RITENUTO IN FATTO
1. Tramite il proprio difensore, Fa.Co. impugna la sentenza della Corte di appello di Ancona del 9 giugno 2023, che ne ha confermato la condanna per il delitto di maltrattamenti in danno della propria compagna Mi.Ni., aggravato dal fatto di essere stato commesso in presenza dei loro figli minorenni.
2. Il ricorso si compone di otto motivi.
2.1. Il primo consiste nella violazione di legge e nel vizio di motivazione, per essere stato ritenuto sussistente il reato nonostante il riconoscimento della circostanza attenuante della provocazione, ex art. 62, n. 2), cod. pen., la quale è incompatibile con i reati a condotta abituale.
2.2. Si lamenta, poi, con il secondo motivo, il travisamento del narrato della persona offesa, la quale è stata smentita dall'imputato e da altri testimoni, le cui dichiarazioni il ricorso riporta in sintesi.
Inoltre, la sentenza d'appello ha ritenuto sussistenti anche episodi di violenza fisica, invece esclusi dalla sentenza di primo grado, la quale ha evidenziato l'assenza di documentazione di conforto (certificati medici, accessi in ospedale o in centri antiviolenza) e l'affermazione della stessa persona offesa, secondo cui l'imputato era sempre stato un ottimo padre ed ella non aveva mai avuto timore per la incolumità propria e dei loro figli. Peraltro, il primo giudice ha rilevato come verosimilmente l'imputato avesse dovuto tollerare arbitrari allontanamenti da casa della compagna e come anche tali condotte debbano reputarsi una forma di violenza.
Infine, la difesa denuncia l'erroneità della sentenza impugnata, nella parte in cui afferma che gli allontanamenti da casa della persona offesa dovessero ricondursi ai maltrattamenti subiti, essendo quelli iniziati già prima delle condotte denunciate.
2.3. Il terzo motivo denuncia la violazione degli artt. 51 e 52, cod. pen., per non essere state riconosciute le scriminanti ivi previste.
In particolare, esclusa dalla stessa persona offesa l'esistenza di minacce, le condotte ingiuriose sarebbero state giustificate dal diritto dell'imputato di incontrare i propri figli minori e dal dovere di proteggerli dalla condotta dissennata della madre, che soleva allontanarsi improvvisamente da casa con gli stessi, addirittura portandoli all'estero e rendendosi irreperibile, così esponendoli a gravi pericoli e tenendo - si ribadisce - un comportamento considerato una forma di violenza dalla sentenza di primo grado. Sul punto, dunque, il rinvio a quest'ultima operato dai giudici d'appello comporta la contraddittorietà della motivazione della loro decisione.
Per altro verso, i comportamenti dell'imputato sarebbero stati giustificati dalla necessità di salvaguardare il proprio patrimonio, essendo emerso che la compagna, che non disponeva di adeguate liquidità proprie o dei suoi familiari, avesse acquistato un appartamento all'insaputa di lui.
2.4. Il quarto motivo censura il rigetto della richiesta di rinnovazione istruttoria in appello, avanzata dalla difesa e volta alla riassunzione della testimonianza della persona offesa e dei testimoni a discarico.
Tale decisione della Corte distrettuale avrebbe violato l'art. 495, comma 2, cod. proc. pen., e, in quanto giustificata con la completezza del quadro probatorio assunto in primo grado, sarebbe illogica, considerandosi le numerose divergenze della ricostruzione dei fatti presenti nelle due sentenze.
2.5. La quinta doglianza consiste nella violazione dell'art. 572, cod. pen., e nella conseguente non configurabilità del reato, per il difetto del carattere abituale delle condotte e del dolo unitario, non essendo stato dimostrato un programma criminoso finalizzato all'oppressione della vittima, nonché per l'inesistenza di una condizione di sottomissione della querelante, avendo questa sempre mantenuto -come la stessa sentenza impugnata afferma - "integre facoltà decisionali".
