La massima
In tema di omesso versamento di ritenute certificate, di cui all' art. 10-bis d.lg. 10 marzo 2000, n. 74 , per integrare il rilascio ai sostituiti delle certificazioni attestanti le ritenute operate dal datore di lavoro quale sostituto di imposta non si richiede soltanto la formazione, ancorché perfezionata attraverso la loro sottoscrizione, delle certificazioni in esame, ma è necessaria l'avvenuta esternazione di queste ultime rispetto alla sfera del loro redattore e la loro materiale consegna ai rispettivi destinatari o, quanto meno, a taluno di essi. (Fattispecie alla quale la Corte ha ritenuto applicabile, ratione temporis, la disciplina dettata dall' art. 10-bis cit. nel testo anteriore alla modifica apportata dall' art. 7, comma 1, lett. b), d.lg. 24 settembre 2015, n. 158 - Cassazione penale , sez. III , 13/07/2020 , n. 25987).
Fonte: Ced Cassazione Penale
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La sentenza integrale
Cassazione penale , sez. III , 13/07/2020 , n. 25987
RITENUTO IN FATTO
La Corte di appello di Milano ha, con sentenza pronunziata in data 8 luglio 2019, rigettato l'appello proposto da R.E. avverso la sentenza del Tribunale di Lecco del 21 maggio 2018, con la quale il giudice di primo grado, dichiarata la penale responsabilità dell'imputato in relazione ai reati a lui ascritti, aventi ad oggetto la violazione del D.Lgs. n. 74 del 2000, artt. 10-bis e 10-ter per avere egli omesso, in qualità di legale rappresentante della Beco Srl, il pagamento in favore dell'Erario quanto all'anno (OMISSIS), sia delle imposte dalla stessa trattenute, in qualità di sostituto di imposta, sulle retribuzioni versate ai propri dipendenti nella misura, risultante dalle certificazioni rilasciate a questi ultimi, di Euro 355.486,00, sia dell'Iva risultante dalla dichiarazione annuale in misura pari ad Euro 336.028,00, entro il termine di legge, lo aveva condannato, esclusa la contestata recidiva e non concesse le attenuanti generiche, non ricorrendo elementi che le avrebbero giustificate, unificati i reati sotto il vincolo della continuazione, alla pena di anni 1 e mesi 4 di reclusione, disposta la sospensione condizionale della pena e la non menzione della avvenuta condanna; alla sentenza di condanna ha fatto seguito, altre alla condanne alle pene accessorie, anche la confisca, diretta o per equivalente dei beni mobili od immobili riferibili all'imputato, sino alla concorrenza della somma di Euro 654.329,00.
Nel rigettare in toto il gravame del prevenuto, la Corte territoriale ha osservato, indubbia essendo la circostanza dell'omesso versamento tributario, che vi erano elementi in atto - costituiti, principalmente, dalle dichiarazioni rese in dibattimento dalla curatrice fallimentare della Beco srl nonchè da altri elementi istruttoria di seguito meglio indicati - idonei a dimostrare che erano state rilasciate le certificazioni aventi ad oggetto l'avvenuta esecuzione delle trattenute fiscali da parte della predetta società sui trattamenti retributivi da questa versati ai propri dipendenti.
Che non vi era dubbio della sussistenza dell'elemento soggettivo dei reati contestati, consistente nel dolo generico riferito all'omesso versamento, non potendo considerarsi che tale condotta era stata resa necessaria da una crisi finanziaria che aveva colto la predetta società, posto che, onde spiegare effetti scriminanti, tale evento avrebbe dovuto essere non causalmente collegato a scelte imprenditoriali compiute dal R., il quale invece, pur consapevole delle difficoltà in cui da tempo si dibatteva la società da lui diretta, nulla aveva fatto per limitare il passivo della stessa, se non omettere di versare quanto dovuto all'Erario.
Quanto alle attenuanti generiche, la Corte territoriale ha concordato col giudice di primo grado sulla mancanza di elementi che ne avrebbero potuto consentire il riconoscimento.
