RITENUTO IN FATTO
1. Con la sentenza impugnata la Corte di appello di Milano ha rigettato l'appello proposto dal Pubblico Ministero del Tribunale di Milano e ha confermato la sentenza di non luogo a procedere emessa dal Giudice dell'Udienza Preliminare del Tribunale in data 31 maggio 2022 nei confronti di F.M.J..
La F. è imputata del delitto di cui agli artt. 81 e 314 c.p., in quanto, in qualità di dirigente dell'Ufficio Prevenzione Generale della Questura di Milano, e, quindi, in qualità di pubblico ufficiale, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, si sarebbe appropriata di somme di denaro per un importo complessivo inferiore a 4.000 Euro pervenuto alla Questura di Milano per liberalità di soggetti privati; sino al 3 maggio 2017, delle quali l'imputatà aveva la disponibilità materiale per ragioni del suo ufficio; l'imputata, in particolare, si sarebbe appropriata di un fondo cassa autogestito, costituito dai proventi delle vendite del libro fotografico "(Omissis)" e da ulteriori somme provenienti da bonifici disposti da privati donatori, accreditati sul conto corrente postale dell'Ufficio Amministrativo Contabile (UAC) della Questura di Milano negli anni 2014-2017.
2. Il Procuratore generale presso la Corte di appello di Milano ricorre avverso tale sentenza e ne chiede l'annullamento.
Con unico motivo il Procuratore generale deduce la violazione dell'art. 314 c.p., nella parte in cui tale disposizione richiede che il pubblico ufficiale abbia il possesso del bene di cui si appropria per ragione del suo ufficio.
Il Procuratore generale rileva che la Corte di appello, condividendo l'apprezzamento espresso dalla sentenza di primo grado, aveva escluso la sussistenza del reato contestato, in quanto l'imputata non avrebbe avuto il possesso del denaro oggetto di appropriazione per ragioni del suo ufficio, non essendo il denaro entrato nel patrimonio della pubblica amministrazione.
Deduce, tuttavia, il ricorrente che la disponibilità del danaro sarebbe inerente alla funzione pubblica esercitata dall'imputata, in quanto se la stessa non fosse stata una dirigente della Questura di Milano non avrebbe ricevuto il danaro destinato alla realizzazione di progetti in favore dell'Ufficio di Polizia.
I bonifici versati sul conto dell'Ufficio Amministrativo contabile della Questura di Milano, anche se intestati alla F., avrebbero, infatti, avuto una causale relativa alla realizzazione di specifici progetti in favore della Questura; le causali delle liberalità disposte dai privati avrebbero, dunque, escluso che l'imputata ne potesse disporre liberamente.
Tali somme, una volta pervenute sul conto corrente dell'Ufficio amministrativo contabile, sarebbero entrate nel patrimonio della pubblica amministrazione, in virtù della destinazione pubblica desumibile dalla causale dei bonifici.
La F. avrebbe, dunque, acquisito il possesso del danaro in virtù della "occasionale coincidenza con la funzione esercitata" e, comunque, sulla base di una prassi o di una consuetudine contra legem invalsa presso la Questura di Milano e tollerata dai superiori.
Proprio in ragione di questo nesso di occasionalità con la funzione pubblica esercitata sarebbe, dunque, irrilevante che l'imputata abbia acquisito e gestito i fondi in violazione delle disposizioni in materia di amministrazione e contabilità pubblica.
3. In data 9 ottobre 2023 l'avvocato Domenico Aiello, difensore della F., ha depositato memoria, chiedendo di dichiarare inammissibile il ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Ritiene la Corte che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile in quanto i motivi proposti sono diversi da quelli consentiti e, comunque manifestamente infondati.
2. Il Giudice dell'udienza preliminare e la Corte di appello hanno ritenuto che il danaro di cui si è appropriata l'imputata non potesse considerarsi patrimonio della pubblica amministrazione e fosse proveniente da un affidamento devoluto alla F. soltanto intuitu personae, trattandosi di una gestione privata del danaro, parallela a quella dell'ufficio pubblico cui apparteneva l'imputata e del tutto irrelata rispetto alle funzioni concretamente svolte.
Si sarebbe trattato, dunque, di un'attività di fundraising, cui altri uffici centrali e periferici dell'amministrazione pubblica ricorrono ordinariamente.
Le somme corrisposte dai privati a titolo di liberalità per realizzare progetti nell'interesse della Questura sarebbero, infatti, state versate sul conto corrente dell'ufficio amministrativo contabile (UAC) al solo fine di garantire la trasparenza delle operazioni e non sarebbero state vincolate al patrimonio pubblico, essendo state bonificate per finanziare i progetti realizzati dell'imputata nell'interesse della Questura (l'acquisto di un I-pad per le volanti, la ristrutturazione della sala (Omissis) e della sala crisi dell'Ufficio volanti, l'acquisto di caschi per il reparto motociclisti).
Secondo quanto accertato nelle indagini preliminari, infatti, l'intento dei donatori sarebbe stato non già quello di destinare la proprietà delle somme al patrimonio pubblico, bensì di consentire la realizzazione di progetti in favore della Questura di Milano senza i vincoli generati dalla gestione del denaro pubblico e, dunque, senza il coinvolgimento del Ministero degli Interni.
I fondi ministeriali, infatti, sarebbero stati insufficienti alla realizzazione di tali progetti e, in ogni caso, l'utilizzo di risorse pubbliche avrebbe comportato incombenze burocratiche che avrebbero ostacolato o, comunque, ritardato l'esecuzione degli interventi.
