RITENUTO IN FATTO
1. Con la sentenza impugnata la Corte di appello di Palermo, in parziale riforma della sentenza emessa dal Tribunale di Palermo, ha assolto Fa.Gi. dal reato di cui all'art. 314 cod. pen. (capo A dell'imputazione nel quale, sin dal primo grado, è stato ritenuto assorbito il capo A-bis) e confermato la condanna di In.An. per il medesimo reato.
La responsabilità di In.An. è stata affermata dalle due sentenze di merito in relazione alla procedura di indebita liquidazione di buoni fruttiferi postali "clonati" secondo il seguente schema: In.An., quale dipendente dell'Ufficio postale di B, addetto alla liquidazione dei buoni fruttiferi postali e alle consulenze relative agli investimenti, con delega del Direttore, compreso l'accesso al caveau dell'Ufficio in caso di sua assenza, si appropriava della somma complessiva di euro 183.395,60, liquidando in contanti l'importo di 54 buoni fruttiferi postali indicati analiticamente nel campo di imputazione, all'epoca dei fatti costituiti da titoli cartacei grossolanamente falsificati, sulla base di documenti di identità , in parte, falsi e, in altra parte, prodotti in fotocopia, senza attivare la procedura che prevedeva, per i c.d. "buoni non radicati", la richiesta di nulla osta ai rispettivi uffici emittenti.
La sentenza impugnata ha assolto il Fa.Gi., all'epoca dei fatti direttore dell'ufficio postale di B sulla base dei seguenti elementi: secondo la prassi riferita dai testi Sg., Ro. e Ca., escussi nel dibattimento in appello, i buoni postali fruttiferi di importo fino a 20.000 euro venivano liquidati direttamente dall'operatore e tale era il caso dei singoli buoni liquidati nella fattispecie in esame; è, inoltre, emerso che tutta la pratica veniva istruita dallo sportellista il quale doveva anche chiedere il nulla osta agli uffici emittenti; in tre giornate comprese nel periodo in contestazione In.An. aveva sostituito Fa.Gi. perché assente dal servizio.
La sentenza di primo grado aveva, invece, affermato la responsabilità di Fa.Gi. in considerazione della violazione del dovere di vigilanza e controllo, della sua specifica competenza in materia di buoni postali, nonché della sua presenza in ufficio in quasi tutti i giorni in cui erano avvenuti i rimborsi.
2. Ricorrono per cassazione sia il Procuratore Generale presso la Corte di appello di Palermo che In.An.
3. Il Procuratore Generale impugna il capo della sentenza relativo alla assoluzione di Fa.Gi. e deduce il vizio di manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione. La sentenza impugnata ha, infatti, ritenuto che la procedura di liquidazione dei buoni postali fosse unica, senza alcuna distinzione tra buoni "radicati" e "dislocati", e ciò in contrasto con i protocolli e le linee guida di Poste Italiane.
Dalle dichiarazioni dei testi Sg., Ro., Ca. e Me., nonché da quelle rese da In.An. e dai testi della difesa è, infatti, emerso che il direttore dell'ufficio postale del buono dislocato era tenuto ad esercitare un controllo sulla procedura di liquidazione. In particolare, nel caso di buoni dislocati, il rimborso non poteva essere immediato in quanto il direttore dell'ufficio doveva chiedere il nulla osta a quello dell'ufficio di emissione. Tale procedura è stata confermata dallo stesso Fa.Gi.. Si segnala, inoltre, che Fa.Gi. era stato informato dal referente dell'Ufficio Antifrode di Palermo (teste Ca.) che In.An. era coinvolto in altri episodi segnalati alla Procura di Palermo. Aggiunge, inoltre, che il teste Ar. ha chiarito che In.An. non aveva a disposizione somme di denaro e, dunque, in caso di richieste di rimborso di buoni postali, avrebbe dovuto indirizzare l'interessato agli addetti al maneggio di denaro. Sulla base dell'istruttoria svolta, Fa.Gi. aveva una posizione di controllo e, dunque, avrebbe dovuto vigilare, quanto meno, sul rilascio del nulla osta. Lo stesso Fa.Gi. ha ammesso di avere concorso al rimborso dei falsi buoni postali.
