RITENUTO IN FATTO
1. Il Tribunale di Varese in composizione monocratica - a seguito dell'eccezione formulata da parte del difensore degli imputati ai sensi dell'art. 23 cod. proc. pen. e, in subordine, dell'istanza di rimessione ex art. 24-bis cod. proc. pen. cod. pen. - con ordinanza del 26 febbraio 2024 ha rimesso a questa Corte di cassazione la decisione in ordine alla competenza.
Gli imputati Ra.Si. e Ma.Gi. sono stati rinviati a giudizio ai sensi dell'art. 595, comma 3, cod. pen. in relazione a plurime condotte di diffamazione aggravate dall'uso del mezzo televisivo, commesse - quali giornalisti in servizio presso la Rai -Radiotelevisione Italiana Spa - in data (Omissis) e (Omissis), nel corso della trasmissione televisiva Report, offendendo la reputazione di Gi.Gi., all'epoca parlamentare del partito della (Omissis) e sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, nonché della moglie, Fe.La. e della cognata Fe.Sa., quest'ultima nella qualità di legale rappresentante dell'associazione sportiva "Pony Club - Le Bettole".
Con l'ordinanza di rimessione il Giudice dava atto dell'esistenza di due orientamenti giurisprudenziali riguardo alla competenza territoriale, conseguenti all'applicazione, o meno, dell'art. 30, comma 5, L. n. 223 del 1990, che prevedeva per i reati di diffamazione, indicati al comma 4 della stessa norma, quindi consumati attraverso trasmissioni radiotelevisive con attribuzione di un fatto determinato, l'individuazione del foro competente determinato dal luogo di residenza della persona offesa.
In particolare, la difesa degli imputati aveva eccepito l'incompetenza per territorio del Tribunale di Varese in favore di quello di Roma, ove la Rai ha sede e ove era avvenuta la messa in onda del servizio televisivo, rilevando come la norma predetta, rinviando alla condotta di reato indicata al comma 4, facesse riferimento non solo alla condotta nella sua oggettività, ma anche alla circostanza che i reati di diffamazione, che giustificavano la deroga alle regole ordinarie della competenza, fossero esclusivamente quelli commessi dai soggetti di cui al comma 1, cioè il concessionario privato o la concessionaria pubblica, o il loro delegato al controllo, ai quali lo stesso comma 4 riservava l'applicazione de "le sanzioni previste dall'art. 13 della legge 8 febbraio 1948, n. 47" in tema di regolamentazione della stampa.
In sostanza il foro speciale risulterebbe riservato, secondo tale interpretazione, solo ai delitti commessi dai concessionari e dai delegati al controllo, non anche dai giornalisti.
Il Giudice remittente richiamava a sostegno di questa interpretazione le pronunce di Sez. 1, n. 1291 del 27/02/1996; Sez. 2, n. 34717 del 23/04/2008; Sez. 5, n. 50987 del 06/10/2014; Sez. 5, n. 6911 del 2016; Sez. 5, n. 12789 del 2016; Sez. 5, n. 27823 del 19/04/2017; Sez. 5, n. 854 del 2021.
A fronte di tale primo orientamento, proseguiva il Giudice nella ordinanza di rimessione, se ne opponeva altro che, invece, rappresentava come il foro speciale dovesse essere riconosciuto per ogni diffamazione aggravata dalla attribuzione del fatto determinato commesso a mezzo di trasmissioni radiotelevisive, a prescindere dalla qualità dell'autore del reato, dovendo quindi trovare applicazione anche in relazione alla condotta posta in essere dal giornalista: in sostanza la previsione del comma 4 risulterebbe di natura generale e il richiamo ai soggetti qualificati indicati al comma 1 esclusivamente limitato al trattamento sanzionatorio (in questo senso, per il Giudice remittente, Sez. 1, n. 6793 del 04/02/1997; Sez. 1, n. 269 del 13/01/2000; Sez. 5, n. 4158 del 18/09/2014; Sez. 5, n. 33287 del 2016; Sez. 5, n. 3135 del 2019).
La difesa degli imputati, evidenziava l'ordinanza di rimessione, rilevava come il secondo orientamento determinasse una applicazione analogica non consentita in sede penale. Il Pubblico ministero, osservava il Giudice remittente, indicava una sentenza che aveva affrontato in modo diretto il tema ritenendo la generale applicabilità del foro derogatorio. Il Giudice, pertanto, non accogliendo la prima eccezione difensiva, tesa a ottenere la declaratoria di incompetenza in favore del Tribunale di Roma, rimetteva la questione alla Corte di Cassazione ex art. 24-bis cod. proc. pen.