3. La prima censura formulata nel ricorso del Procuratore generale e', dunque, inammissibile, in quanto propone un motivo non consentito, nella parte in cui sollecita una diversa interpretazione delle causali dei bonifici disposte dai privati.
Esula, tuttavia, dai poteri della Corte di cassazione quello di una diversa lettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è riservata in via esclusiva al giudice di merito senza che possa integrare vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa valutazione delle risultanze processuali ritenute dal ricorrente più adeguate (Sez. U, n. 6402 del 2/07/1997, Dessimone, Rv. 207944).
Sono, infatti, precluse al giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito (ex plurimis: Sez. 6, n. 5456 del 4/11/2020, F., Rv. 280601-1; Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, Musso, Rv. 265482).
4. L'ulteriore censura proposta, che si incentra sul tema dell'acquisto del possesso del danaro altrui per effetto di consuetudine o di una semplice coincidenza occasionale con la funzione pubblica esercitata dalla F., e', invece, manifestamente infondata.
L'affidamento meramente fiduciario delle somme disposte a titolo di liberalità da parte dei privati all'imputata esclude, infatti, la ragione funzionale del possesso.
Secondo il costante orientamento della giurisprudenza di legittimità, l'affidamento delle somme o della cosa mobile avvenuto solo intuitu personae al pubblico ufficiale o al pubblico servizio non consente di ravvisare la ragione dell'ufficio o del servizio necessario per configurare il peculato.
Ai fini dell'integrazione del delitto di peculato, il pubblico ufficiale, ovvero l'incaricato di pubblico servizio, deve, infatti, appropriarsi del denaro o della cosa mobile di cui dispone per una ragione legata all'esercizio di poteri o doveri funzionali, in un contesto che consenta al soggetto di tenere nei confronti della cosa quei comportamenti uti dominus in cui consiste l'appropriazione; e', dunque, incompatibile con la presenza della ragione funzionale un possesso proveniente da un affidamento devoluto solo intuitu personae, ovvero scaturito da una situazione contra legem o evidentemente abusiva, cioè un affidamento senza alcuna relazione legittima con l'oggetto materiale della condotta (Sez. 6, n. 23792 del 10/03/2022, Negro, Rv. 283274 - 01; Sez. 6, n. 21314 del 05/04/2018, Prospero, Rv. 272949; Sez. 6, n. 35988 del 21/05/2015, Berti, Rv. 264578).
L'art. 314 c.p. punisce, infatti, l'appropriazione del denaro o della cosa mobile altrui che il pubblico ufficiale o l'incaricato di pubblico servizio possiede, o di cui ha comunque la disponibilità, "per ragione del suo ufficio o servizio" e non già "nell'esercizio delle funzioni o del servizio", come invece prevede l'art. 316 c.p., con riferimento al peculato mediante profitto dell'errore altrui.
Il delitto di peculato, che richiede nel soggetto attivo il possesso del denaro o della cosa mobile per ragioni d'ufficio o di servizio, si differenzia, dunque, nella sua stessa materialità dal delitto di appropriazione indebita aggravata ex art. 61 c.p., n. 9, la cui integrazione presuppone che il possesso sia stato devoluto all'agente intuitu personae, mentre l'abuso dei poteri o l'inosservanza dei doveri servono al medesimo non già per procurarsi quel possesso, ma ad agevolarlo nella realizzazione della condotta tipica (Sez. 6, n. 34884 del 07/03/2007, Incarbone, Rv. 237693 - 01).
5. Nel caso di specie, tuttavia, per quanto accertato dalle sentenze di merito, la violazione da parte dell'imputata del vincolo fiduciario impresso dai donatori alle somme non integra il delitto di appropriazione indebita aggravata dall'art. 61 c.p., n. 11, posto che la nozione di "abuso di relazioni di prestazione di opera" utilizzata da tale disposizione ricomprende, oltre all'ipotesi del contratto di lavoro, tutti i rapporti giuridici che comportino l'obbligo di un facere e che, comunque, instaurino tra le parti un rapporto di fiducia che possa agevolare la commissione del fatto (Sez. 6, n. 11631 del 27/02/2020, E., Rv. 278720).
Le liberalità poste in essere dai privati in favore della F., perché realizzasse progetti nell'interesse della Squadra Mobile di Milano, sono, infatti, donazioni modali, disciplinare dall'art. 793 c.c..
L'indicazione della prestazione per la realizzazione della quale sono stati devoluti i fondi non, dunque, un vincolo di destinazione rilevante sotto il profilo penale, ma consente esclusivamente, in caso di sua mancata osservanza, il ricorso ai rimedi civilistici (l'azione di adempimento o l'azione di risoluzione, come previsto dall'art. 793 c.c., commi 1 e 2).
Del resto, non sussiste il delitto di appropriazione indebita allorché il titolo del possesso è tale da trasferire nel possessore la proprietà del bene (Sez. 2, n. 27540 del 18/03/2009, Baldi, Rv. 244662 - 01, nella fattispecie, relativa a somma versata da benefattori su un conto bancario intestato ad un'associazione per la cura di un malato, la Corte ha ritenuto che il denaro - anche se in parte utilizzato per scopi diversi da quelli di destinazione - non fosse più di proprietà né dei donatori né del malato, nei cui confronti l'associazione rispondeva solo a titolo obbligatorio).
La condotta appropriativa posta in essere dall'imputata, dunque, potrà eventualmente assumere rilevo sotto il profilo disciplinare, ma non sotto il profilo penale.
6. Alla stregua dei rilievi che precedono il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso.
Così deciso in Roma, il 25 ottobre 2023.
Depositato in Cancelleria il 16 novembre 2023