RITENUTO IN FATTO
1. Con la sentenza sopra indicata la Corte di appello di Trieste ha confermato la condanna del Tribunale di Gorizia di Fa.Ah., all'esito del giudizio abbreviato, alla pena di due anni e otto mesi di reclusione per i delitti di maltrattamenti commessi ai danni della moglie, De.Lo., con l'aggravante della presenza dei figli minorenni (capo 1), di lesioni aggravate (capo 2) e di percosse aggravate (capo 3 così riqualificato il delitto di lesioni).
2. Avverso la sentenza ha presentato ricorso Fa.Ah. con atto sottoscritto dal suo difensore, articolando tre motivi, enunciati nei limiti strettamente necessari alla motivazione ex art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Con il primo deduce violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all'abitualità di condotte, circoscritte a due fatti avvenuti nel maggio e nel luglio del 2022, non potendosi ritenere provate le generiche vessazioni fondate sulle sole dichiarazioni della persona offesa, ritenuta credibile con argomenti apodittici.
Infatti, la Corte di appello non ha tenuto conto che De.Lo. avesse utilizzato le querele per ottenere, in sede di separazione, l'affidamento esclusivo dei figli e la limitazione delle ingerenze del padre nella loro educazione, nella consapevolezza del rilievo del processo penale dinanzi al giudice civile.
Inoltre, la persona offesa aveva descritto mere liti coniugali, fondate su un piano di reciprocità, derivanti dai suoi deficitari comportamenti quali la mancata cura della casa, del marito e dei figli - come provato dalle fotografie -, oltre che l'intrattenimento "dal vivo" di rapporti sociali che esasperavano Fa.Ah., le cui osservazioni, peraltro, non venivano tenute in alcun conto.
2.2. Con il secondo motivo deduce violazione di legge per mancata acquisizione ai sensi dell'art. 234 cod. proc. pen. della registrazione di conversazione online tra l'imputato ed il figlio, necessaria ad una diversa ricostruzione dei fatti relativi al delitto di lesioni aggravate di cui al capo 2), fondata su una motivazione della Corte di merito che contrasta con la sentenza delle Sezioni unite n. 36747 del 24 settembre 2003.
2.3. Con il terzo motivo deduce violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all'art. 53 L. n. 689/1981 in quanto, nonostante la richiesta, con l'atto di impugnazione, della sostituzione della pena detentiva con il lavoro di pubblica utilità - o con altra sanzione sostitutiva ritenuta applicabile, ribadita con le conclusioni scritte, rappresentando l'impossibilità di indicazione dell'ente presso cui svolgerlo, la Corte di appello ha omesso qualsiasi argomento, anche di rigetto, e non ha rinviato l'udienza per individuare l'ente.
3. Il giudizio di cassazione si è svolto a trattazione scritta, ai sensi dell'art. 23, comma 8, D.L. n. 137 del 2020, convertito dalla L. n. 176 del 2020, come successivamente prorogato, in mancanza di richiesta nei termini di discussione orale.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è fondato limitatamente all'ultimo motivo.
2. La sentenza impugnata, con apprezzamenti di fatto immuni da illogicità e facendo proprio l'apparato probatorio esaminato dal Tribunale di Gorizia in sede di giudizio abbreviato, ha fondato la motivazione sulle dettagliate dichiarazioni della persona offesa, De.Lo.. di cui sono stati riportati ampi stralci, valutate attendibili, riscontrate da altri testimoni (De.Ko., Ca.Gi., Fu.Al.). dagli interventi della Polizia giudiziaria, con relative annotazioni, e dalla certificazione medica di lesioni sulla donna e sui figli della coppia.
Dalla lettura della sentenza impugnata si evince che De.Lo. aveva descritto il rapporto con il marito come segnato, da sempre, da soprusi, minacce di morte, insulti con appellativi sessisti, schiaffi, umiliazioni e sputi in viso se non assecondava i suoi ordini, privazione di forme minimali di libertà e di relazioni sociali, con obbligo di occuparsi, in quanto donna, da sola della gestione dei figli e delle incombenze domestiche, assenza di qualsiasi mantenimento economico anche per i bambini tanto da dovere essere sostenuta dai suoi genitori. La persona offesa, dopo sporadici interventi delle Forze dell'ordine e senza essersi mai recata a farsi refertare le ferite infertele dal marito, nel 2020 era stata ospitata con i bambini in una struttura protetta, ma aveva deciso di denunciare solo nel 2022 all'esito di un'aggressione più grave delle precedenti, in cui Fa.Ah., avendola trovata fuori casa con i figli, l'aveva stretta al collo e poi obbligata con violenza a rientrarvi, fino a minacciarla di morte con un coltello.
