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Maltrattamenti e abbandono di incapaci: concorso tra reati per condotte differenti

Maltrattamenti

Cassazione penale sez. VI, 23/04/2024, n.21948

I reati di maltrattamenti in famiglia e di abbandono di persone minori o incapaci possono tra loro concorrere, posto che le relative fattispecie incriminatrici sono integrate da condotte differenti, ossia i programmatici e reiterati maltrattamenti psico-fisici ai danni di persone della famiglia, nel delitto di cui all'art. 572, c.p., e l'abbandono ingiustificato di un soggetto incapace di provvedere a sé stesso che si abbia l'obbligo giuridico di custodire, che lo esponga ad un pericolo anche solo potenziale, nel delitto di cui all'art. 591, c.p.

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La sentenza integrale

RITENUTO IN FATTO 1. Con ordinanza del 7 dicembre 2023 il Tribunale di Reggio Calabria ha confermato il provvedimento con cui il Giudice per le indagini preliminari della stessa città ha applicato a Di.Ma. e Mo.Lu. la misura cautelare degli arresti domiciliari in relazione ai delitti di cui agli artt. 591 e 572 cod. pen. . 2. Avverso l'anzidetta ordinanza gli indagati, tramite difensore, hanno proposto due ricorsi per cassazione, sovrapponibili tra loro, deducendo i motivi di seguito indicati. 2.1. Con il primo motivo hanno dedotto la violazione dell'art. 273 cod. proc. pen. , per non avere il Tribunale valutato che le persone ospitate nella struttura non erano mai state prive di assistenza né esposte a una rilevante possibilità di danno per la vita o l'incolumità personale, anche perché mai sarebbe venuto meno il numero di personale adeguato alla loro cura. Peraltro, se i familiari degli ospiti avessero riscontrato le condizioni descritte nel provvedimento impugnato, avrebbero sicuramente trasferito i propri parenti in altre strutture. Per di più, il quadro indiziario, valorizzato dal Tribunale, sarebbe stato tratto da una singola ispezione dei Nas, operata nelle prime ore della mattina, quando ancora il personale della struttura si sarebbe dovuto attivare per le pulizie. 2.2. Con il secondo motivo hanno dedotto la violazione dell'art. 274 cod. proc. pen. , per avere il Tribunale desunto le plurime condotte degli indagati soltanto da una singola ispezione dei Nas e dalle sommarie informazioni di alcuni familiari degli ospiti e per non avere valutato l'attualità e la concretezza del pericolo. Sarebbe poi illogica la conclusione secondo cui sarebbe inadatta allo scopo cautelare la misura interdittiva del divieto temporaneo di esercitare determinate attività imprenditoriali o professionali, atteso che non risulterebbe alcun dato da cui trarre che gli indagati abbiano concretamente assunto accordi con soggetti terzi, a cui riservare il ruolo di teste di legno in una futura gestione di altre strutture o a cui affidare la formale amministrazione di ulteriori case di cura. Anche alla luce della rinuncia alle cariche da parte degli indagati non potrebbe dirsi sussistente il concreto e attuale pericolo di reiterazione dei reati. 3. Sono pervenute memorie nell'interesse dei ricorrenti, in cui si deduce che il Tribunale non avrebbe considerato che le condizioni, in cui sono stati trovati i locali della struttura al momento dell'accesso dei Nas, erano dovute all'orario mattutino, in cui è stata effettuata l'ispezione. Inoltre, il Tribunale non avrebbe argomentato in ordine al pericolo per l'incolumità del soggetto, che è elemento richiesto per la configurabilità del reato di cui all'art. 591 cod. pen. , e non avrebbe indicato quale fosse stata la condotta dei ricorrenti produttiva di un tale pericolo; per di più, non avrebbe considerato che nessuno avrebbe mai avvisato i ricorrenti della sussistenza di criticità, che avrebbero imposto un intervento. In considerazione delle caratteristiche della struttura, non sarebbe ravvisabile nemmeno l'esistenza di un rapporto di parafamiliarità. In ultimo, il Tribunale avrebbe errato nel non riconoscere un rapporto di consunzione tra i due reati contestati ai ricorrenti. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. I ricorsi sono inammissibili. 