RITENUTO IN FATTO
1.Con l'ordinanza impugnata il Tribunale di Bari accoglieva la richiesta di riesame proposta da Me.Vi., indagato per il delitto di riciclaggio, avverso il decreto di sequestro preventivo, emesso dal Gip in data 21/4/2023, in forma diretta o per equivalente, della somma complessiva di euro 465.123,00 e per l'effetto annullava il provvedimento genetico e disponeva la restituzione all'avente diritto di quanto in sequestro.
A detto esito il collegio del riesame perveniva sulla base di un duplice ordine di considerazioni. Da un lato, infatti, riteneva di aderire all'indirizzo giurisprudenziale secondo cui in materia di riciclaggio la confisca per equivalente del profitto del reato è applicabile solo con riferimento al valore del vantaggio patrimoniale effettivamente conseguito dal riciclatore e non all'intera somma derivante dalle operazioni poste in essere dall'autore del reato presupposto; dall'altro, rilevava un deficit probatorio in ordine al vantaggio patrimoniale effettivamente conseguito dall'indagato (pag. 5 e segg.), confutando la congruenza della determinazione delle somme oggetto di transazione illecita effettuata dalla Guardia di Finanza, valorizzando a tal fine la differenza tra gli incassi totali dell'esercizio di tabaccheria gestito dall'indagato e il valore delle vendite effettive.
2. Ha proposto ricorso per Cassazione il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Bari, deducendo la violazione ed erronea applicazione degli artt. 648 bis e 648 quater cod.pen. Il ricorrente sostiene che risulta erronea la quantificazione del profitto del reato di riciclaggio accreditata dal collegio cautelare risultando, in presenza di due orientamenti esegetici distonici, meritevole di continuità in quanto maggiormente conforme agli indirizzi sovranazionali quello (Cass. Sez. 2, n.7503/22 e precedenti conformi) secondo cui il profitto del reato di riciclaggio è rappresentato dal valore delle somme di danaro oggetto delle operazioni dirette ad ostacolare l'individuazione della provenienza delittuosa. Secondo il ricorrente la normativa interna deve essere interpretata in coerenza con i principi comunitari e convenzionali atteso che l'attuale impianto codicistico è frutto delle modifiche normative introdotte con la L. 328/93 di ratifica della Convenzione del Consiglio d'Europa in materia di riciclaggio firmata a Strasburgo l'8/ll/1990, nella quale, all'art. 1, si chiarisce che il provento del reato suscettibile di ablazione consiste "in ogni vantaggio economico derivato dai reati. Esso può consistere in qualsiasi valore patrimoniale" materiale o immciteriale, mobile o immobile. Ricorda, inoltre, il ricorrente che la decisione quadro 2001/500/ GAI vincola gli stati membri all'adozione di misure di confisca dei proventi dei reati anche per equivalente nel caso in cui gli stessi non possano essere direttamente rintracciati.
In presenza di un dubbio esegetico in ordine al significato da attribuire al concetto di profitto suscettibile di confisca a norma dell'art. 648 quater cod. pen., secondo l'impugnante l'interprete deve dare prevalenza, anche in accordo con il principio comunitario dell'effetto utile, alla soluzione che consenta l'assolvimento degli obblighi comunitari e convenzionali.
Dopo aver richiamato le caratteristiche strutturali della fattispecie ex art. 648 bis cod. pen., il P.m. impugnante deduce che l'assunto su cui si fonda l'orientamento giurisprudenziale adottato dall'impugnata ordinanza laddove esige ai fini della confiscabilità del profitto l'effettivo accrescimento del patrimonio del riciclatore introduce un elemento distonico rispetto alla tipicità della fattispecie. Nè osta, nella ricostruzione del ricorrente, alla confiscabilità dell'intero importo riveniente dal reato presupposto il principio solidaristico in considerazione delle ragioni di politica criminale che giustificano la clausola di riserva di cui all'art. 648 cod.pen. mentre in favore della soluzione positiva milita il rilievo che l'art. 648 quater, comma 2, prevede la confisca per equivalente anche del prodotto del reato, per tale dovendosi intendere la somma oggetto di ripulitura.
CONSIDERATO IN DIRITTO
l. Il ricorso è fondato e merita accoglimento.