3. Il primo motivo di ricorso è inammissibile per genericità del suo contenuto e, in ogni caso, perché presentato per fare valere ragioni diverse da quelle consentite dalla legge in quanto non pone in discussione, nei termini previsti dai limiti del giudizio di cassazione, la motivazione della sentenza, ma tenta di spostare la valutazione su un piano non consentito implicante apprezzamenti di fatto sui comportamenti della persona offesa.
Senza contestare i fatti, il ricorso ha ritenuto che le pronunce di merito avessero omesso di considerare che le condotte maltrattanti dell'imputato fossero episodiche e comunque giustificate dalla violazione, da parte della moglie, di precise e doverose regole di ruolo a lei spettanti quali provvedere diligentemente alla cura della casa, del marito e dei figli, non intrattenere rapporti sociali e "fare di testa sua", cosicché le querele erano preordinate a ottenere l'affidamento esclusivo dei bambini in sede di separazione.
3.1. Va ricordato il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità secondo il quale il giudice può trarre il proprio convincimento, in ordine alla responsabilità penale dell'imputato e alla ricostruzione del fatto, anche in base alle sole dichiarazioni rese dalla persona offesa, sottoposte a vaglio positivo in ordine alla sua credibilità soggettiva e all'attendibilità intrinseca del suo racconto, in forza di idonea motivazione, senza necessità di riscontri esterni (ex multis Sez. U, n. 41461 del 19/07/2012, Bell'Arte, Rv. 253214; Sez. 3, n. 6710 del 18/12/2020, n. 8342, F., Rv. 281005 e Sez. 6, n. 3377 del 14/12/2022, dep. 2023, N.) che, peraltro, nella specie, sono stati acquisiti dimostrandosi tutti convergenti rispetto alla responsabilità del ricorrente.
3.2. La sentenza impugnata ha escluso l'episodicità delle violenze sulla base di una doverosa lettura globale dei singoli episodi riferiti, senza isolare o valorizzare solo quelli più eclatanti, collocando le condotte di Fa.Ah. in una precisa modalità relazionale, discriminatoria e violenta, fondata su umiliazione, controllo, obbligo di subordinazione, denigrazione, richiamo a stereotipati ruoli di genere assegnati alle donne, condizionamento manipolatorio fondato su ricatti affettivi agevolati dal rapporto genitoriale, assenza di contribuzione al mantenimento familiare, tutte condotte che, saldandosi le une con le altre, stante la struttura abituale del reato, arrivano a consolidare un assetto di potere asimmetrico, dimostrativo della configurabilità del delitto di maltrattamenti.
Ritenere, come propone il ricorso, che le condotte maltrattanti siano le sole lesioni da misurarsi secondo un criterio quantitativo (profilo cronologico e numero di atti), non tiene conto dell'approdo evolutivo della giurisprudenza di legittimità secondo il quale, anche in un'ottica convenzionalmente orientata, ai fini della configurabilità del delitto in esame è necessaria la valorizzazione di tutte le componenti in cui si esprime la violenza, soprattutto quella psicologica ed economica, convergenti nello strutturare una normalizzata relazione di dominazione e controllo della libertà femminile per impedirla nell'ambito di una relazione di coppia o di altro rapporto familiare (così, tra le altre, Sez. 6, n. 17656 del 12/03/2024, V.; Sez. 6, n. 28217 del 20/12/2022, dep. 2023, G.; Sez. 6, n. 27166 del 30/05/2022, C.).
3.3. La Corte di appello con puntuali argomenti, conformi e adesivi rispetto a quelli adottati dal Tribunale, ha escluso che nella specie fossero ravvisabili mere liti familiari, alla luce dell'essere le condotte violente "a senso unico" (pag. 10) e, in secondo luogo, ha ritenuto ingiustificabili le violenze esercitate da Fa.Ah. nei confronti della moglie per "l'asserita esasperazione per il disordine in casa e l'incuria dei bambini".