Conclude, pertanto, il ricorrente che, non avendo l'In.An. disponibilità di cassa, il rimborso dei buoni postali - avvenuto nei giorni in cui Fa.Gi. era in servizio, in favore di fantomatici clienti, sulla base di titoli grossolanamente falsificati e senza il nulla osta del direttore dell'ufficio emittente - doveva essere stato necessariamente autorizzato dal direttore (autorizzazione necessaria, per come riferito dal teste Ch., anche per importi di 8.000 euro).
4. In.An. deduce tre motivi di ricorso, di seguito riassunti nei termini strettamente necessari per la motivazione.
4.1. Con il primo motivo deduce la violazione dell'art. 521 cod. proc. pen. atteso che, mentre nel capo di imputazione si contesta l'avere agito in concorso con persone rimaste ignote che avrebbero incassato il denaro successivamente diviso con l'imputato, le sentenze di merito hanno, invece, ritenuto verosimile che costui abbia confezionato le false pratiche di rimborso e liquidato a sé stesso le somme di denaro.
4.2. Con il secondo motivo deduce il vizio di violazione di legge in relazione alla ritenuta qualifica pubblicistica di In.An., atteso che, secondo la giurisprudenza di legittimità , l'attività in questione va assimilata all'attività bancaria, di natura privatistica.
4.3. Con il terzo motivo deduce, in subordine, la violazione dell'art. 62-bis cod. pen. per la mancanza di adeguata motivazione sul diniego delle circostanze attenuanti generiche, atteso che i fatti si sono esauriti in un brevissimo arco di tempo, l'imputato è incensurato ed ha tenuto un comportamento processuale positivo, presentandosi a tutte le udienze.
5. Il difensore di Fa.Gi. ha depositato una memoria con la quale ha concluso per l'inammissibilità o per il rigetto del ricorso del Procuratore Generale. Oltre a rilevare l'inammissibilità del ricorso proposto, in quanto sollecita una rilettura degli elementi acquisiti nel processo, evidenzia come le conclusioni cui perviene il ricorrente sono smentite dai seguenti elementi emergenti dai fogli di cassa acquisiti in dibattimento: a) solo In.An. è stato l'autore delle operazioni di cassa ed ha apposto la sua firma; b) 44 dei 54 buoni contestati risultano incassati nelle giornate del 15 giugno 2011, 16 giugno 2011 e 12 luglio 2011, in cui Fa.Gi. era sicuramente assente; c) tutti i buoni erano dislocati, e cioè provenienti da altri uffici postali, e l'In.An. non aveva mai richiesto il nulla osta al pagamento all'ufficio postale emittente; d) i buoni erano accompagnati da richieste di pagamento apocrife e In.An. ometteva di effettuare il controllo di identità delle persone che si presentavano allo sportello.
A sostegno della correttezza delle conclusioni cui è pervenuta la sentenza impugnata si richiamano le deposizioni dei testi Ca., Ro., Sg. e Lo. i quali, tra l'altro, hanno ampiamente chiarito che i buoni fruttiferi postali oggetto del presente procedimento potevano essere incassati autonomamente dallo sportellista, essendo di modico valore; che non occorreva alcuna formalità , nemmeno la prenotazione, se il buono postale da scambiare era di modico importo, rimanendo tale operazione a carico dell'operatore di sportello; che la procedura formale vigente nel 2011 non prevedeva l'obbligo in capo all'operatore di sportello di informare il direttore prima di procedere al rimborso di un buono fruttifero postale.
Si deduce, infine, il travisamento delle dichiarazioni del Fa.Gi., atteso che all'udienza del 14 febbraio 2020 si è limitato a dichiarare che il direttore veniva coinvolto solo se non c'era una capienza di cassa sufficiente a pagare il buono, mentre la verifica dell'identità di chi si presentava per l'incasso e la trasmissione del fax di nulla osta erano di competenza dello sportellista e non del direttore dell'ufficio postale; quanto alle operazioni avvenute il 4 maggio 2011, in cui era presente in ufficio, il Fa.Gi. ha dichiarato di avere appreso del pagamento dei buoni "a fine operatività ", e cioè dopo che l'identità del richiedente era stata verificata dallo sportellista.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Ragioni di ordine logico impongono di esaminare prima il ricorso di In.An., in cui si pongono questioni relative alla natura del servizio svolto da Poste Spa ed alla qualifica pubblicistica dell'operatore di sportello che rilevano quale antecedente logico-giuridico rispetto all'esame della questione relativa alla responsabilità del direttore dell'ufficio postale oggetto del ricorso del Procuratore Generale.
