RITENUTO IN FATTO
1. Con la sentenza impugnata, la Corte di appello di Milano ha confermato la decisione del Tribunale di quella stessa città, che aveva dichiarato Le.Gi. - quale amministratore unico, dalla costituzione fino al 18/12/2019, della società Global Solution Srl, dichiarata fallita con sentenza del 02 luglio 2015 - colpevole di concorso in bancarotta impropria, per avere omesso il regolare versamento delle imposte e dei contributi dovuti fin dall'esercizio 2011, e di bancarotta documentale fraudolenta, per avere sottratto o distrutto i libri e le altre scritture contabili della società, e lo aveva condannato alla pena di anni tre di reclusione, riconosciute le circostanze attenuanti generiche equivalenti alla aggravante della continuazione fallimentare.
2. Ricorre per cassazione l'imputato, con il ministero del difensore di fiducia, avvocato Walter Felice, che svolge due motivi.
2.1. Con il primo, si duole della mancata riqualificazione della fattispecie fraudolenta di cui al capo 1 (art. 223 L.F.), nella corrispondente ipotesi colposa, ai sensi dell'art. 224 L.F. in relazione all'art. 217 L.F. Secondo la Difesa, la sentenza impugnata non avrebbe provato il dolo diretto di evento proprio della fattispecie contestata eli cagionamento del fallimento, mancando la prova che il ricorrente si fosse rappresentato e avesse voluto il fallimento.
2.2. Con il secondo motivo, denuncia vizi della motivazione, contraddittoria, laddove riconosce le circostanze attenuanti generiche con giudizio di prevalenza, poi confermando, nel dispositivo, la sentenza di primo grado, e, quindi, il giudizio di equivalenza.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è parzialmente fondato, per quanto si dirà, e la sentenza impugnata deve essere annullata, senza rinvio, con riguardo al trattamento sanzionatorio, che va rideterminato.
Nel resto, il ricorso va rigettato, perché infondato.
2. Non è fondato il primo motivo. La condotta descritta nell'imputazione, e ritenuta dai Giudici di merito, è sussumibile nella fattispecie di bancarotta impropria per cagionamento del fallimento mediante operazioni dolose, per la cui integrazione è sufficiente il dolo generico.
2.1. Secondo la testuale previsione normativa di cui all'art. 223 co. 2 n. 2 L.F., la causazione del fallimento deve essersi verificata con dolo o per effetto di operazioni dolose.
Al riguardo, la giurisprudenza di questa Corte ha chiarito che l'art. 223, comma 2, l.fall. prevede due autonome fattispecie criminose, che contemplano entrambe una condotta dei soggetti qualificati che ha determinato il dissesto da cui è scaturito il fallimento, le quali, dal punto di vista oggettivo, non presentano sostanziali differenze, incentrandosi, piuttosto, il discrimen tra tali due fattispecie sull'elemento soggettivo, perché, nell'ipotesi di causazione dolosa del fallimento, questo è voluto specificamente, mentre, nel fallimento conseguente a operazioni dolose, esso è solo l'effetto, dal punto di vista della causalità materiale, di una condotta volontaria, ma non intenzionalmente diretta a produrre il dissesto fallimentare, anche se il soggetto attivo dell'operazione ha accettato il rischio che esso si verifichi.
Si afferma, dunque, che la locuzione "con dolo" va intesa con riferimento alla definizione di cui all'art. 43 cod.pen., per cui il fallimento deve essere previsto e voluto dall'agente come conseguenza della sua azione od omissione; la giurisprudenza è orientata, cioè, a ritenere che detta espressione si riferisca ai soli casi in cui il fallimento della società sia stato l'obiettivo avuto di mira dall'agente (dolo diretto di evento) (Sez. 5 n. 405 del 19/10/1984, dep. 1985, Gerii, Rv. 167402).
