RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 22 maggio 2019, la Corte d'appello di Lecce - sezione distaccata di Taranto ha parzialmente riformato la sentenza del Tribunale di Taranto del 30 gennaio 2018, con la quale: 1) l'imputato A.A.C. era stato condannato alla pena di anni due e mesi quattro di reclusione, concesse le circostanze attenuanti generiche equivalenti alla contesta e ritenuta recidiva infraquinquennale, per i reati di cui agli: D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 2 perchè, in qualità di legale rappresentante della omonima ditta individuale, al fine di evadere le imposte sui redditi e sul valore aggiunto, si avvaleva di fatture emesse da S.F. relative ad operazioni inesistenti per un ammontare pari ad Euro 188.040,00, indicando il relativo importo nella dichiarazione annuale quali elementi passivi fittizi (capo a); D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 5 perchè, al fine di evadere l'imposta sui redditi e sul valore aggiunto, presentava ben oltre i termini di scadenza, precisamente il (OMISSIS), la relativa dichiarazione annuale per l'anno d'imposta (OMISSIS), evadendo l'imposta sul reddito per Euro 99.428,00 e l'IVA per Euro 29.820,00 (capo b); art. 110 c.p. e art. 61 c.p., n. 2), e D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 11 perchè, in concorso con la moglie coimputata I., al fine di sottrarsi al pagamento delle imposte riferite agli anni (OMISSIS) e (OMISSIS), alienava simulatamente a questa un appartamento con garage, unico bene a lui intestato, in modo da rendere inefficace la procedura di riscossione coattiva (capo c); 2) l'imputata I. era stata condannata alla pena di mesi cinque e giorni dieci di reclusione, concesse le circostanze attenuanti generiche, per il reato di cui al capo c); 3) l'imputato C. era stato invece condannato alla pena di mesi nove di reclusione, per il reato di cui all'art. 81 c.p., comma 2, e del D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 2 perchè, con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso - quale legale rappresentante della società "C.M. COSTRUZIONI" al fine di evadere l'imposta sul reddito e sul valore aggiunto in relazione agli anni d'imposta (OMISSIS) e (OMISSIS) - si avvaleva delle fatture emesse da S.F., relative ad operazioni inesistenti (capo e).
La Corte distrettuale ha ridotto la pena nei confronti di A. ad un anno e sei mesi di reclusione, in quanto ha ritenuto assorbito il reato di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 2 (capo a) in quello di omessa dichiarazione D.Lgs. n. 74 del 2000, ex art. 5 (capo b) ed ha assolto l'imputato dal delitto di cui al capo b), con esclusivo riferimento all'evasione dell'IVA, "perchè il fatto non sussiste", confermando nel resto la sentenza di primo grado.
2. Avverso la sentenza gli imputati hanno proposto, tramite i difensori, ricorso per cassazione, chiedendone l'annullamento.
3. Il ricorso presentato nell'interesse dell'imputato A.A.C. è affidato a quattro motivi.
3.1. In primo luogo, si lamentano la violazione di legge e vizi di motivazione in relazione alla ritenuta sussistenza del reato di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 5. A parere della difesa, la Corte d'appello - pur a fronte della riqualificazione del reato di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 2 in quello di omessa dichiarazione di cui all'art. 5 medesimo D.Lgs. - avrebbe erroneamente ritenuto dimostrato il dolo di evasione fiscale, rimanendo ancorata alla condotta di cui all'art. 2, il quale presuppone l'esistenza giuridica della dichiarazione, senza considerare che l'art. 5, al contrario, presuppone la sua omissione. Sul punto, la difesa osserva come la dichiarazione in questione fosse nulla o inesistente, e per di più ritenuta invalida perchè basata su presunti costi fittizi; sicchè non poteva essere tenuta in considerazione per la configurabilità del reato di omessa dichiarazione. Dunque, a parere della difesa, l'unico vaglio ammissibile per la sussistenza del reato di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 5 sarebbe l'accertamento fiscale, non potendosi dare spazio ai contenuti della dichiarazione fiscale e alla loro valutazione.
