RITENUTO IN FATTO
1. Il Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale di Milano ha emesso sentenza di applicazione della pena ex articoli 444 e seguenti cod. proc. pen. nei riguardi di: a) Bi.Ca. per i delitti, in concorso con altri ed in continuazione, di riciclaggio (commessi a M, a B - MI - e ad Hong Kong dal 28/06/2019 al 20/09/2019) e di tentativo di riciclaggio (commessi a Milano ed Hong Kong dal 24/06/2019 al 26/06/2019); b) Ma.Ma. per vari delitti, in concorso con altri ed in continuazione, di bancarotta fraudolenta, di truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche (articolo 640-bis cod. pen.) e di impiego in attività economiche o finanziarie di denaro, beni o altre utilità provenienti da delitto (articolo 648-ter cod. pen.);
c) Sa.Gi. per il delitto di associazione a delinquere finalizzata alla consumazione di reati di natura patrimoniale (tra cui truffe per ottenimento di erogazioni dal sistema bancario, bancarotte fraudolente, riciclaggio e autoriciclaggio), nonché per vari delitti, in concorso con altri ed in continuazione, di bancarotta fraudolenta, di truffa, di truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche e di impiego in attività economiche o finanziarie di denaro, beni o altre utilità provenienti da delitto.
Lo stesso giudice, salvo che in relazione agli immobili indicati ai numeri 28 e 29 dell'elenco immobili e a pagina 56 della sentenza, restituiti a Fr.Gi., ha disposto la confisca di tutti i beni in sequestro, ivi inclusi quelli sequestrati al Bi.Ca.
2. Hanno proposto distinti ricorsi per Cassazione i predetti imputati.
2.1. Il Sa.Gi. ha lamentato che egli avrebbe voluto e potuto beneficiare di una pena massima di 4 anni di reclusione e che non sarebbe stata considerata la sua reale volontà (coartata dalla paura del carcere): istanza negletta dal Pubblico Ministero, che non aveva valutato correttamente il suo intento deflattivo.
Si duole della violazione del principio rieducativo della pena, lamentando di esser destinato a scontarla in stato detentivo. Contesta, genericamente, l'illegalità della pena, dei calcoli per la continuazione e della confisca. Infine, enuncia un motivo di "violazione di legge per erronea qualificazione giuridica del fatto" su cui nulla in concreto dice.
2.2. Il Ma.Ma., dal canto suo, ha lamentato la violazione di legge ed il vizio di motivazione in relazione alla esclusione del proscioglimento ex articolo 129 cod. proc. pen. (in particolare, circa la sua qualifica di amministratore di fatto), su cui il Tribunale non aveva motivato, come imposto dagli artt. 111 Cost. e 125, comma 3, cod. proc. pen., anche nel caso di applicazione della pena su richiesta delle parti. Afferma che la qualifica di amministratore di fatto o di professionista di fiducia degli amministratori di fatto della Profile Italia Srl (identificati in Ma.Ro. e Ma.Le.) si sarebbe dovuta desumere dal concreto esercizio, in modo continuativo e significativo, dei poteri tipici inerenti alla qualifica o alla funzione.
Al riguardo, però, il Tribunale di Milano aveva reso una motivazione di stile, in poco più di 7 righe per 11 coimputati a pagina 52, limitandosi a rimandare agli atti processuali, all'informativa della P.G. e ai suoi allegati.
2.3. Infine, il Bi.Ca. si duole della manifesta illogicità della motivazione ex articolo 648 quater cod. pen., con riferimento al quantum confiscabile.
Ha evidenziato che lo stesso Tribunale avesse manifestato di aderire all'orientamento secondo cui sarebbe oggetto della misura ablatoria solo il prodotto, il profitto o il prezzo che l'autore del riciclaggio tragga dal reato che ha commesso, non potendosi applicare il principio solidaristico (che fa ricadere la confisca indifferentemente su ciascuno dei concorrenti dei delitti presupposti per l'intero profitto ad essi correlato) in assenza di concorso fra l'autore del reato presupposto ed il riciclatore, finendosi altrimenti per sanzionare quest'ultimo in relazione ad un profitto di cui non ha mai goduto, con una pena illegale.