3.3.1. In ordine al primo profilo, la giurisprudenza più recente di questa Corte ha posto in rilievo il fatto che la confusione tra maltrattamenti e liti familiari avviene quando non si esamina e, dunque, non si valorizza l'asimmetria di potere e di genere, che connota la relazione, di cui la violenza costituisce la modalità più visibile (v., in motivazione, Sez. 6, n. 37978 del 03/07/2023, B., Rv. 285273; Sez. 6, n. 26934 del 12/03/2024, S.).
Entro tale prospettiva si è affermato, in particolare, che qualificare, in un contesto di coppia o familiare, l'intimidazione, le minacce, l'isolamento, le lesioni, i danneggiamenti, la sottrazione di risorse economiche, il controllo, l'imposizione di ridurre i rapporti sociali, la coercizione, come espressive di un comune "conflitto" perché determinato da ragioni culturali, religiose o affettive, semmai dietro la banalizzazione giustificatrice della gelosia o di eccessi comportamentali, non solo deforma dati oggettivi, ma viola i principi fondamentali dell'ordinamento, a partire dall'art. 3 Cost. che impone di ritenere le donne in una condizione paritaria, giuridica e di fatto, rispetto agli uomini, perché titolari del diritto alla dignità e alla libertà, cioè diritti umani fondamentali e inalienabili, che non possono subire lesioni o limitazioni, neanche occasionali, in base a costrutti sociali o interpretativi fondati sull'accettazione e la normalizzazione della disparità di genere, per come proposta ed incoraggiata dal ricorrente.
La linea distintiva tra violenza domestica e liti familiari è netta e non consente confusioni.
Si consuma la prima quando un soggetto impedisce ad un altro, in modo reiterato, persino di esprimere un proprio autonomo punto di vista se non con la sanzione della violenza - fisica, psicologica o economica -, della coartazione e dell'offesa e quando la sensazione di paura per l'incolumità (o di rischio o di controllo) riguarda sempre e solo uno dei due, soprattutto attraverso forme ricattatorie o manipolatorie rispetto ai diritti sui figli della coppia, prospettando il loro allontanamento dalla vittima se denuncia o se non soggiace al volere dell'agente. Mentre ricorrono le liti familiari quando le parti sono in posizione paritaria e si confrontano, anche con veemenza, riconoscendo e accettando, reciprocamente, il diritto di ciascuno di esprimere il proprio punto di vista e, soprattutto, nessuno teme l'altro (Sez. 6, n. 37978 del 03/07/2023, cit.; Sez. 6, n. 19847 del 22/04/2022, M.), perché ciò che costituisce il fondamento della relazione sono la riconosciuta e reciproca parità -economica, psicologica, fisica, eccetera - e la piena libertà.
3.3.2. Il riferimento del ricorso alla giustificazione delle violenze esercitate da Fa.Ah. per la violazione di asseriti obblighi di ruolo, familiare e sociale, da parte della moglie, tale da escludere la sussistenza del reato - evidentemente sotto il profilo del dolo -, richiama schemi interpretativi stereotipati e modelli arcaici di relazione tra i generi che non solo non hanno cittadinanza nel nostro ordinamento giuridico, interno e sovranazionale, ma sono vietati perché fondati sulla diseguaglianza.
È giuridicamente errato riconoscere, anche solo come plausibile, la chiave di lettura discriminatoria offerta dal ricorrente di avere il diritto di imporre, soprattutto alla presenza dei figli, a fini "educativi", il proprio potere assoluto e sovraordinato sulla moglie che, in quanto donna, non solo è soggetto privo di libertà e diritti, ma obbligata a svolgere compiti di cura e di servizio secondo gli ordini impartiti dal marito, la cui inosservanza determina la legittima conseguenza di sanzioni corporali, con sostanziale richiamo allo ius corrigendi.
