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Maltrattamenti in famiglia: la sola genitorialità condivisa non basta per configurare il reato

Maltrattamenti

Cassazione penale sez. VI, 30/05/2024, n.26263

In tema di maltrattamenti in famiglia, la mera genitorialità condivisa, al di fuori di un rapporto di coniugio o di convivenza ed in assenza di contatti significativi fra l'autore delle condotte e la vittima, non può costituire, da sola, il presupposto per ritenere sussistente un rapporto "familiare" rilevante ai fini della configurabilità del reato. (In motivazione, la Corte ha precisato che gli obblighi di formazione e mantenimento dei figli previsti dall'art. 337-ter, cod. civ. a carico dei genitori non determinano un rapporto reciproco fra questi ultimi, essendo il loro comune figlio l'unico soggetto interessato).

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La sentenza integrale

RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza del 20 giugno 2023, la Corte d'Appello di Venezia ha confermato la decisione dal Tribunale di Verona che aveva condannato Na.Ha. alla pena di anni due e mesi due di reclusione in ordine ai delitti di cui agli artt. 572 (capo a) e 582-585 in relazione all'art. 576, primo comma, n. 5, cod. pen. (capo b) per aver maltrattato la convivente con reiterati insulti, minacce e violenze (in particolare in data 3 marzo 2021 e 3 dicembre del 2021) anche alla presenza delle figlie minori della donna di cui una in comune, provocando in data 3 dicembre 2021, in occasione di un'aggressione consistita nel serrare le mani intorno al collo della donna al fine di impedirle di respirare, lesioni personali guaribili in giorni sette. La Corte d'Appello ha disatteso, per quel che in questa sede rileva, i motivi di gravame tesi a confutare la sussistenza di un rapporto di convivenza sul presupposto della ritenuta determinante genitorialità condivisa e della "non occasionalità della filiazione"; ha dato atto dell'abitualità della condotta maltrattante che deponeva per la sussistenza del dolo e dell'indimostrata inattendibilità della persona offesa, confermando, altresì, come le condotte fossero state realizzate alla presenza delle minori. 2. Na.Ha., per il tramite del difensore, ricorre avverso la citata sentenza deducendo due motivi di ricorso. 2.1. Con il primo motivo si deducono vizi di motivazione e violazione dell'art. 572, prima e secondo comma, cod. pen. quanto ai requisiti della fattispecie contestata con particolare riferimento alla necessaria convivenza tra il ricorrente e la persona offesa, all'abitualità ed alla reiterazione delle condotte, al dolo, alla soggezione della vittima, mettendo in dubbio la credibilità della persona offesa. 2.1.1. Quanto al profilo della necessaria convivenza, illogica e lacunosa si rivela la motivazione della Corte di appello che non ha valorizzato, nonostante la comune genitorialità di una delle figlie della donna, l'assenza di alcun progetto di vita in comune o rapporto di convivenza; la stessa persona offesa ha negato che vi fosse convivenza tra i due, presupposto necessario per la integrazione del delitto di cui all'art. 572 cod. pen. reso impossibile, tra l'altro, dal fatto che il ricorrente viveva in differente e distante città ove lavorava quale badante per l'intera la settimana. Nonostante plurime e puntuali deduzioni in sede di gravame tese a smentire l'esistenza di una convivenza e di qualsivoglia rapporto di tipo affettivo e solidaristico tra Na.Ha. e la madre della figlia, la Corte di appello ha omesso di argomentare in merito, senza tenere in debita considerazione la parte del propalato della persona offesa che negava vi fosse alcuna convivenza tra i due. 2.1.2. La difesa rileva, quanto ad abitualità della condotta, che i fatti contestati fossero solo due, verificatisi, rispettivamente, nel marzo e nel dicembre 2021; anche la sporadicità di tali episodi depongono per l'assenza di convivenza in quanto frutto, in un caso, della necessità di reperire il certificato di nascita della figlia minore (a riprova della insussistenza di una convivenza tra i due) da portare in questura, nell'altro, dal desiderio dell'uomo di essere lasciato in pace. 2.1.3. Nessuna motivazione si scorge in sentenza in ordine al necessario requisito della soggezione da parte della donna, aspetto che sarebbe stato necessario esplicitare alla luce della libertà ed indipendenza di cui godeva la persona offesa che viveva in una città distante da quella in cui abitava il ricorrente. 2.1.4. Semplicistica - si afferma - risulta l'apprezzata sussistenza dell'elemento soggettivo, essendosi la Corte territoriale limitata ad evocare la modalità della condotta e la reiterazione e sistematicità delle stesse. 