RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 18 febbraio 2019, la Corte d'appello di Lecce ha confermato la sentenza del Tribunale di Brindisi del 22 settembre 2015, con la quale l'imputato era stato condannato, per il reato di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 5, alla pena di un anno di reclusione - con concessione dei benefici della sospensione condizionale della pena e della non menzione della condanna nel casellario giudiziale - perchè, in qualità di legale rappresentante di una società, al fine di evadere l'imposta sul valore aggiunto, non presentava la dichiarazione relativa a detta imposta per l'anno di 2011, con un'evasione di Euro 55.825,21.
2. Avverso tale provvedimento l'imputato, tramite difensore, ha proposto ricorso per cassazione, lamentando, con unico motivo di doglianza, l'erronea applicazione della disposizione incriminatrice, nonchè vizi della motivazione. Secondo la prospettazione difensiva, sarebbero illegittimi i criteri impiegati dalla Corte d'appello per la determinazione dell'ammontare dell'imposta evasa ai fini della valutazione del superamento della soglia di punibilità del reato. In particolare, non si sarebbe attribuito il giusto valore probatorio a due note di credito presentate in giudizio dall'imputato (a favore di BIS s.r.l., 19 Marzo 2013, a storno totale della fattura n. 68 per un importo iva pari a 338,52 Euro; a favore di EDS INFRASTRUTTURE s.p.a., del 1 agosto 2014, per un importo di Euro 6.837,43) e dalle quali - in applicazione del principio di cui al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 26, secondo cui, se viene meno una operazione o se ne riduce l'ammontare, il cedente ha diritto di detrarre l'imposta relativamente alla variazione - derivava il mancato superamento della soglia di punibilità. Per la difesa è parimenti erronea la motivazione adottata dal giudice di secondo grado circa l'inattendibilità stessa delle note di credito, dovuta alla mancanza di ulteriori riscontri probatori di natura documentale o quantomeno dichiarativa, ritenuti necessari in virtù del fatto che le note, essendo state emesse in epoca notevolmente successiva al periodo di imposta cui apparivano riferibili, non venivano presentate tempestivamente agli agenti competenti in sede di verifica fiscale, nè venivano prodotte nel corso delle indagini preliminari. Con una siffatta motivazione, la Corte d'appello avrebbe violato le regole generali in materia di prova, presumendo la sussistenza di indizi dal comportamento dell'imputato, che avrebbe potuto assumere al più valore residuale, in presenza di univoci elementi probatori sotto il profilo dell'accusa.
In via subordinata, il ricorrente ritiene meritevole di censura la decisione impugnata, nella misura in cui, pur considerando erroneamente superata la soglia di punibilità mediante l'applicazione dei suddetti criteri, ha ritenuto di non poter pronunciare l'assoluzione dell'imputato per la particolare tenuità del fatto di cui all'art. 131-bis c.p., posto l'imposta evasa nel caso di specie supererebbe appena la soglia di punibilità.
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. Il ricorso è inammissibile.
E' opportuno preliminarmente osservare che ricorre un'ipotesi cd. di "doppia conforme", in presenza della quale "le sentenze di primo e di secondo grado si saldano tra loro e formano - un unico complesso motivazionale. Inoltre, il controllo del giudice di legittimità non può consistere in una diversa lettura degli elementi di fatto che sono stati posti a fondamento della decisione o nella scelta di nuovi e diversi criteri di giudizio in ordine alla valutazione dei fatti, essendo limitato al solo accertamento della congruità e coerenza dell'apparato argomentativo fornito dal giudice (ex plurimis, Sez. 3, n. 13926 del 01/12/2011 Rv.252615). Tali principi trovano applicazione anche nel caso in esame, in cui le censure formulate dal ricorrente attengono a valutazioni fattuali, riproduttive di quelle già proposte ai giudici di merito e disattese da questi ultimi, con conforme valutazione. Nella specie, la motivazione del giudice di secondo grado risulta, in ogni caso, pienamente coerente e corretta sul piano giuridico, posto che l'orientamento adottato nell'impugnata motivazione circa la ritenuta inutilizzabilità delle note di credito, confezionate in epoche successive rispetto all'anno di imposta oggetto dell'imputazione, trova riscontro nelle pronunce della giurisprudènza di legittimità aventi ad oggetto fattispecie analoghe (ex plurimis, Sez. 3 n. 8521 del 21/09/2018 Rv. 275010). In ogni caso, del tutto correttamente la Corte d'appello ritiene che tali note di credito siano inattendibili, essendo ampiamente sufficiente a tal fine rilevare che le stesse non erano state sottoposte agli inquirenti in sede di verifica fiscale ed erano prive di riscontri documentali o dichiarativi circa l'effettiva natura e l'effettivo andamento delle operazioni sottostanti. Parimenti irrilevante è il rilievo formulato dalla difesa riguardo alla presunta violazione, da parte del giudice di secondo grado, dei principi in materia di prova, in quanto, sebbene sia indubbio che il comportamento dell'imputato assuma valore solamente indiziario, è pur vero che il giudice può valutare la condotta processuale dell'imputato unitamente ad altre circostanze sintomatiche, con la conseguenza che egli, nella formazione del suo libero convincimento, ben può considerare, in concorso di altre circostanze, la portata significativa del silenzio dell'imputato su circostanze potenzialmente idonee a scagionarlo (Sez. 3 n. 26274 del 10/05/2018 Rv. 273318; Sez. 2, Sentenza n. 22651 del 21/04/2010 Rv. 247426).
La censura relativa al mancato riconoscimento della causa di non punibilità di cui all'art. 131-bis è manifestamente infondata. Nel caso di specie, come rilevato dal giudice di secondo grado, lo scostamento di Euro 5.825,21 rispetto alla soglia di punibilità fissata dal legislatore del 2015 in Euro 50.0000, non può certamente ritenersi esiguo (essendo superiore all'11%); il che esclude a priori la possibilità di considerare il fatto di particolare tenuità. Deve infatti ribadirsi che la causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto, prevista dall'art. 131-bis c.p., è applicabile soltanto all'omissione per un ammontare vicinissimo alla soglia di punibilità, in considerazione del fatto che il grado di offensività che dà luogo a reato è già stato valutato dal legislatore nella determinazione della soglia stessa (ex plurimis, Sez. 3 n. 58442 del 02/10/2018 Rv. 275458; Sez. 3 n. 13218 del 20/11/2015 Rv. 266570).
4. Ne consegue che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile. 2. Tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che "la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità", alla declaratoria dell'inammissibilità mèdesima consegue, a norma dell'art. 616 c.p.p., l'onere delle spese del procedimento nonchè quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in Euro 2.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Si dà atto che il presente provvedimento è sottoscritto dal solo presidente del collegio per impedimento dell'estensore, ai sensi del D.P.C.M. 8 marzo 2020, art. 1, comma 1, lett. a).
Così deciso in Roma, il 20 febbraio 2020.
Depositato in Cancelleria il 3 giugno 2020