2.6. Il sesto motivo di ricorso consiste nel vizio della motivazione sul motivo d'appello riguardante la violazione dell'art. 546, lett. e), cod. proc. pen., da parte della sentenza di primo grado, carente - secondo la difesa - dell'indicazione dei criteri di valutazione della prova adottati e delle ragioni per le quali non fossero state ritenute attendibili le prove a discarico.
La sentenza impugnata si è limitata ad affermare che dette prove erano state invece tenute in considerazione dal primo giudice, omettendo però di rilevare che fossero state dallo stesso travisate.
2.7. Il ricorso prosegue, poi, denunciando la violazione di legge in tema di diniego della sospensione condizionale della pena, in quanto giustificata con una motivazione apparente, limitata alla ripetizione della formula normativa, senza una valutazione complessiva degli indici dell'art. 133, cod. pen.
In particolare, la sentenza valorizza l'unico dato negativo, ovvero un precedente per un reato contro la persona, tuttavia risalente ad oltre dieci anni addietro, invece trascurando lo stile di vita irreprensibile dell'imputato ed il suo essere un onesto lavoratore, un genitore attento e presente nonché l'unica fonte di sostentamento per i figli.
2.8. L'ultimo motivo lamenta violazione di legge processuale e vizi della motivazione in punto di statuizioni risarcitorie civili. La sentenza impugnata conterrebbe, sul punto, una motivazione soltanto apparente, limitata al semplice rinvio alla sentenza di primo grado, che avrebbe illogicamente concesso una provvisionale d'importo pari al valore del danno morale ritenuto.
3. Il difensore dell'imputato ha depositato due distinte memorie scritte, in cui sostanzialmente ripropone gli argomenti di ricorso relativi all'incompatibilità tra maltrattamenti e "provocazione", all'inattendibilità della persona offesa, alla configurabilità delle scriminanti di cui agli artt. 51 e 52, cod. pen.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il primo motivo di ricorso, in tema di compatibilità tra delitto di maltrattamenti ed attenuante della "provocazione", non è fondato.
Vero è che la giurisprudenza di legittimità è ferma nel ritenere l'incompatibilità di tale circostanza attenuante con il delitto di maltrattamenti e, più in generale, con il genus dei reati abituali, quelli, cioè, che si realizzano attraverso una serie di comportamenti antigiuridici di analoga natura, ripetuti e replicati nel tempo (tra altre, per i maltrattamenti in particolare, Sez. 6, n. 13562 del 05/02/2020, F., Rv. 278757; Sez. 6, n. 12307 del 27/10/2000, Nuara, Rv. 217901; in relazione ad altre fattispecie di reato abituale, Sez. 5, n. 14417 del 09/02/2024, F., Rv. 286290; Sez. 5, n. 21487 del 29/04/2021, F., Rv. 281313; Sez. 1, n. 29830 del 03/07/2017, dep. 2018, Aruta, Rv. 273497). Erra, dunque, la sentenza impugnata, allorché conclude diversamente, confermando, sul punto, quanto ritenuto già dalla sentenza di primo grado.
Tuttavia, è sufficiente leggere tali precedenti di legittimità, per rilevare che quella giurisprudenza è maturata tutta in relazione a vicende nelle quali si invocava il riconoscimento dell'attenuante e non - come invece si pretende nel caso in esame - l'esclusione del reato, avendo la Corte di cassazione rilevato che, in presenza di comportamenti offensivi reiterati e protratti nel tempo, quella che si vorrebbe prospettare come una reazione emotiva ad un fatto ingiusto non può che presentarsi, in realtà, come l'espressione di un proposito di rivalsa e di vendetta, al quale l'ordinamento non può dare alcun riconoscimento.
L'errore giuridico che inficia le sentenze di merito sta, dunque, nell'aver riconosciuto l'attenuante pur nella ritenuta presenza degli estremi del delitto di maltrattamenti. Tuttavia, la sentenza d'appello, in mancanza di un'impugnazione del Pubblico ministero sul punto, non poteva emendarlo; d'altro canto, però, di esso non può comunque dolersi l'imputato, trattandosi di una decisione sì errata, ma a lui favorevole.