Innanzitutto detta impostazione contrasta con i principi fondamentali sanciti dalla Costituzione italiana (artt. 2 e 3), dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti umani e delle libertà fondamentali, dai Trattati dell'Unione europea secondo i quali l'uguaglianza tra donne e uomini rientra tra i valori sui quali si fonda l'Unione europea e costituisce uno degli obiettivi di questa (TFUE artt. 8, 10 e 19; TUE 2 e 3), dalla Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea (art. 21), in quanto lede i diritti inviolabili della persona; ma viola anche il divieto di utilizzo di pregiudizi di genere enunciato dall'art. 12.1 della Convenzione di Istanbul, ratificata senza riserve con I. 27 giugno 2013, n. 77 ("Le parti adottano le misure necessarie per promuovere i cambiamenti nei comportamenti socio culturali delle donne e degli uomini, al fine di eliminare pregiudizi, costumi, tradizioni e qualsiasi altra pratica basata sull'idea dell'inferiorità della donna o sui modelli stereotipati dei ruoli delle donne e degli uomini"), che riprende l'art. 5 della Convenzione per l'eliminazione di tutte le Forme di Discriminazione delle Donne (Cedaw), ratificata dall'Italia con la L. del 14 marzo 1985, n. 132, oltre che con lo stesso art. 572 cod. pen. che, secondo l'esegesi costituzionalmente e convenzionalmente orientata adottata da questa Corte (tra le tante, da ultimo, Sez. 6, n. 37978 del 03/07/2023, B., Rv. 285273), è una norma posta a tutela di diritti umani inalienabili e, per questo, rende illecite le pratiche punitive fondate su una pretesa insubordinazione femminile ad obblighi familiari o coniugali di qualsiasi natura ingiunti dall'autore (Sez. 6, n. 26934 del 12/03/2024, S.).
Inoltre, l'argomento difensivo conferma che la matrice del reato di violenza domestica ai danni delle donne, come sancito dal Preambolo della Convenzione di Istanbul, è costituita da "una manifestazione dei rapporti di forza storicamente diseguali tra i sessi, che hanno portato alla dominazione sulle donne e alla discriminazione nei loro confronti da parte degli uomini ed impedito la loro piena emancipazione" (Sez. 6, n. 28217 del 20/12/2022, dep. 2023, G., cit., par. 5.2.).
Attraverso la chiave di lettura offerta dalle richiamate fonti sovranazionali in materia, per come recepita dall'interpretazione giurisprudenziale, a partire dalla sentenza delle Sez. U., n. 10959 del 29 gennaio 2016, P.O. in proc. C., Rv. 265893, viene riconosciuto il preciso disegno discriminatorio che guida gli autori dei reati di violenza nei confronti delle donne, il cui nucleo è costituito, non dalla gelosia o da perdita di controllo, ma da deliberati intenti di possesso e dominazione (Sez. 6, n. 26934 del 12/03/2024, S.; Sez. 6, n. 27166 del 30/05/2022, C.).
3.3.3. Allo stesso modo è incensurabile la motivazione della sentenza impugnata che, a fronte di diverse e convergenti prove circa le sistematiche violenze di Fa.Ah. sulla moglie, ha dato atto che è in corso una separazione consensuale, causata proprio dalle violenze dell'uomo e ha escluso la presunta natura "strumentale" della denuncia della donna per ottenere l'affidamento esclusivo dei figli.
Pur essendo le censure riversate in fatto, tanto da risultare improponibili in questa sede, va ricordato che a fronte di un delitto di mera condotta, come è quello di maltrattamenti, in cui è solo il comportamento dell'autore ad essere oggetto di accertamento per valutare la sussistenza dei presupposti oggettivi e soggettivi che lo integrano, non rileva la più volte valorizzata circostanza che la persona offesa abbia legittimamente richiesto, al Tribunale civile, la separazione coniugale e il riconoscimento dei propri inalienabili e personalissimi diritti anche rispetto all'affidamento dei figli minorenni vittime di violenza da parte del padre.
La qualificazione della denuncia di De.Lo. come strumentale propone un concetto estraneo all'ambito giuridico in quanto una denuncia (o una querela), così come un'azione civile, possono essere fondate o infondate, in base ad accertamenti giudiziari spettanti soltanto all'autorità giudiziaria e secondo regole di giudizio indicate dallo stesso legislatore, così non assumendo alcun rilievo la circostanza che una persona abbia richiesto la tutela dei propri diritti, in sede civile, nei confronti dell'autore del delitto che ha denunciato (Sez. 6, n. 38306 del 14/06/2023, P., Rv. 285185).
