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Omessa dichiarazione dei redditi: non punibilità per tenuità del fatto se l'importo è vicino alla soglia di 50.000 euro

Omessa dichiarazione

Cassazione penale sez. III, 13/05/2021, n.35403

In tema di omessa presentazione della dichiarazione dei redditi ai fini di evasione delle imposte, la causa di non punibilità prevista dall'art. 131-bis c.p. è applicabile laddove la omissione abbia riguardato un ammontare vicinissimo alla soglia di punibilità, fissata ad Euro 50.000,00 dal D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, art. 5, in ragione del fatto che il grado di offensività che fonda il reato è stato valútato dal legislatore nella determinazione della soglia di rilevanza penale.

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La sentenza integrale

RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il sig. V.A. ricorre per l'annullamento della sentenza del 08/10/2020 della Corte di appello di Milano che, in parziale riforma della sentenza del 05/02/2019 del Tribunale della stessa città, pronunciata a seguito di giudizio abbreviato e da lui impugnata, ha rideterminato la pena nella misura di cinque mesi e dieci giorni di reclusione ed ha concesso il beneficio della non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale spedito a richiesta di privati, confermando nel resto la condanna per il reato di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 5, a lui ascritto perché, quale amministratore unico della società "Comunica & Comunica S.r.l.", al fine di evadere le imposte sui redditi, non aveva presentato la dichiarazione annuale relativa all'anno di imposta 2011 (imposta evasa pari ad Euro 283.852,00). 1.1. Con il primo motivo deduce, ai sensi dell'art. 606 c.p.p., lett. b), l'erronea applicazione dell'art. 43 c.p., e D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 5, nella parte in cui la sentenza ha affermato che il dolo specifico del reato può essere escluso solo dalla forza maggiore e non dalla "culpa in vigilando". Se è vero, afferma, che la delega non esclude la tipicità del fatto omissivo, è altrettanto vero che la non delegabilità dell'obbligo dichiarativo non può comportare una responsabilità (oggettiva) di posizione o trasformare l'addebito doloso in addebito colposo per mancata vigilanza sul delegato. L'erroneo convincimento che il delegato adempia ai suoi compiti presentando la dichiarazione in luogo dell'obbligato principale incide sulla colpevolezza (e dunque sull'assenza del dolo specifico), non sulla tipicità. 1.2. Con il secondo motivo deduce, ai sensi dell'art. 606 c.p.p., lett. e), il vizio di omessa motivazione, sul piano grafico, sulla attendibilità dei testimoni (tema puntualmente devoluto in appello), circa la sussistenza della "culpa in vigilando", quale conseguenza della erronea applicazione dell'art. 43 c.p. e D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 5. 1.3. Con il terzo motivo deduce, ai sensi dell'art. 606 c.p.p., lett. b), l'erronea applicazione dell'art. 131-bis c.p. posto che il mero superamento della soglia di punibilità, ancorché non lieve, non legittima di per sé l'esclusione della causa non punibilità per speciale tenuità del fatto. 2. Il ricorso è inammissibile. 3. Osserva il Collegio: 3.1. Il D.P.R. n. 322 del 1988, art. 1, commi 3 e 4, art. 8, comma 6, dispongono che la dichiarazione annuale in materia di imposta sui redditi e sul valore aggiunto deve essere sottoscritta, a pena di nullità, dal contribuente o da chi ne ha la legale rappresentanza; in caso di dichiarazione di soggetti diversi dalle persone fisiche, la dichiarazione deve essere sottoscritta, a pena di nullità, dal rappresentante legale, e in mancanza da chi ne ha l'amministrazione anche di fatto, o da un rappresentante negoziale; in caso di società ed enti soggetti all'imposta sul reddito delle società sottoposti al controllo contabile ai sensi del codice civile o di leggi speciali, la dichiarazione può essere sottoscritta anche dai soggetti che sottoscrivono la relazione di revisione; 3.2. trattandosi di società di capitali, la dichiarazione deve essere presentata in via telematica all'Agenzia delle entrate direttamente o tramite i soggetti all'uopo incaricati indicati dal D.P.R. n. 322 del 1998, art. 3, comma 3; in ogni caso, la copia cartacea firmata resta presso il contribuente che è tenuto a conservarla anche a fini di prova del proprio adempimento (D.P.R. n. 322 cit., art. 1, comma 6, art. 3, commi 8 e 10); 3.3. il ricorrente deduce, in fatto, che la delega a presentare la dichiarazione dei redditi era stata conferita ad una dipendente della società che godeva della massima fiducia (essendo sua madre) e invoca, in diritto, l'applicazione dell'insegnamento di questa Corte secondo il quale l'affidamento ad un professionista dell'incarico di predisporre e presentare la dichiarazione annuale dei redditi non esonera il soggetto obbligato dalla responsabilità penale per il delitto di omessa dichiarazione (D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, art. 5), in quanto, trattandosi di reato omissivo proprio, la