2. Il ricorso è stato trattato con intervento delle parti, ai sensi dell'art. 23, comma 8, D.L. n. 137 del 2020, disciplina prorogata sino al 31 dicembre 2022 per effetto dell'art. 7, comma 1, D.L. n. 105 del 2021, la cui vigenza è stata poi estesa in relazione alla trattazione dei ricorsi proposti entro il 30 giugno 2023 dall'art. 94 del D.Lgs. 10 ottobre 2022 n. 150, come modificato dall'art. 5-duodecies D.L. 31 ottobre 2022, n. 162, convertito con modificazioni dalla L. 30 dicembre 2022, n. 199, nonché entro il 30 giugno 2024 ai sensi dell'art. 11, comma 7, del D.L. 30 dicembre 2023, n. 215, convertito in legge 23 febbraio 2024, n. 18.
3. Il Pubblico ministero, nella persona del Sostituto Procuratore generale dott.ssa Perla Lori, ha in primo luogo evidenziato come sussistano i presupposti per l'ammissibilità della decisione, avendo il Giudice ritenuto la propria competenza, prendendo atto comunque del contrasto fra orientamenti.
Inoltre, la rappresentante della Procura generale ha concluso per la competenza del Tribunale di Varese, rilevando come la giurisprudenza più approfondita e pertinente al caso in esame si sia consolidata nel senso della competenza territoriale individuata dalla residenza della persona offesa, anche per il reato commesso dal giornalista, e non solo per il reato del concessionario, richiamando e condividendo a riguardo Sez. 5, n. 3135 del 2019, n.m.
4. L'avvocato Monica Alberti, nell'interesse delle parti civili, ha concluso per la competenza del Tribunale di Varese, individuato dalla residenza delle persone offese, rappresentando come anche in Sede civile il foro competente venga individuato in relazione al danneggiato, da parte delle Sezioni Unite di questa Corte in tale Sede.
5. L'avvocato Andrea Bertolini, nell'interesse degli imputati, ha concluso per la competenza del Tribunale di Roma, richiamando la necessità di una interpretazione letterale dell'art. 30 cit., criterio utilizzato da Sez. 5, n. 2738 del 14/09/2016, dep. 2017, Valentini, Rv. 268861-01 che, in tema di diffamazione commessa con il mezzo televisivo, ha ritenuto non configurabile la responsabilità colposa per omissione, ex art. 30, comma quarto, L. n. 223 del 1990, nei confronti del soggetto delegato al controllo di una trasmissione televisiva, in quanto l'art. 30, comma terzo, sancisce detta responsabilità per i soli soggetti indicati al comma primo, tra i quali è certamente compreso il soggetto delegato al controllo della trasmissione, ma solo per il caso in cui sia omesso il controllo necessario ad impedire i reati elencati nei commi 1 e 2, e cioè allorché si tratti di trasmissioni a carattere osceno, pubblicazioni destinate all'infanzia o con contenuto impressionante o raccapricciante, non anche per il reato di diffamazione aggravata, per il quale la responsabilità del delegato al controllo può essere ritenuta sussistente solo a titolo di dolo e non per colpa.
Inoltre, il difensore ha richiamato la sentenza n. 150 del 2021 della Corte costituzionale, rilevando come abbia dichiarato in toto incostituzionale l'art. 30, comma 4, L. 223 del 1990, norma che prevede l'ipotesi di diffamazione a mezzo trasmissioni consistente nell'attribuzione di fatto determinato, delitto per il quale il comma 5 definisce il citato criterio di competenza speciale.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Va premesso che la rimessione ex art. 24-bis cod. proc. pen. operata dal Tribunale di Varese, è ammissibile in quanto il Giudice ha di fatto rigettato l'eccezione di incompetenza territoriale, sollevata in via principale dalla difesa degli imputati in favore del Tribunale di Roma. Ciò si evince sia dal tenore dell'ordinanza di rimessione, pur in assenza di un esplicito rigetto, sia anche dalla circostanza che sia stata valutata e accolta l'istanza ex art. 24-bis, dando atto il Giudice dell'esistenza dei due orientamenti giurisprudenziali e, sostanzialmente, emergendo per il Giudice remittente l'impossibilità di risolvere la questione con gli ordinari strumenti processuali in tema di competenza.
