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Rissa: condizioni, esclusione della legittima difesa e aggravanti legate agli strumenti atti ad offendere

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Tribunale Pescara, 19/07/2024, n.1149

Il reato di rissa, previsto dall’art. 588 c.p., richiede la partecipazione di due o più gruppi contrapposti con reciproca volontà di ledersi, escludendo la scriminante della legittima difesa salvo che l'offesa risulti del tutto nuova e sproporzionata rispetto al rischio accettato dai partecipanti.

Riduzione della pena per rissa aggravata: concessione delle attenuanti generiche ed esclusione della legittima difesa

Assoluzione per il reato di rissa: mancanza di prova della partecipazione attiva e configurabilità di condotte difensive (Giudice Luca Purcaro)

Assoluzione per insufficienza probatoria nel reato di rissa: mancanza di contrapposizione tra gruppi e motivazione sottesa alla condotta violenta (Giudice Serena Corleto)

Reato di rissa aggravata: esclusione della legittima difesa e responsabilità penale di tutti i partecipanti

Configurazione del reato di rissa e limiti alla legittima difesa nei confronti di condotte attive

Riforma della condanna per rissa aggravata: rideterminazione della pena e limiti alla particolare tenuità del fatto

Resistenza a pubblico ufficiale e lesioni aggravate: conferma della condanna con concessione della non menzione della pena

Rissa sul luogo di lavoro: legittimità del licenziamento disciplinare per condotta incompatibile con il vincolo fiduciario

Rissa: esclusione della responsabilità per chi agisce al solo fine di separare i litiganti.

Partecipazione attiva e reciproca come requisito per la configurabilità del reato di rissa.

La sentenza integrale

RAGIONI IN FATTO E IN DIRITTO DELLA DECISIONE
Con decreto di citazione a giudizio del 03.06.2022 il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Pescara rinviava a giudizio Di.Ro. ed altri (…), per rispondere dei reati trascritti in epigrafe.

All'udienza del 06/02/2023, considerato il difetto di notifica del Decreto di citazione a giudizio a Di.Ro., il Giudice rinviava il processo all'udienza del 13/03/2023. Alla detta udienza veniva dichiarato aperto il dibattimento ed ammesse le prove richieste dalle parti.

All'udienza del 09/10/2023 si procedeva all'escussione del teste indicato dalla Pubblica Accusa, BR.Al., in servizio c/o la Casa Circondariale di Chieti in relazione al quale il Pubblico Ministero effettuava produzione documentale (cfr. disposizione di servizio del 17/08/2020).

All'udienza dell'08/01/2024 veniva escusso il residuo testi addotto dall'Accusa, VA.An., in servizio presso la Casa Circondariale di Pescara. Il Pubblico Ministero effettuava produzione documentale (cfr. certificato medico Di.Ro. e Co.Ma., diario clinico di Co.Ma., n. 14 fotogrammi estrapolati dal sistema di video sorveglianza) e, con il consenso dei Difensori, rinunciava all'escussione dei testi CA.Ma., BL.Ma. e QU.Sa. ed il Giudice revocava l'ordinanza ammissiva della prova nella parte relativa.

All'udienza del 20/05/2024, la Difesa dell'imputato Di.Ma. rinunciava all'escussione del teste ME.Pa. e gli imputati Co.Ma. e Di.Ro. rendevano spontanee dichiarazioni.

Alla successiva udienza dell'01.07.2024, all'esito della produzione documentale di alcuni Difensori, il Giudice dichiarava chiusa l'istruttoria dibattimentale ed invitava le parti a concludere e all'esito della discussione, il Tribunale emetteva sentenza del cui dispositivo veniva data lettura in aula.

L'istruttoria dibattimentale ha dato riscontro alla prospettazione accusatoria, fatta eccezione per la posizione dell'imputato Ve.Ra., nei termini che si diranno. Dagli atti del procedimento è emerso che, in data 17 agosto 2020 - all'interno della Casa Circondariale di Pescara - si verificava una rissa tra due gruppi di detenuti composti rispettivamente, il primo, dai fratelli Di.Ro., Ma. e Ni. e, il secondo, da Co. Massimo e Di.Ma. Pietro.

Due di questi. Di.Ro. e Co. Massimo, venivano accompagnati in infermeria centrale avendo riportato lesioni personali giudicate guaribili in giorni undici dal personale sanitario della Asl di Pescara (cfr. certificati medici della Asl di Pescara del 17.8.2020, in atti).

Come riferito dal teste Isp. BRILLANTE, all'esito dei suddetti fatti veniva disposta la temporanea sospensione del regime "aperto" della Seconda Sezione penale della Casa Circondariale sino al ripristino delle condizioni indispensabili per il mantenimento dell'ordine e della disciplina (cfr. provvedimento di sospensione del regime aperto della seconda sezione penale, in atti).

