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Diffamazione televisiva: valutazione del carattere offensivo secondo il telespettatore medio

Diffamazione

Cassazione penale sez. V, 23/02/2024, n.13017

In tema di diffamazione, il carattere offensivo delle notizie diffuse con il mezzo televisivo deve escludersi quando esse siano incapaci di ledere o mettere in pericolo l'altrui reputazione per la percezione che ne possa avere il "telespettatore medio", ossia colui che non si fermi ad ascoltare solo il titolo del programma televisivo o una parte del discorso, per poi cambiare canale ("telespettatore frettoloso"), ma che, senza un particolare sforzo di attenzione, ascolti l'intervento nella sua interezza e valuti il contesto in cui esso si inserisce. (Fattispecie in cui la Corte ha escluso il carattere diffamatorio dell'intervento televisivo di un giornalista che, riferendosi al sindaco di una grande città, pur contestando l'opportunità di ricevere da un costruttore un cospicuo finanziamento in campagna elettorale, precisava che si era trattato di un finanziamento lecito, nell'ambito di una trasmissione televisiva in cui non si discuteva esclusivamente di corruzione, ma anche di etica e di opportunità politica delle condotte di vari amministratori locali).

Diffamazione televisiva: valutazione del carattere offensivo secondo il telespettatore medio

Diffamazione: configurabile anche con scritti a un solo destinatario se accessibili a terzi

Diffamazione: l’esimente dell’art. 598 c.p. tutela le offese funzionali alla difesa processuale

Diffamazione: necessario il carattere denigratorio delle parole per configurare il reato

Diffamazione: il limite della continenza tra critica funzionale e aggressioni gratuite

Diffamazione radiotelevisiva: la competenza territoriale è del foro di residenza della vittima

Diffamazione radiotelevisiva: la competenza è del foro di residenza della vittima

Diffamazione: necessario un attacco concreto alla reputazione per integrare il reato

Diffamazione: esimente dell’art. 598 c.p. applicabile anche per offese strumentali alla difesa

Diffamazione aggravata: i contenuti offensivi su Instagram configurano il reato

Diffamazione: la continenza espressiva consente termini offensivi se funzionali alla critica

Diffamazione a mezzo stampa: rigore maggiore per editoriali data l’autorevolezza e l’impatto