Sul punto della ammissibilità della rimessione questa Corte ha infatti chiarito che, in tema di rinvio pregiudiziale alla Corte di cassazione per la decisione sulla competenza per territorio ex art. 24-bis cod. proc. pen., introdotto dall'art. 4, comma 1, D.Lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, il giudice, investito della questione o che intenda rilevarla "ex officio", è tenuto, ai fini dell'ammissibilità del rinvio, a motivare la propria determinazione, analizzando la questione e compiendo una preliminare delibazione di non manifesta infondatezza della stessa, così da prospettare l'impossibilità di risolverla mediante l'utilizzo degli ordinari strumenti normativi (Sez. 3, n. 11400 del 14/12/2023, dep. 19/03/2024, Greggio, Rv. 286071-01; Sez. 1, n. 46466 del 22/09/2023, Rv. 285513-01; Sez. 5, n. 43304 del 07/07/2023, Rv. 285233-01; Sez. 6, n. 31809 del 10/05/2023, Rv. 285089-01; Sez. 6, n. 20612 del 12/04/2023, Rv. 284720-01).
In particolare, è stato in modo condivisibile osservato che, nel caso in cui il giudice si ritenga incompetente, ha il dovere di pronunciare sentenza declinatoria della competenza e deve trasmettere gli atti al pubblico ministero presso il giudice ritenuto competente, salvo che questi sia proprio colui il quale aveva già trasmesso gli atti per competenza, nel qual caso deve sollevare conflitto ai sensi dell'art. 30 cod. proc. pen. Se, al contrario, come è accaduto nel caso in esame, il giudice ritiene sostanzialmente di essere competente, può rimettere la questione all'esame della Corte di cassazione soltanto, però, qualora ritenga che la prospettazione del foro alternativo ratione foci prospettato dalla parte sia, quantunque non condivisa, fondata su "questioni di una certa serietà", al fine di evitare "potenziali usi strumentali dell'istituto".
In sostanza, non si verte in tema dì un automatismo collegato alla semplice proposizione della questione di incompetenza, bensì è necessario che la decisione di rinvio del giudice sia "affidata ad un canone di ragionevole presunzione di fondatezza della questione", con la conseguenza che se il giudicante deve motivare e spiegare le ragioni di questa sua scelta.
Dunque, l'unico giudice che ha titolo ad utilizzare lo strumento dell'art. 24-bis cod. proc. pen. è quello che, pur non ritenendosi incompetente, si rende conto che la diversa prospettazione operata dalle parti in punto di competenza territoriale non è manifestamente infondata, al punto che potrebbe successivamente originare una pronuncia attributiva di competenza territoriale ad un giudice diverso (così in motivazione Sez. 3, n. 44932 del 27/09/2023, Selvarolo, Rv. 285334-01).
In sostanza, va escluso che il giudice operi una sorta di "delega" alla Corte di cassazione, in assenza di serietà della questione di competenza e della possibilità di soluzione della stessa con gli ordinari rimedi previsti dal codice di rito, dovendo motivare la propria determinazione, compiendo una preliminare delibazione di non manifesta infondatezza della stessa, qualora ritenga di essere competente (Sez. 2, n. 8805 del 14/02/2024, Mantovani, Rv. 286008-01).
Questa Corte rileva come l'ordinanza di rimessione risponda ai requisiti di ammissibilità richiesti, sia perché, seppur senza un esplicito rigetto della eccezione principale di incompetenza, il Tribunale non ha accolto l'eccezione principale e ha di fatto ritenuto maggiormente fondata la tesi della competenza speciale individuata dalla residenza della persona offesa, sia anche perché il tenore dell'ordinanza palesa la sussistenza di due orientamenti contrastanti sul punto, con particolare attenzione rappresentanti dal Giudice, a riprova della serietà dell'orientamento disatteso.
2. Una seconda questione preliminare riguarda la circostanza che, le imputazioni per le quali si procede, mancano della indicazione nominativa della aggravante del "fatto determinato", che certamente è presupposto della questione di competenza posta, in quanto il comma 4 dell'art. 30 cit. prevede la competenza speciale solo "(n)el caso di reati di diffamazione commessi attraverso trasmissioni consistenti nell'attribuzione di un fatto determinato...".
Sul punto però va richiamata Sez. 5, n. 26512 del 13/04/2021, Augugliaro, Rv. 281579-01, che ha chiarito come per la sussistenza della circostanza aggravante dell'attribuzione di un fatto determinato è sufficiente che l'episodio riferito venga specificato nelle sue linee essenziali, in modo che risulti maggiormente credibile, e che le espressioni adoperate evochino, alla comprensione del destinatario della comunicazione, azioni concrete e dalla chiara valenza negativa. Il che accade rispetto alle contestazioni in esame.
3. Ai fini della migliore comprensione del ricorso val bene riportare, nelle parti di interesse, il testo dell'art. 30, L. n. 223 del 1990, cd. legge Mammì, costituente la "Disciplina del sistema radiotelevisivo pubblico e privato":
"1. Nel caso di trasmissioni radiofoniche o televisive che abbiano carattere di oscenità il concessionario privato o la concessionaria pubblica ovvero la persona da loro delegata al controllo della trasmissione è punito con le pene previste dal primo comma dell'articolo 528 del codice penale.