2. Deve ribadirsi che, in tema di impugnazione delle misure cautelari personali, il ricorso per cassazione è ammissibile soltanto se denuncia la violazione di specifiche norme di legge o la manifesta illogicità della motivazione del provvedimento secondo i canoni della logica e i principi di diritto, ma non anche quando propone censure che riguardino la ricostruzione dei fatti ovvero si risolvano in una diversa valutazione delle circostanze esaminate dal giudice di merito (Sez. 2, n. 31553 del 17/05/2017, Paviglianiti, Rv. 270628 - 01; Sez. 6, n. 11194 dell'8/3/2012, Lupo, Rv. 252178 - 01). 3. Alla luce di siffatte coordinate ermeneutiche deve rilevarsi che il provvedimento impugnato è immune da vizi, rilevabili in questa sede. Il Tribunale, infatti, nell'affermare la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza a carico dei ricorrenti con riferimento ai reati loro contestati ai capi 1) e 2) della provvisoria imputazione, ha rilevato che il resoconto sulle condizioni di salute degli ospiti, offerto dai parenti di alcuni degli stessi, le dichiarazioni di Sa.Ar. , An.Ma. e dello stesso ospite An.Ma. nonché gli esiti degli accertamenti svolti dai Nas avevano consentito di accertare che i residenti della struttura erano abbandonati in uno stato di forte incuria e degrado, privati delle più basilari tutele igieniche, alloggiati in una struttura di fatto abusiva e priva di adeguato personale, costretti così a vivere in ambienti nauseabondi tra le proprie deiezioni, a contatto con lenzuola e abiti non lavati, in assenza dei minimi presidi di controllo e in violazione delle più basilari regole sanitarie. Le modalità di gestione e organizzazione del personale, l'assenza di figure professionali specializzate per la cura e l'assistenza degli anziani, lo stato di sporcizia e degrado, in cui versavano tutti gli anziani, costituivano elementi dai quali trarre incontrovertibili indizi circa la sussistenza a carico dei ricorrenti della gravità indiziaria del delitto di abbandono di incapaci. Il Tribunale ha aggiunto che le condotte di mancata cura, di privazioni igieniche, sanitarie, assistenziali, perpetrate dagli indagati nei confronti di anziani non autosufficienti, o comunque di disabili loro affidati e che vivevano presso la residenza dagli stessi diretta e organizzata, peraltro dietro pagamento di una retta mensile da parte delle famiglie, integravano gli estremi oggettivi anche del reato di maltrattamenti. Le condotte lesive e mortificanti erano spalmate lungo un arco temporale di vari mesi, che avevano costretto gli ospiti, persone fragili in condizioni di soggezione e minorità rispetto agli indagati, a un regime intollerabile di vita, privati di dignità, di sicurezza alimentare e medica, di igiene, del diritto a vivere la propria quotidianità in un ambiente salubre e non pericoloso per la loro salute fisica e psichica. 4. Trattasi di argomentazioni che sfuggono a ogni rilievo censorio. Il Tribunale, infatti, nell'indicare le ripetute condotte, poste in essere dagli indagati, di mancata cura e assistenza, che avevano creato un complessivo clima vessatorio e di sistematica sopraffazione ed umiliazione, per giunta in danno di soggetti inermi e incapaci di reagire, ha correttamente e convincentemente sottolineato che gli elementi probatori acquisiti (dettagliatamente analizzati) non solo conclamavano la sussistenza dell'elemento materiale della fattispecie tipica prefigurata nell'art. 572 cod. pen. , ma consentivano anche di ribadire la sussistenza dell'elemento psicologico correlativo (potendosi inferire dalle circostanze esteriori, dalla reiterazione degli atti e dal loro carattere, la volontà unitaria di vessare abitualmente i soggetti passivi). Non è superfluo ricordare al riguardo che il delitto di maltrattamenti è integrato dalla sottoposizione dei soggetti tutelati a una serie di atti di vessazione continui e tali da cagionare sofferenze, privazioni, umiliazioni, le quali costituiscono fonte di un disagio continuo ed incompatibile con le normali condizioni di vita; i singoli episodi, che costituiscono un comportamento abituale, rendono manifesta l'esistenza di un programma criminoso relativo al complesso dei fatti, animato da una volontà unitaria di vessare il soggetto passivo: è, pertanto, necessario che la condotta sia abituale e si estrinsechi in una pluralità di atti (Sez. 6, n. 7192 del 4/12/2003, dep. 19 febbraio 2004, Camiscia, Rv. 228461). Sotto il profilo psicologico, il reato è integrato dal dolo generico; non occorre, quindi, che l'agente sia animato dal fine di maltrattare la vittima, bastando la coscienza e volontà di sottoporre la persona di famiglia ad un'abituale condizione di soggezione psicologica e di sofferenza con la propria condotta abitualmente offensiva (Sez. 6, n. 15680 del 28/3/2012, F. , Rv. 252586 - 01; Sez. 6, n. 27048 del 18/3/2008, D.S. , Rv. 240879 - 01). 