2.1.5. Le dichiarazioni della persona offesa risultano non credibili alla luce della genericità delle accuse e del profondo astio che la stessa nutriva nei confronti dell'imputato dal quale pretendeva dei soldi. 2.2. Con il secondo motivo si deducono vizi di motivazione e violazione di legge in ordine alla ritenuta aggravante di cui al secondo comma dell'art. 572 cod. pen. 3. Il procedimento è trattato ai sensi dell'art. 23, comma 8, D.L. n. 137 del 28/10/2020 (convertito con modificazioni nella legge del 18/12/2020 n. 176) come prorogato dall'art. 16 D.L. n. 228 del 30/12/2021. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il primo motivo, attraverso cui si deduce l'omessa motivazione in ordine alla dedotta assenza di convivenza tra il ricorrente e la vittima, è fondato e la sentenza deve essere annullata con rinvio. 2. Lacunosa si rivela la parte della decisione in cui non viene fornita logica e completa risposta avverso il motivo di gravame con cui la difesa dell'imputato aveva rilevato come tra i due non si fosse mai realizzata una convivenza, né tanto meno una coabitazione, come l'uomo rifuggisse ogni rapporto con la donna con la quale non aveva mai inteso portare avanti, nonostante la nascita della figlia avuta in comune, alcun progetto di vita futuro. 3. Deve, infatti, darsi continuità - con le precisazioni che si enunceranno in seguito - al principio di diritto espresso da questa Corte di legittimità secondo cui sussiste il delitto di maltrattamenti in famiglia ex art. art. 572 cod. pen. quando ci si trovi di fronte, sia a nuclei familiari fondati sul matrimonio, sia a relazione sentimentale che, per la consuetudine dei rapporti creati, implichi l'insorgenza di vincoli affettivi e aspettative di assistenza assimilabili a quelli tipici della famiglia o della convivenza abituale (Sez. 6, n. 31121 del 18/03/2014, C., Rv. 261472). Detto principio è stato nel tempo ulteriormente precisato da parte di questa Corte di legittimità che ha inteso limitare il rapporto di natura familiare, specie se non fondato sul matrimonio, alla concreta, effettiva e significativa convivenza more uxorio. In tale direzione vanno quelle decisioni di questa Corte che, superando di fatto un conflitto giurisprudenziale in precedenza esistente sulla rilevanza dell'effettiva convivenza ai fini dell'integrazione della fattispecie di cui all'art. 572 cod. pen., hanno escluso l'integrazione del delitto di maltrattamenti in famiglia in ipotesi di cessata convivenza, rilevando, al contempo, come potesse integrarsi l'ipotesi aggravata del reato di atti persecutori nel caso in cui sussistano condotte illecite poste in essere dall'ex convivente "more uxorio" ai danni dell'altro (Sez. 6, n. 45095 del 17/11/2021, H., Rv. 282398); rilevante risulta, pertanto, la valorizzazione della convivenza e la comunanza di vita e di affetti nonché il rapporto di reciproco affidamento tra le parti (Sez. 6, n. 39532 del 06/09/2021, B., 282254). Dette ultime decisioni tengono in massima considerazione e condividono il monito contenuto nella sentenza della Corte costituzionale n. 98 del 2021 che, seppure in sede di valutazione di costituzionalità di norma processuale e segnatamente in ordine alla possibile riqualificazione giuridica del fatto contestato ex art. art. 521 cod. proc. pen., ha rilevato l'impossibilità di poter esorbitare dal dato letterale, pena la violazione del principio di tassatività sancito dall'art. 25 Cost., proprio laddove si vorrebbe assegnare al significato delle parole delle disposizioni penali un ambito di applicazione più ampio. La Corte delle leggi ha, infatti, osservato come il termine "convivenza" non possa essere dilatato a tal punto da farvi rientrare quei casi in cui un rapporto affettivo si sia protratto per qualche mese e caratterizzato da permanenze non continuative di un partner nell'abitazione dell'altro, di fatto escludendo l'esistenza di una relazione idonea a far ritenere che la parte offesa sia persona appartenente alla medesima famiglia. Facendo proprie le considerazioni espresse dal Giudice delle leggi, si è statuito che il concetto di "convivenza", in ossequio al divieto di interpretazione analogica delle norme incriminatrici, presuppone una radicata e stabile relazione affettiva caratterizzata da una duratura consuetudine di vita comune nello stesso luogo (Sez. 6, n. 38336 del 28/09/2022, D., Rv. 283939); è stato rilevato che i concetti di "famiglia" e di "convivenza" vanno intesi nell'accezione più ristretta, presupponendo una comunità connotata da una radicata e stabile relazione affettiva interpersonale e da una duratura comunanza