RITENUTO IN FATTO
1. Giudicando sui ricorsi presentati, fra l'altro, da Ca.An., Ca.Ma., Pr.Do., Ca.Pi., So.Sa., Mo.Pa., So.Vi., So.Ca., la Corte di cassazione, Sesta sezione, con sentenza dell'11/12/2015 annullava la sentenza pronunciata nei confronti dei predetti imputati dalla Corte di appello di Lecce in data 29/05/2014, dichiarando estinti tutti i reati di falso ideologico contestati agli imputati, riqualificando come ipotesi di peculato i reati di truffa aggravata e corruzione, non dichiarati estinti nei precedenti gradi, e disponendo il rinvio per la rideterminazione delle pene, nonché per una nuova valutazione in ordine ai presupposti della disposta confisca.
La Corte di cassazione, in particolare, riteneva che l'erogazione, propiziata da istruttorie mancanti o viziate e da false attestazioni, di somme a ristoro di pretesi danni da eventi calamitosi avrebbe dovuto ricondursi a condotta appropriativa di un funzionario, poi deceduto, che aveva la disponibilità giuridica del denaro, correlativamente dovendosi valutare ai fini della confisca se fosse ravvisabile il profitto o il prezzo e se corrispondentemente, per fatti anteriori al 2012, fosse o meno possibile disporre la confisca per equivalente.
Con sentenza del 13/02/2019 la Corte di appello di Lecce in sede di rinvio rideterminava le pene, confermando il giudizio di equivalenza tra aggravanti e attenuanti, e relativamente alle confische, con riferimento ai capi B), C), D), E), M), O), che riguardavano i sopra indicati imputati, le confermava in ragione del 75% delle erogazioni pubbliche correlate ai reati non estinti per prescrizione.
Giudicando sui ricorsi presentati avverso tale sentenza, la Corte di cassazione, Seconda Sezione, in data 17/11/2020, la annullava in relazione alla determinazione della pena nonché in relazione alle confische, rilevando che erroneamente erano state confermate aggravanti non compatibili con il reato di peculato e che, quanto alle confische, non era stata sviluppata alcuna analisi a sostegno dell'assunto che gli importi fossero da qualificare come prezzo, suscettibile di giustificare una confisca per equivalente.
La Corte di appello di Lecce, in sede di ulteriore rinvio, con sentenza del 24/02/2023, escludeva le aggravanti contestate, e rideterminava le pene riducendo la pena base per le già concesse attenuanti generiche e operando poi gli aumenti per la continuazione, ed escludeva inoltre la possibilità di confisca per equivalente, confermando la confisca diretta su somme di denaro in sequestro, giacenti su conti correnti e libretti di deposito, fino all'ammontare delle somme percepite, peraltro in motivazione chiarendo che avrebbe dovuto farsi riferimento al 75% degli importi, in linea con i precedenti giudizi di merito.
2. Hanno proposto ricorso Ca.An., Ca.Ma., Pr.Do., Ca.Pi., tramite il loro difensore.
2.1. Con il primo motivo denuncia violazione dell'art. 627, comma 3, cod. proc. pen. in relazione all'art. 322-ter cod. pen.
Posto che l'annullamento era stato disposto al fine di verificare se potesse parlarsi o meno di prezzo del reato, tale da giustificare la confisca per equivalente, la Corte, nel negare la possibilità di siffatta confisca, aveva confermato la confisca diretta, ma in assenza di un pronunciamento precedente che avesse disposto tale tipo di confisca, con la conseguenza che non avrebbe potuto parlarsi di conferma.
Una volta esclusa la possibilità di confisca per equivalente, avrebbero dovuto revocarsi le statuizioni in materia di confisca.
2.2. Con il secondo motivo denuncia violazione di legge in relazione all'art. 322-ter cod. pen.
La sentenza aveva erroneamente omesso di indicare nel dispositivo i limiti percentuali delle erogazioni entro i quali avrebbe dovuto disporsi la confisca diretta, solo nella parte motiva avendo chiarito che si intendeva confermare la percentuale del 75%.
