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Reati fallimentari

Bancarotta fraudolenta impropria da operazioni dolose: configurabile in caso di affitto di ramo di azienda a canone incongruo

Bancarotta fraudolenta impropria da operazioni dolose: configurabile in caso di affitto di ramo di azienda a canone incongruo

Gennaio 2024 -Cassazione penale sez. V, 30/01/2024, n.14405

In tema di reati fallimentari, è configurabile la bancarotta fraudolenta impropria da operazioni dolose (nella specie, affitto dell'unico ramo di azienda a fronte di un canone incongruo riscosso solo in parte) ove risulti che la società, al momento della conclusione del contratto, era in grado di svolgere la propria attività tipica e, dunque, di produrre un reddito comparabile a quello ricavabile dall'operazione, utilizzando "ex se" i beni ceduti.

Norme di riferimento

La sentenza integrale

RITENUTO IN FATTO 1. Con la sentenza impugnata la Corte d'appello di Perugia, in riforma della pronunzia di primo grado, ha assolto perché il fatto non sussiste Te.Fa. per il reato di bancarotta impropria da operazioni dolose, contestatogli nella sua qualità di socio amministratore della Temperoni di Te.Fa.& C. Snc, fallita nel marzo del 2013. In particolare all'imputato era contestato di aver aggravato il dissesto societario a causa dell'affitto, per di più verso un canone incongruo riscosso solo in parte, dell'unico ramo d'azienda della fallita, che conseguentemente cessava ogni attività. 2. Avverso la sentenza ricorre il Procuratore Generale presso la Corte d'appello di Perugia deducendo erronea applicazione della legge penale. Il ricorrente lamenta che la Corte territoriale avrebbe ritenuto insussistente il fatto, come se quello imputato integrasse il reato di bancarotta patrimoniale distrattiva, anziché quello effettivamente contestato di operazioni dolose. Conseguentemente i giudici del merito, al fine di escludere la rilevanza penale della condotta dell'imputato, avrebbero concentrato la propria attenzione sulla congruità del canone d'affitto, omettendo di considerare come ad integrare l'illecito contestato sarebbe stata, invece, proprio la scelta di trasferire ad altra società, peraltro costituita all'uopo nello stesso ambito familiare dell'imputato, l'unico asset attivo della fallita, impedendo volontariamente e nella consapevolezza dello stato d'insolvenza in cui versava quest'ultima di proseguire nella propria attività. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso è nel suo complesso infondato e deve essere rigettato. 2. Come già accennato, l'accusa ha ad oggetto l'affitto dell'unico ramo d'azienda della fallita ad altra società, costituita poco prima dai suoceri dell'imputato. La Corte territoriale ha assolto l'imputato dal reato contestatogli rilevando non solo, come sostenuto dal ricorrente, il difetto della prova dell'ipotizzata incongruità del canone d'affitto, ma altresì come il rapporto contrattuale si fosse esaurito in pochi mesi, con conseguente restituzione del complesso aziendale alla fallita, che comunque nel corso del suo svolgimento aveva conservato la sua integrità patrimoniale, essendo rimasta proprietaria dei beni conferiti. Ma soprattutto il giudice dell'appello ha evidenziato come, già prima della stipulazione del contratto, la fallita, di fatto, aveva cessato di operare, escludendo dunque qualunque incidenza dell'affitto del ramo d'azienda sulla causazione del dissesto o anche solo sul suo aggravamento. Il ricorrente, senza invero confrontarsi compiutamente con tale sviluppo argomentativo, eccepisce che il giudice dell'appello si sia sostanzialmente limitato ad escludere la natura distrattiva dell'affitto del ramo aziendale, omettendo di valutare l'operazione in riferimento alla fattispecie effettivamente contestata, ossia quella di cui all'art. 223 comma 2 n. 2) legge fall. Ma, dalla motivazione della sentenza impugnata, emerge che la Corte territoriale, in ragione degli elementi descritti, ha invece escluso l'effettiva incidenza causale del negozio sul dissesto societario e, dunque, proprio la configurabilità del reato contestato. Né le conclusioni tratte dai giudici di merito possono ritenersi illogiche alla luce della piattaforma probatoria dagli stessi selezionata e che il ricorrente non solo non contesta, ma, come detto, nemmeno considera nella sua interezza. Non è in discussione, infatti, il principio invocato nel ricorso, ossia che il delitto contestato sussiste anche quando le operazioni dolose dalle quali deriva il fallimento della società non comportano una diminuzione algebrica dell'attivo patrimoniale, ma determinano comunque un depauperamento del patrimonio non giustificabile in termini di interesse per l'impresa, come nel caso della vendita a prezzo di mercato di un bene costituente l'unico asset produttivo di una società, la cui liquidazione privi l'impresa della possibilità di svolgere l'attività per cui era stata costituita (Sez. 5, n. 40998 del 20/05/2014, Concu, Rv. 262188). In tal senso va anzitutto osservato che la fattispecie in riferimento alla quale tale principio è stato affermato - ovvero quella della cessione del bene - non è in tutto sovrapponibile a quella cui si riferisce la sentenza impugnata. Infatti, l'affitto del ramo aziendale è modalità idonea a ricavare dal bene un reddito al pari della sua diretta utilizzazione. In secondo luogo, ai fini della configurabilità del reato contestato, è necessario stabilire se effettivamente la società, al momento della realizzazione del fatto, fosse effettivamente in grado di svolgere la propria attività tipica e, dunque, di produrre un reddito comparabile a quello ricavabile dall'affitto del ramo aziendale utilizzando in proprio i beni che lo costituiscono. Circostanza questa esclusa dai giudici di merito nel momento in cui hanno rilevato - si ripete, rimanendo incontestati sul punto - che la fallita aveva cessato di operare già prima della stipula del contratto incriminato. E' a questo punto irrilevante, come invece eccepito dal ricorrente, che la redditività dell'operazione non sia stata in grado di arginare l'aggravamento del dissesto, evento che si sarebbe parimenti prodotto laddove la società fosse rimasta inerte come già era stata precedentemente alla sua esecuzione. P.Q.M. Rigetta il ricorso del Procuratore Generale. Così deciso il 30 gennaio 2024 Depositato in Cancelleria il 9 aprile 2024.
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