2. La seconda doglianza, in tema di travisamento del narrato della persona offesa, è manifestamente infondata.
Il vizio di travisamento della prova presuppone che la relativa deduzione abbia un oggetto definito e inopinabile, tale da evidenziare la palese e non controvertibile difformità tra il senso intrinseco dell'elemento di prova e quello tratto dal giudice, con conseguente esclusione della rilevanza di presunti errori da questi commessi nella valutazione del significato dimostrativo di tale elemento (tra molte, Sez. 5, n. 8188 del 04/12/2017, Grancini, Rv. 272406; Sez. 4, n. 1219 del 14/09/2017, Colomberotto, Rv. 271702). Tale vizio, inoltre, rileva soltanto se l'errore accertato sia idoneo a disarticolare l'intero ragionamento probatorio, in quanto rende illogica la motivazione per l'essenziale forza dimostrativa dell'elemento frainteso o ignorato (Sez. 5, n. 48050 del 02/07/2019, S., Rv. 277758); inoltre, grava sul ricorrente l'onere di indicare le ragioni per cui l'atto inficia e compromette, in modo decisivo, la tenuta logica e l'intera coerenza della motivazione, introducendo profili di radicale incompatibilità all'interno dell'impianto argomentativo del provvedimento impugnato (Sez. 6, n. 10795 del 16/02/2021, F., Rv. 281085).
Tutto questo nel ricorso non si rinviene, essendosi l'imputato limitato a dolersi della valutazione della testimonianza della Mi.Ni. ed a chiedere alla Corte di cassazione, in tal modo, semplicemente una diversa ricostruzione dei fatti e, dunque, un giudizio di merito che non le compete.
3. Manifestamente destituito di fondamento giuridico è pure il terzo motivo di ricorso, relativo al diniego delle cause di giustificazione di cui agli artt. 51 e 52, cod. pen.
La comune ragione giustificativa di tali scriminanti risiede nella inevitabile necessità delle relative condotte, perché, a seconda dei casi, imposte all'agente dalla legge od indispensabili per la salvaguardia di un diritto proprio od altrui non altrimenti tutelabile.
Anche, dunque, a voler ipotizzare che vi fosse, per l'imputato, la necessità di proteggere i figli dal contegno irresponsabile della madre e di preservare le proprie disponibilità finanziarie dalle sconsiderate iniziative di costei, certamente tali scopi non si sarebbero potuti realizzare attraverso le condotte da lui tenute, vale a dire picchiando ed insultando sistematicamente la persona che avrebbe messo in pericolo tali suoi legittimi interessi.
Manca, pertanto, l'adeguatezza funzionale della condotta rispetto all'interesse tutelato dall'ordinamento giuridico, che è il presupposto essenziale perché la stessa possa essere ritenuta conforme al sistema normativo e, in quanto tale, giustificata, benché lesiva di altrui situazioni giuridiche soggettive. Peraltro, la sentenza impugnata lo spiega espressamente (pagg. 13 s.) ed il ricorso si limita a reiterare la doglianza, che dunque risulta pure generica.
4. Manifestamente infondato è pure il quarto motivo, in tema di mancata rinnovazione istruttoria in appello.
Anzitutto, trattandosi di prove già assunte nel dibattimento di primo grado, il parametro sul quale dev'essere calibrata la relativa decisione è quello della impossibilità, per il giudice d'appello, di decidere allo stato degli atti (art. 603, comma 1, cod. proc. pen.): dunque, in altri termini, dell'indispensabilità della riassunzione di tali prove per la completezza del quadro probatorio essenziale.
Per altro verso, nel giudizio di legittimità, la decisione del giudice d'appello sul punto non può essere sindacata in quanto tale, ma solo nei limiti in cui la carenza probatoria residuata per effetto di essa si riverberi, compromettendola, sulla tenuta logica complessiva della motivazione.