5. Giova inoltre precisare che questa Corte ha già avuto modo di affermare che, in tema di maltrattamenti in famiglia, l'art. 572 cod. pen. è applicabile anche quando le condotte siano realizzate nell'ambito di una situazione di para familiarità, intesa come sottoposizione di una persona all'autorità di un'altra in un contesto di prossimità permanente, di abitudini di vita proprie delle comunità familiari, nonché di affidamento, fiducia e soggezione del sottoposto rispetto all'azione di chi ha la posizione di supremazia (Sez. 3, n. 13815 del 4/02/2021, P. , Rv. 281588 - 01). Situazioni queste che è innegabile sussistono nel caso in esame, in cui gli ospiti della struttura erano affidati ai gestori della stessa in un contesto di prossimità permanente. 6. Posto poi che, ai fini dell'integrazione del delitto di cui all'art. 591 cod. pen. , il necessario "abbandono" è integrato da qualunque azione od omissione contrastante con il dovere giuridico di cura (o di custodia) che grava sul soggetto agente e da cui derivi uno stato di pericolo, anche meramente potenziale, per la vita o per l'incolumità del soggetto passivo, deve rilevarsi che il Tribunale, in piena consonanza con tale disposizione normativa, ha affermato che gi indagati, pur avendo - sulla base dei contratti sottoscritti con gli ospiti della struttura o nell'interesse di questi ultimi - il dovere di cura nei loro confronti, avevano posto in essere una serie di condotte di mancanza di adeguata cura e assistenza, tali da avere creato condizioni di scarsa igiene, pericolose per la salute. Né tale conclusione può essere scalfita dal rilievo difensivo sulla mancata segnalazione di criticità da parte dei familiari degli ospiti. È agevole, infatti, osservare che i ricorrenti erano i gestori della struttura e, dunque, avevano una posizione di garanzia che li rendeva obbligati ad assicurare condizioni di cura e assistenza adeguate, senza necessità che qualcuno segnalasse criticità, che loro stessi erano tenuti non solo a verificare ed eliminare,ma anche, ove possibile, a prevenire. 7. A fronte della motivazione del provvedimento impugnato i ricorrenti hanno proposto doglianze tese ad ottenere una diversa ricostruzione della vicenda e una diversa valutazione degli elementi acquisiti: operazione, questa, non consentita al giudice di legittimità. 8. Né coglie nel segno la deduzione secondo cui fra i reati ascritti agli indagati sussiste un rapporto di consunzione. 8.1. Le pronunce più recenti delle Sezioni unite di questa Corte, al fine della soluzione del problema relativo alla selezione delle fattispecie penali astrattamente applicabili a fronte della realizzazione di un'unica condotta materiale, sono partite dalla considerazione dei principi vigenti sul concorso apparente di norme, regolamentato dall'art. 15 cod. pen. , e hanno affermato che da tale norma si trae il principio generale che, ove si escluda il concorso apparente, è possibile derogare alla regola del concorso di reati solo quando la legge contenga l'espressione delle c.d. clausole di riserva, le quali, inserite nella singola disposizione, testualmente impongono l'applicazione di una sola norma incriminatrice prevalente, che si individua seguendo una logica diversa da quella di specialità. Le Sezioni unite hanno escluso la possibilità di ricorrere alle figure dell'assorbimento, della consunzione e dell'ante - fatto o post - fatto non punibile, ritenute prive di sicure basi ricostruttive, poiché individuano elementi incerti quale dato di discrimine, come l'identità del bene giuridico, tutelato dalle norme in comparazione, e la sua astratta graduazione in termini di maggiore o minore intensità, di non univoca