3.2. In secondo luogo, si censura la violazione di legge in relazione alla configurabilità del reato di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 5 limitatamente all'evasione delle imposte dirette, con particolare riferimento alla ritenuta inesistenza delle operazioni oggetto delle fatture portate in dichiarazione. Non si sarebbe considerato, sul punto, che l'esborso economico e la conseguente corrispondenza di quanto dichiarato in fattura sono idonei di per sè a dimostrare l'esistenza delle operazioni sul piano oggettivo. A parere della difesa, l'emissione degli assegni da parte dell'imputato nei riguardi del defunto S. per l'intermediazione nel reperimento di forza lavoro esclude il carattere fittizio degli elementi passivi indicati nella dichiarazione. La Corte di appello avrebbe tuttavia aggirato la questione, limitandosi ad affermare che l'avvenuto passaggio di denaro tra le parti è stato fatto sulla scorta di un "preciso calcolo di costi/benefici", disconoscendone, così, l'effettiva esistenza oggettiva.
3.3. Con una terza censura, si lamentano la violazione di legge in ordine alla configurabilità dell'elemento psicologico del reato D.Lgs. n. 74 del 2000, ex art. 11 e vizi di motivazione, dal momento che i giudici di secondo grado avrebbero ritenuto quali indizi d'indebolimento delle garanzie patrimoniali nei confronti del fisco la mancata presentazione della dichiarazione fiscale del (OMISSIS) e l'accesso effettuato dalla Guardia di Finanza nei confronti della società di S.. Sul punto, sostiene la difesa, il prolungato lasso di tempo intercorso tra la data di stipula della compravendita (il 3 febbraio 2012) e la data della presentazione della dichiarazione fiscale d'imposta del (OMISSIS) ((OMISSIS)) avrebbe dovuto indurre il giudice del gravame a rilevare l'insussistenza dell'elemento psicologico. La decisione sarebbe altresì contraddittoria in quanto basata sulla mera presunzione che l'imputato fosse venuto a conoscenza dell'accesso presso la sede della società S. da parte della Guardia di Finanza e, perciò, avesse deciso di trasferire il bene alla propria moglie con lo scopo di ridurre le garanzie creditorie.
3.4. Ci si duole, infine, della mancanza di motivazione in ordine alla richiesta di riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche con criterio di prevalenza sulla contestata recidiva infraquinquennale, nonchè di vizi di motivazione in relazione agli elementi posti alla base del giudizio per la sussistenza della medesima recidiva. Si lamenta, su quest'ultimo punto, la mancata considerazione del fatto che l'imputato risultasse precedentemente condannato per un solo reato, peraltro commesso in epoca remota ((OMISSIS)). La difesa sostiene altresì che il giudice del gravame avrebbe dovuto verificare la concreta e significativa rilevanza, ai fini della recidiva, del parziale esito assolutorio ottenuto dal ricorrente in riferimento all'omesso versamento delle ritenute previdenziali e assistenziali, eliminato dal casellario giudiziario per intervenuta depenalizzazione.
4. Il ricorso presentato nell'interesse dell'imputata I. è affidato a due motivi.
4.1. In primo luogo, si deducono vizi di motivazione e di violazione di legge in ordine alla configurabilità dell'elemento psicologico del reato D.Lgs. n. 74 del 2000, ex art. 11 sulla base di argomenti analoghi a quelli formulati nell'interesse del coimputato A.. A parere della difesa, la Corte d'appello avrebbe esclusivamente spiegato le ragioni in base alle quali A. avrebbe intenzionalmente deciso di trasferire il bene alla propria moglie con lo scopo di ridurre le garanzie creditorie, senza nessuna menzione della posizione della I., la cui responsabilità penale è stata ritenuta sussistente per il semplice fatto di aver acquisito il diritto di proprietà del cespite appartenente al coniuge.
4.2. In secondo luogo, si lamenta la mancanza di motivazione in relazione alla richiesta - che sarebbe stata rassegnata nei motivi di appello - di fissazione della pena base nella minima misura, sulla quale operare la riduzione di un terzo, in virtù delle circostanze attenuanti generiche già riconosciute in primo grado.
