) o sia venuta a conoscenza degli indizi di reità esistenti a carico del dichiarante e proceda o continui nell'esame senza dare contezza al dichiarante della sua posizione, senza formalizzarla e senza assistenza difensiva, la sanzione è sempre quella della inutilizzabilità assoluta ed erga omnes delle dichiarazioni stesse. Si tratta infatti di un deterrente introdotto dal legislatore contro ipotesi patologiche, in cui deliberatamente o colpevolmente si ignorano i già esistenti indizi di reità nei riguardi dell'escusso, con pericolo di dichiarazioni accusatorie, compiacenti o negoziate, a carico di terzi, realizzabili anche attraverso "l'obliterazione" dei reati di cui il dichiarante è l'autore (Sez. Un., n. 1282 del 9.10.1996). Con il secondo motivo (pagg. 6-11 atto di appello) si contesta la sussistenza degli elementi oggettivo e soggettivo del reato di rissa.

In particolare, evidenzia la difesa che secondo le dichiarazioni di Ra.Ed. e An.De., soggetti terzi, privi di interesse alcuno nella ricostruzione della vicenda, emerge senza dubbio che l'imputato è intervenuto al solo fine di portare soccorso ad Is.Es. e non certo per aggredire Bi.El. e/o altri.

Lo stesso giudice di prime cure ha ritenuto che Ab.Ed. è arrivato in un secondo momento in soccorso di Is.Es., per bloccare l'aggressione.

Inoltre evidenzia l'appellante che - contrariamente a quanto ritenuto dal Tribunale - non appena ne hanno avuto la possibilità sia Is.Es. che Ab.Ed. si sono dati alla fuga quale via di salvezza.

Nei pochi secondi in cui Ab.Ed. è riuscito a separare Is.Es. e Bi.El. sono stati infatti raggiunti da "almeno dieci" amici di Bi.El. che li hanno aggrediti con "pugni e calci quando caduti a terra".

La difesa si chiede come è possibile "scegliere scientemente" di partecipare alla rissa allorquando nel tempo di qualche secondo una persona si ritrova sopraffatta da almeno dieci soggetti che la colpiscono facendola cadere a terra e la picchiano con calci e pugni. Secondo l'appellante non è pertanto provata la volontà in capo all'imputato di ledere l'altrui incolumità e cita giurisprudenza di legittimità secondo la quale nel caso in cui un gruppo di persone reagisce in chiave meramente difensiva all'aggressione di un altro gruppo, deve escludersi radicalmente la rissa perché il reato postula una reciproca condotta aggressiva tra due gruppi di persone.

Con la terza doglianza l'appellante invoca il riconoscimento' della non punibilità per particolare tenuità del fatto, ai sensi dell'art. 131-bis c.p., sussistendone i presupposti. Con l'ultima doglianza la difesa lamenta il mancato riconoscimento delle attenuanti generiche e della provocazione, nonché la eccessività della pena inflitta ed ha concluso con richiesta di accoglimento delle dei motivi e conseguente riforma dell'impugnata sentenza. All'odierna udienza collegiale, a seguito della discussione, sulle conclusioni formulate dalle parti, la Corte ha deciso come da dispositivo, riforma dell'impugnata sentenza.

All'odierna udienza in camera di consiglio ex art. 23-bis, comma 2, legge n. 176/2020, sulle conclusioni formulate dalle parti, la Corte ha deciso come da dispositivo.

Diritto
Motivi della decisione
Il secondo motivo di appello è fondato ed assorbente rispetto agli altri motivi. Ferma la correttezza della valutazione effettuata dal Tribunale circa la utilizzabilità delle spontanee dichiarazioni rese da Bi.El., la cui ratio decidendi (pagg. 5-6 della sentenza impugnata) non è stata neppure specificamente censurata da parte dell'appellante, osserva il Collegio che appare erroneo l'inquadramento della condotta posta in essere dall'imputato nella fattispecie di reato contestata.