Al Bi.Ca., dunque, avrebbero potuto essere confiscati per equivalente beni per un valore pari a quanto effettivamente guadagnato illecitamente dall'intermediazione quale commissione (che da una conversazione intercettata con la moglie del 18/7/2019 e da un suo appunto sulle commissioni nell'anno risultava pari a Euro 47.616,00 ovvero il 6% delle somme riciclate con il suo ausilio), non certo beni (per giunta acquistati molto prima dell'attività criminosa de qua, il cui valore non era neppure stato oggetto di perizia) equivalenti all'importo oggetto del riciclaggio, pari a Euro 1.305.661,10.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. I ricorsi del Sa.Gi. e del Ma.Ma. sono inammissibili.
Con essi si contesta la correttezza della motivazione della sentenza impugnata, al di fuori dei casi previsti dall'articolo 448, comma 2-bis, cod. proc. pen., come introdotto dalla legge 103/2017, che ha stabilito che il ricorso avverso la sentenza di patteggiamento è proponibile per soli motivi attinenti all'espressione della volontà dell'imputato, al difetto di correlazione tra la richiesta e la sentenza, all'erronea qualificazione giuridica del fatto e all'illegalità della pena o della misura di sicurezza.
Al riguardo, le generiche censure (del Sa.Gi.) di illegalità delle pene irrogate e della confisca non consentono alcun vaglio concreto, non segnalando errori di sorta specifici da emendare, che neppure si rilevano.
Quanto alla confisca, la censura si rivela ulteriormente inammissibile, stante la richiesta di applicazione della pena formulata dall'imputato con inclusa la confisca dell'immobile a lui sequestrato: richiesta di cui si dà atto a pagina 51 della sentenza impugnata, senza che, al riguardo, sia stata formulata censura alcuna.
La doglianza del Ma.Ma., circa l'omessa motivazione, da parte del Tribunale, in relazione all'esistenza di elementi idonei al proscioglimento dell'imputato ex articolo 129 cod. proc. pen., non considera la pacifica giurisprudenza di questa Corte secondo cui la sentenza del giudice di merito che applichi la pena su richiesta delle parti, escludendo che ricorra una delle ipotesi di proscioglimento previste dal menzionato articolo, può essere oggetto di controllo di legittimità, sotto il profilo del vizio di motivazione, soltanto se dal testo della sentenza impugnata appaia evidente la sussistenza di una causa di non punibilità (ex multis, Sez. 2, n. 39159 del 10/09/2019, Rv. 277102 e, più di recente, Sez. 5, n. 13809 del 07/02/2024, Sez. 4, n. 14896 del 03/04/2024, non massimate): laddove, nella specie, nulla è stato neanche accennato, al riguardo.
2. Il ricorso del Bi.Ca. è infondato.
2.1. Deve preliminarmente evidenziarsi come il ricorrente abbia (per quanto scritto nella sentenza gravata alle pagine 49, 57 e 58, su tali punti non censurata), con la sua istanza ex articolo 444 cod. proc. pen., accettato anche la confisca dei beni sequestrati, eccezion fatta (come si desume dalle istanze di dissequestro ivi menzionate) del denaro su conti e titoli bancari e dei veicoli indicati a pagina 55 della medesima sentenza, di cui ha chiesto, invano, la restituzione.
Dunque, deve ritenersi preclusa, in questa sede ogni questione inerente alla confisca degli immobili, nonché all'ipotetica sproporzione di valore (che, per vero, con doglianza assolutamente generica e, di per sé, inammissibile, neppure viene indicato dal ricorrente) dei beni confiscati, non risultando, per giunta, che tale ultima difesa sia stata prospettata, nei detti termini, al giudice a quo.
2.2. Per il resto, il ricorso è infondato.
2.3. L'interpretazione normativa sostenuta dal ricorrente dell'art. 648-quater cod. pen. non è condivisibile.
Pur nella non felicissima formulazione della norma (il comma 1 si riferisce alla confisca diretta dei beni che costituiscono "il prodotto o il profitto" del riciclaggio, mentre nel comma 2, in relazione alla confisca per equivalente, compare anche il riferimento al "prezzo" del reato), dovere dell'interprete è comprendere quale fosse la voluntas legis.