Si legge nel successivo provvedimento con cui veniva ripristinata l'apertura della Sezione, fermo il divieto di incontro tra il Di.Ro. e Co. Massimo, poiché problematiche d'incompatibilità permangono tra i detenuti Di.Ro., Ma. e Ni. nei confronti dei detenuti Co., Di.Ma. e Me. (cfr. provvedimento di limitata riapertura, in atti).

La ricostruzione della dinamica dei fatti è stata offerta dal teste Sost. Comm. VA.An., in servizio presso la casa circondariale di Pescara, il quale ha proceduto all'estrapolazione dei filmati del sistema di video sorveglianza del carcere, nonché all'identificazione dei soggetti che vi compaiono.

Agli imputati viene contestato il reato di rissa di cui all'art. 588 comma secondo c.p.

Affinché possa dirsi integrato il reato di rissa è necessaria la condotta di due gruppi contrapposti che agiscano con la vicendevole volontà di attentare all'altrui incolumità, presupposto che non è integrato qualora un gruppo di persone assalga altri soggetti che fuggano dall'azione violenta posta in essere ai loro danni (Cass. pen. sez. VI, 04/12/2019, n. 12200). E, altresì, necessario che un gruppo di persone venga alle mani con il proposito di ledersi reciprocamente, tanto che il reato di cui all'art. 588 c.p. è integrato anche nell'ipotesi in cui i partecipanti non siano stati coinvolti tutti contemporaneamente nella colluttazione e l'azione si sia sviluppata in varie fasi e si sia frazionata in singoli episodi, tra i quali non vi sia stata alcuna apprezzabile soluzione di continuità, essendosi tutti seguiti in rapida successione, in modo da saldarsi in un'unica sequenza di eventi (Cass. Pen., sez. V, 23 febbraio 2011, n. 7013).

Ai fini della sussistenza dell'elemento soggettivo, risulta sufficiente l'accertamento del mero dolo generico, consistente nella coscienza e volontà di partecipare alla contesa con animo offensivo. Pertanto, i gruppi contendenti devono essere guidati da un animus volto al solo scopo di arrecare una lesione ai contendenti.

Nel caso in esame, la ricostruzione offerta dall'Isp. BR. e dal Sost. Comm. VA.An., confermata dalla documentazione prodotta (certificati medici, provvedimenti di sospensione del regime di apertura della Sezione, fotogrammi estratti dai filmati del sistema di videosorveglianza), hanno permesso di individuare la presenza di due gruppi contrapposti di detenuti (uno composto dai fratelli Di.Ro. e l'altro dal Co. e Di.Ma.) che hanno preso parte, in maniera progressiva, ad una colluttazione all'interno della Casa Circondariale.

Tuttavia, affinché i fatti verificatisi integrino il reato di rissa è necessario accertare in che modo ciascun imputato vi abbia partecipato fornendo, quindi, un proprio materiale contributo.

Nel caso in esame, come già detto, l'identificazione è stata effettuata dal teste VA. ed ha permesso di individuare l'apporto che ciascuno dei partecipanti ha offerto all'evoluzione della colluttazione.

Il teste ha preliminarmente chiarito che il detenuto Co. si trovava in isolamento poiché, rientrato dal permesso premio, era sottoposto alla quarantena preventiva. E proprio dinanzi alla cella di quest'ultimo che ha avuto luogo la colluttazione.

Dai fotogrammi estrapolati è possibile riconoscere, in un primo momento, il Di.Ro., a torso nudo, portarsi davanti alla predetta cella (cfr. fotogrammi nn. 1 e 2), gesticolando (cfr. fotogramma n. 3).

Negli stessi istanti, si nota anche la presenza dei fratelli, Di.Ro., nell'atto di allacciarsi le scarpe (cfr. fotogramma n.3) e Di.Ro. Ma., vestito con canotta bianca e pantaloncino "Nike" (cfr. fotogramma n. 4).

Dopo aver percorso il corridoio avanti e indietro un paio di volte, il Di.Ro. afferra uno sgabello ivi presente e lo scaglia contro la cella del Co. (cfr. fotogrammi nn. 4 e 5), per allontanarsi poco dopo.

Si nota, quindi, l'arrivo del Di.Ma., vestito con pantaloncino e maglia neri e bande bianche, dinanzi la cella di Co. (cfr. fotogramma n. 6).