2.2. Diverso l'approdo ermeneutico riguardo all'ipotesi del dissesto per effetto di operazioni dolose, per cui si ritiene, nella giurisprudenza di legittimità più recente, che le operazioni dolose di cui all'art. 223, comma secondo, n. 2, L. fall., attengono alla commissione di abusi di gestione o di infedeltà ai doveri imposti dalla legge all'organo amministrativo nell'esercizio della carica ricoperta, ovvero ad atti intrinsecamente pericolosi per la "salute" economico-finanziaria dell'impresa, e postulano una modalità di pregiudizio patrimoniale discendente, non già direttamente dall'azione dannosa del soggetto attivo (distrazione, dissipazione, occultamento, distruzione, che può anche non esserci), bensì da un fatto di maggiore complessità strutturale riscontrabile in qualsiasi iniziativa societaria implicante un procedimento o, comunque, una pluralità di atti coordinati all'esito divisato (Sez. 5, n. 17690 del 18/02/2010, Rv. 247316).
2.3. In sintesi, la prima fattispecie (cagionamento con dolo) è a dolo diretto di evento, in quanto il dissesto "entra nel fuoco della volontà", mentre la seconda (cagionamento per effetto di operazioni dolose) è a dolo eventuale (Sez. I, n. 7136 del 25/04/1990, De Sena Rv. 184359), giacché non è necessaria la volontà diretta a provocare il dissesto, il quale è, piuttosto, l'effetto, dal punto di vista della causalità materiale, di una condotta volontaria ma non diretta a produrre il dissesto fallimentare, anche se il soggetto attivo dell'operazione accetta la probabilità che il dissesto si verifichi; è cioè sufficiente la consapevolezza di porre in essere un'operazione che, concretandosi in un abuso o infedeltà nell'esercizio della carica ricoperta o in un atto intrinsecamente pericoloso per la salute economico finanziaria della società, determini l'astratta prevedibilità della decozione, quale effetto della condotta antidoverosa (Sez. 5 n. n. 45672 del 1/10/2015, Lubrina, Rv. 265510; conf. Sez. 5 n. 38728 del 3/04/2014, Rv. 262207).
2.4. In alcune pronunce, si è fatto riferimento a una ipotesi di bancarotta preterintenzionale, per sottolineare che il collegamento con l'evento è puramente causale, come lascia intendere la formula "per l'effetto di", in cui il dolo è riferito alle sole operazioni che cagionano il dissesto, e l'onere dell'Accusa resta assolto dalla dimostrazione della consapevolezza e volontà dell'amministratore della complessa azione recante pregiudizio patrimoniale nei suoi elementi naturalistici e nel suo contrasto con i propri doveri, a fronte degli interessi della società, pur inserendosi nel solco della citata necessità dell'astratta prevedibilità dell'evento di dissesto quale effetto dell'azione antidoverosa (Sez. 5 n. 38728 del 03/04/2014, Rv. 262207; Sez. 5, n. 17690 del 18/02/2010, Rv. 247315; Sez. 5, n. 2905 del 16/12/1998, Rv. 212613).
2.5. A differenza della bancarotta patrimoniale - in cui la condotta distrattiva (o dissipativa) deve consistere in una diminuzione del patrimonio sociale, a prescindere dalla circostanza che abbia determinatoli fallimento, che è sufficiente intervenga - nella bancarotta impropria cagionata da operazioni dolose, le condotte dolose, che non necessariamente costituiscono distrazione o dissipazione di attività, devono porsi in nesso eziologico con il fallimento; ciò che rileva, ai fini della bancarotta fraudolenta impropria, non è l'immediato depauperamento della società, bensì la creazione, o l'aggravamento, di una situazione di dissesto economico che, prevedibilmente, condurrà al fallimento della società (in tal senso, Sez.5, n. 40998 del 20/05/2014, Concu, Rv.262188, secondo cui sussiste il delitto di bancarotta fraudolenta previsto dall'art. 223, comma secondo n. 2, l. fall, anche quando le operazioni dolose dalle quali deriva il fallimento della società non comportano una diminuzione algebrica dell'attivo patrimoniale, ma determinano, comunque, un depauperamento del patrimonio non giustificabile in termini di interesse per l'impresa).
2.6. In tale ottica, si ritiene corretta applicazione del principio la qualificazione di operazione dolosa data al protratto, esteso e sistematico inadempimento delle obbligazioni contributive, che, aumentando ingiustificatamente l'esposizione nei confronti degli enti previdenziali, rendeva prevedibile il conseguente dissesto della società (Sez. 5, n. 47621 del 25/09/2014, Rv. 261684; conf. tra le altre, Sez. 5, n. 15281 del 08/11/2016, dep. 2017, Rv. 270046; Sez. 5, n. 29586 del 15/05/2014, Rv. 260492; Sez. 5, n. 35093 del 04/06/2014, Rv. 261446; Sez. 5 n. 12426 del 29/11/21013, dep. 2014, Rv. 259997; Sez. 5, n. 17355 del 12/03/2015, Rv. 264080).