5. Il ricorso presentato nell'interesse dell'imputato C.V. è affidato a tre motivi.
5.1. Con una prima doglianza, si deduce la violazione dell'art. 157 c.p., sul rilievo che il reato di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 2 (capo e), limitatamente all'anno d'imposta (OMISSIS), risulterebbe prescritto in data (OMISSIS).
5.2. In secondo luogo, si rilevano l'erronea applicazione dell'art. 43 c.p., art. 192 c.p.p., comma 2, artt. 533 e 546 c.p.p. e la manifesta illogicità della motivazione in relazione alla ritenuta sussistenza dell'elemento psicologico del reato D.Lgs. n. 74 del 2000, ex art. 2. A parere della difesa, dall'analisi delle dichiarazioni rilasciate da S., emergerebbe che quet'ultimo si riferiva esclusivamente al coimputato A. senza mai menzionare C.. La difesa sostiene, inoltre, che l'impianto motivazionale ignora quasi completamente la posizione di C., concentrandosi maggiormente sugli altri coimputati; di conseguenza, il giudice del gravame avrebbe dovuto dichiarare la non procedibilità del reato, per la carenza di elementi idonei a provare al di là di ogni ragionevole dubbio la responsabilità penale. Si contesta, altresì, che la condanna sarebbe stata fatta derivare da mere congetture, in contrasto con l'art. 192 c.p.p., comma 2, dal momento che il giudice del gravame - a seguito delle dichiarazioni rese dal teste P., della Guardia di Finanza - avrebbe dedotto la falsità delle fatture, riferite agli anni (OMISSIS) e (OMISSIS), sulla base dell'inesistenza delle operazioni economiche, evidenziando come il S., nato nel (OMISSIS), non potesse effettuare in prima persona i lavori di muratura, data l'assenza di operai e attrezzature, essendo uomo in età avanzata. La difesa, sul punto, ritiene che la motivazione della sentenza sia carente in ordine alle capacità fisiche di S. e sottolinea che le sue dichiarazioni, acquisite come atti irripetibili a causa del decesso di quest'ultimo, non hanno potuto trovare risconto in sede dibattimentale, trattandosi di un soggetto che, per salvaguardare la propria posizione, avrebbe potuto dichiarare il falso.
5.3. La difesa deduce, infine, la violazione dell'art. 175 c.p. e la mancanza di motivazione, in riferimento all'omesso riconoscimento della non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale, pure a fronte dell'incensuratezza dell'imputato.
6. Con memoria del 6 febbraio 2020, la difesa di A. ha proposto motivi aggiunti.
6.1. Si censura, in primo luogo, l'inosservanza della legge penale in ordine al reato di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 5 limitatamente all'evasione delle imposte dirette, richiamando l'orientamento giurisprudenziale secondo cui il reato di utilizzazione fraudolenta di fatture inesistenti è integrato, con riguardo alle imposte dirette, dalla sola inesistenza oggettiva delle prestazioni indicate in fattura. Nel caso di specie, a parere della difesa, i giudici di merito avrebbero riconosciuto l'effettiva sussistenza delle operazioni e i conseguenti esborsi economici sostenuti dall'imputato.
6.2. Si prospettano, infine, vizi di motivazione in relazione all'apprezzamento degli elementi di fatto posti alla base del giudizio di conferma della sussistenza della recidiva. A parere della difesa, la Corte distrettuale avrebbe errato nel ritenere sussistente la recidiva contestata, in quanto l'unico precedente penale aveva per oggetto un fatto risalente al (OMISSIS) e la relativa sentenza era divenuta irrevocabile nel (OMISSIS); nè potrebbe ritenersi sufficiente la semplice affermazione che il reato per cui si procede appare specificazione di comportamenti elusivi tenuti nel passato.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso proposto nell'interesse di A. è inammissibile.
1.1. Il primo motivo, con cui si censura la ritenuta sussistenza del reato di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 5 è inammissibile per genericità.