2.4. A tal fine, occorre preliminarmente rammentare le dibattute (da lungo tempo: si veda, ad esempio, la risalente Sez. U, n. 9149 del 03/07/1996, Chabni, Rv. 205708), e mai oggetto di legiferazione, nozioni di prodotto, profitto e prezzo del reato: a) il prodotto del reato è il risultato empirico del reato (ovvero le cose create, trasformate, adulterate mediante esso: Sez. F, n. 44315 del 12/09/2013, Cicero, Rv. 258636-01; di recente, Sez. 5, n. 47553 del 05/10/2023, Bannino, Rv. 285829-01, in motivazione, e Sez. 2, n. 18184 del 28/02/2024, non massimata); b) il profitto è il beneficio patrimoniale, l'utile, il vantaggio economico (evidentemente al di fuori di quanto risultante fisicamente dalla materiale attività di creazione da parte del reo, che, come detto, costituisce il prodotto) ritratto dal reato, solo in via diretta, per la maggior parte delle pronunce (Sez. U n. 31617 del 26/6/2015, Lucci, Rv. 264436-01; Sez. U, n. 29951 del 24/5/2004, Focarelli, Rv. 228166-01; Sez. U, n. 29952 del 24/5/2004, Romagnoli, in motivazione; Sez. U, n. 41936 del 25/10/2005, Muci, in motivazione;
Sez. U, n. 26654 del 27/3/2008, Fisia Italimpianti Spa, in motivazione; Sez. U, n. 38691 del 25/6/2009, Caruso, in motivazione; più recentemente, Sez. 2, n. 14654 del 07/03/2024 non massimata), anche in via indiretta, secondo altre autorevoli sentenze (per tutte, si vedano, Sez. U, n. 38343 del 24/04/2014, Rv. 261117, nel processo "Tyssen", e Sez. U, n. 10561 del 30/01/2014, Gubert, secondo la cui ultima, in tale concetto rientra ogni utilità che il reo "realizza come conseguenza anche indiretta o mediata della sua attività criminosa"); c) il prezzo, infine, è costituito dal compenso o dall'utilità dati o promessi per la commissione del reato (Sez. 5, n. 47553 del 05/10/2023, Rv. 285829-01; Sez. 2, n. 14654 del 07/03/2024 non massimata; Sez. 3, n. 17447 del 17/3/2022, Marazzina, non massimata).
2.5. Orbene, la lettura proposta dal ricorrente (alla luce di alcune conformi decisioni di questa Corte) non può essere condivisa già ove si osservi che, se davvero il legislatore avesse voluto far confiscare solo quelle utilità economiche proprie del riciclatore (ovvero, secondo quanto detto, il compenso o l'utile dal medesimo ritratto dal delitto de quo) avrebbe dovuto utilizzare, a ben vedere, proprio (e solo) la locuzione "prezzo del reato". Sicché l'avere indicato anche il prodotto ed il profitto non può che significare che l'intento del legislatore fosse quello di "colpire" l'illecito ben al di là del mero utile del riciclatore (invero solitamente scarsamente significativo, sotto il profilo economico, rispetto ai reali benefici perseguiti con il riciclaggio e ai ben più rilevanti danni da esso cagionati).
2.6. Indice della chiara volontà del legislatore di reprimere duramente il riciclaggio è la pena edittale stabilita per tale reato, particolarmente elevata, sia nel minimo che nel massimo: certamente ben più alta di molti dei reati presupposti alla conservazione dei cui proventi illeciti il delitto in questione è funzionale (come nel caso di specie, in cui i reati presupposti - di truffa - sono puniti di gran lunga in modo meno grave rispetto al delitto di riciclaggio).
Altro chiaro segno dell'elevata gravità che il legislatore attribuisce a tale fattispecie è l'estensione, ai delitti ex artt. 648-bis e 648-ter cod. pen., dell'ultimo comma dell'art. 648 cod. pen., che prevede la loro punibilità persino quando non possa neanche procedersi a sanzionare il reato presupposto per la mancanza di una condizione di procedibilità (ad esempio, per l'assenza di querela).
2.7. Dal punto di vista sistematico, poi, se il legislatore (nonostante la detta lata formula legislativa) avesse inteso colpire solo l'utile conseguito dal riciclatore, la norma, introdotta dall'articolo 72, comma 4, D.Lgs. 231/2007 (Attuazione della direttiva 2005/60/CE concernente la prevenzione dell'utilizzo del sistema finanziario a scopo di riciclaggio dei proventi di attività criminose e di finanziamento del terrorismo nonché della direttiva 2006/70/CE che ne reca misure di esecuzione) avrebbe avuto una ben modesta portata innovativa, limitandosi, di fatto, ad estendere la previsione della confisca obbligatoria per il prezzo del reato (già imposta dall'articolo 240, comma 2, n. 1, cod. pen. nei casi di condanna) anche alle ipotesi di patteggiamento della pena.