d'affetti che, non solo implichi reciproche aspettative di mutua solidarietà ed assistenza, ma sia fondata sul rapporto di coniugio o dì parentela o, comunque, su una stabile condivisione dell'abitazione, ancorché non necessariamente continua (Sez. 6, n. 9663 del 16/02/2022, P., Rv. 283120). È bene evidenziare come l'opera ermeneutica finalizzata ad assegnare una interpretazione restrittiva ai termini "famiglia" e "convivenza" non ha impedito di ritenere la significativa valenza di condotte vessatorie e violente realizzatesi in un ristretto arco temporale, salva la necessità, se la convivenza si è protratta per un periodo limitato, che le condotte vessatorie siano state poste in essere in maniera continuativa o con cadenza ravvicinata (Sez. 6, n. 21087 del 10/05/2022, C., Rv. 283271 - 01). Se, pertanto, nell'ipotesi in cui viene meno la convivenza che ha comunque dato origine ad un iniziale reciproco rapporto implicante un affidamento nella coppia, non sussiste spazio per intravedere la fattispecie che è espressamente caratterizzata dalla necessaria esistenza di rapporti definiti dalla legge come familiari o connotati da comune convivenza, a maggior ragione non può assegnarsi penale rilevanza alla mera genitorialità condivisa che, in assenza di contatti significativi tra autore delle condotte e vittima, oltre a porre problemi in ordine all'eventuale prova del carattere reiterato ed abituale delle condotte vessatorie o violente, implica rapporti unidirezionali da parte di entrambi i genitori nell'interesse del comune figlio e non crea alcun autonomo o ulteriore rapporto che possa definirsi di tipo familiare tra il padre e la madre di costui. Né può ritenersi che deponga per la sussistenza di un contesto di tipo familiare tra le parti (agente e vittima) la previsione di cui all'art. 337-ter cod. civ. che, invero, non prevede alcun rapporto reciproco tra i genitori del comune figlio, unico soggetto, quest'ultimo, preso in esame. Tale norma, evocata anche da giurisprudenza di questa Corte al fine di corroborare la sussistenza di un rapporto familiare in ipotesi di comune genitorialità, che il Collegio non ritiene di condividere (cfr. Sez. 2, n. 43846 del 29/09/2023, Rv. 285330, che, onde negare la sussistenza di un ampliamento della norma per via analogica assegna significativa rilevanza agli artt. 337-bis e seguenti cod. civ.), si limita a statuire in materia di "provvedimenti riguardo ai figli", riconoscendo al figlio minore "il diritto di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno dei genitori, di ricevere cura, educazione, istruzione e assistenza morale da entrambi e di conservare rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale". Ogni accordo o obbligo - anche di natura economica - in capo ad ognuno, anche quando abbia costituito oggetto di ratifica o autonoma decisione da parte del giudice civile, riguarda esclusivamente il figlio minore, senza alcuna possibilità di intravedere (nell'attuale quadro normativo che pure ha disciplinato - senza pretesa di esaustività - i rapporti di fatto tra persone), rapporti giuridicamente rilevanti tra i genitori, se non nei limiti degli interessi economici, morali, educativi ed affettivi nei confronti del comune figlio. 4. Seppure non possa negarsi che una serena crescita psico-fisica del figlio minorenne presupponga una logica, attiva ed efficace collaborazione tra i genitori, ciò non può ritenersi ex se idoneo a fondare l'esistenza di un rapporto familiare significativo tra i due, rilevante ex art. 572 cod. pen. secondo i canoni ermeneutici indicati dalla citata decisione della Corte costituzionale (sentenza n. 98 del 2021). Ed invero, ormai da tempo questa Corte ha ritenuto che in ipotesi di condotta maltrattante in danno del coniuge, la permanenza cessa quando interviene il divorzio cui non segua la ricomposizione di una relazione e consuetudine di vita improntata a rapporti di assistenza e solidarietà reciproche (Sez. 6, Sentenza n. 50333 del 12/06/2013, L., Rv. 258644; Sez. 6, n. 24575 del 24/11/2011, dep. 2012, F., Rv. 252906), segnale evidente della necessaria previa esistenza, per l'integrazione del delitto in esame, di un rapporto formale (matrimonio) o di fatto (comunità connotata da una radicata e stabile relazione affettiva interpersonale e da una duratura comunanza d'affetti quale collante necessario tra agente e vittima) non altrimenti surrogabile. Non deve fuorviare la decisione di questa Corte che ha avuto modo di statuire che, nei casi di cessazione della convivenza "more uxorio", è configurabile il delitto di maltrattamenti in famiglia, e non invece quello di atti persecutori, quando tra i soggetti permanga un vincolo assimilabile a quello familiare, in ragione di una mantenuta consuetudine di vita comune o dell'esercizio condiviso della responsabilità genitoriale ex art. 337-ter cod. civ. (Sez. 6, n. 7259 del 26/11/2021, dep. 2022, L., Rv. 283047). La decisione, però, ha riguardato la situazione che vedeva l'imputato quotidianamente presente nella vita e nell'abitazione della ex convivente e della figlia minore, entrambe persone offese, attendere ai compiti educativi e di assistenza inerenti alla genitorialità. 