1.1 Il collegio cautelare è pervenuto all'annullamento del decreto di sequestro preventivo disposto dal Gip esprimendo adesione all'indirizzo ermeneutico secondo cui la confisca per equivalente del profitto del reato ex art. 648 bis cod. pen. è applicabile solo con riferimento al valore del vantaggio patrimoniale effettivamente conseguito dal "riciclatore" e non sull'intera somma derivante dalle operazioni poste in essere dall'autore del reato presupposto, poiché, non essendo ipotizzabile alcun concorso fra i responsabili dei diversi reati, la misura ablativa non può essere disposta per un importo superiore al provento dlel reato contestato (Sez. 2, n. 2166 del 06/12/2022, dep.2023, Ibrahim, Rv. 283898-01, n. 21820 del 26/04/2022, Musella, Rv. 283364-01; n. 19561 del 12/04/2022, Di Sarli, Rv. 283194-01; n. 2879 del 26/11/2021,dep.2022,Rini, Rv. 282519-01; n. 30899 del 15/7/2020, Ambrosini, Rv. 280029-01). Secondo detto indirizzo, poiché tra l'autore del reato presupposto ed il riciclatore non è ipotizzabile alcun concorso, di conseguenza investitore e riciclatore non possono essere avvinti dal principio solidaristico, che presuppone un concorso nel reato espressamente escluso in tutti i delitti derivati, sicché difetta il presupposto per confiscare al riciclatore il profitto conseguito dall'autore del reato presupposto, potendo egli subire esclusivamente la confisca del vantaggio effettivamente conseguito.
La sentenza Ambrosini (Sez. 2, n. 30899/2020, cit.) ha altresì affermato che non vi è alcuna ragione per cui il "riciclatore" debba rispondere di tutta la somma riciclata, laddove, in realtà, ad avvantaggiarsene sia stato un terzo (l'autore del reato presupposto), perché si finirebbe per sanzionare il riciclatore (con una confisca per equivalente o diretta in caso di denaro) per un profitto di cui non ha mai goduto, contravvenendo, quindi, alla regola generale sottostante alle confische (in specie quella per equivalente), secondo la quale la suddetta sanzione non può colpire il patrimonio dell'autore del reato in misura superiore al vantaggio economico derivatogli dalla commissione di un determinato reato.
1.2 II diverso orientamento richiamato dal P.m. ricorrente ritiene, al contrario, che in tema di confisca per equivalente il profitto dei reati di riciclaggio e reimpiego di denaro è rappresentato dal valore delle somme oggetto delle operazioni dirette ad ostacolare la provenienza delittuosa, poiché, in assenza di quelle operazioni, esse sarebbero destinate ad essere sottratte definitivamente in quanto provento del delitto presupposto (Sez. 2, n. 34218 del 04/11/2020, Bonino, Rv. 280238 -01; n. 7503 del 07/12/2021, dep. 2022, Marchesan, Rv. 282957- 01; Sez. F., n. 37120 del 1/8/2019, Cudia, Rv. 277288-01; Sez. 2, n. 49003 del 13/10/2017, Nicita, non massimata). La sentenza Marchesan, muovendo dalla distinzione delle due ipotesi di confisca tipizzate dall'art. 648quater cod.pen. e facendo leva sull'esigenza di conformarne l'interpretazione alle indicazioni delle fonti eurounitarie, ritiene che "nel caso del riciclaggio il profitto coincide con il denaro derivante dal reato presupposto, quindi con la ricchezza illecitamente conseguita dal reato presupposto........", assumendo valore specializzante il compimento delle attività dirette ad ostacolare l'identificazione della provenienza delittuosa, "in quanto di carattere decisivo per la realizzazione dell'illecito profitto che, sulla scorta di tali molteplici condotte dissimulatorie, potrà in concreto realizzarsi e che si realizza con la consumazione del reato che..... prescinde da la restituzione del denaro ripulito all' autore del reato presupposto".