Va ricordato che le dichiarazioni presentate con ritardo superiore a novanta giorni si considerano omesse, ma costituiscono, comunque, titolo per la riscossione delle imposte dovute in base agli imponibili in esse indicati e delle ritenute indicate dai sostituti d'imposta (D.P.R. n. 322 del 1998, art. 2, comma 7; ex plurimis, Cass. civ. Sez. 6, n. 4765 del 24/02/2020). Inoltre, la presentazione di dichiarazione dei redditi oltre i novanta giorni dalla scadenza del termine integra il reato di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 5 e non quello di cui all'art. 2 decreto medesimo, anche quando all'interno di essa sono indicati elementi passivi fittizi derivanti dall'utilizzazione di fatture per operazioni inesistenti: dalla nullità fiscale della dichiarazione fraudolenta non può farsi seguire alcuna conseguenza di carattere penale, anche in considerazione di quanto previsto dal D.P.R. n. 322 del 1998, art. 2, comma 7, che limita gli effetti della dichiarazione presèntata oltre i novanta giorni ai soli aspetti "favorevoli" all'Amministrazione finanziaria (ex multis, Sez. 3, n. 33026 del 18/06/2015, Rv. 264250).
Nel caso di specie, la difesa afferma che l'invalidità della dichiarazione reddituale non poteva essere tenuta in considerazione per la configurabilità del reato de quo, limitandosi però ad asserire che il reato di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 2 e quello di omessa dichiarazione presuppongono due condotte diametralmente opposte, senza ulteriore specificazione al riguardo. La doglianza prospettata è, dunque, del tutto generica, perchè non contiene allegazioni dirette a dimostrare l'erroneità dell'accertamento contestato e trascura completamente gli esiti delle indagini svolte, ben evidenziati nel provvedimento impugnato. Quanto, poi, alla dedotta insussistenza dell'elemento soggettivo, deve rilevarsi che la difesa non deduce alcuna ragione del comportamento dell'imputato che sia diversa dall'intento di evadere le imposte. Del resto, come correttamente osservato dalla Corte d'appello, il profilo soggettivo del reato può desumersi agevolmente dalle modalità della condotta tenuta: l'omessa presentazione della dichiarazione nei termini di legge e la susseguente tardiva presentazione della stessa, con l'uso di fatture fittizie al fine di diminuire l'importo dovuto.
1.2. Anche il secondo motivo di ricorso, riferito alla presunta esistenza delle operazioni economiche sul piano oggettivo, è inammissibile. Deve preliminarmente osservarsi che tale profilo risulta irrilevante, essendo stata la contestazione di cui all'art. 2 ritenuta assorbita in quella di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 5; fattispecie omissiva la cui configurabilità prescinde dall'eventuale inesistenza delle operazioni economiche indicate a sostegno di pretesi costi in una dichiarazione tardiva. Anche a prescindere da tali assorbenti considerazioni, deve ogni caso rilevarsi che la difesa non considera, neanche a fini di critica, la motivazione della sentenza impugnata, che prende correttamente le mosse dalla pacifica circostanza che l'azienda di S., all'epoca della supposta esecuzione dei lavori, era in realtà inattiva sin dal (OMISSIS), perchè priva di qualsiasi organizzazione imprenditoriale. Ulteriore conferma della ricostruzione accusatoria è data dalle dichiarazioni rese dallo stesso S., il quale aveva affermato di non aver mai effettuato le prestazioni portate dalle fatture emesse. A ciò deve aggiungersi che le indagini della Guardia di Finanza hanno accertato che la ditta di S. fungeva, in sostanza, da "cartiera", in quanto versava da sempre in precarie condizioni economiche, per cui si prestava a tali operazioni recuperando dalle stesse un guadagno illecito parametrato su una percentuale fissa del 4 % rispetto all'importo dell'IVA calcolato in fattura. Inoltre, contrariamente a quanto ritenuto dalla difesa, la sentenza impugnata dà conto, in modo chiaro ed esaustivo, anche dell'avvenuto passaggio di denaro tra le parti, che era da ricondursi ad una intermediazione nel reperimento di forza lavoro senza che la ditta di A. prendesse in carico operai reclutati da S.; circostanza sostanzialmente ammessa dallo stesso A..