2. Si applicano alle trasmissioni le disposizioni di cui agli articoli 14 e 15 della legge 8 febbraio 1948, n. 47.
3. Salva la responsabilità di cui ai commi 1 e 2 fuori dei casi di concorso, i soggetti di cui al comma 1 che per colpa omettano di esercitare sul contenuto delle trasmissioni il controllo necessario ad impedire la commissione dei reati di cui ai commi 1 e 2 sono puniti, se nelle trasmissioni in oggetto è commesso un reato, con la pena stabilita per tale reato diminuita in misura non eccedente un terzo.
4. Nel caso di reati di diffamazione commessi attraverso trasmissioni consistenti nell'attribuzione di un fatto determinato, si applicano ai soggetti di cui al comma 1 le sanzioni previste dall'articolo 13 della legge 8 febbraio 1948, n. 47.
5. Per i reati di cui ai commi 1, 2 e 4 del presente articolo si applicano le disposizioni di cui all'articolo 21 della legge 8 febbraio 1948, n. 47. Per i reati di cui al comma 4 il foro competente è determinato dal luogo di residenza della persona offesa. ...".
Il quesito oggetto della rimessione è stato posto dal Tribunale di Varese in questi termini: "Se l'art. 30 L. n. 223/1990, in punto di applicazione del criterio relativo alla competenza per territorio, debba interpretarsi nel senso che: a. il criterio speciale che individua il giudice competente nel Tribunale del circondario comprensivo del comune dove ha la residenza la persona offesa operi solo quando la diffamazione, commessa attraverso trasmissioni consistenti nell'attribuzione di un fatto determinato, abbia quali autori i soggetti menzionati al primo comma, sì come richiamati dal quarto comma; oppure se: b. l'operatività del predetto criterio speciale prescinda dalla qualifica soggettiva dell'autore del reato, in quanto il richiamo del quarto comma ai soggetti menzionati al primo comma, indica solo quale dev'essere, per quei soggetti, il trattamento sanzionatorio".
Questa Corte propende per la seconda soluzione.
4. Va evidenziato come molte delle pronunce massimate, e lo stesso Tribunale remittente lo evidenzia, affrontino il tema del trattamento sanzionatorio o della responsabilità penale da reato proprio, distinguendo fra i concessionari o i delegati al controllo e autori "comuni" del reato in relazione ai commi 1 e 3 dell'art. 30, e si limitano a citare il tema della competenza non perché oggetto della decisione ma perché contenuto nel comma 5 dell'art. 30 cit.
A ben vedere, rileva questa Corte come il comma 5, secondo una interpretazione letterale, sia composto di due parti.
La prima che prevede l'estensione dell'art. 21 L. n. 47 del 1948, "Disposizioni sulla stampa" ai reati di cui ai capi 1, 2 e 4, compreso quindi il delitto di diffamazione a mezzo trasmissione radiotelevisiva. L'art. 21 prevedeva norme in tema di competenza e forme del giudizio, con la previsione di uno speciale rito direttissimo, la deroga alla competenza del pretore in favore del Tribunale, i termini ristretti di deposito delle sentenze per ciascuno dei tre gradi di giudizio, l'urgenza della trattazione di tali processi di diffamazione anche in periodo feriale.
La seconda parte del comma 5, invece, è dedicata in via esclusiva al delitto di diffamazione descritto al comma 4, per il quale si prevede il foro speciale determinato dalla residenza della persona offesa.
La stessa lettera e l'interpretazione logica del comma 4 consente di rilevare come la necessità di un rinvio, quanto al trattamento sanzionatorio previsto per i delitti a mezzo stampa per i soli concessionari, ha senso solo se la diffamazione viene diversamente sanzionata per altri soggetti. Se invece si fosse trattato di una diffamazione solo "propria" dei concessionari, il rinvio alle sanzioni della legge sulla stampa sarebbe intervenuto tout court, senza necessità di alcuna specifica quanto ai soggetti autori del reato.
