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Minaccia grave: condanna a un mese e 10 giorni di reclusione (Tribunale di Pescara - Giudice Monocratico dott.ssa Francesca Manduzio)


Reato di minaccia (art. 612 c.p.)

Proponiamo una sentenza di merito, pronunciata dal Tribunale di Pescara, in funzione di giudice di appello, con la quale l'imputato è stato condannato per il reato di minaccia aggravata previsto dall'art. 612 c.p.


Tribunale Pescara, 25/07/2023, (ud. 03/05/2023, dep. 25/07/2023), n.531

RAGIONI IN FATTO E IN DIRITTO DELLA DECISIONE

Terminate le indagini preliminari nei suoi confronti, Mi.Ma. è stato citato a giudizio con decreto del P.M. in sede per rispondere del reato ascritto in rubrica. Espletata l'istruttoria dibattimentale, consistita nell'esame dei testi ammessi il precedente 18.5.2022 e nella acquisizione dei documenti prodotti dalla difesa, le parti, all'udienza dell'8 marzo 2023 hanno formulato le rispettive conclusioni (sinteticamente riportate nel verbale e da intendersi qui integralmente ritrascritte); all'esito, il Tribunale ha pronunciato sentenza di cui è stata data immediata lettura in aula. A seguito della lettura del dispositivo è stato dato avviso alle parti della sussistenza delle condizioni per sostituire la pena detentiva con una delle pene sostitutive ex art. 53 L. n. 689/81. L'imputato non ha espresso il consenso alla sostituzione della pena detentiva con una pena diversa da quella pecuniaria, quindi il Giudice, sentito il PM, ha rinviato all'udienza del 26.4.23 con sospensione del processo, al fine di decidere sulla sostituzione della pena detentiva con quella pecuniaria, onerando il condannato di depositare, fino a cinque giorni prima dell'udienza, il modello ISEE.

All'udienza fissata il difensore, il difensore ha riferito che l'imputato, benché notiziato dell'esito del giudizio, non ha fornito alcuna documentazione riferita alle proprie condizioni economiche, ai fini della ipotizzata calibrazione del trattamento sanzionatorio; il Tribunale ha quindi confermato il dispositivo reso in data 8 marzo 2023 nei confronti dell'imputato.

All'esito della compiuta istruttoria, ritiene il giudicante che siano emersi elementi idonei a costituire il necessario presupposto logico di una sentenza di condanna nei confronti di Mi.Ma., sussistendo a carico del prevenuto elementi probatori che, complessivamente esaminati, confluiscono in un'unica ricostruzione logica del fatto e nella conseguente responsabilità del medesimo.

Ed invero, dalla disamina del materiale probatorio acquisito agli atti e valutando - a sensi e per gli effetti dell'art. 192 c.p.p. - le testimonianze rese dai testi assunti, è emerso che l'odierno imputato ebbe a minacciare il Di. brandendo nei suoi confronti uno scalpello.

Va premesso che i fatti per cui si procede vanno inquadrati nell'ambito della radicata ostilità tra l'imputato e la persona offesa, maturata nel corso degli anni per pregressi contrasti di natura condominiale.

E' in tale contesto conflittuale, alimentato da reciproche accuse, che si inserisce la vicenda in esame in cui gli animi dei protagonisti, oramai esacerbati, risultano irreversibilmente contrapposti.

La p.o., che ha reso deposizione chiara e lineare, ha riferito che la sera del 30 dicembre 2021 era salito al piano sottotetto per prelevare alcuni oggetti dal proprio vano magazzino, ma aveva trovato la porta di accesso ai tre ripostigli condominiali chiusa a chiave e con la serratura cambiata, pertanto, aveva cercato di forzare la porta; in quel momento sopraggiungeva il prevenuto che lo aggrediva verbalmente minacciando di percuoterlo; ne nasceva una accesa discussione nel corso della quale il Mi.Ma. estraeva uno scalpello e lo brandiva nei confronti del Di. minacciandolo di morte; nel contempo sopraggiungevano i familiari dei due uomini, richiamati dalle urla del Di.; la discussione degenerava in una colluttazione, in cui era coinvolta anche la moglie del Mi.Ma. che partecipava attivamente alla azione violenta del marito, all'esito della quale la p.o. riportava lesioni personali (rispetto alle quali sia il prevenuto che la moglie, sono stati giudicati dal giudice di pace con sentenza di condanna acquisita in atti).