1.3. La terza doglianza - riferita all'insussistenza dell'elemento psicologico del reato di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 11 - è inammissibile per analoghe ragioni. La difesa si limita a contrapporre generiche affermazioni alla corretta ricostruzione operata dalla Corte territoriale, la quale ha bene evidenziato che la sequenza cronologica degli atti compiuti dall'imputato può avere quale unico fine la sottrazione della garanzia del pagamento del debito tributario. Si ribadisce difatti, nella sentenza impugnata, che l'imputato era consapevole della pretesa tributaria nei suoi confronti, perchè - come confermato dalla sua stessa prospettazione - nel periodo antecedente alla stipula del contratto di compravendita immobiliare, lo stesso aveva omesso di presentare la dichiarazione fiscale riferita all'anno d'imposta (OMISSIS) e aveva in posto in essere i ricordati atti fraudolenti con la collaborazione di S..
Trova dunque applicazione il consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui il delitto previsto al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 11 è reato di pericolo, integrato dal compimento di atti simulati o fraudolenti, volti a occultare i propri o altrui beni, idonei - secondo un giudizio "ex ante" che valuti la sufficienza della consistenza patrimoniale del contribuente rispetto alla pretesa dell'Erario - a pregiudicare l'attività recuperatoria dell'amministrazione finanziaria (Sez. 3, n. 46975 del 24/05/2018, Rv. 274066; Sez. 3, n. 13233 del 24/02/2016, Rv. 266771). Altresì, gli atti dispositivi compiuti dall'obbligato, oggettivamente idonei ad eludere l'esecuzione esattoriale, hanno natura fraudolenta allorquando, pur determinando un trasferimento effettivo del bene, siano connotati da elementi di inganno o di artificio, cioè da uno stratagemma tendente a sottrarre le garanzie patrimoniali all'esecuzione (Sez. 3, n. 29636 del 02/03/2018, Rv. 273493; Sez. 3, n. 10161 del 16/05/2017, dep. 2018, Rv. 272547).
1.4. Il quarto motivo di ricorso - nella parte concernente la mancanza di motivazione in ordine alla richiesta di riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche con criterio di prevalenza sulla recidiva infraquinquennale contestata è inammissibile, trattandosi di una doglianza prospettata per la prima volta con il ricorso per cassazione. Essa, infatti, non è elencata fra i motivi di appello alle pagg. 9-10 della sentenza d'appello. E deve ribadirsi, al proposito, che è inammissibile il ricorso per cassazione con cui non si proceda alla specifica contestazione del riepilogo dei motivi di appello, contenuto nella sentenza impugnata, che non menzioni una doglianza già proposta in sede di appello (ex multis, Sez. 3, n. 55484 del 13/12/2017; Sez. 2, n. 31650 del 03/04/2017, Rv. 270627). Trova, dunque, applicazione il principio, affermato dalla giurisprudenza di questa Corte, secondo cui non possono essere dedotte con il ricorso per cassazione questioni sulle quali il giudice di appello abbia correttamente omesso di pronunciare, perchè non devolute alla sua cognizione (ex plurimis, Sez. 3, n. 16610 del 24/01/2017, Rv. 269632; Sez. 5, n. 28514 del 23/04/2013, Rv. 255577; Sez. 2, n. 22362 del 19/04/2013, Rv. 255940).
La censura - sempre formulata nel quarto motivo di ricorso - riferita a vizi della motivazione quanto alla ritenuta sussistenza della recidiva, è anch'essa inammissibile. La difesa ribadisce, sul punto, considerazioni di merito sostanzialmente già svolte in appello e motivatamente disattese dalla Corte di secondo grado, la quale ha ben evidenziato che le modalità di commissione del fatto "costituiscono una specificazione dei comportamenti fraudolentemente elusivi tenuti in passato" dall'imputato, ampiamente manifestati dalle risultanze del casellario giudiziale. La Corte ha dato specifica risposta alla censura difensiva - riferita all'insussistenza della recidiva contestata in relazione al solo precedente penale del (OMISSIS) - richiamando, sul punto, la giurisprudenza di legittimità secondo cui il calcolo dei cinque anni per il riconoscimento della recidiva deve essere effettuato non dalla data di commissione del reato bensì da quello relativo al passaggio in giudicato della sentenza di condanna (Sez. 6, n. 15441 del 17/03/2016, Rv. 266547; Sez. 4, n. 36131 del 24/05/2007, Rv. 237651 - 01).