5. In tali termini ricostruita l'incidenza della comune genitorialità che non può, da sola, costituire presupposto per ritenere esistente un rapporto "familiare" tra agente e persona offesa, fondata risulta la censura dedotta con cui il ricorrente rileva che nessuna risposta sia stata fornita avverso i plurimi rilievi che, pur dando atto della figlia avuta in comune, tendevano ad escludere che vi fosse stata una convivenza tra i due e che tale rapporto fosse mai andato oltre l'estemporanea permanenza presso l'abitazione della donna per accudire la figlia in attesa che la madre si recasse in ospedale. Secondo la tesi sostenuta dalla difesa (rimasta priva di adeguato vaglio), infatti, l'assenza di convivenza emergeva dalle stesse dichiarazioni della donna che, a differenza di quanto affermato dal Tribunale - si assumeva - , aveva smentito che tra i due si fosse mai instaurato alcun differente, significativo o più inteso rapporto, tanto che il Tribunale, per ritenere esistente il necessario presupposto della convivenza ai fini dell'integrazione del delitto di maltrattamenti in famiglia, aveva omesso di prendere in esame la parte delle sommarie informazioni in cui la vittima aveva affermato che, a partire dall'episodio del 3 marzo 2021, aveva evitato di vedere l'uomo con il quale si era sentita solo per telefono, occasione in cui riceveva da costui offese e minacce. A fronte di precise e puntuali contestazioni rivolte alla ritenuta, seppur incostante, convivenza, addirittura negando anche la sola coabitazione e, in ultima analisi, qualsivoglia significativo rapporto, con richiami puntuali ad ulteriori elementi che tendevano a depotenziare l'importanza assegnata alla presenza nell'abitazione della donna il 3 dicembre 2021, giorno dell'aggressione che ebbe a dare causa all'emissione della misura cautelare, la Corte di appello omette di fornire completa e giuridicamente corretta risposta. La Corte territoriale, testualmente, rileva: "La giurisprudenza di legittimità ha chiarito che è configurabile il reato di maltrattamenti in situazione di condivisa genitorialità, anche in assenza di convivenza, a condizione che la filiazione non sia stata un evento meramente occasionale ma si sia quantomeno instaurata una relazione sentimentale, ancorché non più attuale, tale da ingenerare l'aspettativa di un vincolo di solidarietà personale, autonomo rispetto ai doveri connessi alla filiazione (vedasi Cass. n. 37628 del 25.6.2019; nonché Cass. N. 43701 del 12/6/2019), vincolo di solidarietà nella specie certamente sussistente, come dimostrato dal fatto che, allorquando la persona offesa ha avuto necessità di allontanarsi dall'abitazione, ha chiesto e ottenuto l'ausilio dell'imputato". Apodittiche, fuori tema e, per quanto sopra rilevato, giuridicamente superate si rivelano le argomentazioni spese per confutare le censure dedotte in sede di gravame da parte della Corte di appello che, a fronte di una condanna in primo grado giustificata su un rapporto di convivenza ed un ipotizzato progetto di vita comune della coppia, anche (e non solo) fondato sulla condivisa filiazione e nel cui ambito si sarebbero dipanate le condotte maltrattanti, ha reputato invece assorbente la comune genitorialità - così spostando il perimetro della precedente decisione - ed ha dato per scontata l'esistenza di un vincolo di solidarietà rimasto privo di completa e logica motivazione. 6. Dall'annullamento della decisione impugnata consegue la necessità che altra Sezione della Corte di appello di Venezia motivi in ordine all'eventuale sussistenza degli elementi costitutivi del delitto di maltrattamento con particolare riferimento al requisito della convivenza, provvedendo, in caso negativo, a valutare la possibile sussunzione della condotta in altra ipotesi di reato qualora ne ricorrano i presupposti. 7. L'accoglimento del ricorso sul punto fa ritenere assorbite le altre censure in merito alle quali si renderà necessaria una nuova motivazione. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte di appello di Venezia. Così deciso il 30 maggio 2024. Depositato in Cancelleria il 4 luglio 2024.
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