2. Il primo motivo di ricorso dedotto da In.An. è inammissibile in quanto meramente reiterativo della questione già proposta in appello ed adeguatamente esaminata dalla Corte territoriale con motivazione immune da vizi logici o giuridici. La sentenza impugnata ha, infatti, escluso la violazione dell'art. 521 cod. proc. pen. ponendo correttamente l'accento sulla identità del fatto per cui è stata pronunciata condanna (appropriazione del denaro tramite incasso dei buoni postali), rispetto al quale ha convincentemente reputato irrilevante la circostanza relativa all'omessa individuazione dei concorrenti nel reato (indicati come ignoti anche dal capo di imputazione). Deve, infatti, escludersi la violazione del principio di necessaria correlazione tra accusa e sentenza, allorché, contestato a taluno un reato a titolo di concorso personale, se ne affermi la responsabilità "uti singulus"; ciò in quanto non ne consegue alcun mutamento degli elementi strutturali del fatto (cfr. Sez. 5, n. 16548 del 03/04/2006, Pannella, Rv. 234447; si veda anche Sez. 2, n. 22173 del 24/04/2019, Michetti, Rv. 276535 che ha escluso la violazione del medesimo principio anche nell'ipotesi inversa in cui si affermi la responsabilità a titolo di concorso in ordine ad un fatto contestato come commesso "uti singulus").
3. Anche il secondo motivo di ricorso non supera il vaglio di ammissibilità in quanto, reiterando la medesima censura già dedotta in appello in ordine alla qualifica pubblicistica del ricorrente, omette di confrontarsi con le argomentazioni della sentenza impugnata che, aderendo all'orientamento maggioritario della giurisprudenza di legittimità , dal Collegio condiviso, ha riconosciuto la qualifica di incaricato di pubblico servizio al dipendente di Poste Italiane Spa che si appropria di denaro afferente al risparmio postale (libretti postali e buoni fruttiferi postali), qualificando tale condotta quale peculato (Sez. 6, n. 993 del 20/11/2018, dep. 2019, Consiglio, Rv. 274938; Sez. 6, n. 14227 del 13/01/2017, Spataro, Rv. 269481; Sez. 6, n. 10875 del 23/11/2016, dep. 2017, Carloni, Rv. 272079; Sez. 5, n. 31660 del 13/02/2015, Barone, Rv. 265290; Sez. 6, n. 36007 del 15/6/2004, Perrone, Rv. 229758; Sez. 6, n. 20118 del 08/03/2001, Di Bartolo, Rv. 218903).
Coerentemente con il criterio oggettivo-funzionale privilegiato dal legislatore allorché con la legge 26 aprile 1990, n. 86, ha modificato la nozione di persona incaricata di un pubblico servizio di cui all'art. 358 cod. pen., l'orientamento qui condiviso ha posto l'accento sulla connotazione pubblicistica dell'attività in questione, in quanto direttamente ed univocamente finalizzata, per legge, al perseguimento di primari interessi.
A sostegno di tale conclusione sono stati valorizzati i seguenti elementi: a) la diretta ed esclusiva strumentalità dei fondi raccolti al perseguimento dei compiti istituzionali assegnati alla Cassa Depositi e Prestiti Spa (di seguito C.D.P.); b) le specifiche caratteristiche e le condizioni di emissione dei libretti di risparmio postale e dei buoni postali fruttiferi; c) le perduranti connotazioni pubblicistiche della Divisione Bancoposta di Poste Italiane Spa e di C.D.P. per quanto attiene alle attività di raccolta del risparmio postale; d) la sottoposizione a controllo della Corte dei Conti sia dell'attività di C.D.P. (art. 5, comma 17, D.L. 30 settembre 2003, n. 269, convertito, con modifiche, dalla legge 24 novembre 2003, n. 326) che di Poste Italiane (art. 5 D.L. 1 dicembre 1993, n. 487, convertito, con modifiche, dalla legge 29 gennaio 1994 n. 71); e) la specifica definizione contenuta all'art. 12 D.P.R. 29 marzo 1973, n. 156 (Approvazione del testo unico delle disposizioni legislative in materia postale, di bancoposta e di telecomunicazioni), come modificato ad opera dell'art. 218, D.Lgs. n. 259 del 2003, secondo il quale le persone addette ai servizi postali e di bancoposta, anche se dati in concessione ad uso pubblico, sono considerate pubblici ufficiali od incaricati di pubblico servizio, secondo la natura delle funzioni loro affidate, in conformità degli artt. 357 e 358 cod. pen.