2.7. Queste coordinate ermeneutiche danno ragione della corretta ricostruzione interpretativa operata dalla Corte di appello e conducono alla infondatezza della questione, posta con il ricorso, della mancata dimostrazione del dolo specifico della bancarotta impropria per cagionamento del fallimento: la sentenza impugnata, infatti, dopo avere compiutamente ricostruito le vicende finanziarie della Global Solution Srl (dichiarata fallita il 2.7.2015), ha ritenuto integrata (non la bancarotta impropria per cagionamento doloso del fallimento, ma), quella, descritta nell'imputazione, di bancarotta impropria da operazioni dolose (sostanziatesi in una condotta omissiva), essendo pacificamente emerso (anche alla luce delle dichiarazioni rese dal Le.Gi. nel corso del dibattimento) che il sistematico inadempimento delle obbligazioni fiscali e previdenziali, che aveva condotto a un'esposizione fortissima a fronte di un passivo fallimentare complessivo di euro 1.751.028,78, era stato il frutto di una consapevole scelta gestionale attuata sin dall'inizio dell'attività societaria e protratta fino al fallimento (fino a raggiungere un debito di oltre un milione cinquecentomila euro nei confronti dell'Erario).
La condotta di cagionamento del fallimento con operazioni dolose è fattispecie a dolo generico, in cui rileva, cioè, la coscienza e volontà delle operazioni; nella bancarotta impropria, nell'ipotesi di fallimento causato da operazioni dolose non determinanti un immediato depauperamento della società, la condotta di reato è, cioè, configurabile quando la realizzazione di tali operazioni si accompagni, sotto il profilo dell'elemento soggettivo, alla prevedibilità del dissesto come effetto della condotta antidoverosa (da ultimo, Sez. 5, n. 348 del 07/12/2021 -dep. 2022- Rv. 282396). La Corte di appello ha correttamente affermato che l'imputato poteva ragionevolmente prevedere che potesse derivare il fallimento, anche in ragione dell'inevitabile carico sanzionatorio, proprio per l'ampiezza del fenomeno e per la sua sistematicità, che, di fatto, ha caratterizzato un ampio arco temporale (cfr. sul punto, Sez. 5, n. 15281 del 08/11/2016, dep. 2017, Rv. 270046).
2.8. La Corte d'appello, nel confermare le valutazioni del primo giudice -peraltro, neppure contestate dall'appellante, che non ha formulato censure in punto di mancata corrispondenza tra contestazione e sentenza (Sez. 4, n. 10611 del 04/12/2012 Rv. 256631, in un caso in cui la Corte ha ritenuto non rilevabile per la prima volta in cassazione la violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza)- ha fatto buon governo del principio, secondo il quale, le operazioni dolose di cui all'art. 223, comma 2, n. 2, legge fall, possono consistere nel sistematico inadempimento delle obbligazioni fiscali e previdenziali, frutto di una consapevole scelta gestionale da parte degli amministratori della società, da cui consegue il prevedibile aumento della sua esposizione debitoria nei confronti dell'erario e degli enti previdenziali (Sez. 5, n. 24752 del 19/02/2018, Rv. 273337).
In realtà - è stato chiarito - I' operazione è termine semanticamente più ampio della azione, intesa come mera condotta attiva, e ricomprende l'insieme delle condotte, attive od omissive, coordinate alla realizzazione di un piano; sicché, può ben essere integrata dalla violazione -deliberata, sistematica e protratta nel tempo - dei doveri degli amministratori concernenti il versamento degli obblighi contributivi e previdenziali, con prevedibile aumento dell'esposizione debitoria della società (Sez. 5 n. 24752 del 01/06/2018, Rv. 273337).
