RITENUTO IN FATTO
1. B.M. ha presentato ricorso avverso la sentenza della Corte d'Appello di Napoli con la quale veniva confermata la sentenza di primo grado resa dal Tribunale di Napoli in data 10/1/2019 di condanna per il reato di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 5 in relazione alla omessa presentazione della dichiarazione annuale relativa alle imposte dirette ed Iva per l'anno di imposta 2011.
2. Con il primo motivo il ricorrente ha dedotto, lamentando la violazione della legge penale e l'inosservanza di norme processuali, la nullità della sentenza di primo grado e di tutti gli atti successivi, inclusa la sentenza d'appello, per difetto di correlazione tra accusa e decisione, in relazione agli artt. 521,522 e 604 c.p.p..
Si contesta in particolare che il collegio abbia ritenuto integrata la condotta omissiva sulla base del fatto che la dichiarazione, pur tempestivamente trasmessa, sarebbe stata tuttavia "in bianco", dato che il quadro RS della stessa non era stato compilato. Di qui l'erronea affermazione di colpevolezza nonostante appunto la avvenuta presentazione della dichiarazione il giorno precedente l'ultimo previsto per legge.
La Corte territoriale avrebbe in particolare erroneamente assimilato, in contrasto con il dettato normativo, l'attività di invio meramente incompleta della dichiarazione, sussumibile all'interno del D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 4, alla fattispecie di reato omissivo contestata, rientrante invece nell'ambito applicativo dell'art. 5 del succitato decreto, così realizzandosi una trasformazione dell'originaria accusa ed un'incertezza sull'oggetto dell'imputazione, con conseguente violazione dei diritti della difesa.
3. Il secondo motivo lamenta l'erronea applicazione della legge in relazione al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 5 e all'art. 530 c.p.p., comma 1.
La difesa lamenta come erroneamente ritenuto l'elemento oggettivo del reato, stante la tempestiva intervenuta presentazione della dichiarazione, nonché l'elemento soggettivo, del dolo specifico di evasione, desunto dalla potenziale condotta infedele serbata dall'imputato e mai contestata.
Ne' si sarebbe considerata l'intervenuta regolare presentazione delle precedenti e successive dichiarazioni annuali, complete anche nei riquadri relativi all'indicazione dell'IVA e del volume d'affari, e inoltre la presentazione di una seconda dichiarazione integrativa per l'anno 2011 nonché la assoluta regolarità della tenuta di tutte le scritture contabili e l'intervenuto pagamento dei residui fiscali.
4. Con l'ultimo motivo il ricorrente evidenzia la carenza e la contraddittorietà della motivazione in riferimento all'esatta ricostruzione dell'imposta presuntivamente evasa, operata irrazionalmente, e in contrasto con la documentazione disponibile, dalla Guardia di Finanza attraverso la differenza tra la somma complessiva delle fatture attive e la somma complessiva delle fatture passive, così pervenendo all'imponibile non dichiarato.
Infatti, così facendo, si sarebbero considerati gli acquisti ai fini dell'IVA come gli unici costi sostenuti; la Corte avrebbe, invece, dovuto includere nella valutazione dell'effettivo imponibile tutte le passività, e dunque anche quelle non contabilizzate nei registri IVA desumibili dalla regolarità della contabilità, riconosciuta dagli stessi operanti come regolarmente tenuta, con conseguenti ricavi ampiamente sotto soglia.
In particolare, il teste Cangiano della Guardia di Finanza aveva chiarito come fosse mancato il computo dei costi relativi al personale, agli ammortamenti, alle variazioni delle rimanenze e ai costi della logistica. Nella motivazione del Collegio, tuttavia, non vi sarebbe alcun cenno all'evidente errore in cui gli accertatori erano incorsi al momento della ricostruzione delle dinamiche economiche, né sarebbe stata contemplata la documentazione presentata dalla difesa al fine di specificamente attestare i reali costi di produzione sostenuti. Da tale dimenticanza discenderebbe un palese vizio motivazionale dovuto all'erroneità dei parametri adottati per la determinazione della base imponibile.