Tanto premesso, è sufficiente rilevare che il ricorso non indica specifici motivi che rendessero indispensabile la rinnovazione, limitandosi, anche per questa parte, a dolersi della valutazione probatoria e non della coerenza logica della relativa motivazione.
5. Il quinto motivo, con cui si contesta la configurabilità del reato, è aspecifico nella parte in cui deduce l'inesistenza del requisito dell'abitualità delle condotte e del relativo dolo unitario, limitandosi essenzialmente all'enunciazione della doglianza, senza il sostegno di specifiche allegazioni.
E infondato, invece, là dove sostiene l'assenza di una condizione di soggezione ed afflizione della persona offesa, per il fatto che - secondo quanto rilevato dagli stessi giudici d'appello - costei avrebbe mantenuto "integre facoltà decisionali".
In primo luogo, infatti, il ricorso compie un'operazione epistemica non corretta, poiché estrapola tale affermazione da un passaggio argomentativo più ampio e di tutt'altro segno, con il quale la Corte distrettuale rileva che la presenza di spazi di autonomia da parte della vittima non esclude di per sé la sussistenza del reato (pag. 13, sent.).
Ma, soprattutto, non considera che, come ritenuto da quei giudici, per la sussistenza del delitto di maltrattamenti, la condizione di inferiorità psicologica della vittima non deve necessariamente tradursi in una situazione di suo completo abbattimento, non essendo elemento costitutivo della fattispecie incriminatrice la riduzione di essa a succube dell'agente e potendo tale condizione perciò consistere anche in un avvilimento generale conseguente alle vessazioni patite, senza che sporadiche reazioni vitali ed aggressive possano escluderne lo stato di soggezione, a fronte di soprusi abituali (Sez. 6, n. 809 del 17/10/2022, dep. 2023, P., Rv. 284107; Sez. 3, n. 46043 del 20/03/2018, C., Rv. 274519).
6. Inammissibile è la sesta doglianza, riguardante la mancata risposta al motivo d'appello relativo all'assenza di motivazione, da parte della sentenza di primo grado, dei criteri adottati nella valutazione delle prove.
La censura è del tutto generica e puramente formalistica, oltre che implicitamente smentita dallo stesso ricorso, che ha lamentato in più punti l'erroneità di quelle valutazioni, dunque presenti.
7. Inammissibile è pure il motivo successivo, in punto di diniego della sospensione condizionale della pena.
Esso chiede al giudice di legittimità una rivalutazione dei presupposti per la concessione o meno del beneficio, mediante la valorizzazione di circostanze -peraltro generiche e di contesto - alternative a quelle ritenute qualificanti dal giudice di merito. Si tratta chiaramente, però, di una valutazione di fatto che è riservata a quest'ultimo e che può essere sindacata in questa sede soltanto nei limiti della manifesta irrazionalità, certamente non ravvisabile nel caso specifico, in cui la Corte d'Appello ha giustificato la sua decisione per la presenza di precedenti specifici.
8. Anche l'ultimo motivo di ricorso, infine, con il quale si contestano le statuizioni civili, è inammissibile.
Sulla condanna al risarcimento dei danni, manca qualsiasi argomentazione critica.
Il ricorrente, infatti, si sofferma solamente sul riconoscimento e la misura della provvisionale, dei quali non tuttavia dolersi in questa sede, trattandosi di decisioni di natura discrezionale, meramente delibative e non necessariamente motivate, per loro natura insuscettibili di passare in giudicato e destinate ad essere travolte dall'effettiva liquidazione dell'integrale risarcimento (fra le tante, Sez. 2, n. 44859 del 17/10/2019, Tuccio, Rv. 277773).
9. In conclusione, il ricorso dev'essere respinto.
Segue obbligatoriamente per legge la condanna del proponente a sostenerne le spese (art. 616, cod. proc. pen.).
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 16 aprile 2024.
Depositato in Cancelleria il 15 luglio 2024.