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Diffamazione: il dolo richiede la consapevolezza della comunicazione a terzi

Diffamazione

Cassazione penale sez. V, 02/07/2024, n.36217

In tema di diffamazione, l'elemento psicologico consiste nella volontà e rappresentazione che la frase intenzionalmente lesiva dell'altrui reputazione, anche se comunicata a una sola persona, venga sicuramente a conoscenza di almeno un'altra persona. (Fattispecie in cui la Corte ha annullato la sentenza impugnata che aveva considerato consapevolmente "comunicata a più persone" una missiva, contenente espressioni offensive, trasmessa attraverso l'applicativo "Messanger" al presidente di un'associazione, sul presupposto, non provato, della certa previsione, da parte del reo, che anche i membri del direttivo dell'associazione avessero l'accesso a tale applicativo).

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La sentenza integrale

RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza del 22 novembre 2023 la Corte di appello di L'Aquila - per quel che qui rileva - all'esito del gravame interposto da Pe.Cr., ne ha confermato la condanna, resa dal Tribunale di L'Aquila con pronuncia del 5 luglio 2019, per il delitto aggravato di diffamazione (art. 595, commi 1 e 3, cod. pen.) - commesso in pregiudizio di Va.An. - anche con riguardo alle statuizioni civili in favore di quest'ultimo. In particolare, all'imputata è contestato di aver divulgato tramite il social network Facehook una lettera dal contenuto offensivo dell'onore, del decoro e della professionalità del Va.An. (che esercita la professione forense), redatta da De.Lu. 2. Avverso la sentenza di appello il difensore dell'imputata ha proposto ricorso per cassazione, articolando un unico motivo (di seguito esposto nei limiti di cui all'art. 173, comma 1, d. att. cod. proc. pen.), con il quale ha denunciato la mancanza di motivazione, in particolare in ordine alla sussistenza dell'elemento soggettivo del reato, profilo rispetto al quale l'argomentazione con cui è stata disattesa la prospettazione difensiva sarebbe apparente. Difatti, con il gravame si era dedotto che: - l'istruttoria dibattimentale avrebbe acclarato che l'imputata non ha pubblicato la missiva tramite un canale pubblico (come contestato) ma l'ha trasmessa tramite l'applicativo di messaggistica privata Messenger nel corso di un contatto intercorso con l'Avv. Piccinini (Presidente dell'associazione intitolata alla figlia di quest'ultima), senza avere conoscenza del fatto (emerso nel corso dell'istruttoria, ma a lei ignoto anche alla luce del tenore privato del contatto con la propria interlocutrice) che a tale applicativo avessero accesso anche altri soggetti (i membri del direttivo della detta associazione); - la Corte di merito, a fronte di tale specifica deduzione volta a confutare la sussistenza dell'elemento soggettivo (anche alla luce del fatto che la Pe.Cr. non ha, come esposto, divulgato la missiva in un canale pubblico), avrebbe eluso la questione, rendendo una motivazione apparente fondata su quanto emerso nell'istruttoria dibattimentale a proposito dei soggetti che avevano accesso al detto applicativo ma non su quanto era in effetti noto all'imputata quando ha agito. 3. Il Sostituto Procuratore generale presso questa Corte di cassazione ha presentato memoria con la quale, in ragione della fondatezza del ricorso, ha chiesto l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata, perché il fatto non costituisce reato, con revoca delle statuizioni civili. CONSIDERATO IN DIRITTO Il ricorso è fondato, nei termini di seguito esposti. 