5. In questo stesso senso deve condividersi quanto affermato da Sez. 5, n. 4158 del 18/09/2014, dep. 28/01/2015, Perego, Rv. 262168-01, che, affrontando in modo diretto il tema, esclude in modo condivisibile che si verta in tema di interpretazione estensiva o analogica: la competenza territoriale deve essere stabilita, in applicazione dell'art. 30, comma quinto, della legge n. 223 del 1990, nel foro di residenza della persona offesa, chiunque sia il soggetto chiamato a rispondere del reato di diffamazione, ancorché non si tratti dei soggetti indicati nell'art. 30, comma primo, della medesima legge ossia del concessionario privato, della concessionaria pubblica o della persona da loro delegata al controllo della trasmissione (conf. N. 6793 del 1997 Rv. 206755-01, N. 269 del 2000 Rv. 215382-01, N. 10420 del 2002 Rv. 220966-01). A tali ultime pronunce si aggiungono, esprimendosi per la natura generalizzata dalla competenza derogatoria, le successive Sez. 1, n. 5413 del 19/12/2002, dep. 2003, n.m., Sez. 5, n. 3135 del 2019, n.m., richiamata opportunamente dalla Procura generale, Sez. 5, n.7223, del 08/01/2019, n.m., Sez. 5, n. 33287 del 21/04/2016, Paolini Rv. 267703-01 (in motivazione).
Le sentenze di segno contrario per lo più affrontano, come anticipato, il tema della estensione della responsabilità penale per il reato di omesso controllo, escludendo l'estensione analogica ai soggetti diversi dai concessionari, non affrontando in maniera diretta il tema della competenza derogatoria (Sez. 5, n. 27823 del 19/04/2017, Izzo, Rv. 270557-01; Sez. 5, n.12789 del 29/01/2016, n.m.; Sez. 5, n. 50987 del 06/10/2014, Cappato, Rv. 261907-01; Sez. 2, n. 34717 del 23/04/2008, Matacena, Rv. 240687-01).
Unica sentenza che affronta in modo specifico tale tema - escludendo quella derogatoria per l'autore "comune" della diffamazione con attribuzione di fatto determinato con il mezzo radiotelevisivo - è Sez. 1, n. 1291 del 27/02/1996, Ferrara, Rv. 205281-01.
Pertanto, deve ben evidenziarsi come l'orientamento decisamente prevalente risulti essere quello per la competenza territoriale derogatoria generalizzata.
D'altro canto, argomento anche convincente, speso da Sez. 5, Perego, cit. e anche da Sez. 1, n. 6793 del 13/12/1996, dep. 04/02/1997, Sindoni, Rv. 206755-01 è quello che la diversa interpretazione, conducente alla frammentazione della competenza territoriale, vedrebbe il foro speciale operare solo per i concessionari e non anche, ad esempio, per i giornalisti o gli intervistati, cosicché, per un medesimo fatto, chi è tenuto al controllo e l'autore immediato della diffamazione sarebbero chiamati a giudizio dinanzi a giudici diversi, il che integra una irragionevole divergenza di competenze.
5. D'altro canto, la tesi della competenza territoriale derogatoria limitata ai soli concessionari, non si confronta con la sentenza n. 42 del 1996 della Corte costituzionale, che ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 30, commi 4 e 5, per disparità di trattamento per violazione dell'art. 3 Cost., come anche per violazione del principio del giudice naturale ex art. 25 Cost., evocato anche dalla difesa degli imputati in questo giudizio, in relazione al foro speciale esistente per la diffamazione aggravata dal fatto determinato a mezzo trasmissione radiotelevisiva, rispetto a quella commesso con lo stesso mezzo, ma non aggravata.
Sul punto la Corte costituzionale chiarisce in primo luogo la ratio della disciplina: in relazione all'asserita violazione dell'art. 3 Cost., chiarendo che con il criterio di competenza speciale "il legislatore ha inteso introdurre una disciplina di favore per le persone colpite dal reato di diffamazione aggravata, quando lo stesso risulti commesso attraverso l'impiego del mezzo radiotelevisivo. Tale disciplina", osserva la Corte costituzionale, "non può ritenersi lesiva del principio di eguaglianza, ove si consideri che la sua giustificazione può trovare fondamento proprio nella particolare natura, o, se vogliamo, nella particolare forza e diffusività del mezzo impiegato, suscettibile di manifestare, anche in relazione all'ampiezza della platea dei destinatari del messaggio, una potenzialità lesiva nei confronti della persona e della sua reputazione di gran lunga superiore a quella di qualsivoglia altro strumento di comunicazione di massa. Da qui l'esigenza di attenuare l'evidente squilibrio delle posizioni che, nell'azione diffamatoria consistente nell'attribuzione di un fatto determinato, è dato constatare tra chi, attraverso l'impiego del mezzo radiotelevisivo, commette il reato e chi del reato si trova, invece, a subire le conseguenze lesive. Su questo piano, l'individuazione del giudice competente con riferimento al luogo di residenza della persona offesa, anziché al luogo di consumazione del reato, appare, dunque, giustificata, in quanto strumento destinato a rendere più agevole la possibilità di reazione del soggetto leso che, presso il giudice del luogo della propria residenza, sarà in grado di attivarsi a difesa della propria reputazione con minore dispendio di tempo e di risorse economiche".