Tale chiara volontà del legislatore ha avuto un recente avallo nell'introduzione dell'articolo 240-bis cod. pen. (ex articolo 6, comma 1, D.Lgs. 21/2018), che ha stabilito, nei casi di condanna o di applicazione della pena su richiesta a norma dell'articolo 444 cod. proc. pen., anche per il delitto di riciclaggio (oltre che per una serie di altri gravi reati) la confisca obbligatoria (cosiddetta "allargata") "del denaro, dei beni o delle altre utilità di cui il condannato non può giustificare la provenienza e di cui, anche per interposta persona fisica o giuridica, risulta essere titolare o avere la disponibilità a qualsiasi titolo in valore sproporzionato al proprio reddito, dichiarato ai fini delle imposte sui reddito, o alla propria attività economica" (giungendo, nel comma 2, a prevedere "la confisca di altre somme di denaro, di beni e altre utilità di legittima provenienza per un valore equivalente, delle quali il reo ha la disponibilità, anche per interposta persona", laddove non sia possibile apprendere i beni indicati nel comma 1).
Ora, di fronte alla latitudine ablatoria prevista da tale ultima disposizione (che impone la confisca non di ciò che sia collegato direttamente col delitto di riciclaggio, bensì, e semplicemente, di quanto il riciclatore non provi sia di certa legittima provenienza), un'interpretazione "abrogante" (più che restrittiva) delle ipotesi di confisca (oltre al prezzo) previste dall'articolo 648-quater cod. pen. apparirebbe davvero scarsamente coerente con l'ordinamento giuridico.
2.8. Ciò, poi, a maggior ragione ove si consideri che, come costantemente affermato nella giurisprudenza di legittimità, affinché sia emessa condanna per i delitti di ricettazione, riciclaggio e autoriciclaggio non è necessario l'accertamento definitivo del delitto presupposto, essendo sufficiente che lo stesso non sia stato giudizialmente escluso in via definitiva e che il giudice procedente (per la ricettazione, per il riciclaggio, per l'autoriciclaggio) abbia avuto la prova logica della provenienza illecita delle utilità oggetto delle operazioni compiute, senza che sia necessario, cioè, ricostruire tutti gli estremi storici e fattuali e individuare i responsabili (Sez. 2, n. 6584 del 15/12/2021, dep. 2022, Cremonese, Rv. 282629; Sez. 2, n. 46773 del 23/11/2021, Peri, Rv. 282433; Sez. 2, n. 42052 del 19/06/2019, Moretti, Rv. 277509; Sez. 2, n. 29689 del 28/05/2019, Maddaloni, Rv. 277020; Sez. 5, n. 527 del 13/09/2016, dep. 2017, Dell'Anna, Rv. 269017; Sez. 2, n. 20188 del 04/02/2015, Charanek, Rv. 263521; Sez. 2, n. 26183 del 25/5/2023, Renard, non massimata).
Sicché, in tali (non rari) casi, la lettura prospettata dal ricorrente garantirebbe al riciclatore (ed al beneficiario del delitto di cui si discute) di mantenere il reale (e, come detto, solitamente molto più consistente, rispetto al prezzo del delitto) utile illecito perseguito con l'attività delittuosa posta in essere (essendovi certezza della loro provenienza da delitto, ma senza che esso sia accertato, e sanzionato, nello specifico): il che, oltre che scarsamente logico in sé, sarebbe anche in palese contrasto con la detta (chiara) voluntas legis, di reprimere duramente tali fenomeni economici, causa di rilevantissime distorsioni del libero mercato ai danni di chi vi opera lecitamente.
2.9. Da ultimo, ma non in ordine di importanza, proprio il detto dato testuale impone una lettura difforme da quella prospettata da parte ricorrente.
Come già anticipato, se tale fosse stata la volontà del legislatore, la norma avrebbe indicato (quale oggetto di confisca) solo il prezzo del reato: e, anzi, sarebbe bastato novellare l'art. 240 cod. pen. e indicare come confiscabile il prezzo del reato di riciclaggio anche a seguito di sentenza di patteggiamento.
Davvero inequivoca appare, allora, l'estensione della confisca (oltre che al prezzo del riciclaggio, anche) al prodotto: laddove non si vede ragione per escludere, da tale nozione, anche la trasformazione che ogni bene riciclato (ivi incluso il denaro) subisca in virtù dell'opera mistificatoria del riciclatore. Anzi, è proprio l'oggettiva essenza del delitto in esame (insito nel compiere "operazioni" di trasformazione od occultamento di beni di origine delittuosa, "in modo da ostacolare l'identificazione della loro provenienza delittuosa") che dà "corpo", ex se, alla nozione di prodotto, così come definita dalla giurisprudenza.