norma tributaria considera come personale ed indelegabile il relativo dovere; tuttavia, la prova del dolo specifico di evasione non deriva dalla semplice violazione dell'obbligo dichiarativo né da una "culpa in vigilando" sull'operato del professionista che trasformerebbe il rimprovero per l'atteggiamento antidoveroso da doloso in colposo, ma dalla ricorrenza di elementi fattuali dimostrativi che il soggetto obbligato ha consapevolmente preordinato l'omessa dichiarazione all'evasione dell'imposta per quantità superiori alla soglia di rilevanza penale (Sez. 3, n. 9417 del 14/01/2020, Sez. 3, n. 37856 del 18/06/2015, Rv. 265087 - 01; Sez. 3, n. 9163 del 29/10/2009, Rv. 246208 - 01); 3.4. La deduzione relativa alla sussistenza della ‘culpa in vigilandò è del tutto infondata e non coglie nel segno essendo distonica rispetto a un quadro normativo che, come visto, faceva obbligo al ricorrente di sottoscrivere personalmente la dichiarazione dei redditi, prima ancora di presentarla, sicché l'affermazione secondo cui egli sarebbe stato continuamente rassicurato, negli anni, dalla madre cozza, sul piano logico, con la violazione di questo elementare adempimento necessario al fine della fisica trasmissione/presentazione della dichiarazione stessa; 3.5. né risulta, non avendolo il ricorrente mai dedotto, che la madre, solo informalmente delegata agli adempimenti burocratici dell'azienda, fosse stata formalmente investita della rappresentanza legale della società, anche solo ai fini della sottoscrizione delle dichiarazioni annuali; 3.6. del resto, come afferma il primo Giudice, non smentito sul punto, il ricorrente, legale rappresentante della società sin dal 2001 (e componente del CdA dal 1998), non aveva depositato i bilanci della società dal 2008 in poi e non aveva presentato per anni (in particolare, per gli anni di imposta 2006, 2007, 2008, 2010 e 2011) la dichiarazione annuale sicché l'omessa sottoscrizione della dichiarazione alla scadenza del termine stabilito per la sua presentazione non poteva, né doveva sfuggirgli, né ragionevolmente poteva essere ascritta ad una occasionale dimenticanza (peraltro sempre rimediabile a seguito dell'avviso inviato dall'Agenzia delle Entrate ai sensi del D.P.R. n. 382 del 1998, art. 1, comma 4); 3.7. La manifesta infondatezza del primo motivo rende superfluo l'esame del secondo; 3.8. anche il terzo motivo è manifestamente infondato; 3.9. deve essere ribadito il principio secondo il quale, in tema di omessa presentazione della dichiarazione dei redditi ai fini di evasione delle imposte, la causa di non punibilità prevista dall'art. 131-bis c.p. è applicabile laddove la omissione abbia riguardato un ammontare vicinissimo alla soglia di punibilità, fissata ad Euro 50.000,00 dal D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, art. 5, in ragione del fatto che il grado di offensività che fonda il reato è stato valútato dal legislatore nella determinazione della soglia di rilevanza penale (Sez. 3, n. 16599 del 20/02/2020, Rv. 278946-01; in senso analogo, cfr. Sez. 3, n. 12906 del 13/11/2018, dep. 2019, Rv. 276546 - 01; Sez. 3, n. 40774 del 05/05/2015, Rv. 265079 - 01); 3.10. se è vero che, come insegna Sez. U, n. 13681 del 25/02/2016, Tushaj, Rv. 266590-01, ai fini della configurabilità della causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, prevista dall'art. 131 bis c.p., il giudizio sulla tenuità richiede una valutazione complessa e congiunta di tutte le peculiarità della fattispecie concreta, che tenga conto, ai sensi dell'art. 133 c.p., comma 1, delle modalità della condotta, del grado di colpevolezza da esse desumibile e dell'entità del danno o del pericolo, è altrettanto vero che, come spiegato in motivazione, "quanto più ci si allontana dal valore-soglia tanto più è verosimile che ci si trovi in presenza di un fatto non specialmente esiguo"; ne ha tratto argomento Sez. 3, n. 15020 del 22/01/2019, Rv. 275931 - 01, per affermare che, in tema di reati tributari caratterizzati dalla soglia di punibilità, già solo il superamento in misura significativa di detta soglia preclude la configurabilità della causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, laddove, invece, se tale superamento è di poco superiore, può procedersi a valutare i restanti parametri afferenti la condotta nella sua interezza; 3.11. nel caso di specie, l'imposta evasa è superiore al quintuplo della soglia di punibilità con conseguente evidente inqualificabilità del danno come esiguo. 4. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue, ex art. 616 c.p.p., non potendosi escludere che essa sia ascrivibile a colpa del ricorrente (C. Cost. sent. 7-13 giugno 2000, n. 186), l'onere delle spese del procedimento nonché del versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende, che si fissa equitativamente, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di Euro 3.000,00. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende. Motivazione semplificata. Così deciso in Roma, il 13 maggio 2021. Depositato in Cancelleria il 24 settembre 2021
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