Con riferimento a tale ultima disposizione si è, infatti, affermato che dalla modifica della norma, introdotta dopo la trasformazione in società per azioni di Poste Italiane e l'adozione del c.d. "regolamento Bancoposta", emerge che il legislatore, pur espungendo il riferimento al servizio delle telecomunicazioni, ha, comunque, considerato che non tutte le attività riconducibili al servizio di bancoposta sono assimilabili al servizio bancario ed hanno, dunque, natura privatistica.
3.1. Ritiene il Collegio che le conclusioni cui perviene l'orientamento in esame meritano di essere condivise anche in ragione di ulteriori indici della natura pubblicistica della attività di raccolta del risparmio postale, indici desumibili dalla disciplina che governa il collocamento dei buoni postali fruttiferi.
Innanzitutto, lo stesso legislatore considera separatamente l'attività di raccolta del risparmio postale rispetto a quella di raccolta del risparmio tra il pubblico. La distinzione tra le due attività emerge dall'art. 2, D.P.R. 14 marzo 2001, n. 144 (Regolamento recante norme sui servizi di bancoposta) che, nell'ambito delle operazioni riconducibili all'attività di bancoposta, considera separatamente la raccolta di risparmio tra il pubblico, come definita dall'articolo 11, comma 1, del Testo Unico bancario (lett. a) - assimilata agli ordinari servizi bancari o finanziari e soggetta alla disciplina del Testo Unico bancario e del Testo Unico della finanza - e la raccolta del risparmio postale (lett. b), soggetta, invece, alla disciplina contenuta nel D.L. 1 dicembre 1993, n. 487, convertito con modificazioni dalla legge 29 gennaio 1994, n. 71 (trasformazione dell'Amministrazione delle Poste e delle Telecomunicazioni in ente pubblico economico e riorganizzazione del Ministero), e nel D.Lgs. 30 luglio 1999, n. 284 (riordino della Cassa Depositi e Prestiti), nonché nelle norme del Testo Unico bancario e del Testo Unico della finanza "ove applicabili" e "in quanto compatibili".
3.2. Va, inoltre, considerato che i fondi rimborsabili sotto forma di libretti di risparmio postale, buoni fruttiferi postali e di altri prodotti finanziari, assistiti dalla garanzia dello Stato, costituiscono una delle risorse economiche utilizzate da C.D.P. per il perseguimento delle sue funzioni (art. 2, D.Lgs. 30 luglio 1999, n. 284). In particolare, con la trasformazione di C.D.P. in società per azioni (art. 5, D.L. 30 settembre 2003, n. 269, convertito con modificazioni dalla legge 24 novembre 2003, n. 326) si è specificamente prevista la finalità pubblicistica delle risorse derivanti dai fondi rimborsabili sotto forma di libretti di risparmio postale e di buoni fruttiferi postali, elemento, questo, che, come si diceva, è stato particolarmente valorizzato dall'orientamento qui condiviso per qualificare il settore in esame come "servizio pubblico". Infatti, secondo quanto previsto dall'art. 5, comma 7, D.L. n. 269 del 2003, C.D.P. Spa finanzia, sotto qualsiasi forma, lo Stato, le regioni, gli enti locali, gli enti pubblici e gli organismi di diritto pubblico, utilizzando fondi rimborsabili sotto forma di libretti di risparmio postale e di buoni fruttiferi postali, assistiti dalla garanzia dello Stato e distribuiti attraverso Poste Italiane Spa o società da essa controllate, e fondi provenienti dall'emissione di titoli, dall'assunzione di finanziamenti e da altre operazioni finanziarie, che possono essere assistiti dalla garanzia dello Stato.
3.3. Tale disciplina consente, dunque, di individuare un ulteriore indice della natura pubblicistica del servizio svolto da Poste Italiane Spa, ovvero il regime di monopolio in cui opera, con riferimento a tale specifico settore, quale unico ente, unitamente alle società a questa collegate, attraverso il quale può avvenire il collocamento di tali prodotti finanziari nel mercato.
Secondo quanto previsto dall'art. 2, comma 3, D.Lgs. n. 284 del 1999, infatti, C.D.P. si avvale di Poste italiane Spa per la raccolta di risparmio attraverso libretti di risparmio postale e buoni postali fruttiferi, mentre, invece, può avvalersi di banche, di intermediari finanziari vigilati e di imprese di investimento per il collocamento degli altri prodotti finanziari, emessi dalla Cassa stessa, di cui al comma 1, lettera b).