Infine, altro dato testuale che indica la chiara volontà del legislatore di colpire esattamente (e proprio) l'intera essenza patologica del fenomeno criminoso di cui qui si tratta è l'estensione della previsione della confisca anche al profitto del reato: atteso che non si vedrebbe, una volta escluso il prezzo del reato (l'utile del riciclatore) ed il prodotto (eventualmente inteso - ma davvero non se ne vede la ragione - come limitato a quei beni che siano oggetto di materiale creazione, mediante riciclaggio), espressamente indicati dalla norma in commento, a cosa si riferirebbe il profitto del delitto di riciclaggio.
Si vuol qui dire che l'uso di tutti e tre i termini (ivi incluso quello di profitto) con cui, solitamente, si indicano le utilità in genere ricavate dalla commissione dei reati), non può che essere significativo nel senso qui sostenuto: ovvero circa la volontà del legislatore di assoggettare a confisca qualsivoglia ricchezza illecita generata dal delitto di cui si tratta, ove pure non più nella disponibilità del riciclatore o, comunque, ove pure corrisponda all'originario profitto (o prezzo o prodotto) del reato presupposto.
2.10. In definitiva, per le suddette argomentazioni, è chiaro che il legislatore non intendesse garantire l'ablazione del (mero e solo) guadagno del riciclatore, bensì dell'essenza del delitto in discussione, ovvero la complessiva utilità economica che, grazie all'attività del medesimo, è stata illecitamente salvaguardata.
2.11. Tale interpretazione pare, peraltro, l'unica compatibile con le norme sovranazionali e, in particolare, con la decisione quadro 2001/500/GAI del Consiglio dell'Unione Europea del 26 giugno 2001 (concernente il riciclaggio di denaro, l'individuazione, il rintracciamento, il congelamento o sequestro e la confisca degli strumenti e dei proventi di reato) e con la decisione quadro 2005/212/GAI del Consiglio dell'Unione Europea del 24 febbraio 2005 (relativa alla confisca di beni, strumenti e proventi di reato) e con la recente Direttiva UE 2024/1260 del Parlamento europeo e del Consiglio del 24 aprile 2024). Siffatte normative dettano regole volte a colpire, anche per equivalente, ogni ricchezza illecita generatasi dai reati, ove pure trasferita a terzi (non di buona fede).
In particolare, molto chiaro e significativo appare il testo della Direttiva appena richiamata e specialmente gli artt. 3 (che definisce il "provento" come "ogni vantaggio economico derivato, direttamente o indirettamente, da reati", anche se a seguito di "reinvestimento o trasformazione di proventi diretti"), 12 (che impone agli Stati membri di adottare le misure necessarie per confiscare "proventi derivanti da un reato in base a una condanna definitiva" e i "beni di valore corrispondente" a tali proventi) e 13 (che impone agli Stati membri di adottare le misure necessarie per confiscare i "proventi da reato" o "altri beni di valore corrispondente a detti proventi, che sono stati trasferiti, direttamente o indirettamente, da un indagato o un imputato a terzi, o che sono stati da terzi acquisiti da un indagato o imputato", laddove sia giudizialmente acclarato "che i terzi interessati sapevano o avrebbero dovuto sapere che il trasferimento o l'acquisizione aveva lo scopo di evitare la confisca").
È ben vero che le norme appena citate risultano pubblicate nella Gazzetta Ufficiale dell'Unione europea solo il 2/5/2024 (con entrata in vigore prevista il 20 giorno successivo a tale pubblicazione, secondo il suo articolo 37), così com'è vero che esse sono indirizzate agli Stati membri dell'Unione Europea: ma è altrettanto vero che le medesime (così come le omologhe disposizioni unionali previgenti prima citate, soprattutto la decisione quadre 2005/212/GAI del Consiglio dell'Unione Europea del 24 febbraio 2005) non possono non esser considerate, al fine di interpretare correttamente le disposizioni nazionali in materia di riciclaggio e confisca.