Inoltre la Corte territoriale avrebbe confuso i costi di esercizio relativi alla logistica (che la Guardia di Finanza mai avrebbe conteggiato per la riduzione dell'imponibile) con l'IVA; sarebbe bastato invece sottrarre l'Iva a credito generata dalle fatture contabilizzate dall'imputato (per Euro 39.600) dalla quantificazione finale dell'imposta determinata dalla Guardia di Finanza (Euro 163.698,54) per pervenire ad un risultato finale di Euro 124.098,54.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il primo motivo, di carattere pregiudiziale rispetto agli altri, è fondato. Il reato di "omessa dichiarazione" di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 5 contempla, nel comma 1, la condotta di "chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, non presenta, essendovi obbligato, una delle dichiarazioni relative a dette imposte..."; la medesima condotta omissiva è poi contemplata, con riguardo alla dichiarazione, questa volta, di sostituto d'imposta, dal comma 1 bis.
E' dunque evidente che il reato è integrato allorquando, nei termini previsti dalle leggi tributarie, e nel rispetto delle soglie individuate dallo stesso art. 5, il contribuente non trasmetta agli uffici competenti le predette dichiarazioni.
Ciò posto, con la sentenza impugnata, confermativa di quella di primo grado, si è ritenuto integrato il reato di cui all'art. 5 cit. pur a fronte di presentazione della dichiarazione intervenuta nei termini, per il fatto che la stessa fosse "sostanzialmente "in bianco", dato che il quadro RS non era stato compilato", giacché la norma penale de qua riposerebbe sull'obbligo di "mettere l'amministrazione finanziaria al corrente delle informazioni necessarie per accertare la consistenza dell'obbligazione tributaria".
L'equiparazione in tal modo operata dalla sentenza tra omessa presentazione di dichiarazione e presentazione di dichiarazione incompleta, non può, tuttavia, essere condivisa, giacché fondata, a fronte di una condotta esaustivamente e rigorosamente individuata dalla norma e come tale non suscettibile di alcuna estensione, su una lettura analogica della norma contrastante con-il principio di legalità.
Ed anzi, in senso contrario alla lettura data, in conformità a quella di primo grado, dalla sentenza impugnata, appaiono deporre inequivoci dati normativi del resto valorizzati dalla giurisprudenza tributaria nonché dalla giurisprudenza di legittimità civile, che, sul medesimo punto, e', sulla base di essi, costantemente pervenuta a ritenere improponibile, quanto alla parallela condotta di omessa presentazione considerata dalla legislazione tributaria, una siffatta equipollenza.
Si è infatti valorizzato, a conforto della necessaria distinzione tra "assoluta omessa presentazione" e "mancata dichiarazione di redditi imponibili", il tenore letterale del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 1, comma 2, che, nel disciplinare il contenuto della dichiarazione dei redditi, prevede espressamente che la stessa debba "contenere l'indicazione degli elementi attivi e passivi necessari per la determinazione degli imponibili..." e che "i redditi per i quali manca tale indicazione si considerano non dichiarati ai fini dell'accertamento e delle sanzioni", in tal modo deducendosi che, nell'ipotesi in cui non siano indicati gli elementi attivi e passivi necessari per la determinazione degli imponibili (tanto più se, come nel caso di specie, la mancata indicazione sia stata solo parziale, riguardando un solo quadro), la dichiarazione si deve ritenere presentata e solo i singoli redditi (fondiario, di impresa, di lavoro autonomo), si devono considerare non dichiarati (così Sez. 5 civ., n. 24107/13 del 17/12/2012, non mass.).
E tale linea interpretativa è proseguita sino all'attualità: mentre Sez. 5 civ. n. 1879 del 10/09/2020, non mass., ha affermato che la fattispecie di omessa dichiarazione deve essere riservata solo alle ipotesi più radicali, quali l'assoluta inesistenza del documento o la mancata trasmissione all'Ufficio giacché lo stesso tenore letterale dell'art. 1 cit. consente di reputare esistente la dichiarazione pur se priva dei dati necessari per la ricostruzione del reddito, laddove contempla che i redditi non indicati si considerano non dichiarati (evenienza che ben può verificarsi non solo relativamente all'omessa indicazione solo di alcuni redditi, ma anche in relazione, addirittura, a tutti i redditi percepiti dal soggetto), Sez.5 civ., n. 10668 del 12/01/2021, Rv.660973, ha specificato che nell'ipotesi in cui il contribuente non ometta la dichiarazione, ma provveda invece ad effettuarla, qualora indichi un valore diverso rispetto a quanto dovuto, incorre in errore, oppure nella dichiarazione infedele, qualora l'errore sia voluto, ma non nell'omessa dichiarazione, esprimendo poi il principio di diritto secondo cui "la dichiarazione infedele presentata dal contribuente..., anche quando indichi un valore non verosimile, non è equiparabile alla omessa dichiarazione" da qui poi desumendone la mancanza di ostacoli all'accesso del contribuente al condono.e alla necessità, per l'Amministrazione finanziaria di provvedere, a pena di decadenza, alla notifica dell'avviso di accertamento nei termini ordinari, non potendo avvalersi della proroga biennale dei termini di notifica, prevista, appunto, solo per la diversa ipotesi in cui la dichiarazione sia stata omessa.