Riguardo, infine alla confisca, trattandosi di società fallita, il cui unico bene immobile risulta gravato da ipoteca, ha ritenuto il giudice del gravame che ci si sia trovati di fronte alla ipotesi di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 12-bis in base al quale, ove non sia possibile eseguire la confisca dei beni del soggetto che si è direttamente giovato del reato, essa può essere sostituita dalla confisca dei beni del reo.
Avverso la predetta sentenza ha interposto un corposo ricorso per cassazione la difesa del prevenuto, affidandolo a diversi motivi di impugnazione, qui di seguito brevemente sintetizzati.
Col primo motivo il ricorrente ha lamentato il fatto che la Corte di merito abbia, per un verso, ritenuto integrato il reato di cui al capo a) della rubrica sulla base di talune dichiarazioni testimoniali, l'una, resa dal un ex dipendente della società interessata, contenente valutazioni personali e non fatti a lui conosciuti, l'altra, resa dalla curatrice del fallimento Beco, il cui contenuto richiama dichiarazioni di un altro soggetto che non è stato a sua volta esaminato, non sufficienti al fine in questione; il ricorrente rileva anche come la Corte di merito abbia, per altro verso, valutato integrato il reato sulla sola base dell'omesso versamento delle ritenute operate e non anche in funzione dell'avvenuto rilascio delle certificazioni di esse ai sostituiti di imposta, circostanza questa in relazione alla dimostrazione della quale non vi erano adeguati elementi probatori.
Con il secondo motivo di ricorso la difesa del R. ha lamentato, riguardo ad ambedue le imputazioni ascritte a quest'ultimo, il fatto che la Corte di merito abbia escluso che le deficitarie condizioni finanziarie in cui si trovava la Beco potessero costituire causa di forza maggiore scriminante l'avvenuto inadempimento tributario contestato; il ricorrente ha, infatti, lamentato che i giudici del merito abbiano ritenuto che, onde sottrarsi alla responsabilità penale, egli avrebbe dovuto fare quanto in suo potere al fine di adempire agli obblighi fiscali, facendo fronte ad essi anche col proprio patrimonio personale, fattore questo che presupporrebbe una sorta di responsabilità solidale fra l'amministratore di una società e quest'ultima, che si tradurrebbe nella negazione del principio della autonomia patrimoniale delle persone giuridiche e nella equiparazione dell'imprenditore societario a quello individuale.
Parimenti ingiustificata sarebbe, ad avviso del ricorrente, la pretesa di ancorare la sussistenza del requisito della forza maggiore al precedente infruttuoso tentativo, non esperito nella circostanza, di attivare forme di finanziamento bancario tali da ricostituire una qualche disponibilità nella Beco idonea a permetterle il pagamento delle imposte; nella fattispecie tale tentativo non era stato svolto, come segnalato e come non considerato in sede di merito, in quanto la Beco già presentava dei profili di criticità contabile che non avrebbero consentito l'ulteriore ricorso al credito bancario.
Su tali tematiche, dedotte in sede di impugnazione, la sentenza della Corte di Milano sarebbe stata, ad avviso del ricorrente, silente, in tal modo essendo stata evidenziata da questo la inadeguatezza motivazionale della medesima decisione.
Col terzo motivo di impugnazione la difesa dell'imputato ha censurato la sentenza in esame, in relazione al vizio di motivazione, quanto alla determinazione della pena, la quale è stata irrogata in misura ampiamente superiore al minimo edittale, sia relativamente alla pena base sia in relazione all'aumento disposto ai sensi dell'art. 81 c.p. cpv.; la Corte, infatti, si sarebbe limitata a richiamare, per giustificare il dedotto scostamento, l'entità delle somme evase, senza, esaminare gli altri elementi di giudizio normativamente previsti al fine di cui sopra.
Il quarto motivo di impugnazione ha ad oggetto il ritenuto vizio di motivazione in punto di esclusione della riconoscibilità delle circostanze attenuanti generiche; infatti, ad avviso del ricorrente, la Corte avrebbe posto a fondamento della sua decisione al riguardo le stesse argomentazioni che la avevano indotta ad escludere la sussistenza del requisito della forza maggiore, senza tenere conto delle effettive ragioni che avevano imposto al R. di omettere i versamenti tributari di cui ai capi di imputazione.