3.4. Accanto al regime di monopolio in cui opera Poste Italiane Spa, va, inoltre, considerato che il settore in esame è soggetto al potere di indirizzo del Ministro dell'economia e delle finanze al quale spetta, ai sensi dell'art. 5 D.L. n. 269 del 2003, tra l'altro, il potere di determinare con propri decreti di natura non regolamentare i criteri per la definizione delle condizioni generali ed economiche dei libretti di risparmio postale, dei buoni fruttiferi postali, dei titoli, dei finanziamenti e delle altre operazioni finanziarie assistiti dalla garanzia dello Stato.
Tale potere di indirizzo è stato esercitato, da ultimo, con il decreto del Ministro dell'economia e delle finanze del 5 ottobre 2020 (recante modifiche al precedente decreto del 6 ottobre 2004) in cui si è espressamente definito il risparmio postale, ovvero la raccolta di fondi con obbligo di rimborso assistito dalla garanzia dello Stato, effettuata dalla C.D.P. Spa avvalendosi di Poste Italiane Spa (art. 1, comma 1), quale servizio di interesse economico generale (art. 1, comma 2).
In particolare, tale decreto ha previsto che:
a) al fine di garantire continuità e regolarità alla raccolta di fondi sotto forma di buoni fruttiferi postali e di libretti di risparmio postale, garantiti dallo Stato, la C.D.P. Spa definisce le condizioni di emissione e le caratteristiche dei predetti prodotti nel rispetto dei criteri recati dalla parte prima del presente decreto (art. 1, comma 3);
b) il costo della raccolta sotto forma di buoni fruttiferi postali deve allinearsi al costo equivalente dell'indebitamento del Tesoro sul mercato (art. 5, comma 1);
c) per il servizio di collocamento, la gestione e il rimborso dei buoni fruttiferi postali e per le altre operazioni ad essi relative non sono previste commissioni a carico dei risparmiatori (art. 5, comma 2).
3.5. Le operazioni di emissione e collocamento dei buoni postali fruttiferi sono, dunque, soggette ad un regime diverso da quello che connota il libero mercato e ciò in ragione degli interessi pubblici, anche di rilievo costituzionale, sottesi alle operazioni di raccolta del risparmio (art. 47 Cost.) ed alla successiva destinazione dei fondi così ottenuti per la realizzazione di finalità di interesse generale.
Dalle "Note metodologiche" del 14 ottobre 2008 pubblicate nel sito internet della Banca d'Italia, risulta, inoltre, che "I libretti e i buoni postali sono inclusi nel debito pubblico in quanto passività della Cassa depositi e prestiti, unità istituzionale inclusa nel settore delle Amministrazioni pubbliche fino alla sua trasformazione in società per azioni avvenuta nel dicembre 2003; a partire da quella data sono inclusi nel debito i soli buoni postali indicati nella legge n. 269 del 2003 il cui rimborso è posto a carico dello Stato (cfr. Banca d'Italia, Bollettino Economico, n. 42 del 2004)."
3.6. Anche il regime giuridico dei buoni postali fruttiferi appare fortemente condizionato dai profili pubblicistici sottesi alla loro emissione (si vedano, infatti, l'art. 5, comma 24, del D.L. n. 269 del 2003 ed il citato decreto ministeriale).
Si prevede, infatti, che i buoni postali fruttiferi: a) sono prodotti finanziari nominativi il cui rimborso, quanto a capitale ed interessi, è assistito dalla garanzia dello Stato; b) non sono cedibili salvo il trasferimento per successione per causa di morte del titolare o per cause che determinino successione a titolo universale, né possono essere dati in pegno (art. 4 D.M. cit.); c) sono esenti dall'imposta di registro, dall'imposta di bollo, dalle imposte ipotecaria e catastale e da ogni altra imposta indiretta, nonché ogni altro tributo o diritto.
