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Peculato: condannato medico in regime "intramoenia" che non versa all'azienda sanitaria quanto di spettanza

Peculato

Cassazione penale sez. VI, 24/04/2024, n.24717

Integra il delitto di peculato la condotta del medico dipendente di un ospedale pubblico il quale, svolgendo in regime di convenzione attività intramuraria, dopo aver riscosso l'onorario dovuto per le prestazioni, omette poi di versare all'azienda sanitaria quanto di spettanza della medesima, in tal modo appropriandosene, a condizione che la disponibilità del denaro sia legata all'esercizio dei poteri e dei doveri funzionali del medesimo, e non derivi da un affidamento devoluto solo intuitu personae ovvero da una condotta contra legem. (In applicazione del principio, la Corte ha annullato con rinvio la sentenza impugnata per non aver chiarito se l'imputata, svolgendo le prestazioni sanitarie presso il proprio studio professionale, avesse previamente attivato la procedura di intra moenia allargata, cui era autorizzata, trattenendo quanto aveva riscosso in ragione del proprio ufficio, ovvero avesse operato al di fuori del rapporto con l'amministrazione, in violazione delle norme contrattuali e disciplinari ad esso inerenti).

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La sentenza integrale

RITENUTO IN FATTO 1. La Corte di appello di Catania con sentenza del 13 aprile 2023 (motivazione depositata il successivo 13 luglio), in riforma di quella di primo grado impugnata dall'imputata, ha dichiarato non doversi procedere per intervenuta prescrizione relativamente al reato di cui al capo b) (falso continuato e aggravato in attestazioni alla Pubblica amministrazione) rideterminando la pena nei confronti di Lo.Da. nella misura di anni uno e mesi otto di reclusione (pena sospesa e non menzione della condanna già concesse in primo grado), relativamente all'imputazione sub capo a) (peculato continuato). 2. La condanna confermata dalla Corte territoriale è relativa all'appropriazione - nella qualità di dirigente medico dell'ARNAS Garibaldi Nesima di Catania (e quindi Pubblico ufficiale) - di somme di denaro di proprietà dell'Amministrazione, di cui l'imputata aveva la disponibilità per averle ricevute dai pazienti quale corrispettivo per prestazioni professionali effettuate in regime di c.d. intra moenia allargata presso il proprio studio medico. In particolare, si contesta a Lo.Da. di avere omesso di rilasciare i necessari documenti fiscali ai predetti pazienti che le avevano consegnato il denaro e, quindi, di non avere versato all'ente ospedaliero la quota ad esso destinata ex lege e pari al 50% dell'importo ottenuto (fatti commessi tra il 7 dicembre 2012 e il 13 febbraio 2013). 3. Avverso detta sentenza l'imputata, a mezzo del proprio difensore, ha proposto ricorso nel quale deduce un unico motivo, declinato come violazione di legge, non avendo la Corte territoriale rilevato come la irrisorietà della somma trattenuta evidenzia l'insussistenza del dolo di peculato, essendosi trattato di condotta negligente e non offensiva del bene giuridico tutelato; e ciò anche in considerazione del fatto che è errata l'indicazione della somma trattenuta che, in realtà, tenuto conto che - come peraltro ammesso dalla sentenza impugnata - la convenzione prevedeva che la quota spettante all'Ente era pari al 17% del compenso professionale, si è complessivamente trattato del mancato versamento di soli Euro 81,60. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso è fondato. 2. Sommando le cifre indicate nel capo di imputazione - quali compensi ricevuti dai pazienti e non versati dalla Lo.Da. - si arriva alla somma complessiva di 480 Euro; secondo quanto indicato nella sentenza di primo grado (pag. 13) risulta che la quota di spettanza dell'Azienda sanitaria fosse pari al 17% delle somme incassate e dunque l'appropriazione è pari a complessivi Euro 81,60. 2.1. Le sentenze di merito, prendendo in esame la posizione della Lo.Da. nell'ambito del rapporto di "intra moenia", precisano che "il medico autorizzato a svolgere attività all'esterno del nosocomio (fuori, ovviamente dall'orario di lavoro) rilascia ricevuta all'utente per le prestazioni sanitarie e gli esami diagnostici (i relativi importi essendo fissati da un tariffario), versando le somme percepite all'azienda ospedaliera che nella retribuzione mensile gli accredita il controvalore delle prestazioni e degli esami, detratte nella misura prevista dal regolamento" (sentenza di primo grado, pag. 3), venendo precisato altresì che il sanitario aveva "l'obbligo di emissione delle fatture su un apposito bollettario ricevuto dall'azienda ospedaliera ... e di versare gli importi corrisposti dagli utenti alle casse dell'Azienda ospedaliera entro trenta giorni successivi e con la facoltà di trattenere, a titolo di acconto, il 50% delle somme riscosse" (sentenza di appello, pag. 3). 