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La sentenza integrale

RITENUTO IN FATTO 1. La sentenza impugnata è stata pronunziata il 26 giugno 2023 dalla Corte di appello di Milano, che ha riformato - limitatamente alla determinazione della somma liquidata a titolo di risarcimento dei danni subiti dalla parte civile - la sentenza del Tribunale di Milano che aveva condannato Ma.Tr. per il reato di diffamazione, commesso in danno di Gi.Sa. Secondo l'ipotesi accusatoria, l'imputato, intervenendo nella trasmissione televisiva "(Omissis)", in onda sulla rete televisiva "(Omissis)", avrebbe offeso l'onore del sindaco di M Gi.Sa., affermando, falsamente, che lo stesso avesse ricevuto illecitamente la somma di euro 50.000,00 dal costruttore Lu.Pa. e insinuando che quest'ultimo, in cambio di tale dazione, avesse ricevuto favori dall'amministrazione comunale anche per la realizzazione del nuovo stadio della società "(Omissis)". In particolare, nel corso della predetta trasmissione, incentrata principalmente sulla vicenda corruttiva inerente la realizzazione del nuovo stadio della società "(Omissis)", il Ma.Tr., dopo aver escluso le responsabilità di appartenenti al "(Omissis)" e dopo aver fatto riferimento alla percezione di mazzette da parte di alcuni politici, avrebbe pronunciato le seguenti frasi: "i soldi sono finiti ad altri"; "anche se nessun giornale l'ha scritto il nome di Gi.Sa., il nome di Gi.Sa. è nelle carte, 50 mila euro"; "questa sembra un'inchiesta sulla Ra. e su Di., che sono due tra i pochi che non hanno preso un euro, mentre la Fondazione della Lega ha preso 250 mila euro, Gi.Sa. ha preso 50 mila euro"; "su Gi.Sa., oggi non c'è nessun giornale italiano, tranne il nostro, che abbia dato conto dei 50.000,00 euro a Gi.Sa., che ha preso 50,000,00 euro da un costruttore che parlava con lui dello stadio del Milan, in pieno conflitto di interessi, e lo ringraziava dicendosi gratissimo con lui"; "perché chiedere le dimissioni di un sindaco che non prende soldi e non chiedere le dimissioni di un sindaco che prende soldi?". Con tali frasi, l'imputato avrebbe insinuato che il finanziamento percepito dal Gi.Sa., nel corso della campagna elettorale del 2016 e regolarmente rendicontato, fosse di natura illecita e finalizzato ad ottenere dei favori. 2. Avverso la sentenza della Corte di appello, l'imputato ha proposto ricorso per cassazione a mezzo del difensore di fiducia. 2.1. Con un primo motivo, deduce i vizi di motivazione e di erronea applicazione della legge penale, in relazione all'art. 521 cod. proc. pen. Il ricorrente sostiene che la Corte d'appello avrebbe omesso di motivare in ordine al primo motivo di gravame, con il quale la difesa aveva eccepito la violazione del principio di correlazione tra fatto contestato e sentenza. Stando al capo di imputazione, l'offesa sarebbe costituita dall'affermazione che il Gi.Sa. avrebbe ricevuto illecitamente la somma di euro 50.000,00 dal costruttore Lu.Pa. e dall'insinuazione che quest'ultimo, in cambio di tale dazione, avrebbe ricevuto favori dall'amministrazione comunale anche per la realizzazione del nuovo stadio del "(Omissis)". L'imputato, però, come emergerebbe dagli atti, non avrebbe mai qualificato come illecito il finanziamento ricevuto dal Lu.Pa. e mai avrebbe parlato di favori chiesti e ricevuti dal Lu.Pa. Non solo, ma, a specifica domanda, avrebbe testualmente risposto: "sono tutti finanziamenti leciti". Tale precisazione, che avrebbe evitato qualsivoglia fraintendimento, non era stata inserita nel capo di imputazione ed era stata ignorata o sottovalutata dai giudici di merito, che sarebbero finiti per giungere ad una condanna per un fatto diverso. Il giudice di primo grado, dopo aver preso atto di quel che il ricorrente aveva effettivamente detto su quel finanziamento, per giungere a una pronuncia di condanna, sarebbe stato "costretto a redigere una motivazione arzigogolata", che, però, violerebbe il principio di correlazione fra accusa e sentenza. Il Tribunale, invero, avrebbe affermato che l'offesa sarebbe stata integrata dall'avere equivocamente accostato il finanziamento lecito percepito da Gi.Sa. ad atti corruttivi e mercimoni delle funzioni pubbliche. In tal modo, però, il giudice di primo grado avrebbe finito per condannare l'imputato per un fatto diverso da quello contestato. Il vizio sarebbe stato eccepito con il gravame, ma la Corte territoriale avrebbe completamente ignorato lo specifico motivo di appello. 2.2. Con un secondo motivo, deduce i vizi di motivazione e di erronea applicazione della legge penale, in relazione agli artt. 51,59 e 595 cod. pen. 2.2.1. Il ricorrente sostiene che i giudici di merito avrebbero errato nell'utilizzare il diritto di cronaca quale parametro di riferimento per valutare la penale rilevanza della condotta contestata, quando, invece, tenuto conto della natura esclusivamente politica dell'intervento dell'imputato, avrebbero dovuto far riferimento al diritto di critica politica. L'imputato, infatti, aveva espressamente escluso l'illeceità del finanziamento e aveva valutato esclusivamente l'opportunità, sotto il profilo etico e politico, delle condotte tenute dalla persona offesa. Anche il paragone con il sindaco di R era stato fatto solo sotto il profilo politico ed etico, prescindendo completamente dai profili penalistici, che infatti erano estranei al sindaco della capitale. 