1.2.1 Nella cennata decisione si rinviene, altresì, una critica alla valorizzazione -ai fini dell'autonomia del concetto di profitto in relazione al delitto di riciclaggio - della preclusione normativa alla configurabilità del concorso tra i responsabili del reato presupposto e di quello derivato per effetto della clausola di riserva, evidenziando l'esistenza in ogni caso di un "concorso nell' illecito complessivo" fra costoro, che operano d'intesa, sebbene l'autore del reato fonte, per scelta del legislatore, non risponda del reato di riciclaggio. La sentenza Marchesan si segnala, inoltre, per l'affermazione secondo cui, poiché la condotta di riciclaggio assicura al riciclatore l'integrale disponibilità giuridica dei valori riciclati, consentendone l'utilizzazione sia attraverso il godimento diretto, sia mediante il reimpiego in altre attività a contenuto economico, "appare difficile sostenere... che il denaro ripulito nella disponibilità del riciclatore non possa farsi rientrare nella nozione di profitto del reato o quanto meno di prodotto nel reato nell'accezione che di tali categorie dà la giurisprudenza". Infatti, "posto che il cuore disvaloriale del delitto di riciclaggio risiede nell'immettere nel circuito economico somme illecitamente acquisite, la somma ripulita passata nelle mani del riciclatore ove non ritenuto quale vero e proprio profitto, si configura, quanto meno, quale risultato empirico dell'esecuzione criminosa, ovvero la "cosa materiale" che viene "trasformata" mediante l'attività delittuosa...... Nel caso di riciclaggio che ha per oggetto somme di denaro, il profitto del reato o comunque il prodotto del reato è, quindi, l'intero ammontare delle somme che sono state "ripulite" attraverso le operazioni di riciclaggio compiute dall'imputato...".
2. Osserva il Collegio che l'individuazione della nozione di profitto con riguardo alle fattispecie connotate da illiceità derivata o di secondo grado, in quanto strutturalmente implicanti la commissione di un precedente reato, originario generatore di profitto, presenta profili del tutto peculiari e non può prescindere da un percorso esegetico che realizzi un'efficace sintesi tra i caratteri tipici delle confische in esame e le finalità legislative perseguite, in primis la sottrazione dal circuito legale di proventi criminosi capaci di alterare le dinamiche economiche e finanziarie del mercato.
2.1 E' affermazione pacificamente condivisa che nel codice penale e nelle disposizioni delle leggi speciali che prevedono varie ipotesi di confisca non si rinviene una nozione generale di profitto sebbene il concetto sia richiamato non solo al fine di individuare l'oggetto della ablazione ma anche come elemento costitutivo di varie fattispecie di reato o come circostanza aggravante.
Il termine in questione è proprio della legislazione interna ed estraneo, semanticamente sebbene non concettualmente, alle fonti sovranazionali che negli ultimi decenni hanno fortemente contribuito all'introduzione nell'ordinamento e all'affinamento delle misure di contrasto alle attività criminali.
A titolo esemplificativo, la Convenzione OCSE sulla corruzione del 1997 prevede tra le sanzioni la confisca per equivalente dei "proventi" dell'attività corruttiva; la Convenzione Onu contro la criminalità organizzata del 2000 definisce quale "provento di reato" qualsiasi bene derivato o ottenuto, direttamente o indirettamente dalla commissione del reato; la Convenzione contro la corruzione del 2009 dispone all'art. 31 che ciascuno Stato si doti di misure per permettere la confisca dei "proventi" criminosi.
Analogamente la decisione quadro 2005/212/GAI relativa alla confisca di beni, strumenti e "proventi" di reato ha stabilito la confisca ordinaria e la confisca per equivalente in relazione a tutti i reati punibili con la reclusione superiore ad un anno, e la confisca totale o parziale (c.d. confisca estesa) dei beni detenuti da una persona condannata per uno dei gravi reati specificati, qualora esso sia stato "commesso nel quadro di un'organizzazione criminale", senza necessità di stabilire un nesso tra i beni che si ritengono di provenienza illecita e un reato specifico.
La legge delega n.34/2008 per l'attuazione della richiamata direttiva UE 2005/GAI all'art. 31 ha stabilito che per "proventi del reato" devono intendersi il prodotto e il prezzo del reato nonché il profitto derivato direttamente o indirettamente dal reato o il suo impiego.