2. La persistenza di un tale quadro esegetico, oltre a corroborare senza possibilità di incertezze la conclusione in ordine alla non equiparabilità di una dichiarazione semplicemente incompleta ad una dichiarazione non presentata, giustifica allo stesso tempo che la pronuncia di Sez. 5 civ., n. 10759 del 22/02/2006, Rv.590594, menzionata dalla sentenza qui impugnata nel senso della conferma dell'integrazione del reato di cui all'art. 5 cit., non possa comunque condurre ad un differente esito; e ciò non solo perché inequivocabilmente superata dalle successive ed attuali decisioni più sopra ricordate, ma soprattutto perché riferita ad una ipotesi, ovvero quella della presentazione di "una dichiarazione compilata nel solo frontespizio, e per il resto priva di ogni contenuto e non sottoscritta" certamente non equiparabile a quella oggetto del presente giudizio oltre che indubitabilmente legata ad un contesto normativo che, a differenza di quello attuale, non prevedeva la trasmissione telematica della dichiarazione (solo alla luce di un tale elemento storico potendosi comprendere il senso del riferimento ad una mancata sottoscrizione).
Neppure il riferimento della sentenza impugnata alla ratio della norma, individuata nell'esigenza di consentire all'amministrazione finanziaria di disporre delle informazioni necessarie per accertare il quantum dell'obbligazione tributaria può giustificare la lettura analogica svolta, essendo una tale ragione ancor più ricorrente nell'ipotesi del reato di dichiarazione infedele.
Deve solo aggiungersi che, seppure manchino pronunce di questa Corte penale sul tema in oggetto, è tuttavia significativo che in ipotesi, certamente assimilabile alla presente, di dichiarazione non compilata nel quadro RG/RF, l'imputazione, nonché l'integrazione del reato di dichiarazione infedele di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 4 non siano state poste in alcun modo in discussione dalla decisione di Sez. 3, n. 32490/19 del 24/04/2018, Cavallo, non mass., pur spettando anche al giudice di legittimità i poteri di necessaria ravvisabilità della diversità del fatto per cui è condanna rispetto a quello contestato.
3. In definitiva, dunque, la sentenza impugnata è incorsa, nel ritenere integrato il reato di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 5 a fronte di elementi (segnatamente la mancata compilazione, come detto, di un quadro apposito) che dovevano invece indirizzare a ravvisare nel fatto elementi eventualmente costitutivi, semmai, del reato di cui all'art. 4, in violazione di legge, in tal modo risultando fondata la censura difensiva in ordine alla sostanziale trasformazione del fatto di omessa presentazione, addebitato, in fatto di dichiarazione infedele, ritenuto; ciò che avrebbe dovuto condurre la Corte territoriale, sia pure già intrattenutasi, su altri e diversi aspetti, su tale figura di reato, a fare applicazione della disciplina dell'art. 521 c.p.p., comma 2. (del resto, nel senso che l'accertamento della diversità del fatto, che comporta la trasmissione degli atti al pubblico ministero, non coincide con l'accertamento di cui all'art. 533 c.p.p., in quanto solo quest'ultimo giudizio postula il convincimento sulla colpevolezza, essendo prodromico ad una pronuncia di condanna, Sez. 2, n. 27826 del 30/04/2019, Stizanin Milios, Rv. 276984).
4. Ne consegue, assorbiti i restanti motivi, l'annullamento senza rinvio di entrambe le sentenze di merito con trasmissione degli atti al P.M. presso il Tribunale di Napoli per gli eventuali compiti di sua titolarità.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata e quella di primo grado e dispone la trasmissione degli atti al Pubblico Ministero presso il Tribunale di Napoli.
Così deciso in Roma, il 22 dicembre 2021.
Depositato in Cancelleria il 14 febbraio 2022