Nel caso di specie, risulta dagli atti che la sentenza è divenuta irrevocabile nell'anno del (OMISSIS); e la doglianza è, pertanto, manifestamente infondata.
2. Anche il ricorso proposto nell'interesse di I. è inammissibile.
2.1. Il primo motivo - riferito all'insussistenza dell'elemento psicologico del reato di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 11 - è inammissibile.
In sede di legittimità, deve escludersi che la Corte di Cassazione possa procedere ad un'ulteriore valutazione delle risultanze istruttorie, dovendo il controllo della medesima limitarsi ad accertare la presenza materiale, la non contraddittorietà e logicità della motivazione, non anche la maggiore o minore persuasività della stessa. Nè può integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più corretta valutazione delle risultanze processuali (ex plurimis, Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, Rv. 265482; Sez. 4, n. 4842 del 02/12/2003, Rv. 229369). Tali principi trovano applicazione anche nel caso di specie, in cui, a fronte delle censure di merito proposte dalla difesa (sulle quali valgono, in primo luogo, le considerazioni già svolte sub 1.3., in relazione al coimputato A.), deve rilevarsi la Corte d'appello non si limita a richiamare il semplice fatto dell'acquisto del diritto di proprietà del cespite originariamente appartenente al marito, ma argomenta adeguatamente (pag. 12 della sentenza impugnata), sulla scorta della motivazione della sentenza di primo grado, secondo cui risulta pacifica la fittizietà dell'operazione, la quale si era conclusa attraverso l'emissione da parte dell'acquirente apparente di un assegno privo di provvista e mai posto all'incasso da parte del venditore apparente. La ricostruzione difensiva secondo cui la vendita era necessaria per ottenere un finanziamento bancario allo scopo di pagare i debiti dell'imputato risulta, dunque, smentita dagli atti, trattandosi, all'evidenza, di un'operazione che aveva semplicemente cagionato un depauperamento netto del patrimonio del debitore tributario, mentre il finanziamento bancario avrebbe potuto essere ottenuto proprio utilizzando in garanzia l'immobile in questione.
2.2 La seconda doglianza - riferita alla mancanza di motivazione in relazione alla specifica richiesta, prospettata dalla difesa nell'atto di gravame, di fissazione della pena - base nella misura minima sulla quale operare la riduzione di un terzo in virtù dello stato d'incensuratezza - è inammissibile, perchè prospettata, già in grado d'appello, in modo non specifico. Il motivo era infatti formulato in via subordinata, nei seguenti termini: "per la I., la pena-base poteva essere fissata nel minimo - atteso lo stato di incensuratezza - e ridotta di un terzo in virtù delle attenuanti generiche già riconosciute in primo grado". Si tratta, all'evidenza, di una censura che non sottopone a puntuale critica la motivazione della sentenza di primo grado, la quale valorizzava in senso negativo "il valore del bene occultato al fisco" e il valore non irrisorio dell'ente delle imposte dovute dal coniuge, attestandosi, comunque, su una pena non lontana dal minimo edittale. Deve richiamarsi, sul punto, il principio, costantemente affermato dalla giurisprudenza di questa Corte a partire dalla sentenza Sez. Un. 8825 del 27/10/2016), secondo cui "l'appello, (al pari del ricorso per cassazione) è inammissibile per difetto di specificità dei motivi quando non risultano esplicitamente enunciati e argomentati i rilievi critici rispetto alle ragioni di fatto o di diritto poste a fondamento della sentenza impugnata". Si configura, in primo luogo, una "specificità intrinseca" dei motivi, la cui mancanza è causa di inammissibilità dell'impugnazione; così che devono essere ritenuti inammissibili gli appelli fondati su considerazioni di per sè generiche o astratte, o evidentemente non pertinenti al caso concreto. Vi è poi una "specificità estrinseca", che può essere definita come la esplicita correlazione dei motivi di impugnazione con le ragioni di fatto o di diritto poste a fondamento della sentenza impugnata, la cui mancanza è anch'essa causa di inammissibilità dell'impugnazione. E l'inammissibilità originaria della censura può essere rilevata, ai sensi dell'art. 591 c.p.p., comma 4, in ogni stato e grado del procedimento, ovvero anche dalla Corte di cassazione, a prescindere dal suo rilievo da parte della Corte d'appello.