2.2 Anche la terminologia giuridica delle Corti sovranazionali fa ricorso abitualmente all'espressione di ampia latitudine di provento del reato. In una recente pronunzia (Zaghibi c/ S. Marino, 11/5/23) la Corte EDU ha rilevato che il riciclaggio di denaro costituisce una minaccia diretta allo Stato di diritto e che le convenzioni del Consiglio d'Europa in questo settore impongono agli Stati di criminalizzare il riciclaggio dei "proventi di reato" e di prevedere altre misure per contrastare questo fenomeno che si sviluppa su scala nazionale e internazionale. La privazione dei "proventi" e degli "utili" derivanti dal riciclaggio o da altre attività criminose rientra nei poteri conferiti ai tribunali per combattere il riciclaggio di denaro. Inoltre, la confisca del denaro riciclato mira a prevenire la recidiva e ad evitare che il denaro venga reimmesso nei circuiti economici.
3. La giurisprudenza di legittimità nella sua massima espressione nomofilattica è in più occasioni intervenuta su temi che hanno richiesto la preventiva definizione del concetto di profitto e di quelli viciniori di prodotto e prez2:o del reato senza, tuttavia, approdi definitivi in ordine alle componenti strutturali del profitto.
Secondo Sez. U. 3 Luglio 1996 n. 9149, Chabni, Rv 205707, il prodotto rappresenta il risultato cioè il frutto che il colpevole ottiene direttamente dalla sua attività illecita, il profitto è costituito dal lucro e cioè dal vantaggio economico che si ricava dalla commissione del reato, il prezzo rappresenta il compenso dato o promesso per indurre, istigare o determinare un altro soggetto a commettere il reato. Nel senso della qualificazione del profitto come vantaggio di natura economica o beneficio aggiunto di tipo patrimoniale ebbero a pronunziarsi Sez. U. 14 maggio 2004, n. 29951, C. fall, in proc. Focarelli, in motivazione, e Sez. U., 24 maggio 2004 n. 29952, C. fall, in proc. Romagnoli, mentre Sez. U. 25 ottobre 2005 n. 41936, Rv 232164, Muci, indicava il profitto come corrispondente all'utile ottenuto in seguito alla commissione del reato e il prodotto come il risultato ossia il frutto che il colpevole ottiene direttamente dalla sua attività illecita.
Le richiamate pronunzie si caratterizzano per l'adesione ad una concezione causale della confisca, atteso l'accento determinante posto nella definizione del profitto sulla derivazione causale del medesimo dal reato.
3.1 Con la sentenza Miragliotta (Sez. U. 25/10/2007 n. 10208, Rv 238700), pur ribadendosi che il profitto consiste nel vantaggio economico che si ricava per effetto della commissione del reato, la Corte precisò che nel concetto di profitto dovevano intendersi ricompresi anche i c.d. surrogati ovvero i beni derivanti da reinvestimento dello stesso e le utilità connesse al reimpiego immediato.
Tralasciando i pur rilevanti interventi nomofilattici relativi alla nozione di profitto confiscabile ai sensi dell'art. 19 del D.Lgs. 231/2001, nel solco dei principi affermati da Sez. Unite Miragliotta si colloca Sez. U. Gubert n. 10561 del 30/1/2014, che ha recepito una nozione di profitto che ricomprende "non soltanto i beni appresi per effetto diretto e immediato dell'illecito ma anche ogni altra utilità che sia conseguenza anche indiretta e mediata dell'attività criminosa". Infatti "la trasformazione che il danaro, profitto di reato, abbia subito in beni di altra natura, fungibili o infungibili, non è di ostacolo al sequestro preventivo il quale può avere ad oggetto il bene di investimento cosi acquisito...", principio ribadito anche da Sez. U. 24/4/2014 n. 38343, Tyssen.
4. Alla luce della breve ricognizione che precede deve rilevarsi che l'orientamento c.d. maggioritario postula in relazione al delitto di riciclaggio la esclusiva confiscabilità per equivalente del lucro/vantaggio economico conseguito dal riciclatore in esito alle operazioni dissimulatone sanzionate all'art. 648bis cod. pen. sull'assunto che il bene sostituito, trasferito o comunque oggetto di operazioni intese ad ostacolare l'accertamento della provenienza costituisca profitto del delitto presupposto e non sia assoggettabile a confisca di valore per l'impermeabilità delle fattispecie in rapporto di derivazione ai principi del concorso di persone e la conseguente impossibilità di ravvisare un vincolo di solidarietà tra i responsabili delle stesse. Nondimeno per tal via si introduce una poco persuasiva limitazione dell'oggetto della confisca al solo prezzo del reato, ovvero all'utilità direttamente ricavata dal riciclatore dall'operazione di ripulitura, senza misurarsi, da un lato, con una nozione di profitto che nell'elaborazione della giurisprudenza è suscettibile di ricomprendere le trasformazioni e i reimpieghi direttamente derivanti dal profitto originario, dall'altro, con la possibilità di apprensione per equivalente del prodotto del reato, ovvero del risultato delle operazioni di trasferimento, sostituzione, camuffamento dei beni originari ad opera del riciclatore.