3. Ciò premesso, la deduzione della ricorrente relativa a un deficit di offensività della condotta non può essere condivisa. Invero, la somma che si assume oggetto del peculato è certamente modesta, ma di ciò ha tenuto conto il Tribunale che ha riconosciuto la circostanza attenuante di cui all'art. 323 bis cod. pen. Non perspicuo risulta poi il richiamo all'orientamento di questa Sezione in relazione al c.d. peculato di consiglieri regionali (v. sent. n. 38345 del 03/07/2019, De Luca, Rv. 276712 - 01). Secondo tale indirizzo ermeneutico cui "non è configurabile il delitto di peculato nel caso in cui il pubblico agente non fornisca giustificazione in ordine all'utilizzo del contributo erogato per l'esercizio delle funzioni di gruppo consiliare regionale, non potendo derivare l'illiceità della spesa da tale mancanza, occorrendo comunque la prova dell'appropriazione e dell'offensività della condotta quantomeno in termini di alterazione del buon andamento della pubblica amministrazione. (Fattispecie relativa al ed. contributo "unificato" corrisposto ai presidenti dei Gruppi dell'Assemblea Ragionale Siciliana successivamente all'entrata in vigore della legge n. 213 del 2012, in cui la Corte ha chiarito che l'obbligo di rendiconto introdotto a carico dei predetti implica, in caso di mancata giustificazione delle spese, una responsabilità contabile, ma non penale)". Si tratta, all'evidenza, di principio non trasponibile alla fattispecie in esame nella quale la contestazione ha ad oggetto la diretta appropriazione di somme di spettanza dell'ente pubblico. 4. Piuttosto, la sentenza impugnata non chiarisce adeguatamente la sussistenza dei presupposti per la giuridica configurabilità della fattispecie di peculato. Secondo un orientamento che il Collegio reputa condivisibile, "integra il delitto di peculato la condotta del medico dipendente di un ospedale pubblico il quale, svolgendo in regime di convenzione attività intramuraria, dopo aver riscosso l'onorario dovuto per le prestazioni, omette poi di versare all'azienda sanitaria quanto di spettanza della medesima, in tal modo appropriandosene, a condizione che la disponibilità del denaro sia legata all'esercizio dei poteri e dei doveri funzionali del medesimo, e non in ragione di un possesso proveniente da un affidamento devoluto solo "intuitu personae", ovvero scaturito da una situazione "contra legem", priva di relazione legittima con l'oggetto materiale della condotta" (Sez. 6, n. 35988 del 21/05/2015, Berti, Rv. 264578 - 01). In particolare, in detta pronuncia si è precisato che "nello schema normativo della fattispecie di peculato la locuzione "ragione del suo ufficio o servizio" esprime una caratterizzazione giuridica del potere che deve sussistere in capo al soggetto attivo per commettere il delitto di peculato, dunque, il pubblico ufficiale, ovvero l'incaricato di pubblico servizio, deve appropriarsi del denaro o della cosa mobile di cui dispone per una ragione legata all'esercizio di poteri o doveri funzionali, in un contesto che consenta al soggetto di tenere nei confronti della cosa quei comportamenti uti dominus in cui consiste l'appropriazione, dovendosi ritenere incompatibile con la presenza della ragione funzionale un possesso proveniente da un affidamento devoluto solo intuita personae (Sez. 6, n. 34884 del 07/03/2007, dep. 14/09/2007, Rv. 237693), ovvero scaturito da una situazione contra legem o evidentemente abusiva, senza alcuna relazione legittima con l'oggetto materiale della condotta". 4.1. La Corte territoriale non precisa adeguatamente il rapporto professionale intercorso tra i pazienti e l'imputata se, cioè, costoro fossero arrivati allo studio medico della Lo.Da. (che non si trovava all'interno della struttura sanitaria, avendo indicato la sentenza di appello che l'imputata era autorizzata ad operare "presso il suo studio professionale privato") a seguito dell'attivazione della procedura di "intra moenia" allargata, ovvero se ella avesse effettuato le visite e gli esami al di fuori di detto rapporto (e dunque violando il rapporto contrattuale con l'Amministrazione). In questo secondo caso, infatti, ferme rimanendo le eventuali conseguenze contrattuali e disciplinari, non potrebbe ritenersi integrata la necessaria condizione della appropriazione di denaro di cui l'imputata non "disponeva in ragione del pubblico ufficio". Per tali considerazioni, si impone l'annullamento della sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte di appello di Catania. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte di appello di Catania. Così deciso il 24 aprile 2024. Depositato in Cancelleria il 21 giugno 2024.
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