Al riguardo, una recente sentenza della Corte di Giustizia, nell'interpretare la decisione quadro 2005/212/GAI del Consiglio dell'Unione Europea del 24 febbraio 2005 (come detto, relativa alla confisca di beni, strumenti e proventi di reato) ha, tra l'altro, rimarcato che: "l'articolo 2, paragrafo 1, della decisione quadro 2005/212 deve essere letto alla luce del considerando 3 di tale decisione quadro, da cui risulta che occorre tener conto dei diritti dei terzi in buona fede. Ne consegue che, in linea di principio, le disposizioni di detta decisione quadro si applicano anche alla confisca dei beni appartenenti a terzi, e che si esige, in particolare, che i diritti dei terzi siano tutelati quando questi ultimi sono in buona fede" (Corte Giustizia UE sez. I, 14/01/2021, n.393).
Insomma, ferma restando la (ovvia) tutela dei terzi di buona fede (che divengano proprietari di beni strumentali al delitto di contrabbando teoricamente confiscabili), la Corte Giustizia UE conferma l'operatività della confisca dei proventi di reato anche nei riguardi dei beni in possesso o proprietà dei terzi non di buona fede: come sono, certamente, i colpevoli di riciclaggio.
2.12. In definitiva, per le dette ragioni si concorda con quanto rilevato, in maniera invero sempre più frequente, da questa Corte, laddove si rimarca che l'orientamento che limita la confisca al lucro del riciclatore (ovvero al "prezzo del reato"), ritenendo che, in caso opposto, si aggredirebbe il profitto del delitto presupposto (senza il concorso del riciclatore alla sua commissione), non sia condivisibile, ponendo un'irragionevole limitazione a quale sia l'oggetto del provvedimento ablatorio, senza considerare che la norma in esame (in coerenza, come visto, con altre disposizioni interne e sovranazionali) intende esplicitamente sottoporre a confisca anche il "profitto" del delitto di riciclaggio (ad esempio, l'intero utile ritratto dall'alienazione della vettura rubata che sia modificata nei suoi dati identificativi, di modo da occultarne la provenienza, e che, in tal caso, corrisponde all'intero valore illecito conseguito grazie all'opera mistificatoria del riciclatore) e, soprattutto, il "prodotto":
che, in tale delitto, altro non rappresenta se non il risultato empirico dell'attività di trasformazione posta in essere dal medesimo riciclatore, ove pure svolta sul denaro, della cui provenienza illecita si miri a far perdere le tracce (in senso similare si vedano, ad esempio, Sez. 2, Sentenza n. 10218 del 23/01/2024, Rv. 286131-01 e Sez. 2, Sentenza n. 7503 del 07/12/2021, dep. 2022, Marchesan, Rv. 282957 - 01, che, peraltro, nella sua articolata motivazione, fa ampi riferimenti sia a Corte cost. sentenza n. 146 del 2021, sia al quadro normativo sovranazionale dell'epoca; confronta, sempre in termini analoghi, Sez. 2, Sentenza n. 34218 del 04/11/2020, Bonino, Rv. 28023801 e Sez. F, Sentenza n. 37120 del 01/08/2019, Cudia, Rv. 277288-01).
3. Deve, in conclusione, ribadirsi che, in tema di confisca per equivalente conseguente al reato di riciclaggio, il riferimento dell'art. 648-quater cod. pen. anche al profitto e al prodotto va inteso nel senso che il provvedimento ablatorio deve colpire il valore corrispondente a quello delle somme oggetto delle operazioni dirette a ostacolare l'identificazione della provenienza delittuosa, indipendentemente dalla loro appartenenza o meno al riciclatore.
4. Nella specie, dunque, alla luce della pacifica commissione del delitto di riciclaggio, da parte del Bi.Ca., per un importo di Euro 1.305.661,10, non si vede ragione per cui si dovrebbe fornire un'interpretazione, si ripete, parzialmente abrogante, più che restrittiva, della disposizione de qua, in contrasto con la lettera della norma, con la sua ratio e con le norme sovranazionali citate: sicché il ricorso del Bi.Ca. va rigettato.
5. I ricorrenti vanno condannati a pagare le spese processuali e quelle per la difesa di parte civile, mentre i soli Ma.Ma. e Sa.Gi. sono condannati al pagamento di quanto in dispositivo, a favore della cassa delle ammende, vista l'inammissibilità dei loro ricorsi, con evidenti profili di colpa.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso di Bi.Ca. e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Dichiara inammissibili i ricorsi di Ma.Ma. e Sa.Gi. e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della cassa delle ammende. Condanna, inoltre, gli imputati alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile Mediocredito Centrale-Banca del Mezzogiorno Spa che liquida in complessivi Euro 3167,00 oltre accessori di legge.
Così deciso in Roma l'8 maggio 2024.
Depositato in Cancelleria il 7 agosto 2024.