3. Venendo al ricorso proposto nell'interesse di C., deve rilevarsi che lo stesso è solo parzialmente fondato.
3.1. Il primo motivo, con cui si eccepisce la prescrizione del reato di cui al capo e) dell'imputazione, limitatamente all'anno d'imposta (OMISSIS), è fondato. Il reato in questione risulta contestato come commesso il (OMISSIS); da tale data decorre il termine complessivo di sette anni e sei mesi fissato dagli art. 157 c.p., comma 1 e art. 161 c.p., comma 2, cui devono aggiungersi periodi di sospensione del corso della prescrizione per complessivi 318 giorni, giungendosi così alla data del (OMISSIS), precedente alla pronuncia della sentenza d'appello (22 maggio 2019).
3.2. Il secondo motivo del gravame - riferito all'elemento psicologico del reato D.Lgs. n. 74 del 2000, ex art. 2 - è inammissibile. Sul punto, il ricorrente propone sostanzialmente una diversa lettura del compendio probatorio sul quale il giudice del gravame ha motivatamente fondatola propria decisione. Orbene, deve prendersi atto del fatto che la sentenza impugnata non. presenta il vizio logico e il travisamento o l'omissione motivazionale dedotta dal ricorrente, atteso che la articolata valutazione dai giudici di merito, che poggia sugli elementi probatori acquisiti, rende ampio conto delle ragioni che hanno indotto gli stessi giudici a riconoscere l'attendibilità e il rilievo probatorio delle dichiarazioni rese dai testi S. e P., le quali hanno trovano integrale riscontro negli accertamenti effettuati dall'organo competente. Invero, la ditta S. fungeva, in sostanza, da "cartiera", prestandosi a operazioni illecite dietro il pagamento di una percentuale (come ben evidenziato nel paragrafo 1.2.), anche nei riguardi della società che faceva capo all'odierno imputato.
3.3. Il terzo motivo di gravame - riferito al mancato riconoscimento della non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale ex art. 175 c.p. - è inammissibile, trattandosi di una doglianza prospettata per la prima volta con il ricorso per cassazione. Sul punto, possono richiamarsi le considerazioni svolte nel paragrafo 1.4.
4. Quanto ai motivi aggiunti proposti nell'interesse di A., è sufficiente qui rilevare che l'inammissibilità delle doglianze contenute nel ricorso principale si estende agli stessi, ai sensi dell'art. 585 c.p.p., comma 4.
5. In conclusione, la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio, in relazione all'imputato C.V., per il reato di cui al capo e), limitatamente all'anno d'imposta (OMISSIS), per essere lo stesso estinto per prescrizione, con rinvio ad altra sezione della Corte d'appello di Lecce per la rideterminazione della pena in relazione al residuo reato di cui al capo e). Il ricorso di C. deve essere dichiarato inammissibile nel resto.
I ricorsi di A.A.C. e I.S.M.F. devono essere dichiarati inammissibili. Tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che "la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità", alla declaratoria. dell'inammissibilità medesima consegue, a norma dell'art. 616 c.p.p., l'onere delle spese del procedimento nonchè quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in Euro 3.000,00.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata, in relazione all'imputato C.V., per il reato di cui al capo e), limitatamente all'anno d'imposta (OMISSIS), per essere lo stesso estinto per prescrizione, e rinvia ad altra sezione della Corte d'appello di Lecce per la rideterminazione della pena in relazione al residuo reato di cui al capo e). Dichiara inammissibile nel resto il ricorso di C..
Dichiara inammissibili i ricorsi di A.A.C. e I.S.M.F., che condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3.000,00 ciascuno in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 12 giugno 2020.
Depositato in Cancelleria il 30 luglio 2020