2.2.2. Sotto altro profilo, il ricorrente censura le sentenze di merito, poiché esse sarebbero basate su una sorta "di interpretazione in malam partem" dell'intervento dell'imputato, realizzata attraverso una "non consentita scissione" del suo pensiero, "parcellizzato e rimontato", in modo tale da conferirgli una valenza che esso in realtà non aveva, "se non forzandone il senso". La forzatura sarebbe stata già integrata dal fatto di aver individuato come unico tema di discussione quello relativo alle indagini sui fatti di corruzione, quando l'imputato aveva chiaramente ampliato l'oggetto della discussione facendo riferimento a valutazioni di mera opportunità politica. I giudici di merito, inoltre, avrebbero riportato solo alcuni stralci della trascrizione della discussione intervenuta nella trasmissione televisiva, omettendo di riportare le domande della conduttrice e le risposte dell'imputato, che avrebbero reso chiara la natura politica dell'intervento di quest'ultimo. Il ricorrente contesta, in particolare, il passaggio della sentenza di primo grado, condiviso dalla Corte di appello, in cui il Tribunale ricostruisce il senso dell'intervento dell'imputato attraverso una sorta di "equazione algebrica": "gli appartenenti al (Omissis) non hanno preso mazzette; altri hanno preso soldi; Gi.Sa. ha preso 50.000,00 euro; Gi.Sa. ha preso mazzette". Al riguardo, evidenzia che tale ragionamento non risulta corretto, non solo perché l'imputato non aveva mai affermato che il Gi.Sa. avesse preso "mazzette", ma anche perché aveva detto, in maniera espressa e inequivoca, che quei 50.000,00 euro costituivano un finanziamento lecito. Il ricorrente sostiene che la Corte di appello avrebbe operato una "selezione dei brani dell'intervento" dell'imputato, finalizzata a sostenere che quest'ultimo, accostando equivocamente il finanziamento ricevuto dal Gi.Sa. ad attività corruttive, avrebbe ingenerato nel pubblico la convinzione dell'illiceità del finanziamento. In tal modo, però, la Corte territoriale avrebbe trattato "i telespettatori come idioti", che, "pur avendo sentito parlare di finanziamento lecito, si sarebbero fatti abbindolare al punto tale da ritenerlo ugualmente illecito". Se l'intervento dell'imputato fosse stato valutato nella sua interezza e fosse stato inserito nel giusto contesto, evitando di parcellizzarlo e rimontarlo in modo tale da fargli assumere una valenza offensiva, si sarebbe sicuramente ricondotto il fatto contestato al mero esercizio del diritto di critica politica. 2.2.3. Il ricorrente sostiene che la condotta contestata risulterebbe scriminata, anche se si utilizzasse il diritto di cronaca quale parametro di riferimento per valutarne la penale rilevanza. L'imputato, infatti, aveva chiarito che la dazione di denaro era lecita e si era limitato a criticare, sotto il profilo dell'opportunità politica, la condotta del Gi.Sa. I fatti riportati erano veri, il linguaggio utilizzato era corretto, l'argomento era di interesse pubblico. 2.2.4. Il ricorrente, in via subordinata, invoca l'applicazione dell'art. 530, comma 3, cod. proc. pen., poiché il ricorrente, quantomeno, avrebbe offerto un principio di prova in ordine alla sussistenza di circostanze che l'avrebbero indotto a ritenere di aver agito in presenza di una causa di giustificazione. Il ricorrente, infine, invoca l'art. 59 cod. pen., sostenendo che l'esimente putativa del diritto di critica sia configurabile tutte le volte in cui il giornalista, consultate le fonti, esponga la propria opinione. Come avrebbe fatto nel caso in esame l'imputato, che avrebbe agito nella legittima convinzione di non aver attribuito, neppure indirettamente o nella forma dell'insinuazione, un fatto falso o penalmente rilevante alla persona offesa. 2.3. Con un terzo motivo, deduce il vizio di mancata assunzione di una prova decisiva. Rappresenta che: il giudice di primo grado, all'udienza del 2 dicembre 2021, dopo le dichiarazioni spontanee rilasciate dall'imputato, aveva parzialmente modificato l'ordinanza istruttoria, revocando l'ammissione delle testimonianze di Lu.Pa. e di tutti i testi che non erano stati ancora escussi. Il ricorrente contesta il provvedimento, sostenendo che esso avrebbe determinato un'ingiustificata lesione al diritto di difendersi, provando la natura dei rapporti tra il Lu.Pa. e la parte civile. La Corte di appello, pertanto, avrebbe dovuto rinnovare l'istruttoria dibattimentale, ex art. 603 cod. proc. pen., disponendo l'escussione del teste Lu.Pa. 2.4. Con un quarto motivo, deduce il vizio di erronea applicazione della legge penale, in relazione agli artt. 43 e 595 cod. pen. Il ricorrente contesta la sussistenza dell'elemento soggettivo del reato e sostiene che la motivazione della Corte di appello, sul punto, sarebbe illogica e contrastante con le risultanze