Contrariamente a quanto affermato dal primo giudice, non può ritenersi certo che con l'interruzione dell'aggressione, Is.Es., una volta liberatosi avrebbe potuto allontanarsi beneficiando dell'intervento di Ab.Ed. e che tale condotta, sebbene fosse nella piena disponibilità di Is.Es., egli scientemente ha deciso di non adottarla, anzi essendo poi proseguita la colluttazione fino all'arrivo degli amici di Bi.El. e solo in quel momento hanno deciso di allontanarsi (pag. 8 della sentenza impugnata).

Come infatti è emerso dalle dichiarazioni rese dal querelante è pacifico che sia stato lo stesso Is.Es. a subire l'aggressione da parte di Bi.El. Elsid, mentre Ab.Ed. è intervenuto in suo soccorso, tentando di bloccare l'aggressore.

Piena conferma di tale versione proviene dalla dichiarante An., la quale ha riferito, più specificamente, che a seguito dell'aggressione del Bi.El. nei confronti di Is.Es., in un primo momento erano intervenuti sia lei che la Ta. per tentare di dividere i due e che solo in un secondo momento era intervenuto Ch. (odierno imputato), il quale riusciva a frapporsi tra i due "per qualche secondo. Ovvero fintanto che i numerosi amici dello sconosciuto almeno dieci lo raggiungevano sopraffacendo Ch. ed Is. che venivano aggrediti dal gruppo".

La suddetta ricostruzione dei fatti è stata confermata anche dal dichiarante Ra., che è arrivato proprio nel corso dell'aggressione, quando la An. stava urlando contro sconosciuti, mentre altri stavano picchiando Is.Es., ed è riuscito a far salire in macchina il gruppo di amici e a scappare.

Alla luce della suddetta ricostruzione, a giudizio della Corte non può ritenersi provata la volontà in capo all'imputato di ledere l'altrui incolumità, apparendo più probabile che egli fosse intervenuto solo per difendere Is.Es. dall'aggressione (come peraltro avevano fatto anche le due ragazze prima del suo arrivo) ed essendosi egli dato alla fuga non appena ne ha avuto la possibilità.

E' condivisibile invero l'osservazione difensiva secondo la quale quel lasso di tempo di pochi secondi che è trascorso tra la interruzione dell'aggressione di Is.Es. da parte del Bi.El. e l'arrivo del gruppo di amici di quest'ultimo a dargli man forte, non ha potuto consentire all'imputato di "scegliere" se rimanere o darsi alla fuga, essendosi ritrovato sopraffatto dagli aggressori, senza alcuna possibilità di una diversa determinazione.

Si è trattato di un contesto in cui non si può parlare di violenta contesa, con gruppi contrapposti, con volontà vicendevole di attentare all'altrui incolumità personale, come ritiene la pacifica giurisprudenza di legittimità per la configurabilità del reato di rissa, ma di una aggressione unilaterale subita da Is.Es. e Ab.Ed. da parte degli amici del Bi.El.. In proposito, come correttamente ricordato dall'appellante, la S.C. ha affermato che "Il reato di rissa richiede la condotta di due gruppi contrapposti che agiscano con la vicendevole volontà di attentare all'altrui incolumità, presupposto che non è integrato qualora un gruppo di persone assalga altri soggetti che fuggano dall'azione violenta posta in essere ai loro danni" (Cass. n. 12200/2020).

Dovendosi escludere la rilevanza penale della condotta, la sentenza impugnata deve essere riformata e Ab.Ed. deve essere mandato assolto dal reato a lui ascritto perché il fatto non sussiste.

Per gli effetti di cui all'art. 587 c.p.p., deve essere infine disposta la comunicazione a cura della Cancelleria della presente decisione al coimputato non appellante Is.Es..

P.Q.M.
Visti gli artt. 599, 530 c.p.p.,

in riforma dell'impugnata sentenza, assolve Ab.Ed. dal reato ascrittogli perché il fatto non sussiste.

Visto l'art. 587 c.p.p.,

dispone la comunicazione a cura della Cancelleria della presente decisione al coimputato non appellante Is.Es..

Fissa termine di giorni 60 per il deposito della motivazione.

Così deciso in Trento il 19 gennaio 2022.

Depositata in Cancelleria il 2 marzo 2022.

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