Con un ulteriore motivo di ricorso è stata dedotta, sia sotto il profilo del vizio di motivazione che sotto quello della violazione di legge, la illegittimità della sentenza impugnata nella parte in cui non è stata esclusa la applicabilità della confisca per equivalente in danno dell'imputato R.. A tale proposito il ricorrente evidenzia che, a tenore del D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 12-bis la confisca per equivalente a carico del reo, ove questi non sia il diretto beneficiario della omissione tributaria, ha carattere sussidiario rispetto alla confisca diretta del profitto del reato; considerato che nel caso il patrimonio della Beco avrebbe assicurato, data la sua ampiezza, la possibilità della confisca, diretta o comunque per equivalente, del profitto del reato, la confisca per equivalente dei beni dell'imputato non avrebbe avuto ragion d'essere.
Nel motivare il rigetto del motivo di impugnazione presentato avverso la sentenza di primo grado la Corte territoriale ha rilevato, diversamente dal Tribunale il quale aveva escluso la possibilità di operare la confisca diretta dei beni della Beco, in quanto non costituenti profitto del reato, e quella per equivalente data la non mera apparenza della predetta compagine societaria, che la confisca dei beni della Beco non era praticabile data la incapienza dei beni di questa a soddisfare integralmente i debiti tributari su di essa gravanti; circostanza questa non veritiera, in quanto il valore di essi sarebbe, per il ricorrente, di gran lunga superiore all'ammontare delle esposizioni debitorie, tributarie e non,. di tale società; circostanza questa che, sebbene dedotta in giudizio, non è stata esaminata da parte della Corte di merito.
Il ricorrente ha, ancora, lamentato che, pur disposta la sospensione condizionale della pena inflitta, questa non sia stata applicata anche alla confisca per equivalente, pur dovendosi annoverare anche questa nell'ambito del genus delle sanzioni penali accessorie.
Quale estremo motivo di impugnazione il ricorrente ha dedotto la omessa sospensione della efficacia della confisca per equivalente ai sensi del D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 12-bis sino alla definizione della procedura connessa alla dichiarazione di fallimento della Beco, posto che solo a tale momento sarebbe emersa la impossibilità per quest'ultima di fare autonomamente fronte al debito tributario su di essa gravante.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso, essendo risultato fondato il primo motivo di impugnazione, deve essere accolto, con rinvio, e salvo l'assorbimento di tutti i successivi motivi di censura.
E' opportuno precisare, onde meglio comprendere le ragioni della presente decisione, che la fattispecie, nella parte in cui essa ha ad oggetto la contestazione di una violazione del D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 10-bis verificatasi in data (OMISSIS), deve essere disciplinata alla stregua della versione della disposizione precettiva vigente al momento dei fatti, cioè alla stregua della versione precedente al testo introdotto a seguito della entrata in vigore del D.Lgs. n. 158 del 2015, dell'art. 7, comma 1, lettera b).
Infatti deve ritenersi, per altro in conformità alla consolidata giurisprudenza di questa Corte, che la disposizione nel testo attualmente vigente per effetto della indicata innovazione legislativa, essendo stata in essa prevista, nell'ambito della condotte penalmente rilevanti, la omissione del pagamento all'Erario degli importi delle somme, risultanti dalla dichiarazione da lui presentata, trattenute dal soggetto interessato in qualità di sostituto di imposta - in quanto le stesse risultino anche solo semplicemente "dovute sulla base della stessa dichiarazione o", come in precedenza, dalla certificazione rilasciata ai sostituiti - abbia ampliato l'ambito della rilevanza penale della condotta, estendendola anche alla fattispecie in cui vi sia stata solamente la dichiarazione del sostituto di imposta e non anche il rilascio delle certificazioni ai sostituiti; essa, pertanto, si pone quale norma che, avendo esteso la rilevanza penale di una condotta che, anteriormente, si presentava non significativa in tal senso, ha introdotto un trattamento penale deteriore di un certo comportamento, qualificandolo ora come integrante un reato; essa è, pertanto, applicabile alle sole condotte realizzatesi dopo la sua entrata in vigore e, quindi, non alla presente fattispecie, integralmente consumatasi anteriormente alla entrata in vigore del D.Lgs. n. 158 del 2015.