In ogni caso la percentuale era stata determinata sulla base di parametri errati.
Il 75% corrispondeva alla frazione delle erogazioni che spettava al pubblico funzionario e dunque esprimeva la quota di profitto riguardante il predetto e non anche i ricorrenti.
La somma destinata a costoro era pari invece al 25%.
Anche ritenendo ammissibile la confisca diretta, la percentuale di profitto confiscabile avrebbe dovuto ridursi in tale misura anche in ossequio all'orientamento in forza del quale, in caso di concorso di persone, sequestro e confisca non possono disporsi per l'intero nei confronti di ciascuno, ma in relazione a quanto in concreto conseguito.
3. Hanno proposto ricorso So.Sa., Mo.Pa., So.Vi. e So.Ca., tramite il loro difensore.
3.1. Con il primo motivo denunciano violazione di legge e vizio di motivazione in relazione agli artt. 81,314 cod. pen., 627 cod. proc. pen.
La Corte aveva rimodulato le pene senza precisare gli aumenti in ordine alla continuazione, posto che gli episodi residui si inserivano in un unico fatto.
Aveva in particolare operato aumenti diversi per i quattro ricorrenti (mesi 4 per Mo.Pa., mesi 5 per So.Sa., giorni 15 per gli altri due) senza dar conto delle relative ragioni, al fine di consentire il controllo dell'esercizio della
discrezionalità e quindi il rispetto del principio di proporzionalità, finendo per incorrere nel vizio di mancanza di motivazione,
3.2. Con il secondo motivo denunciano violazione di legge e vizio di motivazione in relazione agli artt. 69,62-bis, 81,133 cod. pen.
La Corte non aveva applicato la riduzione per le attenuanti generiche sulle ipotesi ritenute in continuazione, a fronte del fatto che la loro concessione non era specificamente riferita ad un reato, ma ineriva a tutti gli episodi in relazione ad elementi di fatto di natura soggettiva.
3.3. Con il terzo e il quarto motivo si propongono censure corrispondenti a quelle esposte nel primo e nel secondo motivo degli altri ricorrenti.
Diritto
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Cominciando dall'esame dei motivi in tema di trattamento sanzionatorio presentati nell'interesse di So.Sa., Mo.Pa., So.Vi. e So.Ca., deve rilevarsi l'infondatezza del primo e l'inammissibilità del secondo.
1.1. Con riguardo agli aumenti per la continuazione, deve in linea generale rilevarsi che i predetti ricorrenti erano chiamati a rispondere delle illecite operazioni riassunte nel capo 0), riqualificate come plurime condotte di peculato.
La concreta rilevanza delle operazioni e il diverso grado di colpevolezza dei singoli, anche in relazione agli importi, sono stati fin dal primo grado valutati ai fini della determinazione delle pene irrogate a ciascuno, con aumenti della pena a titolo di continuazione sempre proporzionati alla diversa pena base stabilita in relazione ad ogni imputato.
A fronte di ciò, deve in primo luogo rilevarsi come sfugga a qualsivoglia censura la determinazione dell'aumento in soli quindici giorni nei confronti di So.Vi. e di So.Ca.
Ma altrettanto deve dirsi con riferimento all'aumento più elevato (rispettivamente di mesi quattro e di mesi cinque) determinato nei confronti di Mo.Pa. e a So.Sa., giacché la valutazione dei giudici di merito è stata sempre rapportata al diverso grado di colpevolezza e alla rispettiva consistenza delle condotte accertate, anche sotto il profilo personologico, che ha giustificato l'irrogazione di una pena base ben più elevata nei confronti dei predetti e, corrispondentemente, il computo di un più elevato aumento per la continuazione con le altre ipotesi di peculato, tutte strutturalmente omogenee, aumento che trova dunque riscontro e giustificazione nello sviluppo dell'intero processo, senza che, peraltro, siano state formulate censure specifiche volte a segnalare
l'arbitrarietà del calcolo della pena base e, in tale prospettiva, l'incoerenza degli aumenti operati ai sensi dell'art. 81 cod. pen.