Peraltro, proprio con riferimento al ricorso per separazione coniugale, soprattutto quando venga richiesto l'affidamento dei figli in contesti di violenza, il legislatore, in ossequio al principio, immanente all'ordinamento interno (artt. 2 e 30 Cost.) ed internazionale, del best interest of the child, sancito dalla CEDU (artt. 3 e 8), ma soprattutto dalla Convenzione sui diritti dell'infanzia e dell'adolescenza (approvata dall'Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 20 novembre 1989 e ratificata dall'Italia con legge 27 maggio 1991, n. 176) e dalla richiamata Convenzione di Istanbul (artt. 26, 31, 48 e 51) dispone che tutte le autorità operino una corretta valutazione del rischio di reiterazione dei comportamenti maltrattanti, per garantire sicurezza alle vittime di violenza domestica (Sez. 6, n. 20004 del 12/03/2024, S., Rv. 286478).
Il diritto del minorenne a non subire pregiudizi, fatto proprio dall'ordinamento interno, penale e civile, è stato ulteriormente ribadito e rafforzato, proprio in fase di separazioni e divorzi, dalla c.d. riforma Cartabia (il D.Lgs. 10 ottobre 2022, n. 149 ha infatti previsto una Sezione del codice di procedura civile interamente dedicata alla "violenza domestica o di genere" ex artt. 473-bis, 40-46 cod. proc. civ.) sul presupposto che la sua tutela deve considerarsi sempre preminente rispetto ad interessi diversi od opposti, quali quelli del genitore che ha esercitato violenza (Sez. 6, n. 20004 del 12/03/2024, S., cit.).
La circostanza che una donna che denuncia di avere subito violenza domestica da parte del marito, in pendenza di una separazione coniugale, possa averlo fatto per ottenere l'affidamento esclusivo dei propri figli di per sé non assume alcuna valenza negativa, neanche ai fini della valutazione della sua credibilità in sede penale, in quanto innanzitutto corrisponde all'esercizio di un preciso diritto previsto dall'ordinamento a tutela sua e dei figli; ma. soprattutto perché è la legislazione interna - civile e penale - e sovranazionale a sollecitare e sostenere le vittime di violenza domestica ed i loro figli a recidere o limitare i vincoli con l'autore, anteponendo a qualsiasi altro diritto quello dei minorenni di vivere e crescere in contesti familiari accudenti e protettivi (v., in tal senso, Corte EDU, I.M. e altri c. Italia, 10 novembre 2022, par. 111, ove si afferma che "Per quanto riguarda i minori, che sono particolarmente vulnerabili, le disposizioni stabilite dallo Stato per proteggerli da atti di violenza che rientrano nell'ambito di applicazione degli articoli 3 e 8 devono essere efficaci ed includere misure ragionevoli per prevenire i maltrattamenti di cui le autorità erano o avrebbero dovuto essere a conoscenza, nonché un efficace prevenzione per proteggere i minori da tali gravi forme di lesioni personali").
Diversamente interpretando, si perverrebbe al paradosso, contrastante con il principio di non contraddizione immanente all'ordinamento, oltre che con il ruolo istituzionale spettante ai Tribunali civili, che una donna vittima della violenza del proprio partner non possa mai chiedere la separazione, anche a tutela (fisica, psicologica ed economica) propria e dei bambini, perché questa dà diritto inalienabile e personalissimo si trasformerebbe, illegittimamente, in un atto di matrice vendicativa tale da renderla inattendibile per il giudice penale e precluderle anche l'accesso alla giustizia civile, così da imporre una sistematica vittimizzazione secondaria delle donne che denunciano violenza in fase di separazione.
La sentenza impugnata attraverso un rigoroso esame degli atti e dei fatti, evitando di sconfinare in valutazioni di plausibilità soggettiva e costrutti pregiudiziali da questi del tutto disancorate, come invece richiesto dall'imputato, ha evitato la vittimizzazione secondaria della persona offesa e dei suoi figli, nei termini indicati dalla giurisprudenza di legittimità (Sez. U, civili, n. 35110 del 17/11/2021, Rv. 662942, parr. 5.3.7.4. e 5.3.7.5.; Sez. 6, n. 12066 del 24/11/2022, dep. 2023, T.) e dalle Corti sovranazionali.