4.1 Inoltre la clausola di riserva che caratterizza il delitto ci riciclaggio al pari di quella di ricettazione e reimpiego, alla luce di una recente ed avveduta dottrina, non costituirebbe un elemento negativo della fattispecie ma equivarrebbe piuttosto ad una causa personale di esclusione della punibilità connessa ad una scelta d'opportunità del legislatore, prospettiva meritevole di riflessione in un contesto che vede detto privilegio sfuggire, tuttora, ad un inquadramento dogmatico condiviso e che impone un meditato raccordo con la previsione di cui all'art. 648,5 comma, cod.pen., richiamato sia dall'art. 648bis che dall'art. 648 ter cod,pen.
5. In detto contesto, pur considerando che la confisca di valore ha, come generalmente riconosciuto, una finalizzazione prevalentemente sanzionatoria e si configura come strumento surrogatorio, applicabile solo quando non è possibile la confisca diretta, in modo tale da consentire l'attingimento degli effetti sostanziali della stessa, rileva il Collegio che molte delle situazioni pratiche oggetto di scrutinio nelle fasi di merito soffrono il limite della mancata corretta qualificazione dei beni da apprendere quale profitto in senso stretto, prodotto o prezzo del reato, riscontrandosi un utilizzo indifferenziato e una sostanziale equiparazione delle categorie del profitto e prodotto o l'atecnico riferimento al provento, quale termine onnicomprensivo, idoneo solo ad una generica individuazione delle tipologie normative specificate all'art. 648quater cod. pen.
L'assoluta eterogeneità dei casi di riciclaggio, avuto riguardo alla molteplicità dei delitti-fonte e alle modalità di camuffamento della provenienza del denaro o dei beni in concreto attuate, impone pertanto un preliminare, corretto inquadramento dei beni da vincolare in vista della confisca, non risultando giustificata la generalizzata refluenza delle ben differenziate tipologie normative nella nozione di profitto, tenendo conto che la peculiare struttura della fattispecie consente di ritenere che il denaro, i beni o le altre utilità, sostituite, trasferite ovvero manipolate in modo da ostacolare l'identificazione della provenienza si prestano ad essere qualificate, comunque, come prodotto del reato, rappresentando il risultato empirico dell'attività illecita in cui si sostanzia la fattispecie, in quanto tale assoggettabile a vincolo a norma dell'art. 648 quater, comma 1 e 2, cod.pen., ferma restando la possibilità, in relazione alla specificità del caso concreto, di una differente ed alternativa qualificazione quale profitto o prezzo (per la sola confisca di valore), secondo le coordinate ermeneutiche declinate dalla giurisprudenza di legittimità.
Le preoccupazioni in ordine al rischio di sovrapponibilità dei provvedimenti relativi all'ablazione del profitto del reato presupposto e a quello derivato di riciclaggio e, quindi, all'amplificazione degli effetti della misura non sono idonee a contrastare la legittimità di un presidio cautelare che attinga globalmente il frutto del riciclaggio, restando vincolata alle emergenze che supportano ciascuno specifico caso la modulazione delle interrelazioni tra le eventuali diverse e concorrenti confische.
6. Il Tribunale cautelare, alla stregua delle considerazioni che precedono, dovrà procedere a nuovo esame del ricorso del Me.Vi., verificando, alla luce della domanda cautelare e delle deduzioni difensive, la riconducibilità delle somme apprese e movimentate dall'indagato alle nozioni di profitto, prodotto o prezzo del reato nella prospettiva della confiscabilità a norma dell'art. 648quater cod. pen.
P.Q.M.
Annulla l'ordinanza impugnata e rinvia per nuovo giudizio al Tribunale di Bari competente ai sensi dell'art. 324, comma 5, cod. proc. pen.
Così deciso in Roma il 23 gennaio 2024.
Depositata in Cancelleria l'11 marzo 2024.