Non può, dunque, dirsi che la pena, rideterminata in terza lettura dalla sentenza impugnata solo in conseguenza dell'esclusione di aggravanti, non sia il risultato di una idonea valutazione, rispettosa dei consolidati canoni interpretativi.
1.2. Quanto alla rilevanza delle attenuanti generiche, a seguito dell'esclusione di aggravanti, la deduzione risulta generica, in quanto è formulata in termini astratti e non è idonea a dimostrare che le attenuanti generiche non abbiano concretamente inciso sulla rideterminazione, oltre che della pena base, anche dei complessivi aumenti operati ai sensi dell'art. 81 cod. pen., di cui, fra l'altro, nel motivo di ricorso non viene operata alcuna comparazione con quelli stabiliti nelle precedenti fasi di merito.
2. Venendo ora ai motivi, comuni a tutti i ricorrenti, che concernono il tema della confisca, deve rimarcarsi che la confisca ha sempre avuto ad oggetto somme, conti o beni caduti in sequestro.
2.1. Orbene, a seguito della riqualificazione delle condotte come peculato ai sensi dell'art. 314 cod. pen. si è concretamente posto il problema della legittimità della confisca, diretta o per equivalente, dovendosi considerare che, in base alla formulazione dell'art. 322-ter cod. pen. vigente all'epoca dei fatti, la confisca per equivalente avrebbe potuto dirsi consentita, attesa la compresenza di un coessenziale contenuto sanzionatorio, solo ove il provento fosse stato riconducibile alla nozione di prezzo, posto che l'estensione della possibilità di confisca per equivalente al profitto era stata introdotta solo successivamente dalla legge 190 del 2012 (sul punto si rinvia a Sez. U, n. 38691 del 25/06/2009, Caruso, Rv. 244189; per la natura sanzionatoria della confisca per equivalente, Sez. U, n. 31617 del 26/06/2015, Lucci, Rv. 264437 e, più di recente, Sez. U, n. 4145 del 29/09/2022, Esposito, Rv. 284209).
Proprio in tale prospettiva la prima sentenza rescindente, nel segnalare la necessità di una nuova valutazione, a seguito della riqualificazione dei reati, si era espressa in tali termini: "Spetta infatti al Giudice del merito rivisitare in fatto le valutazioni sulle disposte confische, in ordine al rapporto tra i beni sequestrati e i delitti di peculato (quindi sulla natura di profitto o prezzo e di confisca diretta o per equivalente), anche alla luce del concreto contenuto del genetico decreto di sequestro preventivo (13.5.09 e 13.11.09), attenendosi ai principi di diritto enunciati dalle Sezioni Unite dì questa Corte ...".
Ciò significa che in sede di rinvio avrebbe dovuto qualificarsi correttamente il provento dei reati e in relazione a ciò, avuto riguardo ai beni in sequestro in riferimento ai quali la confisca era stata disposta, procedersi alla qualificazione della stessa, verificando l'eventuale legittimità o meno di una confisca per equivalente.
Deve aggiungersi che in base all'art. 322-tercod. pen. la confisca di beni che costituiscano profitto o prezzo è comunque obbligatoria, ferma restando la possibilità di confisca per equivalente alle condizioni stabilite.
2.2. A fronte di ciò, dopo che nella sentenza pronunciata in sede di rinvio i proventi erano stati qualificati come prezzo, con la conseguenza della piena legittimità della confisca per equivalente, con la seconda sentenza rescindente è stata segnalata l'incongruità di tale valutazione, ciò cui è seguito un nuovo annullamento con rinvio sul punto, che sottendeva un nuovo esame, comunque destinato a fornire idonea risposta anche al quesito, come sopra riassunto, formulato nella prima sentenza rescindente.
A ben guardare, dunque, si poneva in sede di nuovo rinvio il problema di verificare se in relazione ai beni in sequestro fosse configurabile una confisca diretta o per equivalente e se la confisca per equivalente fosse o meno consentita in relazione alla corretta qualificazione dei proventi.