Nel senso della irrilevanza penale, sino alla citata modificazione della disposizione precettiva, della semplice attività di omissione del versamento delle imposte dovute sulla base della dichiarazione presentata dal sostituto di imposta, si veda, infatti, la prevalente giurisprudenza di questa Corte (che ha, appunto,òdeterminato il legislatore a dare corso alla novella introdotta con il D.Lgs. n. 158 del 2015), in base alla quale il delitto di omesso versamento di ritenute certificate presenta(va) una componente omissiva, rappresentata dal mancato versamento nel termine delle ritenute effettuate, ed una precedente componente commissiva, consistente, a sua volta, in due distinte condotte, costituite dal versamento della retribuzione con l'effettuazione delle ritenute e dal rilascio ai sostituiti delle certificazioni prima dello spirare del termine previsto per la presentazione della dichiarazione quale sostituto d'imposta (cfr.: Corte di cassazione, Sezione III penale, 1 ottobre 2014, n. 40526), con la significativa precisazione che, essendo il rilascio delle certificazioni ai sostituiti di imposta un elemento costitutivo del reato, esso non poteva essere surrogato sotto il profilo probatorio o comunque dimostrato in sede giudiziale dall'avvenuta presentazione da parte del sostituto del modello 770 (Corte di cassazione, Sezione III penale, 13 marzo 2015, n. 10475).
Sul punto, a chiarire ogni possibile ulteriore perplessità in ordine alla struttura del reato, con riferimento alla sua formulazione anteriore alla novella di cui al D.Lgs. n. 158 del 2015, sono, poi, intervenute le Sezioni unite di questa Corte, precisando che in tema di omesso versamento di ritenute certificate, alla luce della modifica apportata dal D.Lgs. n. 158 del 2015, art. 7 al D.Lgs. n.. n. 74 del 2000, art. 10-bis che ha esteso l'ambito di operatività della norma alle ipotesi di omesso versamento di ritenute semplicemente dovute sulla base della dichiarazione proveniente dal datore di lavoro (si tratta del modello 770), deve ritenersi che per i fatti pregressi la prova dell'elemento costitutivo del reato, consistente per quanto ora interessa nell'avvenuto rilascio ai sostituiti di imposta della relativa certificazione emessa dal sostituto, non può essere costituita dal solo contenuto della dichiarazione di cui al modello 770, essendo necessario dimostrare l'avvenuto rilascio ai sostituiti delle certificazioni attestanti le ritenute operate dal datore di lavoro quale sostituto di imposta (Corte di cassazione, Sezioni unite penali, 3 marzo 2017, n. 10509).
Nella motivazione della sentenza è stato, in particolare osservato che l'estensione del reato, operata dalla novella, anche alle ipotesi di omesso versamento di ritenute dovute sulla base della sola dichiarazione di cui al modello 770 va interpretata, a contrario, come dimostrazione che la precedente formulazione del citato D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 10-bis non soltanto racchiudesse nel proprio parametro di tipicità solo l'omesso versamento di ritenute risultanti dalla predetta certificazione, ma richiedesse anche, sotto il profilo probatorio, la necessità di una prova del suo rilascio ai sostituiti.
Tanto premesso, e venendo più direttamente a trattare il primo motivo di ricorso, rileva il Collegio che con lo stesso parte ricorrente ha lamentato, con riguardo ad un preteso vizio di violazione di legge e di motivazione, che con la sentenza impugnata la Corte territoriale di Milano aveva ritenuto integrati gli elementi materiali del reato contestato al R. sebbene non fosse stata dimostrata con la dovuta certezza la circostanza avente ad oggetto l'avvenuto effettivo rilascio ai sostituiti di imposta delle certificazioni attestanti l'ammontare della somme trattenute dal sostituto e che questi ha l'obbligo di versare all'Erario.