L'art. 175, comma 1, D.P.R. n. 156 del 1973 prevedeva, inoltre, l'impossibilità di sottoporre a sequestro e a pignoramento detti buoni, se non per ordine dell'autorità giudiziaria in sede penale. Tale disposizione è stata, tuttavia, dichiarata costituzionalmente illegittima dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 508 del 1995 per violazione dell'art. 3 Cost., nella parte in cui non consente di sottoporre a sequestro o a pignoramento i buoni postali di risparmio, tranne che per ordine dell'autorità giudiziaria in sede penale. In tale pronuncia la Corte costituzionale ha, infatti, affermato che, poiché i buoni fruttiferi, pur facendo parte delle forme ordinarie del risparmio postale, sono assimilabili ai titoli del debito pubblico, il privilegio accordato dalla disposizione impugnata appare lesivo del principio di eguaglianza in relazione alla norma generale dell'art. 56, primo comma, D.P.R. 14 febbraio 1963, n. 1343 (testo unico delle leggi in materia di debito pubblico), che ammette l'esperimento di pignoramenti e sequestri sui titoli al portatore e nominativi, ovunque essi si trovino.
Tale equiparazione dei buoni postali fruttiferi ai titoli del debito pubblico ha trovato ulteriore riscontro nella Risoluzione del Ministero delle Finanze del 13 luglio 1999, n. 115, relativa al tema del trattamento tributario successorio. In tale Risoluzione, si è, infatti, chiarito che i suddetti buoni sono equiparati a tutti gli effetti ai titoli del debito pubblico e pertanto esclusi dall'attivo ereditario e dal pagamento dell'imposta di successione.
3.7. Secondo la costante giurisprudenza di legittimità , i buoni postali fruttiferi non sono titoli di credito, ma documenti di legittimazione che, ai sensi dell'art. 2002 cod. civ., servono solo a identificare l'avente diritto alla prestazione (cfr., da ultimo, Cass. civ., Sez. U., n. 3963 del 11/02/2019, Rv. 652851; Cass. civ., Sez. U., n. 13979 del 15/06/2007, Rv. 597184; Cass. civ., Sez. 1, n. 87 del 18/10/2022, dep. 2023), con la conseguente inapplicabilità dei principi di autonomia causale, incorporazione e letteralità che contraddistinguono i titoli di credito (cfr. Cass. civ., Sez. U., n. 13979 del 2007, cit.).
Muovendo da tale qualificazione giuridica, la giurisprudenza civile di legittimità (Cass. civ., Sez. 1, n. 24639 del 13/09/2021, Rv. 662394) ha affermato che i buoni postali fruttiferi si caratterizzano per un marcato rafforzamento del diritto di credito dell'intestatario sulla somma portata dal documento, desumibile dalle specifiche disposizioni di legge in forza delle quali, in deroga al principio generale di libera cedibilità dei crediti, fissata dall'articolo 1260 cod. civ., il credito portato da detti buoni è intrasferibile a terzi (art. 204 D.P.R. 1 giugno 1989, n. 256), salvo che per successione a termine di legge, ed è rimborsabile "a vista" (art. 208, D.P.R. n. 256 del 1989).
3.8. Tirando le fila del discorso finora svolto, va, dunque, ribadito che l'attività di raccolta del risparmio postale effettuata da Poste Italiane Spa per conto della Cassa Depositi e Prestiti, attraverso il collocamento e il successivo rimborso dei buoni postali fruttiferi, riveste natura pubblicistica. Ciò in ragione della sottoposizione di tale attività ad un regime giuridico differenziato e connotato da una prevalente componente pubblicistica desumibile:
a) dalle finalità di interesse generale correlate all'emissione di tali prodotti finanziari da parte di C.D.P.;
b) dal potere di indirizzo spettante al Ministero dell'economia e delle finanze;
c) dalla specifica disciplina relativa alla emissione, collocamento e rimborso di tali prodotti finanziari;
d) dal regime di monopolio in cui opera Poste Italiane allorché provvede al collocamento dei buoni fruttiferi postali;
d) dalla garanzia dello Stato, sia per il capitale che per gli interessi, che assiste tali prodotti assicurandone la redditività per gli investitori.
3.9. Il Collegio è consapevole della presenza di altro minoritario indirizzo giurisprudenziale che ha, invece, ricondotto nell'ambito dell'attività di tipo bancario anche quella relativa alla raccolta del risparmio postale (Sez. 6, n. 10124 del 21/10/2014, dep. 2015, De Vito, Rv. 262746; Sez. 6, n. 18457 del 30/10/2014, dep. 2015, Rv. 263359). Si tratta, tuttavia, di un orientamento che prende in esame criticamente solo alcuni degli argomenti dell'opposto indirizzo ermeneutico (in particolare, il rapporto intercorrente tra Poste Italiane e C.D.P. e la natura pubblica del denaro "maneggiato"), senza valorizzare le implicazioni sottese all'insieme degli indicatori normativi che dimostrano la presenza di un decisivo condizionamento pubblicistico nella disciplina della raccolta del risparmio postale, come sopra analizzati.