Il Di. ha raccontato di essere stato aggredito dal prevenuto, di essere caduto a terra e di essere riuscito a fatica a bloccare la mano del Mi.Ma. con cui teneva lo scalpello e a liberarsi; nel frattempo giungevano sul posto gli agenti della locale Questura, chiamati dalla sua compagna, ai quali consegnava lo scalpello utilizzato dall'imputato. La teste indicata dalla difesa, Ga.Ma., moglie dell'imputato, ha riferito dei numerosi litigi tra il marito e il Di. e dei "dispettucci" che quest'ultimo era solito fargli; ha quindi raccontato di aver visto i due litigare e percuotersi reciprocamente; pur confermando che il marito era in possesso di uno scalpello, ha precisato che "ce l'aveva in mano non in modo offensivo", aggiungendo che era "caduto con lo scalpello sulla pancia" e che lei stessa era intervenuta per "cercare di togliere questo scalpello". L'Ass. Po., ha riferito di essere intervenuto in seguito alla segnalazione di una animata lite tra due nuclei familiari per questioni condominiali legate all'accesso nel vano sottotetto e alla forzatura della porta di ingresso; ha quindi ricordato che, giunto sul posto in seguito al litigio, aveva constatato che il Di. lamentava dolore al ventre e mostrava delle ferite sulla tibia e dei graffi sul mento, oltre ad avere gli occhiali da vista danneggiati; l'uomo consegnava agli agenti lo scalpello con il quale sosteneva di essere stato minacciato e che aveva sottratto al prevenuto, che veniva posto sotto sequestro.; il teste ha inoltre aggiunto che anche il Mi.Ma. presentava una escoriazione con leggera fuoriuscita di sostanza ematica sulla tempia sinistra. L'imputato non si è sottoposto all'esame.

Così riassunti gli elementi di fatto emersi dall'istruttoria dibattimentale può senza alcun dubbio affermarsi la penale responsabilità dell'imputato Mi.Ma. per il reato di manaccia aggravata ai danni del Di.Fa.. La deposizione della p.o. è stata chiara, lucida, articolata e logicamente coerente. Sotto ogni aspetto, dunque, le dichiarazioni del Di. superano il pur rigoroso vaglio critico cui debbono esser sottoposte le affermazioni accusatorie provenienti da un teste che sia anche persona offesa.

Nel caso concreto, quanto riferito dalla persona offesa, che peraltro non si è costituita parte civile, è dotato di un'attendibilità certa, né risulta smentito dalle dichiarazioni del teste a difesa.

Del resto la teste Ga., moglie del prevenuto, non può ritenersi disinteressata all'esito del giudizio, stante il suo coinvolgimento nella vicenda in esame, anche per essere stata imputata e condannata (unitamente al Mi.Ma.) nell'ambito del processo relativo alle lesioni riportate dalla p.o. nella stessa occasione.

Ritiene il giudicante che quanto riferito dalla persona offesa converga univocamente verso l'indicazione di una irreversibile incapacità del Mi.Ma. di rapportarsi civilmente, ed è in tale contesto che s'inquadra coerentemente l'atteggiamento minaccioso tenuto dall'imputato e descritto dalla vittima. Alcun concreto elemento è emerso in favore dell'imputato.

Ciò posto, sussistono pacificamente gli estremi del reato contestato, avendo l'imputato minacciato alla p.o. un male il cui avverarsi dipendeva dalla sua volontà. Né può dubitarsi della apprezzabile potenzialità minacciosa del contegno tenuto dall'imputato.