La vittimizzazione secondaria, formalmente vietata alle istituzioni, soprattutto giudiziarie, dall'art. 18 della Convenzione di Istanbul (vedi infra par. 5) e definita dalla Raccomandazione CM/Rec(2006)8, del 14 giugno 2006, del Comitato dei ministri del Consiglio d'Europa sull'assistenza alle vittime della criminalità (par. 3.1), è data dalle conseguenze pregiudizievoli, anche in sede civile, che la persona che denuncia è costretta ad affrontare a causa del procedimento penale che ha instaurato (in questi termini il par. 52 del Preambolo della Direttiva 2012/29/UE recepita ed attuata con il D.Lgs. n. 212 del 2015).
4. Il terzo motivo è generico e aspecifico.
La sentenza impugnata ha correttamente escluso, perché superflua, l'acquisizione della videoregistrazione di un dialogo tra l'imputato ed il figlio di 5 anni in quanto la responsabilità di Fa.Ah. per il delitto di lesioni aggravate ai danni della moglie (capo 2), risultava accertata dalle dichiarazioni della persona offesa per come riscontrate dalla certificazione medica in atti.
La tenuta dell'impianto argomentativo non risulta in alcun modo pregiudicata dall'esclusione di detto video, pacificamente costituente documento, dal compendio probatorio, proprio alla luce della cosiddetta prova di resistenza in quanto il ricorso non ne indica il contenuto e le ragioni per le quali gli argomenti della sentenza ne verrebbero compromessi (Sez. 4, n. 50817 del 14/12/2023, Stretti, Rv. 285533).
5. Il terzo motivo è fondato.
5.1. La Corte distrettuale ha omesso di motivare sulla richiesta dell'imputato di sostituzione della pena detentiva con il lavoro di pubblica utilità, contenuta nelle conclusioni a pag. 9 dell'atto di appello.
5.2. A fronte della richiesta di sostituzione, da formulare nei modi indicati dalla norma (personalmente dall'imputato o con procura speciale), le alternative per l'organo giudicante sono due: a) gli elementi acquisiti nel processo consentono di ritenere, in concreto, non adeguata la sostituzione della pena detentiva, pur se irrogata entro i limiti di durata che ne rendono ammissibile in astratto la sostituzione; b) gli elementi acquisiti nel processo rendono adeguata la pena sostitutiva e, nel caso in cui l'imputato non abbia elaborato il programma di trattamento, il giudice è tenuto a rinviare l'udienza, con sospensione del processo per massimo sessanta giorni, per predisporre, in collaborazione con l'ufficio di esecuzione penale esterna, uno specifico programma di trattamento ovviamente correlato al delitto commesso al fine di perseguire la finalità rieducativa richiesta dalla legge.
Nel caso di specie la Corte di appello, senza previo accertamento dei presupposti formali della richiesta (personale o con procura speciale), ha omesso di valutare l'adeguatezza della pena sostitutiva alla luce degli atti processuali senza formulare alcun giudizio motivato su tale profilo.
5.3. Come già argomentato da questa Corte in un caso analogo a quello di specie, concernente il medesimo delitto di maltrattamenti contro familiari (Sez. 6, n. 23620 del 14/05/2024, D.), le norme che disciplinano il lavoro di pubblica utilità sostitutivo, per come modificate dal D.Lgs. n. 150 del 2022 (v. artt. 56-bis e 56-ter, 58,59 e 63, della legge n. 689 del 1981 e il collegato art. 545-bis cod. proc. pen.), combinano la finalità di risocializzazione con la funzione special-preventiva e il programma presuppone che il giudice operi un accurato accertamento, innanzitutto, circa l'esistenza di preclusioni oggettive o soggettive, controllando la sussistenza delle condizioni individuali dell'imputato richiedente ("tenendo conto dei criteri indicati dall'art. 133 cod. pen."), ma anche con una puntuale ponderazione delle esigenze di risocializzazione con il contenimento del pericolo di reiterazione criminosa ("anche attraverso opportune prescrizioni": v. art. 58, comma 1, L. n. 689 del 1981), sulla base di un inquadramento della personalità del condannato (condizioni di vita, personali, familiari, sociali, economiche e patrimoniali) e di una valorizzazione dei risultati dell'intervento istruttorio della polizia giudiziaria o dell'UEPE (art. 545-bis, comma 2, cod. proc. pen.).