In sostanza, proprio la forza del mezzo televisivo e la sua diffusività giustificano in sé una disciplina peculiare quanto alla competenza territoriale, argomento che riguarda la natura aggravata -quindi la maggiore gravità - della diffamazione, come anche l'uso del mezzo radiotelevisivo, con il che risulterebbe davvero lesivo del principio di eguaglianza il trattamento diverso che, con l'interpretazione sostenuta dalla difesa degli imputati, vuole distinguere la competenza a seconda che imputato sia il concessionario o il suo delegato al controllo ovvero il giornalista o, ad esempio, l'intervistato.
La diffusività del mezzo e la gravità della condotta sono le medesime e un diverso criterio di competenza risulterebbe, questo sì, irragionevole ed in violazione del principio di eguaglianza.
Ma anche altre considerazioni la Corte costituzionale richiama nella valutazione di ragionevolezza della scelta del legislatore: in primo luogo per la valutazione dei "fatti determinati" il giudice del luogo di residenza della persona offesa può ritenersi l'organo più idoneo al giudizio, in relazione alla sua presumibile vicinanza con il luogo di svolgimento di tali fatti; in secondo luogo, nell'ipotesi di accertata sussistenza dell'azione diffamatoria, la sentenza di condanna, ove adottata nel luogo di residenza del soggetto leso, sarà in grado di avere una maggiore efficacia riparatoria, collegata alla più ampia conoscenza che la stessa sentenza potrà ottenere nell'ambiente sociale normalmente frequentato dalla persona offesa.
La Corte delle leggi esclude poi anche la lesione dell'art. 25 Cost.: tale principio è rispettato in quanto "l'organo giudicante sia stato istituito dalla legge sulla base di criteri generali fissati in anticipo e non già in vista di singole controversie" (v. sentenze n. 217 del 1993 e n. 269 del 1992)" e "la nozione di giudice naturale non si cristallizza nella determinazione legislativa di una competenza generale, ma si forma anche di tutte quelle disposizioni, le quali derogano a tale competenza sulla base di criteri che razionalmente valutino i disparati interessi in gioco nel processo" (v. ordinanza n. 508 del 1989 e sentenza n. 274 del 1974). La norma in esame, avendo indicato preventivamente, e non in vista di singole controversie, il foro territorialmente competente per determinati reati, si presenta, dunque, in sintonia con il parametro costituzionale, tenuto conto che lo stesso affida alla discrezionalità del legislatore l'individuazione del giudice naturale, senza stabilire, per la competenza in materia penale, il vincolo di un collegamento necessario tra lo stesso giudice ed il luogo di consumazione del reato".
6. Se, dunque, la ratio è quella di favore della persona offesa, una differenziazione della competenza territoriale, in ragione della sola diversità dell'autore del reato, risulterebbe del tutto irragionevole.
Né convince l'argomento speso in sede di discussione dalla difesa degli imputati, relativamente agli effetti della sentenza della Corte costituzionale n. 150 del 2021.
La Corte costituzionale ha dichiarato costituzionalmente illegittimo, per violazione degli artt. 21 e 117, primo comma, Cost., in relazione all'art. 10 CEDU, l'art. 13 della legge n. 47 del 1948.
La norma - costituente lex specialis rispetto alle due aggravanti previste dall'art. 595 cod. pen., secondo e terzo comma - prevedeva la circostanza aggravante del mezzo della stampa per il delitto di diffamazione con attribuzione del fatto determinato, condotta sanzionata con una pena della reclusione da uno a sei anni e della multa non inferiore a Euro 258,00 euro, da applicare in via cumulativa, ritenuta dalla Corte costituzionale incompatibile con il diritto a manifestare il proprio pensiero.
La Corte delle leggi evidenziava come la dichiarazione di illegittimità costituzionale non abbia creato un vuoto di tutela al diritto alla reputazione individuale contro le offese arrecate a mezzo della stampa, che continua a essere protetto dal combinato disposto del secondo e del terzo comma dello stesso art. 595 cod. pen.
La stessa Corte costituzionale estendeva, poi, la pronuncia anche alla norma di interesse per questa decisione, e ai sensi dell'art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87, letteralmente, affermava che "deve essere dichiarata in via consequenziale l'illegittimità costituzionale dell'art. 30, comma 4, della legge 6 agosto 1990, n. 223 (Disciplina del sistema radiotelevisivo pubblico e privato), il quale prevede che "(n)el caso di reati di diffamazione commessi attraverso trasmissioni consistenti nell'attribuzione di un fatto determinato, si applicano ai soggetti di cui al comma 1 le sanzioni previste dall'art. 13 della legge 8 febbraio 1948, n. 47", dichiarato costituzionalmente illegittimo dalla presente pronuncia".