Poco dopo, interviene l'assistente Bl. che, chiamato dal Di.Ma. ed ignaro dei fatti, apre la cella per consentire al detenuto Co. di effettuare una telefonata (cfr. fotogramma n. 6); aperta la cella, il Co. - con canotta nera e pantaloncino nero - si scaglia immediatamente contro Di.Ro. e Ma. (cfr. fotogramma n. 7) tenendo in mano ed agitando un bastone di legno, probabilmente ricavato dalla gamba di un tavolo. Di.Ro. e Di.Ro., allora, afferrano uno sgabello e ne nasce una colluttazione alla quale si aggiunge anche Di.Ma., munito di un altro sgabello (cfr. fotogrammi n. 8,9 e 10).

Il Ve.Ra., vestito con pantaloncino a righe e a torso nudo, compare con in mano un bastone che scaglia in direzione del Co. (cfr. fotogramma n. 12).

Dopo un attimo di calma, Co. torna verso la sua cella ma Di.Ro. riafferra un bastone e gli si scaglia nuovamente contro, andandolo a colpire alla testa mentre si trova in mezzo ad altri detenuti (cfr. fotogramma n. 13). Quindi ripartono anche Co. e Di.Ma., entrambi con in mano degli sgabelli, in direzione del Di.Ro. (cfr. fotogramma n. 14).

Contrariamente a quanto asserito dalle Difese degli odierni imputati, non può trovare spazio nel caso di specie la scriminante della legittima difesa, coerentemente con il costante orientamento della Suprema Corte secondo cui è inapplicabile al reato di rissa la causa di giustificazione della legittima difesa, considerato che i corrissanti sono ordinariamente animati dall'intento reciproco di offendersi ec accettano la situazione di pericolo nella quale volontariamente si pongono, con la conseguenza che la loro difesa non può dirsi necessitata (Cass. pen. Sez. V, Sent. n. 15090/2020); essa può, tuttavia, essere eccezionalmente riconosciuta quando, sussistendo tutti gli altri requisiti voluti dalla legge, vi sia stata un'azione assolutamente imprevedibile e sproporzionata, ossia un'offesa che, per essere diversa a più grave di quella accettata, si presenti del tutto nuova, autonoma ed in tal senso ingiusta (Sez. 5, n. 32381 del 19/02/2015 - dep. 23/07/2015, D'Alesio e altro, Rv. 26530401); circostanza evidentemente esclusa nel caso in esame e neppure puntualmente evidenziata da alcuno degli imputati.

Dunque, non può che ritenersi accertata la penale responsabilità degli imputati Di.Ro., Di.Ro., Di.Ro., Di.Ma. Pi. e Co.Ma. per il reato a loro contestato al capo a) dell'imputazione, essendo certo quale sia stato il loro contributo effettivo alla rissa.

In particolare:

Ai fotogrammi nn. 4 e 5, si osserva il gesto provocatorio Di.Ro. dello scagliare uno sgabello contro la cella dove si trovava in isolamento il Co.

Al fotogramma n. 7, si osserva il Co. uscire (come si è detto con un pretesto) dalla cella e scagliarsi contro Di.Ro. e Ma. tenendo in mano un bastone di legno.

- Ai fotogrammi n. 8,9 e 10 si osservano Di.Ro. e Di.Ro. che afferrano uno sgabello determinando una colluttazione alla quale si aggiunge anche Di.Ma., munito di un altro sgabello.

- Al fotogramma n. 13 Di.Ro. riafferra uno sgabello e lo lancia verso il Co. che, nel frattempo, si sta allontanando.

- Al fotogramma n. 14, si vedono Co. e Di.Ma. che, con in mano degli sgabelli, si scagliano in direzione del Di.Ro.

A diversa conclusione deve pervenirsi con riguardo all'imputato Ve.Ra.

Infatti, oltre a comparire in un solo istante della colluttazione (fotogramma n 12), il teste Va. ha precisato che lo stesso è sembrato non essere direttamente coinvolto negli scontri, apparendo, piuttosto, obbligato a compiere il gesto contro il Co. (evidentemente temendo il giudizio dei fratelli Di.Ro. ove non fosse intervenuto); difetterebbe, per tali ragioni - in capo allo stesso - l'elemento soggettivo del reato contestato consistente nella coscienza e volontà di partecipare alla contesa con animo offensivo.

L'imputato Ve. deve, pertanto, essere mandato assolto dal reato ascrittogli al capo a), per difetto dell'elemento soggettivo e, conseguentemente, anche dal reato contestato al capo b).

Quanto alla posizione del Co.Ma., è emerso che lo stesso sia stato destinatario di procedimento disciplinare con irrogazione della sanzione dell'esclusione delle attività in comune per la durata di giorni sette (cfr. Verbale consiglio di disciplina della Casa Circondariale di Pescara del 16.7.2020).