1. L'art. 595 cod. pen. incrimina chiunque, comunicando con più persone, offende l'altrui reputazione (nei casi in cui la comunicazione non sia diretta all'offeso che vi resta estraneo; cfr. Sez. 5, n. 10905 del 25/02/2020, Sala, Rv. 278742 - 01; Sez. 5, n. 10313 del 17/01/2019, Vicarettì, Rv. 276502 - 01). Questa Corte ha già rilevato che: - "il bene giuridico tutelato dall'art. 595 cod. pen. è l'onore nel suo riflesso in termini di valutazione sociale (la reputazione intesa quale patrimonio di stima, di fiducia, di credito accumulato dal singolo nella società e, in particolare, nell'ambiente in cui quotidianamente vive e opera) di ciascuna persona, e l'evento (del reato) è costituito dalla comunicazione e dalla correlata percezione o percepibilità, da parte di almeno due consociati, di un segno (parola, disegno) lesivo, che sia diretto, non in astratto, ma concretamente, a incidere sulla reputazione di uno specifico cittadino.... Si tratta di evento, non fisico, ma, psicologico, consistente nella percezione sensoriale e intellettiva, da parte di terzi, dell'espressione offensiva" (Sez. 5, n. 39059 del 27/06/2019, Belpietro, Rv. 276961 - 01, che richiama, tra le altre, Sez. 5, n. 47175 del 04/07/2013, Aquilio Ulizio, Rv. 257704; cfr. pure Sez. 5, n. 8890 del 30/11/2020 - dep. 2021, Poggi, Rv. 280622 - 01); - "ai fini della sussistenza dell'elemento soggettivo del delitto di diffamazione, non si richiede che sussista V'animus iniurandi vel diffamarteli", essendo sufficiente il dolo generico, che può anche assumere la forma del dolo eventuale, in quanto è sufficiente che l'agente, consapevolmente, faccia uso di parole ed espressioni socialmente interpretabili come offensive, ossia adoperate in base al significato che esse vengono oggettivamente ad assumere, senza un diretto riferimento alle intenzioni dell'agente" (Sez. 5, n. 4364 del 12/12/2012 - dep. 2013, Arcadi, Rv. 254390 - 01; cfr. pure Sez. 5, n. 8419 del 16/10/2013 - dep. 2014, Verratti, Rv. 258943 - 01); "l'elemento psicologico della diffamazione consiste non solo nella consapevolezza di pronunziare o di scrivere una frase lesiva dell'altrui reputazione ma anche nella volontà che la frase denigratoria venga a conoscenza di più persone. Pertanto è necessario che l'autore della diffamazione comunichi con almeno due persone ovvero con una sola persona, ma con tali modalità che detta notizia sicuramente venga a conoscenza di altri ed egli si rappresenti e voglia tale evento" (Sez. 5, n. 36602 del 15/07/2010, Selmi, Rv. 248431 - 01; Sez. 5, n. 2138 del 14/12/1972 - dep. 1973, Dagostini, Rv. 123561 - 01; cfr. pure Sez. 5, n. 1794 del 05/11/1998 - dep. 1999, Vitaloni, Rv. 212516 - 01, secondo cui, "nel caso in cui la "comunicazione con più persone" non possa dirsi voluta dall'agente, nemmeno sotto il profilo del dolo eventuale" ed essa "ciono(no)stante, si verifica, non ha riflesso penale, non essendo prevista nel nostro ordinamento l'ipotesi colposa della diffamazione"; cfr. pure Sez. 5, n. 26560 del 29/04/2014, Cadoria, Rv. 260229 - 01, che, quanto "al requisito della comunicazione con più persone", al fine della sussistenza del delitto, ha espressamente attribuito rilievo al fatto che l'autore "prevedesse o volesse la circostanza che il contenuto" diffamatorio della propria missiva "sarebbe stato reso noto a terzi"). Inoltre, le Sezioni Unite hanno chiarito che, "in tema di elemento soggettivo del reato, il dolo eventuale ricorre quando l'agente si sia chiaramente rappresentata la significativa possibilità di verificazione dell'evento concreto e ciò nonostante, dopo aver considerato il fine perseguito e l'eventuale prezzo da pagare, si sia determinato ad agire comunque, anche a costo di causare l'evento lesivo, aderendo ad esso, per il caso in cui si verifichi" (Sez. U, n. 38343 del 24/04/2014, Espenhahn, Rv. 261104 - 01). 