A ben vedere è di tutta evidenza che una attenta lettura della sentenza della Corte costituzionale consente di rilevare come la dichiarazione di illegittimità dell'art. 30, comma 4, abbia la funzione di elidere il trattamento sanzionatorio, analogamente a quanto accaduto per l'art. 13 cit., il che esclude che abbia incidenza alcuna la pronuncia della Corte costituzionale sulla questione di competenza ora in valutazione.
A ben vedere a par. 9 la Corte costituzionale afferma, in relazione all'art. 30, comma 4, che "resterà anche in questi casi applicabile la disciplina prevista dall'art. 595, terzo comma, cod. pen.".
Di certo la Corte costituzionale non ha voluto dichiarare illegittima la norma incriminatrice della diffamazione attraverso il mezzo radio televisivo.
Va ricordato che, prima dell'entrata in vigore della legge n. 233 del 1990, l'aggravante del mezzo radio televisivo veniva ricondotta al "mezzo di pubblicità" dell'art. 595, comma 3, cod. pen.
Palesemente irragionevole risulterebbe ritenere che l'illegittimità del comma 4 voglia rendere impossibile applicare il comma 5, quanto al foro speciale, al caso della diffamazione aggravato dal fatto determinato e dal mezzo radiotelevisivo, sia che si ritenga la ratio dell'intervento della Corte costituzionale limitato al solo profilo sanzionatorio, sia che lo si ritenga radicalmente abrogativo del comma 4, nel quale caso si riespanderebbe in toto l'art. 595, comma 3, cod. pen.
D'altro canto, la ragionevolezza di un unico e stabile foro di competenza, che sia connesso al luogo di vita e di relazioni della persona offesa, viene confermata anche in Sede civile, come evidenziato dalla difesa delle parti civili.
Difatti le Sezioni Unite, con ordinanza del 13 ottobre 2009, n. 21661, fra l'altro, hanno fissato il principio per cui ai fini della individuazione del giudice territorialmente competente per un'azione di risarcimento danni, il focus commissi delicti, quale luogo ove l'obbligazione risarcitoria sorge ex art. 20 cod. proc. civ., è quello ove si produce il danno che è conseguenza del fatto lesivo ed in assenza del quale il fatto lesivo medesimo non può dar luogo ad una pretesa risarcitoria.
In caso di diffamazione commessa tramite un mezzo di comunicazione di massa, focus commissi delicti deve essere considerato non lo studio televisivo nel quale si realizza il programma, luogo che costituisce unicamente il luogo ove si consuma l'illecita lesione del diritto alla reputazione, bensì il domicilio, quale sede principale degli affari e degli interessi del danneggiato e, quindi, luogo in cui presumibilmente si verificano gli effetti dannosi negativi, patrimoniali e non dell'offesa alla reputazione.
Il domicilio, osservano le Sezioni Uniti civili, è certamente il luogo nel quale la lesione della reputazione e degli altri beni della persona si consuma, in quanto la stessa è correlata all'ambiente economico e sociale nel quale la persona vive e opera e costruisce la sua immagine, e quindi "svolge la sua personalità" (art. 2 Cost.). Aggiungono le Sezioni Unite che "(p)ur non potendosi escludere che, in relazione alla notorietà della persona, il pregiudizio possa verificarsi anche altrove, è certo che il domicilio è il luogo principale nel quale gli effetti negativi, patrimoniali e non patrimoniali si verificano".
La duplice esigenza di attribuire rilievo non alla mera potenzialità dannosa, ma al pregiudizio effettivo, e di individuare un unico luogo certo in cui si possa ritenere sorta l'obbligazione risarcitoria, induceva quindi le Sezioni Unite civili a superare l'indirizzo che, nel caso di lesione della reputazione per mezzo della stampa, identificava tale luogo con quella di pubblicazione, attribuendo valore decisivo, anche in tal caso, al domicilio (e alla residenza) del danneggiato, come luogo in cui certamente e principalmente si è verificato il danno risarcibile.
Inoltre, le Sezioni Unite concludevano, dopo aver richiamato la sentenza della Corte costituzionale n. 42 del 1996, come segue: "(d)a tali osservazioni si potrebbe anche dedurre che un'interpretazione dell'art. 20 cod. proc. civ., diversa da quella accolta, non essendo giustificata dalla diversa natura, civile o penale, dell'oggetto dei processi, potrebbe far sorgere seri di dubbi di legittimità costituzionale con riferimento all'art. 3 Cost. e quindi giustifica un'interpretazione della norma processualcivilistica in senso costituzionalmente orientato".