Sulla base di tale dato, la Difesa ha formulato richiesta di non doversi procedere nei confronti del detto imputato, ai sensi dell'art. 649 c.p.p., sulla base di una valutazione conforme all'indirizzo espresso dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo sul diritto a non essere perseguiti due volte per lo stesso fatto, previsto dall'art. 4 del prot. 7 della Convenzione. Il Tribunale ritiene che tale richiesta non possa trovare accoglimento, anche in relazione alla lettura fornita dalla Suprema Corte (Cass. Sez. II, Sent. 3415 del 2016) alla sentenza della Grande Camera della Corte Edu pronunciata nel caso A e B c/ Norvegia (sentenza del 15.11.2016) generando una interpretazione 'consolidata" della giurisprudenza europea in ordine alle precedenti fibrillazioni in materia di ne bis in idem. Alla decisione della Corte di Strasburgo consegue onere di ermeneutico adeguamento del diritto interno. Rileva la Suprema Corte (Cass. pen. Sez. II, 12/03/2024, n. 10399) che non è configurarle la violazione del divieto di bis in idem nel caso di soggetto detenuto, già sanzionato disciplinarmente ex art. 81, comma 2, D.P.R. n. 230/2000, successivamente chiamato a rispondere per lo stesso fatto del reato di cui all'art. 635 c.p.: il divieto di bis in idem tra

procedimento disciplinare e procedimento penale non è stato fin qui affermato dalla Corte EDU, che anzi lo ha espressamente escluso, come peraltro già chiarito nel Rapporto esplicativo sul Protocollo 7; in ogni caso, alla sanzione disciplinare de qua, in applicazione dei cc.dd. "criteri En.", non può essere attribuita natura penale.

In proposito, ha osservato il Supremo Collegio che il divieto di bis in idem è sancito a livello convenzionale dall'art. 4, Par. 1, del Protocollo addizionale alla Convenzione Europea per la salvaguardia dei Diritti dell'Uomo e delle libertà fondamentali (d'ora in poi, Convenzione EDU), a norma del quale "nessuno può essere perseguito o condannato penalmente dalla giurisdizione dello stesso Stato per un reato per il quale è già stato assolto o condannato a seguito di una sentenza definitiva conformemente alla legge ed alla procedura penale di tale Stato".

La predetta disposizione ha costituito oggetto di plurimi interventi della Corte EDU, ed in particolare, di una decisione della (…) (sentenza 15 novembre 2016, caso A. e B. c. Norvegia), che ha rigettato il ricorso di due contribuenti i quali, per la medesima evasione fiscale, avevano riportato condanna in sede penale ed in sede amministrativa (ad una sanzione tributaria), valorizzando, per escludere che fosse stato violato il divieto di bis in idem la circostanza che, pur essendo stati formalmente celebrati in danno dei ricorrenti, per lo stesso fatto, due distinti procedimenti, che avevano conclusivamente comportato l'irrogazione, in danno dei predetti, di due distinte sanzioni, in concreto, i predetti procedimenti avevano costituito distinti segmenti di un medesimo, complesso, unitario iter giudiziario. La citata decisione della (…) della Corte EDU ha richiamato, per determinare l'identità del fatto contestato (che costituisce uno dei presupposti di operatività del divieto de quo), la sua precedente sentenza del 10/02/2009, caso Serguei Zolotoukhine c. Russia, osservando che, "a partire da tale sentenza, è chiaro che la questione di stabilire se entrambi i procedimenti riguardassero lo stesso reato deve essere analizzata sulla base dei soli fatti (si vedano in particolare i paragrafi 82 e 84 della sentenza). I due procedimenti verteranno sullo stesso reato se traggono origine da "fatti identici o fatti che sono sostanzialmente gli stessi" (Par. 82). E dunque necessario che "l'esame riguardi quei fatti che costituiscono un insieme di circostanze fattuali concrete che implicano la stessa persona e indissolubilmente legate tra loro dal punto di vista temporale e dello spazio" (Par. 84)".

La sentenza emessa della (…) della Corte EDU nel caso A. e B. c. Norvegia ha ribadito anche la necessità di far riferimento ai cc. dd. "criteri Engel" (così definiti in riferimento alla sentenza che per prima li enunciò: Corte EDU, 8 giugno 1976, caso Engel c. Paesi Bassi) per qualificare la natura "sostanzialmente penale" delle sanzioni irrogabili per uno stesso fatto (che costituisce altro presupposto di operatività del divieto de quo), ed evitare che gli ordinamenti nazionali, per eludere il predetto divieto, con una sorta di "frode delle etichette" qualifichino formalmente come amministrative sanzioni sostanzialmente penali. I predetti criteri valorizzano, ai fini della qualificazione della natura sostanziale di una sanzione:

- la qualificazione giuridica dell'infrazione nel diritto interno;

- la natura dell'infrazione o dell'illecito;

- il grado di severità della sanzione applicabile.