1.2. Tanto premesso, la motivazione della sentenza impugnata è viziata proprio sotto il profilo della sussistenza dell'elemento soggettivo del delitto, unico oggetto di censura da parte del ricorso (che non ha, invece, ad oggetto la sussistenza del fatto nella sua materialità, neppure sotto il profilo della divulgazione a più persone delle espressioni denigratorie tramite l'applicazione Messenger). Difatti, con l'atto di appello la difesa dell'imputata aveva censurato sul punto la sentenza di primo grado (che aveva ritenuto ovvio che ella avesse conoscenza del fatto che la divulgazione a terzi della missiva de qua "potesse e dovesse accadere - poiché ella stava "usando un mezzo diretto... a cui avevano continuo accesso altre soggetti appartenenti all'associazione Ilaria Rambaldi Onlus"): in particolare, con il gravame si era dedotto che la Pe.Cr. non avesse alcuna consapevolezza che le espressioni offensive da lei trasmesse - secondo la ricostruzione compiuta dai Giudici di merito, tramite Messenger - sarebbero entrate a conoscenza di soggetti diversi dall'unica persona (l'avvocato Piccinini) con la quale aveva intrattenuto il proprio contatto telematico non solo in precedenza ma anche lo stesso giorno del fatto (per più ore) proprio con tale modalità (richiamando, in particolare, non solo quanto rassegnato dall'imputata nel corso del proprio esame ma anche la testimonianza dell'avvocato Piccinini; cfr. atto di appello, spec. p. 3 s.). Tuttavia, la Corte di appello in maniera del tutto assertiva ha affermato che l'imputata, per il solo fatto di aver comunicato ("sia pure tramite messenger") "con un profilo Facebook riconducibile ad un'associazione, non pote(sse) non avere la consapevolezza che agli scritti avessero accesso quantomeno in componenti del direttivo dell'associazione", dovendosi pertanto ritenere la sussistenza, in capo a lei, "quanto meno... della previsione e dell'accettazione dell'evento" e, dunque, del dolo eventuale (cfr. sentenza impugnata, p. 8), senza argomentare in ordine alle allegazioni difensive e senza indicare gli elementi (incompatibili con esse e, dunque, atto a disattenderle) sulla scorta dei quali inferire che ella avesse contezza che i membri del direttivo avessero accesso alla conversazione in discorso, contezza tratta in maniera apodittica dalla riferibilità del profilo telematico in discorso alla medesima associazione. Ne deriva l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata agli effetti penali, perché il reato è estinto per prescrizione: il fatto è, infatti, stato commesso il giorno 12 novembre 2015 e il termine massimo di prescrizione, pari a sette anni e sei mesi (artt. 157 e 161 cod. pen.) è spirato il 27 dicembre 2023, pur considerando il tempo in cui è rimasto sospeso (229 giorni in ragione del differimento, per legittimo impedimento del difensore, dell'udienza del 13 giugno 2018 al 19 ottobre 2018; di quest'ultima udienza a quella del 25 gennaio 2019; di questa al 12 aprile 2019, rinvii tutti da computarsi nei limiti di 60 giorni; nonché per il differimento, sempre per legittimo impedimento del difensore, dell'udienza del 12 aprile 2019 al 31 maggio 2019). Deve, dunque, disporsi l'annullamento della sentenza impugnata agli effetti civili (art. 622 cod. proc. pen.), con rinvio per nuovo giudizio al Giudice civile competente per valore in grado di appello, cui si rimette anche la liquidazione delle spese tra le parti del presente giudizio. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata agli effetti penali, perché il reato è estinto per prescrizione. Annulla altresì la sentenza impugnata agli effetti civili con rinvio per nuovo giudizio al Giudice civile competente per valore in grado di appello, cui rimette anche la liquidazione delle spese tra le parti del presente giudizio. Così deciso il 2 luglio 2024. Depositato in Cancelleria il 27 settembre 2024.
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