La sentenza impugnata ha ricondotto i proventi dei delitti di peculato alla nozione di profitto, coerentemente escludendo la possibilità di confisca per equivalente, ma ha tuttavia è confermato nei confronti di tutti i ricorrenti la confisca, qualificata come diretta, di somme in sequestro, giacenti su conti correnti e libretti di deposito.
2.3. L'assunto difensivo, secondo cui non si sarebbe potuto parlare di conferma di una confisca diretta mai in precedenza disposta, è di per sé infondato.
Va infatti rilevato che dei beni in sequestro era stata disposta la confisca nei confronti dei vari imputati, cosicché si trattava di procedere alla sua esatta qualificazione, secondo le indicazioni contenute nelle sentenze rescindenti.
In concreto, la confisca aveva riguardato vari beni immobili e somme giacenti su conti correnti o riferibili ad altri tipi di rapporti bancari.
La sentenza impugnata, alla resa dei conti, ha revocato la confisca dei beni immobili, nel presupposto che la stessa fosse riconducibile all'ipotesi della confisca per equivalente, non consentita in ragione della natura di profitto attribuibile ai proventi delle operazioni illecite.
Ma del tutto coerentemente ha confermato la confisca delle somme, rilevando che la stessa era riconducibile all'alveo della confisca diretta.
Va infatti sul punto richiamato il consolidato orientamento giurisprudenziale in forza del quale "la confisca del denaro costituente profitto o prezzo del reato, comunque rinvenuto nel patrimonio dell'autore della condotta, e che rappresenti l'effettivo accrescimento patrimoniale monetario conseguito, va sempre qualificata come diretta, e non per equivalente, in considerazione della natura fungibile del
bene" (Sez. U, n. 42415 del 27/05/2021, C., Rv. 282037), ciò quand'anche giacente su conti correnti (sul punto, Sez. U, n. 31617 del 26/06/2015, Lucci, cit.).
In definitiva, dando idonea risposta al sotteso quesito riguardante la natura della confisca, correlata specificamente al profitto riveniente dagli introiti conseguiti a seguito delle condotte di peculato, la Corte ha rilevato come la confisca delle somme fosse consentita e potesse essere dunque confermata, in quanto qualificabile come diretta.
2.4. Tuttavia, la sentenza impugnata non ha considerato che nei confronti di alcuni ricorrenti non era stata disposta la confisca di somme o di conti o rapporti bancari, bensì solo di immobili o beni suscettibili di mera confisca per equivalente.
In particolare, dalla sentenza di primo grado, che dà puntualmente conto dei beni confiscati in relazione al sequestro disposto, non risulta che fosse stata ordinata la confisca di somme nei confronti di Ca.Ma., di Pr.Do. e di Ca.Pi.: solo in tali limiti, dunque, risulta fondata la deduzione difensiva in ordine all'impossibilità di confermare una confisca diretta, in realtà mai disposta in precedenza.
Relativamente ai predetti, pertanto, la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio in ordine alla statuizione concernente la confisca, che deve essere eliminata.
3. Con riguardo agli altri ricorrenti si pone tuttavia il problema - evocato dal secondo motivo proposto in relazione alla confisca - dell'esatta quantificazione della misura.
3.1. I Giudici di merito, nel qualificare i proventi come prezzo del reato, avevano limitato la confisca al 75% degli stessi, in quanto dalle risultanze probatorie era emerso che il pubblico funzionario Guarini, artefice delle illecite operazioni, consistenti nell'erogazione indebita di indennizzi per eventi calamitosi, aveva preteso che gli fosse riconosciuto in cambio il 75% degli importi.
Ma la configurabilità del prezzo era originariamente correlata alla qualificazione delle condotte come corruzione: in tale ottica il prezzo consisteva proprio nelle somme attribuite al pubblico ufficiale, quale corrispettivo della sua illecita operatività.