Trattasi di criteri validi anche alternativamente, che non devono quindi necessariamente concorrere.

La (…) ha, invece, ritenuto non più necessaria l'interruzione del procedimento ancora pendente all'atto della definitività di quello concomitante avente ad oggetto l'idem factum, fissando una regola nuova, secondo la quale la violazione del divieto di bis in idem sancito dall'art. 4, Prot. 7, Conv. EDU è esclusa, ed i distinti procedimenti finalizzati all'irrogazione di sanzioni penali ed amministrative possono essere portati entrambi a conclusione, quando tra essi sussista un "nesso materiale e temporale sufficientemente stretto: "in altre parole, deve essere dimostrato che questi ultimi si combinavano in maniera da essere integrati in un tutto coerente. Questo significa non solo che gli scopi perseguiti e i mezzi utilizzati per raggiungerli devono essere in sostanza complementari e presentare un nesso temporale, ma anche che le eventuali conseguenze derivanti da una tale organizzazione del trattamento giuridico del comportamento in questione devono essere proporzionate e prevedibili per la persona sottoposta alla giustizia" (Par. 130).

Secondo la (…), in particolare, esiste un nesso sufficientemente stretto dal punto di vista materiale tra due (o più) procedimenti aventi ad oggetto lo stesso fatto (Par. 132):

- se i diversi procedimenti perseguono scopi complementari e riguardano in tal modo, non soltanto in abstracto ma anche in concreto, gli aspetti diversi dell'atto pregiudizievole per la collettività interessata;

- se il carattere misto dei procedimenti in questione sia una conseguenza prevedibile, sia in diritto che in pratica, dello stesso comportamento sanzionato;

- se i procedimenti in questione siano stati condotti in maniera da evitare per quanto possibile qualsiasi ripetizione nella raccolta e nella valutazione degli elementi di prova, soprattutto grazie ad una interazione adeguata tra le diverse autorità competenti, facendo apparire che l'accertamento dei fatti compiuto in uno dei procedimenti è stato ripreso nell'altro;

- se la sanzione imposta all'esito del procedimento conclusosi per primo sia stata considerata nell'ambito del procedimento che si è concluso per ultimo, in modo da non finire con il far gravare sull'interessato un onere eccessivo, rischio, quest'ultimo, che è meno suscettibile di

presentarsi se esiste un meccanismo compensatorio concepito per assicurare che l'entità globale di tutte le pene pronunciate sia proporzionata.

Sotto il profilo strettamente temporale, tale nesso è stato ritenuto configurabile quando tra i due procedimenti sussista anche un collegamento di natura cronologica; ciò non rende, peraltro, necessario, che i due procedimenti siano condotti simultaneamente dall'inizio alla fine. Tuttavia, deve esservi sempre un nesso temporale.

Si è, pertanto, concluso che la celebrazione di distinti procedimenti e la conclusiva irrogazione di più sanzioni aventi natura sostanzialmente penale non viola necessariamente il divieto di bis in idem convenzionale, sancito dall'art. 4, Protocollo 7, alla Convenzione EDU, in quanto la previsione normativa di un doppio binario sanzionatorio, sussistendo tra i procedimenti un nesso sostanziale e temporale "sufficientemente stretto", nei termini illustrati, si traduce in un sistema integrato che permette di affrontare i diversi aspetti dell'illecito in maniera prevedibile e proporzionata nel quadro di una strategia unitaria.

Secondo un orientamento ormai consolidato (così, per tutte, da ultimo, Sez. U, n. 8544 del 24/10/2019, dep. 2020, Genco, Rv. 278054 - 01), il giudice nazionale è vincolato soltanto dalle sentenze pilota e da quelle espressive gì orientamenti consolidati della giurisprudenza europea, che, tuttavia, in relazione ai rapporti tra separati procedimenti finalizzati all'irrogazione di sanzioni penali e sanzioni disciplinari, non soltanto non ha mai affermato l'operatività del divieto di bis in idem sancito dall'art. 4 del Protocollo n. 7 alla Convenzione EDU, ma anzi la ha espressamente esclusa (Corte EDU, (…), sentenza 21 febbraio 1984, caso Ozturk c. Germania, Par. 53; Corte EDU, (…), sentenza 10 febbraio 2009, caso Sergey Zolotukhin c. Russia, Par. 55).