Sul punto la motivazione della sentenza impugnata riporta, in sintesi, quanto segue: non vi è dubbio che il R. abbia omesso di versare le imposte da lui trattenute in qualità di sostituto di imposta; parimenti non vi sarebbe dubbio sul fatto che siffatte trattenute sarebbero risultate tramite le certificazioni rilasciate agli aventi diritto in quanto in tal senso avrebbe testimoniato il curatore del fallimento della Beco srl, cioè della impresa della quale il R. era il legale rappresentante, il quale avrebbe appreso la circostanza in quanto riferitagli da tale R.F., figlia dell'imputato addetta alla gestione amministrativa della predetta impresa; ancora presso la sede di quest'ultima sono state rinvenute le certificazioni in questione, sottoscritte dal R., e nel senso del loro rilascio avrebbe reso testimonianza anche tale S.F., associato ai R. nella ricordata Beco srl; ha ancora aggiunto la Corte di appello che ulteriori elementi a conforto nel senso dell'avvenuto perfezionamento del reato di cui in discorso derivano dal fatto che il R. abbia chiesto alla Agenzia delle entrate la possibilità di rateizzare il debito determinatosi a seguito del proprio inadempimento tributario ed, infine, dalla circostanza che, ove non fossero stati soddisfatti, i dipendenti del R., o almeno taluno fra essi, si sarebbe insinuato nel passivo fallimentare onde vedere soddisfatto il proprio credito lavorativa, godendo, peraltro, anche della situazione di privilegio che assiste siffatte posizioni creditorie.
Gli indicati argomenti, dedotti in sede di merito, non appaiono tali da giustificare, con la dovuta certezza la sussistenza dell'elemento costitutivo in questione del reato contestato.
Infatti, la circostanza che il R., nella qualità di legale rappresentante della Beco, non abbia versato all'Erario le somme da lui trattenute è indiscussa ma, per quanto sopra già rilevato, non sufficiente, tenuto conto della disciplina applicabile al caso in questione, a ritenere integrato il reato.
Le dichiarazioni del curatore fallimentare, il quale, giova segnalarlo, ha acquisito contezza della documentazione inerente l'impresa solo in una fase successiva alla eventuale commissione del reato di cui trattasi, non appaiono sufficientemente specificate in sede di decisione di merito, sì da far ritenere a questa Corte di legittimità che l'onere motivazionale gravante sul punto sulla Corte territoriale sia stato adeguatamente adempiuto, mentre per quanto attiene al valore probatorio riguardante gli elementi che il curatore avrebbe appreso dalla figlia del prevenuto, trattandosi di testimonianza de relato cui non ha fatto seguito, non per impossibilità dovuta a morte, infermità o irreperibilità del teste di riferimento, l'esame del teste che avrebbe fornito le informazioni, esso è nullo, stante la inutilizzabilità di detti elementi posto che la R.F., essendo stata richiesta dalla difesa dell'imputato quale teste di riferimento e come tale ammessa dal giudice di primo grado, si è avvalsa della facoltà di non rispondere all'esame dibattimentale in quanto stretta congiunta dell'imputato.
Ritenere che una tale opzione, legittimamente operata dal teste, possa rendere in ogni caso utilizzabili le dichiarazioni de relato, in ipotesi si tratta di dichiarazioni accusatorie, equivarrebbe a privare, di fatto, il congiunto dell'imputato - laddove egli sia il teste di riferimento - della possibilità di liberamente esercitare la facoltà di non rispondere all'esame dibattimentale che gli è, invece, concessa dall'art. 199 c.p.p..
Parimenti irrilevanti le dichiarazioni rese dal teste S., atteso che le stesse, riportate nell'atto impugnatorio prodotto dal ricorrente, non rispecchiavano la conoscenza di un fatto a lui noto ma costituivano la espressione di un giudizio di verosimiglianza da lui formulato.
Così come poco significativa la circostanza che il R. abbia chiesto di essere ammesso alla rateizzazione delle imposte da lui non tempestivamente versate in qualità di sostituto, considerato che essa rafforza la, peraltro già pacifica, acquisizione informativa relativa al mancato pagamento delle imposte trattenute dal sostituto, ma, come già dianzi osservato, non vale di per sè a consentire di ritenere già avvenuta la integrazione del reato contestato.
Infine non decisiva risulta essere anche la mancata insinuazione dei dipendenti del R. al passivo fallimentare, posto che, pure in questo caso, la circostanza può stare a significare che costoro avevano ricevuto i corrispettivi loro spettanti, ma nulla dimostra in ordine al fatto che il R. avesse rilasciato ai medesimi le certificazioni riguardanti gli importi delle somme da lui trattenute quale sostituto di imposta.