2.9. Ribadito che non cade in contraddizione il giudice di merito che, non ravvisando il dolo (specifico) diretto alla causazione del fallimento, al contempo, ravvisi il dolo (generico) in relazione a singole operazioni (nel caso di specie, costituite dal protratto, sistematico inadempimento delle obbligazioni fiscali e previdenziali), che hanno determinato il fallimento (Sez. 5, n. 11945 del 22/09/1999, Rv. 214856), risulta del tutto smentita la tesi della possibile riqualificazione del fatto ai sensi dell'art. 224 L.F., dal momento che la Corte di appello ha svolto un adeguato scrutinio dell'elemento soggettivo della fattispecie concreta, verificando la sussistenza del dolo generico delle operazioni dolose, correlato alla prevedibilità del dissesto, conseguente all'accumulazione di un'esposizione milionaria.
3. Venendo al secondo motivo, rileva il Collegio che, effettivamente, è riscontrabile, nella sentenza - documento, la discrasia, denunciata dal ricorrente, tra motivazione e dispositivo.
Nel corpo della sentenza, la Corte di appello, al punto 4, ha premesso di ritenere che "la sentenza debba essere solo parzialmente riformata"....nei senso, specificato più avanti, che "debbono essere accolte le doglianze in ordine al trattamento sanzionatorio". Al punto 4.2. la Corte di appello, nell'affrontare il trattamento sanzionatorio, ha argomentato in merito alle ragioni della riconoscibilità delle già concesse attenuanti generiche con giudizio di prevalenza, anche precisando di non ravvisare sussistenti i presupposti per assestare la riduzione nella sua massima estensione. Nondimeno, il dispositivo in calce alla sentenza reca la conferma della sentenza di primo grado.
3.1. In realtà, dalla consultazione dell'incarto processuale, consentito dalla natura del vizio denunciato, il Collegio ha rilevato che, invece, il dispositivo letto in udienza recava una statuizione conforme al corpo motivazionale della sentenza depositata.
3.2. Si legge, infatti, per quanto qui di rilievo, in quel dispositivo, che la Corte di appello "in parziale riforma della sentenza emessa dal Tribunale di Milano...ridetermina la pena inflitta a Le.Gi., concesse al medesimo le attenuanti generiche prevalenti sulla contestata aggravanti, in anni tre di reclusione, oltre alle pene accessorie di cui all'art. 216 u.c. L.F. per la durata di anni 3".
3.3. Posto, dunque, che l'errore denunciato è solo quello verificatosi nella trascrizione del dispositivo nel documento - sentenza, risultando quello letto in udienza coerente con la motivazione riportata nella sentenza depositata, e che non si riscontra, in atti, anche un provvedimento di correzione già adottato dalla Corte di appello con riguardo al successivo dispositivo integrato nella sentenza -documento, ritiene il Collegio che sussistano i presupposti per l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata, previa rettifica del trattamento sanzionatorio, ai sensi dell'art. 620 cod. proc. pen..
3.4. In presenza di un ricorso ammissibile, l'annullamento può essere pronunciato senza rinvio, essendo consentito alla Corte di cassazione procedere alla rideterminazione della pena, ai sensi dell'art. 620 lett. L) cod. proc. pen., in quanto non si rende necessario un intervento valutativo di merito circa il trattamento sanzionatorio, poiché, dalla motivazione della sentenza impugnata, letta congiuntamente con il dispositivo di udienza, emergono elementi certi e logici per far ritenere errato il dispositivo integrato nella sentenza-documento, sia con riferimento alla pena principale che quanto alla durata di quelle accessorie fallimentari (Sez. 4 - n. 40112 del 20/06/2023, Rv. 285067).
Infatti, sia nella motivazione che nel dispositivo letto in udienza, la pena principale, a seguito del diverso giudizio di comparazione delle circostanze, è stata indicata in anni tre di reclusione, a cui risulta conformata la durata delle pene accessorie (Sez. 6 n. 48846 del 17/11/2022. Rv. 284331).
4. La pronunzia di annullamento della sentenza impugnata riguarda solo il trattamento sanzionatorio, che viene rideterminato, mentre, nel resto, il ricorso deve essere rigettato.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente al trattamento sanzionatorio, rideterminando la pena principale in anni tre di reclusione e quelle accessorie di cui all'art. 216, ultimo comma, legge fallimentare per la durata di anni tre. Rigetta nel resto il ricorso.
Così deciso in Roma, addì 08 febbraio 2024
Depositata in Cancelleria il 17 aprile 2024.