Come dedotto dal Governo norvegese nel caso deciso dalla Corte EDU, (…), sentenza 15 novembre 2016, caso A. e B. c. Norvegia (Par. 67), dal Rapporto esplicativo sul Protocollo n. 7 risulta che il contenuto dell'art. 4 del Protocollo è stato concepito per riguardare i procedimenti penali intesi stricto sensu. Tale rapporto indica, nel Par. 28, che non era sembrato necessario definire l'illecito come "penale" in quanto il contenuto dell'articolo 4, "che contiene già i termini "penalmente e "procedimento penale", rendeva questa precisazione inutile nel testo stesso dell'articolo"; nel successivo Par. 32, il Rapporto sottolinea che l'art. 4 del Protocollo n. 7 non vieta che si tengano procedimenti "di natura diversa (ad esempio un procedimento disciplinare, nel caso di un funzionario)". La prospettazione, non contestata dalla (…), pur improduttiva di conseguenze ai fini della decisione del caso A. e B (che riguardava sanzioni di natura non disciplinare, ma tributaria), appare di grande rilievo in relazione al caso in ora esame, riguardante proprio sanzioni disciplinari.

D'altro canto, in più occasioni la (…) della Corte EDU (21/02/1984, caso Ozturk c. Germania, Par. 53; 10/02/2009, caso Sergey Zolotukhin c. Russia, Par. 55), ai fini dell'attribuzione della natura sostanzialmente penale ad una sanzione formalmente non penale, ha evidenziato che la sanzione "sostanzialmente penale" si caratterizza per la circostanza di essere diretta alla generalità dei consociati ("towards ali citizens rather than towards a group possessing a special status"; la prima delle sentenze citate precisa, inoltre, "in the manner, for example, of disciplinary law"), di tal che incide negativamente sulla configurabilità del terzo dei criteri Engel (gravità delle conseguenze in cui l'incolpato può incorrere in conseguenza della commissione dello "stesso fatto" costituente oggetto di due distinti procedimenti) il fatto che la sanzione in disamina non risulti efficace nell'ambito della generalità dei consociati. La giurisprudenza penale interna, con riguardo ad una fattispecie simile a quella oggetto del presente procedimento, (Cass. Sez. 2, n. 9184 del 15/12/2016, dep. 2017, Pagano, Rv. 269237-01), ha inizialmente ritenuto che non sussiste la preclusione all'esercizio dell'azione penale ex art. 649 cod. proc. pen., quale conseguenza della già avvenuta irrogazione, per lo stesso fatto, di una sanzione formalmente amministrativa ma sostanzialmente "penale", ai sensi dell'art. 4 del Protocollo 7 alla Convenzione EDU (come interpretato dalla sentenza della Corte EDU, (…), 15/11/2016, A. e B. c. Norvegia), allorquando le due procedure risultino complementari, in quanto dirette al soddisfacimento di finalità sociali differenti, e determinino l'inflizione di una sanzione penale "integrata", che sia prevedibile e, in concreto, complessivamente proporzionata al disvalore del fatto, ritenendo altresì la contiguità temporale dei distinti procedimenti cui l'interessato era stato separatamente sottoposto.

In applicazione del principio, è stata annullata con rinvio una sentenza che aveva dichiarato non doversi procedere per il reato di danneggiamento aggravato commesso da un detenuto su una finestra della casa circondariale in cui era ristretto, sulla base della considerazione che l'imputato aveva già subito la sanzione disciplinare della esclusione dalle attività in comune per 5 giorni.

In seguito, e con decisione maggiormente condivisibile, e sempre con riguardo ad una fattispecie simile a quella oggetto del presene procedimento, è stata esclusa la possibilità di attribuire natura sostanzialmente penale alle sanzioni disciplinari, in quanto esse sono valide ed efficaci soltanto all'interno di una ristretta cerchia di consociati, e fino a che il soggetto sanzionato ne faccia parte (Sez. 2, n. 43434 del 20/06/2017, Reho, non mass.; per l'impossibilità di attribuire natura sostanzialmente penale a sanzioni disciplinari, cfr. anche Sez. 2, n. 5048 del 09/12/2020, dep. 2021, Russo, Rv. 280570 - 01, in fattispecie riguardante una sanzione amministrativa irrogata in ambito assicurativo - ISVASS - a seguito di procedimento disciplinare relativo agli stessi fatti oggetto di procedimento penale). D'altro canto, anche la giurisprudenza civile interna è ferma nel ritenere che la sanzione disciplinare ha come destinatari gli appartenenti ad un ordine professionale ed è preordinata all'effettivo adempimento dei doveri inerenti al corretto esercizio dei compiti loro assegnati, il che comporta che ad essa non possa attribuirsi natura sostanzialmente penale (Sez. civ. 2, n. 2927 del 03/02/2017, Rv. 643161 - 01, in fattispecie riguardante il procedimento disciplinare a carico di un notaio; conforme, Sez. lav., n. 25485 del 26/10/2017, Rv. 646112 - 01, in materia di pubblico impiego privatizzato).