individuazione, e per questo suscettibili di opposte valutazioni da parte degli interpreti (tra le altre: Sez. U, n. 20664 del 23/02/2017, Stalla, Rv. 269668 - 01; Sez. U, n. 1963 del 28/10/2010, dep. 2011, Di Lorenzo, Rv. 248722 - 01; Sez. U, n. 1235 del 28/10/2010, dep. 2011, Giordano, Rv. 248865 - 01; Sez. U. , n. 16568 del 19/04/2007, Carchivi, Rv. 235962 - 01). Posto, quindi, che il principio di specialità assurge a criterio euristico di riferimento, si è precisato che deve definirsi norma speciale quella che contiene tutti gli elementi costitutivi della norma generale e che presenta uno o più requisiti propri e caratteristici, in funzione specializzante, sicché l'ipotesi di cui alla norma speciale, qualora la stessa mancasse, ricadrebbe nell'ambito operativo della norma generale (Sez. U, n. 1235 del 28/10/2010, dep. 2011, Giordano, cit.). In tale ambito ricostruttivo, si è chiarito che il criterio di specialità deve intendersi e applicarsi in senso logico - formale. Il presupposto della convergenza di norme, necessario perché risulti applicabile la regola sulla individuazione della disposizione prevalente posta dall'art. 15 cod. pen, risulta integrato solo in presenza di un rapporto di continenza tra fattispecie, alla cui verifica deve procedersi attraverso il confronto strutturale tra le norme incriminatrici astrattamente configurate, mediante la comparazione degli elementi costitutivi che concorrono a definire le fattispecie di reato (Sez. U, n. 16568 del 19/04/2007, Carchivi, cit.; Sez. U, n. 1963 del 28/10/2010, Di Lorenzo, cit.). 8.2. Tale elaborazione, fondata sul principio di specialità quale criterio dirimente, consente di escludere che tra le due fattispecie di cui agli artt. 572 e 591 cod. pen. , sussista un rapporto di specialità. Le figure di reato in questione sono caratterizzate da condotte diverse (non riguardando, quindi, lo "stesso fatto"), poiché l'una è integrata dalla condotta di programmatici e continui maltrattamenti psico - fisici ai danni di persone di famiglia, l'altra dall'abbandono ingiustificato di un soggetto incapace di provvedere a sé stesso e che si abbia l'obbligo giuridico di custodire, che lo esponga ad un pericolo anche solo potenziale. In questo senso si è già espressa questa Corte (Sez. 2, n. 10994 del 6/12/2012, Rv. 255174 - 01) e tale conclusione, per le ragioni anzidette può essere ora ribadita. 9. Anche il motivo dei ricorsi sulle esigenze cautelari è teso ad ottenere una inammissibile rivalutazione. Il Tribunale ha posto in evidenza che le plurime condotte, poste in essere dagli indagati, connotate da forte gravità e allarme sociale in quanto perpetrate in danno di persone fragili e incapaci di reagire ai soprusi, subiti lungo un apprezzabile arco temporale, senza soluzione di continuità, dimostravano l'assoluta spregiudicatezza di entrambi i ricorrenti nel portare avanti il loro progetto criminoso di incontrollato arricchimento a discapito della salute, della fiducia, del benessere psicofisico e della dignità di anziani e disabili, affidati alle loro cure. Peraltro, le condotte, fotografate nell'odierno procedimento, lungi dal costituire una isolata parentesi nella storia degli indagati, rappresentavano, invece, soltanto uno dei tasselli di un già rodato schema imprenditoriale che aveva già condotto al sequestro preventivo di due strutture socioassistenziali per anziani, precedentemente gestite dagli stessi con le stesse spregiudicate modalità operative. Siffatta motivazione, con cui il Collegio del riesame ha dato contezza del pericolo concreto e attuale di reiterazione del reato, in quanto logica e non inficiata da violazioni di legge, è esente da ogni vizio rilevabile in questa sede. 10. In definitiva, i ricorsi sono inammissibili e ciò comporta la condanna dei ricorrenti, ai sensi dell'art. 616 cod. proc. pen. , al pagamento delle spese processuali nonché - non sussistendo ragioni di esonero (Corte cost. , 13 giugno 2000 n. 186) - della sanzione pecuniaria di euro tremila, equitativamente determinata, in favore della Cassa delle ammende. P.Q.M. dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Così deciso il 23 aprile 2024. Depositato in Cancelleria il 31 maggio 2024.
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