Resta l'ultimo elemento indiziario valorizzato nella sentenza impugnata: cioè la circostanza che presso la impresa del R. siano stati trovati i predetti certificati, recanti la sottoscrizione del R..
Ritiene, tuttavia, il Collegio che neppure siffatto elemento valga a far ritenere integrato il reato di cui alla contestazione mossa a carico dell'imputato.
Deve, infatti, rilevarsi che la disposizione in ipotesi violata prevede, come detto, che la pars commissiva del reato in discorso consista nell'avvenuto rilascio ai sostituiti delle certificazioni attestati gli importi trattenuti dal sostituto di imposta; in tale espressione, cioè il "rilascio", ritiene il Collegio che non debba intendersi esclusivamente la formazione, ancorchè perfezionata attraverso la loro sottoscrizione, delle certificazioni in questione, ma essa deve intendersi come tale da indicare l'avvenuta loro esternazione rispetto alla stretta sfera di influenza del redattore di esse e la loro materiale consegna ai rispettivi destinatari o, quanto meno, a taluno di essi.
In tal senso, suffragato testualmente da questa Corte allorchè essa ha espressamente sostenuto essere "il rilascio e la consegna ai sostituiti della certificazione attestante l'ammontare complessivo delle somme corrisposte e delle trattenute operate" gli elementi costitutivi del reato (così, infatti, in motivazione: Corte di cassazione, Sezione III penale, 1 ottobre 2014, n. 40526), militano sia argomenti di carattere logico-funzionale che di carattere testuale che, infine, di carattere sistematico.
Quanto al profilo di tipo testuale, esso appare rappresentato dall'uso da parte del legislatore, dopo il participio passato "rilasciata", della preposizione articolata "ai (sostituiti)", la quale, realizzando un collegamento fra l'espressione verbale ed un complemento di termine, evidenzia che la azione penalmente rilevante non si realizza con la sola mera emissione della certificazione, ma si perfeziona allorchè essa raggiunga i suoi destinatari.
Quanto al profilo di tipo logico-funzionale, deve rilevarsi che, essendo le certificazioni in questione finalizzate a consentire ai sostituiti di documentare il prelievo di imposta da loro subito per opera del sostituto, è logicamente evidente che esse assolvono la loro funzione solo in quanto le stesse siano state materialmente consegnate nella disponibilità del destinatario, dovendo ritenersi che le stesse anteriormente a tale evento siano tamquam non essent.
Infine milita nel senso di far interpretare la espressione "rilasciata" come equivalente a "consegnata" il fatto che il legislatore, al D.P.R. n. 322 del 1998, art. 4, comma, 6-quater, abbia espressamente indicato un termine temporale, il 28 febbraio dell'anno successivo a quello cui le certificazioni si riferiscono, entro il quale il sostituto d'imposta deve consegnare ai sostituiti le certificazioni in questione; anche in questo caso la fissazione di un termine entro il quale i destinatari dell'atto devono essere posti nella disponibilità di esso, induce a ritenere che la attività volta al rilascio delle certificazioni si perfezioni solo in caso di loro tempestiva consegna agli interessati.
Atteso quanto ora illustrato, emerge chiaramente che la circostanza secondo la quale presso l'azienda del R. siano state trovate le copie delle certificazioni in questione, nessuna delle quali reca la sottoscrizione per ricevuta del suo destinatario, è fattore sostanzialmente neutro in ordine alla necessaria prova dell'elemento costitutivo del reato contestato al ricorrente, consistente nel rilascio, inteso nell'accezione dianzi spiegata, delle certificazioni richiamate dalla norma in ipotesi violata.
Alla luce delle argomentazioni che precedono va, pertanto, annullata la sentenza impugnata essendo risultato fondato il primo motivo di ricorso - con assorbimento dei motivi di impugnazione non esaminati - con rinvio per nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte di appello di Milano.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata, con rinvio ad altra Sezione della Corte di appello di Milano per nuovo giudizio.
Così deciso in Roma, il 13 luglio 2020.
Depositato in Cancelleria il 15 settembre 2020