D'altro canto, la CGUE, con la sentenza n. 451 del 29/07/2019, chiamata in sede di rinvio pregiudiziale a chiarire l'applicazione dell'art. 7, punto 2, del Regolamento (UE) n. 1215/2012 - che prevede che "Una persona domiciliata in uno Stato membro può essere convenuta in un altro Stato membro: ... in materia di illeciti civili dolosi o colposi, davanti all'autorità giurisdizionale del luogo in cui l'evento dannoso è avvenuto o può avvenire; ..." - evocava anche i "considerando" 15 e 16 del Regolamento cit. che affermano :
"(15) È opportuno che le norme sulla competenza presentino un alto grado di prevedibilità e si basino sul principio generale della competenza dell'autorità giurisdizionale del domicilio del convenuto. Tale principio dovrebbe valere in ogni ipotesi, salvo in alcuni casi rigorosamente determinati, nei quali la materia del contendere o l'autonomia delle parti giustifichi un diverso criterio di collegamento...;
(16) Il criterio del foro del domicilio del convenuto dovrebbe essere completato attraverso la previsione di fori alternativi, basati sul collegamento stretto tra l'autorità giurisdizionale e la controversia, ovvero al fine di agevolare la buona amministrazione della giustizia. L'esistenza di un collegamento stretto dovrebbe garantire la certezza del diritto ed evitare la possibilità che il convenuto sia citato davanti a un'autorità giurisdizionale di uno Stato membro che non sia per questi ragionevolmente prevedibile. Tale aspetto è importante soprattutto nelle controversie in materia di obbligazioni extracontrattuali derivanti da violazioni della privacy e dei diritti della personalità, compresa la diffamazione".
In sostanza, anche la normativa unionale sollecita la previsione di fori alternativi, rispetto a quello tradizionale per l'illecito aquiliano del domicilio del convenuto, in relazione proprio ai casi di diffamazione, un criterio di competenza alternativo che possa garantire, oltre che la prevedibilità, assicurata dal principio del giudice naturale, anche il collegamento stretto tra l'autorità giurisdizionale e la controversia e una opzione che agevoli la buona amministrazione della giustizia.
D'altro canto, la CGUE con la sentenza n. 800 del 17/06/2021, al par. 39 richiama le sentenze del 25 ottobre 2011, eDate Advertising e a. (C-509/09 e C-161/10), nonché del 17 ottobre 2017, Bolagsupplysningen e Ilsjan (C-194/16), nelle quali ebbe a considerare che la competenza del giudice del luogo in cui la presunta vittima ha il proprio centro degli interessi è conforme all'obiettivo della prevedibilità delle norme sulla competenza nei confronti del convenuto, poiché chi emette l'informazione lesiva, al momento della messa in rete della stessa (si trattava di una diffamazione a mezzo internet), è in condizione di conoscere i centri degli interessi delle persone che ne formano oggetto, cosicché il criterio del centro degli interessi consente, al contempo, all'attore di individuare agevolmente il giudice al quale può rivolgersi e al convenuto di prevedere ragionevolmente dinanzi a quale giudice può essere citato (sentenze del 25 ottobre 2011, eDate Advertising e a., C-509/09 e C-161/10, punto 50, e del 17 ottobre 2017, Bolagsupplysningen e Ilsjan, C-194/16, punto 35).
Si tratta di principi che risultano declinati già dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 42 del 1996, ai quali si aggiunge anche la circostanza che plurime competenze territoriali, in ragione della diversa 'qualità' degli autori del reato, come conseguenza dell'interpretazione qui non condivisa, vedrebbero leso il principio di buona amministrazione della giustizia, richiamato dalla CGUE.
7. Deve pertanto concludersi nel senso che in tema di diffamazione, commessa attraverso trasmissioni radiotelevisive e consistente nell'attribuzione di un fatto determinato, anche successivamente alla sentenza n. 150 del 2021 della Corte costituzionale, la competenza territoriale deve essere stabilita applicando l'art. 30, comma 5, seconda parte, legge 6 agosto 1990, n. 223, con riferimento al luogo di residenza della persona offesa, chiunque sia il soggetto chiamato a rispondere della diffamazione, in forza della interpretazione costituzionalmente orientata conseguente alla sentenza n. 42 del 1996 della Corte costituzionale.
8. Deve essere dichiarata, ai sensi dell'art. 24-bis cod. proc. pen., la competenza territoriale del Tribunale di Varese.
P.Q.M.
Dichiara la competenza territoriale del Tribunale di Varese, cui dispone trasmettersi gli atti.
Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui al comma 4 dell'art. 24-bis cod. proc. pen.
Così deciso il 14 giugno 2024.
Depositata in Cancelleria il 12 settembre 2024.