4. Alla luce delle su esposte considerazioni, deve ritenersi parimenti corretta l'attribuzione della qualifica pubblicistica all'In.An., avendo la Corte di appello adeguatamente valorizzato le caratteristiche della funzione da lui svolta quale addetto alla liquidazione dei buoni postali fruttiferi: funzione in ragione della quale, come emerge dalla ricostruzione delle dichiarazioni dei testimoni escussi in appello (cfr. le pagine da 23 a 25 della sentenza impugnata), egli, limitatamente alle operazioni di valore non superiore ai ventimila euro, operava in piena autonomia - il che ne esclude la riconducibilità a mansioni d'ordine o ad attività di carattere meramente esecutivo e materiale - ed aveva la disponibilità del denaro di cassa a ciò destinato.
5. Ineccepibile deve altresì ritenersi la qualificazione giuridica del fatto ai sensi dell'art. 314 cod. pen., dovendosi considerare che, stante la natura pubblica del servizio correlato all'attività di collocamento dei buoni postali fruttiferi da parte di Poste Italiane, sono in esso ricomprese tutte le operazioni successive alla loro sottoscrizione da parte dei risparmiatori, ivi compresa quella relativa alla liquidazione dei titoli.
Nel caso in esame, dunque, ciò che rileva ai fini della configurabilità del peculato, oltre alla ritenuta qualifica pubblicistica dell'In.An., è la disponibilità , da parte del ricorrente, del denaro destinato non all'attività bancaria svolta da Poste Italiane (ad esempio, la ricarica dello sportello per il prelievo di denaro contante), ma alla liquidazione dei buoni fruttiferi postali, rispetto alla quale il ricorso alle attività di falsificazione rappresenta solo uno strumento volto ad occultare l'illecita appropriazione del denaro.
Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, infatti, è configurabile il delitto di peculato allorché, come nel caso in esame, il pubblico ufficiale o l'incaricato di pubblico servizio fa proprio il bene di cui ha già il possesso o la disponibilità giuridica per ragioni del suo ufficio o del servizio, ricorrendo eventualmente all'artificio o al raggiro per occultare la commissione dell'illecito, per assicurarsi l'impunità o per appropriarsi del bene. In tale ultimo caso, dunque, l'inganno o il raggiro integra una mera modalità con la quale viene posta in essere la condotta appropriativa (Sez. 6, n. 10680 del 21/09/1988, Barone, Rv. 179604) ovvero un "post factum" non punibile, in quanto compiuti per conseguire un risultato ulteriore finalizzato all'occultamento o al perfezionamento della materiale appropriazione della "res" (Sez. 6, n. 10569 del 05/12/2017, dep. 08/03/2018, Alfieri, Rv. 273395).
Si ritiene, invece, configurabile, nella diversa ipotesi non ricorrente nel caso di specie, il delitto di truffa allorché il soggetto attivo, non avendo tale possesso, se lo procuri fraudolentemente, facendo ricorso ad artifici o raggiri per appropriarsi del bene (Sez. 6, n. 21314 del 05/04/2018, Prospero, Rv. 272949; Sez. 6, n. 10309 del 22/01/2014, Lo Presti, Rv. 259507; Sez. 6, n. 39010 del 10/04/2013, Baglivo, Rv. 256595).
6. Il terzo motivo di ricorso è inammissibile in quanto generico, di carattere meramente confutativo e versato in fatto.
Il ricorrente, infatti, senza argomentare in ordine al dedotto vizio di violazione di legge in cui sarebbe incorsa la Corte territoriale nel negare le circostanze attenuanti generiche, si limita ad esprimere un generico dissenso insistendo sul rilevo positivo del breve arco temporale in cui si sono esaurite le condotte, della sua incensuratezza e del suo comportamento processuale.
Deve di contro ritenersi che la sentenza impugnata non è incorsa in alcuna violazione di legge, avendo posto a fondamento del diniego le modalità della condotta ascritta nonché l'assenza di elementi positivamente valutabili in favore dell'In.An. (tale non potendosi considerare, ai sensi dell'art. 62-bis, comma terzo, cod. pen., l'incensuratezza dell'imputato).