Il principio è stato più recentemente ribadito da Cass. Sez. civ. 2, n. 9114 del 31/03/2023, Rv. 667519 - 01 (fattispecie riguardante un procedimento disciplinare nei confronti di un medico odontoiatra), per la quale la sanzione disciplinare ha come destinatari gli appartenenti a un ordine professionale ed è preordinata all'effettivo adempimento dei doveri inerenti al corretto esercizio dei compiti loro assegnati, sicché ad essa non può attribuirsi - secondo le statuizioni della sentenza della Corte EDU 4 marzo 2014, Grande Stevens ed altri c/o Italia - natura sostanzialmente penale.

La giurisprudenza della Corte EDU e quella di legittimità penale e civile sono quindi sostanzialmente concordi nell'escludere la configurabilità dei presupposti di operatività del divieto di bis in idem tra procedimento penale e procedimento disciplinare, poiché quest'ultimo può comportare unicamente l'irrogazione di sanzioni mai sostanzialmente penali, in quanto conseguenti alla violazione di regole di comportamento valevoli unicamente nell'ambito di una cerchia ristretta di soggetti, ma non anche della generalità dei consociati, essendo finalizzate unicamente a regolare l'ordinato svolgersi dei reciproci rapporti in determinati contesti e/o settori.

Dunque, pur facendo applicazione dei "criteri En.", alla sanzione disciplinare irrogata al detenuto non può essere attribuita natura sostanzialmente penale, in particolare quanto alla sua "gravità", decisivamente condizionata, in senso negativo, dal fatto che detta sanzione eserciterebbe efficacia afflittiva soltanto nel contesto carcerario e fino a che il soggetto sanzionato ne faccia parte, ma non eserciterebbe alcuna efficacia al di fuori di tale contesto. Deve, pertanto, escludersi che ricorra, nel caso di specie, un'ipotesi di bis in idem.

Agli imputati viene, altresì, contestato di aver cagionato, in concorso tra loro, e nel partecipare ad una rissa, a Co.Ma. e Di.Ro. lesioni personali giudicate guaribili, per ciascuno, in giorni 11 e con l'aggravante di aver cagionato il fatto con strumenti atti ad offendere (sgabelli e bastoni).

Dai certificati medici prodotti dal Pubblico Ministero si evince che, al Co., venivano certificate "lesione lacero contusa, sanguinamento del cuoio capelluto in regione pareto-occipitale sinistra per la quale sono state applicati undici punti di sutura; numero escoriazioni superficiali nell'arto superiore sinistro dovute ai chiodi della sedia; escoriazioni a livello del ginocchio dx". Allo stesso modo, al Di.Ro. il personale della Asl certificava "lesione lacero contusa sanguinamento del cuoio capelluto in regione occipitale per la quale sono state applicati sette punti di sutura; due escoriazioni superficiali in regione palmare sulla mano sinistra; escoriazioni multiple a livello dorsale; algia mano, polso avambraccio sinistro e algia caviglia destra ma in entrambi le zone non vi è presenza di ematomi" (cfr. certificati Asl di Pescara del 17.8.2020, in atti).

Ai predetti imputati - definiti dall'Isp. BE. come "i principali autori" della rissa -venivano diagnosticati undici giorni di prognosi (cfr. certificati prodotti all'udienza dell'8.1.2024).

La configurabilità del reato di rissa aggravata da lesioni (o morte) non esclude, a carico dei corrissanti non autori materiali né morali della lesione (o dell'omicidio), la concorrente responsabilità, a titolo di concorso anomalo ex art. 116 c.p. per questi ulteriori delitti, a condizione che le caratteristiche della contesa consentano di prevedere tale sviluppo. La Suprema Corte, in tali casi, richiede ai fini della configurabilità della responsabilità, a titolo di concorso anomalo dei corrissanti non autori del fatto lesivo, di verificare se la contesa sia caratterizzata sin dal suo esordio da reciproci intenti lesivi (Cassazione penale, sez. V, 02/10/2019, n. 45356).

Per la dinamica e lo sviluppo delle azioni, è evidente che la rissa sia sorta con il solo intento lesivo da parte di ciascuno dei componenti i due gruppi.

Si condivide, dunque, l'orientamento maggioritario nella giurisprudenza di legittimità, secondo cui, allorché nel corso di una rissa taluno rimanga ferito o ucciso, anche i corrissanti che non siano autori materiali delle lesioni o dell'omicidio devono rispondere di tali reati: ai sensi dell'art. 110 c.p., ove abbiano provocato direttamente l'evento, ovvero ai sensi dell'art. 116, ove l'abbiano determinato per colpa (Cass., n. 32027 del 19/2/2014-01; sez. 1, n. 16762 del 3/2/2010-01; sez. 1, n. 283 del 19/11/2009-01).