In proposito va ricordato che nel reato di minaccia elemento essenziale è la limitazione della libertà psichica mediante la prospettazione del pericolo che un male ingiusto possa essere cagionato dall'autore alla vittima, senza che sia necessario che uno stato di intimidazione si verifichi concretamente in quest'ultima, essendo sufficiente la sola attitudine della condotta ad intimorire e irrilevante l'indeterminatezza del male minacciato purché questo sia ingiusto e possa essere dedotto dalla situazione contingente (Sez. 5, n. 31693 del 07/06/2001, Tr., Rv. 219851).

D'altronde, anche ai fini della configurabilità del reato di minaccia grave, ex art. 612, comma secondo, cod. pen., rileva l'entità del turbamento psichico che l'atto intimidatorio può determinare sul soggetto passivo, mentre che sia necessario che la minaccia sia circostanziata, potendo benissimo, ancorché pronunciata in modo generico, produrre un grave turbamento psichico, avuto riguardo alle personalità dei soggetti (attivo e passivo) del reato (Sez. 5, n. 44382 del 29/05/2015, M., Rv. 26605501). Sotto altro profilo va anche ricordato che l'elemento soggettivo del reato di minaccia si caratterizza per il dolo generico consistente nella cosciente volontà di minacciare un male ingiusto, indipendentemente dal fine avuto di mira (Sez. 5, n. 50573 del 24/10/2013, S., Rv. 257765).

Inoltre, ai fini dell'integrazione del reato di minaccia di cui all'art. 612 c.p. non è necessaria la pronuncia di frasi aventi tale contenuto, ben potendo anche un mero comportamento presentare i connotati minatori, quando la condotta risulti oggettivamente caratterizzata da atteggiamenti marcatamente minacciosi. Non è necessario che il soggetto passivo si sia sentito effettivamente intimidito, essendo sufficiente che la condotta dell'agente sia potenzialmente idonea ad incidere sulla libertà morale della vittima (Cassazione, Sezione V, Sentenza 9 aprile 2020, n. 11708). La minaccia è indubbiamente grave in quanto eseguita con una scalpello, in modo tale da costituire un pericolo serio per l'incolumità della p.o., pertanto il reato è procedibile d'ufficio.

Quanto alla determinazione della sanzione da irrogare, va esclusa la concessione di circostanze attenuanti generiche, che non trovano alcuna giustificazione nel caso di specie, sia con riferimento delle modalità del fatto che al comportamento processuale tenuto dal prevenuto, caratterizzato dalla assenza del benché minimo segno di resipiscenza.

Prive, dunque, di qualsiasi giustificazione, le attenuanti ex art. 62 bis c.p. si tradurrebbero in una arbitraria riduzione, da parte del Giudice, della pena stabilita dal legislatore. Tenuto conto della contestata recidiva, si stima quindi equa la pena di mesi uno e gg. 10 di reclusione.

Segue inoltre come per legge la condanna dell'imputato al pagamento delle spese del processo.

Visti i precedenti, non può essergli concesso il beneficio della sospensione condizionale della pena, considerato che non può presumersi che si asterrà da commettere reati. Per le medesime ragioni, non può applicarsi l'art. 131 bis c.p..

Si precisa che non vi sono i presupposti per sostituire la pena detentiva con quella pecuniaria ex art. 56 quater l. 689/1981, sia in quanto il giudice non dispone di alcun elemento in base al quale operare la conversione della pena detentiva nella corrispondente pena pecuniaria e, dunque, formulare un giudizio sulla efficacia rieducativa della pena sostitutiva, sia considerata la personalità del Di., gravato da plurime condanne per delitti di lesioni, insolvenza fraudolenta e furto.

Si ritiene quindi non vi siano le condizioni per ottenere la rieducazione ed assicurare le prevenzione del pericolo di reati da parte dello stesso, posto peraltro che si ha fondato motivo per ritenere che le prescrizioni eventualmente imposte non saranno adempiute.


P.Q.M.

Visti gli artt. 533, 535 c.p.p. dichiara Mi.Ma. colpevole del reato a lui ascritto in rubrica e lo condanna alla pena di mesi uno e gg. 10 di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali.

Motivazione entro 90 gg..

Così deciso in Pescara il 3 maggio 2023.

Depositata in Cancelleria il 25 luglio 2023.

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