Il giudice deve, perciò, compiere un vaglio in ordine alla presenza tanto dei presupposti dell'an della sostituzione, quanto delle condizioni per "disegnare" il quomodo della esecuzione della sanzione sostitutiva, controllando che il programma trattamentale elaborato dall'UEPE risponda alla logica rieducativa che informa il sistema. In tale contesto, il giudicante è tenuto a stabilire anche quelle specifiche prescrizioni che risultano indispensabili ad assicurare la prevenzione del pericolo di recidiva (art. 58, comma 1, L. n. 689 del 1981): indicazione normativa, quest'ultima, tanto più importante nell'ambito di un rinnovato "meccanismo processuale" che ha visto notevolmente ampliato il suo spettro di operatività, essendo oggi consentita l'applicazione delle sanzioni sostitutive anche a gravi reati, come sono quelli di violenza di genere, domestica e contro le donne, connotati da abitualità e con vittime predeterminate e minorenni, che comportano la necessità di garantire una loro specifica protezione, attesi gli obblighi positivi che gravano sullo Stato ai sensi dell'art. 18 par. 2 della Convenzione di Istanbul ("Le Parti adottano le misure legislative o di altro tipo necessarie, conformemente al loro diritto interno, per garantire che esistano adeguati meccanismi di cooperazione efficace tra tutti gli organismi statali competenti, comprese le autorità giudiziarie, i pubblici ministeri, le autorità incaricate dell'applicazione della legge, le autorità locali e regionali, le organizzazioni non governative e le altre organizzazioni o entità competenti, al fine di proteggere e sostenere le vittime e i testimoni di ogni forma di violenza rientrante nel campo di applicazione della presente Convenzione, ivi compreso riferendosi ai servizi di supporto generali e specializzati di cui agli articoli 20 e 22 della presente Convenzione...") e della Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 2012/29/UE recante "Norme minime in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato", recepita con il D.Lgs. 15 dicembre 2015, n. 212 (considerando 52,54,55, 56, 58 e artt. 12,18,22 e 24), obblighi di protezione puntualmente interpretati dalle sentenze pronunciate nei confronti dell'Italia proprio in relazione ai reati di violenza domestica e contro le donne (Talpis contro Italia, 2 marzo 2017; Landi c. Italia, 7 aprile 2022; De Giorgi c. Italia, 16 giugno 2022; M.S. c. Italia, 7 luglio 2022; I.M. e altri c. Italia, 10 novembre 2022).
La presentazione della richiesta dell'imputato della sostituzione della pena detentiva, purché avvenuta nelle forme di legge, anche se priva di un definito programma, è sufficiente ad instaurare l'indicato percorso istruttorio. Soluzione, questa, che, lungi dal "deresponsabilizzare" l'interessato, richiede l'adempimento di stringenti compiti di verifica da parte del giudice e degli organi ausiliari, allo scopo di verificare la sussistenza di tutte le condizioni di ammissibilità e la compatibilità del prospettato percorso di risocializzazione con la tutela delle ragioni delle persone offese nei termini indicati.
Alla luce di tali considerazioni, la sentenza impugnata va censurata nella parte in cui ha omesso di valutare la sussistenza o meno dei presupposti per la richiesta della pena sostitutiva secondo un programma individualizzato, la cui definizione spetta all'UEPE con le prescrizioni che il giudice deve dettare, anche in una prospettiva di tutela delle vittime dei reati di violenza domestica (nello stesso senso Sez. 6, n. 23620 del 14/05/2024, D.; Sez. 6, n. 46013 del 28/09/2023, Fancellu, non mass, sul punto).
Da tanto consegue l'annullamento della sentenza impugnata limitatamente all'applicazione dell'art. 545-bis cod. proc. pen., con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Milano che, nel nuovo giudizio su tale punto, si atterrà ai principi innanzi esposti.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente alla valutazione sulla pena sostitutiva con rinvio per nuovo giudizio sul punto ad altra sezione della Corte di appello di Trieste. Dichiara inammissibile nel resto il ricorso.
Così deciso l'8 luglio 2024.
Depositata in Cancelleria il 6 agosto 2024.