Inoltre, le lesioni riportate sono certamente compatibili con le modalità dell'aggressione attuata con l'utilizzo di strumenti atti ad offendere, quali sgabelli e bastoni di legno; può ritenersi, pertanto, accertata la sussistenza dell'aggravante contestata di cui all'art. 585 c.p.

Le risultanze istruttorie, infatti, permettono di ritenere configurata la contestata aggravante di cui all'art. 585 c.p. posto che venivano utilizzati, da ciascuno dei partecipanti, strumenti atti ad offendere e, segnatamente, sgabelli e bastoni di legno.

Può quindi dirsi accertata la penale responsabilità in ordine ai reati di cui ai capi a) e b) per Di.Ro., DI.RO., DI.RO. Ma., CO.Ma. e DI.MA.

I reati contestati sono stati consumati in un medesimo contesto spazio-temporale, e quindi, con tutta evidenza, nel perseguimento di un identico disegno criminoso. Va, quindi, applicata la disciplina di cui all'art. 81 cpv c.p.

Passando alla concreta determinazione della pena, correttamente contestata è la recidiva reiterata e infraquinquennale per DI.MA., DI.RO. e CO.Ma.

Alla stessa conclusione deve pervenirsi per la contestata recidiva specifica, infraquinquennale e reiterata per Di.Ro. e DI.RO., apparendo la condotta di reato sintomatica di una incrementata capacità a delinquere in considerazione delle modalità della condotta e della pretestuosità dell'innesco della reazione violenta.

Quindi, non sussistendo elementi per il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, tenuto conto dei parametri di cui all'art. 133 c.p., ritenuto più grave il reato di cui al capo a) pena equa risulta essere quella di anni uno di reclusione (pena base per il reato di cui al capo a) mesi sei di reclusione aumentata per la recidiva a mesi dieci di reclusione, ulteriormente aumentata per la continuazione con il reato di cui al capo b) ad anni uno di reclusione).

I precedenti da cui sono gravati gli imputati escludono che possa essergli concesso il beneficio della sospensione condizionale della pena.

Il riconoscimento della penale responsabilità comporta la condanna degli imputati, ai sensi dell'art. 535 c.p.p. al pagamento delle spese processuali, in solido tra loro.

La pena detentiva può essere sostituita con quella pecuniaria prevista dalla L. 689/1981 e si ritiene che la sostituzione possa avvenire, prendendo in considerazione il reddito dichiarato nell'istanza di ammissione al Patrocinio a spese dello Stato avanzata dai condannati tutti contenuti nei limiti di ammissione al beneficio, individuando quale valore giornaliero della sostituzione quello di Euro 20,00, ritenuto congruo.

Tale valore, moltiplicato per i giorni di pena detentiva (365, pari cioè ad anni uno di reclusione), determina l'ammontare complessivo della pena sostitutiva in Euro 7.300,00 di multa (pena delia specie corrispondente).

P.Q.M.
Visto l'art. 530 comma II c.p.p., assolve VE.Ra. dai reati a lui ascritti, per non aver commesso il fatto.

Visti gli artt. 533 e 535 c.p.p., dichiara DI.MA., DI.RO. e CO.Ma., Di.Ro. e DI.RO., colpevoli dei reati a loro ascritti ai capi a) e b) e, per l'effetto, ritenuta la continuazione tra i reati e più grave il reato di cui al capo a) li condanna ciascuno alla pena di anni uno di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali.

Visti gli artt. 545 bis c.pp., 53 e ss. e 56-quater L. 689/1981.

Considerata l'intervenuta ammissione dei condannati al Patrocinio a spese dello Stato si ritiene di applicare la pena sostitutiva nella misura prossima al minimo di Euro 20,00 giornalieri.

Sostituisce la pena detentiva sopra indicata con la pena pecuniaria sostitutiva della multa pari a Euro 7.300,00 (trecentosesantacinque giorni di pena detentiva per il valore giornaliero pari ad Euro 20,00, determinato ai sensi dell'art 56 quater L. 689/1981).

Avverte i condannati alla pena sostitutiva che, in caso di mancato pagamento, la pena sostitutiva potrà essere revocata con conversione del residuo in altra pena sostitutiva, ai sensi dell'art 71 L. 689/81.

Termine di giorni 90 per il deposito della motivazione della sentenza.

Così deciso in Pescara l'1 luglio 2024.

Depositata in Cancelleria il 19 luglio 2024.

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