D'altro canto, l'art. 322-ter cod. pen., al secondo comma, nel riferirsi alle ipotesi di corruzione attiva di cui all'art. 321 cod. pen. e dunque alla posizione dei privati corruttori, non fa riferimento al prezzo, bensì al profitto, prevedendo che la confisca riguardi beni di valore corrispondente, comunque non inferiore a quello del prezzo corrisposto.
Solo in tale ottica, dunque, avrebbe potuto prospettarsi una identica commisurazione del prezzo e del profitto derivanti dal reato di corruzione.
3.2. Ma dopo la riqualificazione delle condotte come peculato, non vi era margine per una siffatta equiparazione, dovendosi aver riguardo agli introiti derivanti dalle illecite operazioni riconducibili alla strategia del pubblico ufficiale e attuate con il concorso dei privati interessati e a loro vantaggio, salvo il riconoscimento al predetto del 75% degli importi.
A ben guardare, il profitto corrispondeva in tutti i casi all'entità complessiva degli importi di volta in volta erogati, cui era correlata tuttavia una ripartizione degli stessi.
Contrariamente a quanto prospettato nella sentenza impugnata, giammai avrebbe dunque potuto determinarsi l'entità della confisca nei confronti dei privati nella misura del 75%.
Ed invero, tutti i soggetti avevano concorso nell'operazione, incassando somme illecitamente liquidate, costituenti, in astratto, il profitto imputabile semmai a tutti i concorrenti.
Va tuttavia osservato che un siffatto inquadramento condurrebbe ad un risultato diverso e più gravoso per i ricorrenti rispetto a quello derivante da tutte le precedenti sentenze di merito, che avevano in varia guisa optato per una delimitazione della misura della confisca.
Deve inoltre rilevarsi che la confisca diretta implica comunque che il profitto venga ricercato e appreso dove e nella misura in cui lo stesso si è consolidato ed è rinvenibile.
Giova altresì richiamare il principio, affermato con riferimento al sequestro preventivo, ma valido a fortiori per la confisca, secondo cui "in presenza di un illecito plurisoggettivo, il sequestro preventivo finalizzato alla confisca può essere disposto per l'intero importo del profitto nei confronti di ciascuno dei concorrenti, soltanto nel caso in cui la fattispecie concreta ed i rapporti economici ad essa sottostanti non consentano di individuare, allo stato degli atti, la quota di profitto concretamente attribuibile a ciascuno o la sua esatta quantificazione" (Sez. 6, n. 6607 del 21/10/2020, dep. 2021, Venuti, Rv. 281046; più di recente, in senso conforme, con riguardo alla confisca, Sez. 6, n. 10612 del 05/12/2023, dep. 2024, Bianco, non massimata).
Orbene, pur nel quadro della condivisione del profitto, legata alla natura concorsuale e plurisoggettiva delle condotte di peculato venute in rilievo, può dirsi che le inequivoche risultanze processuali abbiano consentito di individuare un nitido criterio di ripartizione dei profitti, dovendosi determinare nella misura del 25% quello conseguito effettivamente dai privati interessati alle singole operazioni.
3.3. In tali limiti va, dunque, accolto il motivo di ricorso proposto da Ca.An., So.Sa., So.Ca., Mo.Pa. e So.Vi., dovendosi annullare la sentenza impugnata limitatamente alla confisca, che deve essere rideterminata nella misura del 25%, in relazione ai profitti da ciascuno conseguiti per effetto delle condotte di peculato non dichiarate estinte prima della originaria sentenza di annullamento con rinvio dell'11/12/2015.
Deve essere per contro rigettato nel resto il ricorso dei predetti imputati.
PQM
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di Ca.Ma., Pr.Do. e Ca.Pi. limitatamente alla statuizione della confisca, che elimina. Annulla altresì la sentenza impugnata nei confronti di Ca.An., So.Sa., So.Ca., Mo.Pa. e So.Vi. limitatamente alla statuizione della confisca, che ridetermina nella misura corrispondente al 25 per cento dei profitti da ciascuno di essi conseguiti, rigettando nel resto i ricorsi.
Così deciso il 3 aprile 2024.
Depositata in Cancelleria il 29 maggio 2024.