Va, a tale riguardo, ribadito che, in tema di attenuanti generiche, il giudice del merito esprime un giudizio di fatto, la cui motivazione è insindacabile in sede di legittimità , purché sia non contraddittoria e dia conto, anche richiamandoli, degli elementi, tra quelli indicati nell'art. 133 cod. pen., considerati preponderanti ai fini della loro concessione o esclusione (Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, Pettinelli, Rv. 271269). A tal fine, il giudice di merito non è tenuto ad esprimere una valutazione su ogni singola deduzione difensiva, essendo, invece, sufficiente l'indicazione degli elementi di preponderante rilevanza ritenuti ostativi alla concessione delle attenuanti generiche, quali i precedenti penali (Sez. 2, n. 3896 del 20/01/2016, De Cotiis, Rv. 265826), o la gravità del reato e le modalità della condotta criminosa (Sez. 2, n. 23903 del 15/07/2020, Marigliano, Rv. 279549 - 02).
7. Alla stregua delle coordinate ermeneutiche sopra tracciate in ordine alla qualifica pubblicistica di In.An. ed al suo potere di disposizione del denaro destinato alla liquidazione dei buoni postali fruttiferi, ritiene questa Corte che anche il ricorso del Procuratore Generale deve essere dichiarato inammissibile in quanto generico, versato in fatto e, comunque, manifestamente infondato.
La sentenza impugnata, infatti, con motivazione immune da vizi logici o giuridici, e, soprattutto, ancorata ai risultati delle prove rinnovate in grado di appello, di cui il ricorrente sollecita una non consentita rivalutazione, ha escluso la responsabilità del Fa.Gi. ponendo l'accento sul fatto che le operazioni concretamente eseguite da In.An., non avendo un valore superiore ai ventimila euro, non richiedevano alcuna previa autorizzazione da parte del direttore dell'ufficio postale.
I Giudici di merito, pertanto, hanno ritenuto che In.An. abbia agito in totale autonomia e senza alcun contributo, morale o materiale, ascrivibile a Fa.Gi.
A fronte di tale ineccepibile conclusione, il ricorrente insiste sulla condotta omissiva ascrivibile a Fa.Gi., senza, tuttavia, considerare, oltre alle precise risultanze dell'istruttoria dibattimentale in appello (cfr. le pagine da 23 a 25 della sentenza impugnata), che, in assenza di alcun elemento sintomatico di un contributo doloso alla consumazione di tale illecita appropriazione, si finirebbe, come correttamente affermato dalla Corte di appello, per affermare la responsabilità penale del Fa.Gi. a titolo oggettivo, in ragione della sola posizione ricoperta.
A ciò deve aggiungersi che, in assenza di alcun elemento, non evincibile neanche dalla sentenza di primo grado, che ha affermato la penale responsabilità del Fa.Gi. sulla sola base dell'omesso esercizio del suo potere di vigilanza e controllo, e, dunque, in considerazione della "posizione di garanzia" correlata alla sua funzione, secondo la giurisprudenza di questa Corte, dal Collegio pienamente condivisa, non è configurabile il concorso colposo nel delitto doloso in assenza di una espressa previsione normativa, che di certo non è ravvisabile nell'art. 113 cod. pen., contemplando tale disposizione esclusivamente l'ipotesi della cooperazione colposa nel delitto colposo (Sez. 4, n. 7032 del 19/07/2018, dep. 2019, Zampi, Rv. 276624).
Al riguardo si è infatti affermato che, nei delitti, la condotta colposa che accede al fatto principale doloso è punibile solo in via autonoma, a condizione che integri una fattispecie colposa espressamente prevista dall'ordinamento (Sez. U., n. 2720 del 03/02/1990, Cancilleri, Rv. 183495; Sez. 5, n. 57006 del 05/10/2018, Curti, Rv. 274626): ipotesi, quest'ultima, non ricorrente nel caso di specie.
8. All'inammissibilità del ricorso proposto da In.An. segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila da versare in favore della Cassa delle ammende, non potendosi ritenere che lo stesso abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte cost. n. 186 del 2000).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso del P.M.
Dichiara inammissibile il ricorso di In.An. e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Condanna, inoltre, l'imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile Poste Italiane Spa, che liquida in complessivi euro 3686,00, oltre accessori di legge.
Così deciso in Roma, il 7 marzo 2024.
Depositata in Cancelleria il 3 giugno 2024.