dell'istruttoria dibattimentale. Dall'istruttoria, invero, era emerso in maniera chiara che l'imputato aveva qualificato come lecito il finanziamento in questione. E la giustapposizione fatta dall'imputato tra il sindaco di R e quello di M non era basata sul carattere lecito o illecito del finanziamento, ma sulla circostanza che erano state chieste le dimissioni del sindaco di R che aveva scontentato il Lu.Pa. e che nulla da lui aveva ottenuto, mentre invece non erano state chieste le dimissioni del sindaco di M, che parimenti aveva scontentato il Lu.Pa., ma che tuttavia, in passato, aveva da lui ricevuto un finanziamento lecito. Il ricorrente sostiene che l'imputato non avrebbe avuto intenzione di ingenerare alcun tipo di equivoco, atteso che, se questa fosse stata effettivamente la sua intenzione, non si sarebbe premurato di precisare che quel finanziamento era perfettamente lecito e avrebbe, in tal modo, lasciato il dubbio che così non fosse. 3. L'avv. Salvatore Scuto, per la parte civile, ha presentato memoria scritta con la quale ha chiesto di dichiarare inammissibile o rigettare il ricorso. La parte civile sostiene che i profili di responsabilità siano stati esposti nelle sentenze di merito in termini consequenziali e precisi: durante la trasmissione televisiva del 15 giugno 2018, che aveva ad oggetto il clima di malaffare e corruttele del mondo politico-amministrativo romano, all'epoca oggetto di indagine della competente procura, l'imputato - attraverso l'impiego di espressioni suggestive e capziose - aveva accostato equivocamente il finanziamento lecito percepito dal Gi.Sa., per le elezioni del 2016, alle attività corruttive oggetto delle indagini capitoline, così ingenerando negli ascoltatori la convinzione dell'illiceità del contributo elettorale ricevuto dal sindaco di M. La parte civile contesta il ricorso, che si fonderebbe su una ricostruzione strumentale della vicenda, all'esito della quale la condotta del Ma.Tr. sarebbe stata isolata e decontestualizzata, così da poterle artificiosamente attribuire un valore opposto rispetto al significato che alla medesima condotta sarebbe stato attribuito nelle sentenze di condanna. Ritiene i motivi di ricorso manifestamente infondati e sostiene che i giudici di merito avrebbero valutato, in termini coerenti con l'imputazione, anche quanto detto dal Ma.Tr. in ordine alla liceità del finanziamento. Il ricorrente, attraverso una sua strumentale reinterpretazione, tenterebbe di veicolare una diversa e interessata lettura delle risultanze probatorie, inammissibile in sede di legittimità. 4. L'avv. Caterina Malavenda, per l'imputato, ha presentato memoria scritta con la quale ha chiesto di accogliere il ricorso, ulteriormente argomentando in ordine alla fondatezza dei motivi. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso deve essere accolto, ben potendo le espressioni contestate al Ma.Tr. rientrare nell'esercizio del diritto di critica politica - che trova fondamento nell'interesse all'informazione dell'opinione pubblica e nel controllo democratico nei confronti degli esponenti politici e dei pubblici amministratori - ed essere pertanto scriminate ex art. 51 cod. pen. 1.1. Va preliminarmente ricordato, che, secondo l'incontrastato orientamento di legittimità, in materia di diffamazione, la Corte di cassazione può conoscere e valutare la frase che si assume lesiva dell'altrui reputazione perché è compito del giudice di legittimità procedere, in primo luogo, a considerare la sussistenza o meno della materialità della condotta contestata e, quindi, della portata offensiva delle frasi ritenute diffamatorie, dovendo, in caso di esclusione di questa, pronunciare sentenza di assoluzione dell'imputato (Sez. 5, n. 41869 del 14/02/2013, Fabrizio, Rv. 256706; Sez. 5, n. 48698 del 19/09/2014, Demofonti, Rv. 261284; Sez. 5 n. 2473 del 10/10/2019, Fabi, Rv. 278145). Nel caso in esame, secondo l'originaria ipotesi accusatoria, l'imputato, intervenendo nella trasmissione televisiva "(Omissis)", in onda sulla rete televisiva "(Omissis)", avrebbe offeso l'onore del sindaco di M Gi.Sa., affermando, falsamente, che lo stesso avesse ricevuto illecitamente la somma di euro 50.000,00 dal costruttore Lu.Pa. Avrebbe, altresì, insinuato che quest'ultimo, in cambio di tale dazione, avesse ricevuto favori dall'amministrazione comunale anche per la realizzazione del nuovo stadio della società "(Omissis)". Ebbene, dalla sentenza impugnata, emerge che risulta "pacificamente acquisito al processo" che: il sindaco Gi.Sa., in occasione delle elezioni amministrative del 2016, aveva ricevuto un finanziamento di 50.000,00 euro dalla famiglia Lu.Pa. (correttamente rendicontato); l'imputato, nel corso della trasmissione televisiva, aveva espressamente affermato che il finanziamento in questione era perfettamente lecito (cfr. pagine 6 e 7 della sentenza). Dalla lettura della sentenza, inoltre, non emerge che il Ma.Tr. abbia detto che l'amministrazione comunale avesse concesso favori al Lu.Pa. in cambio di tale finanziamento. I giudici di merito, tuttavia, hanno ritenuto che le frasi pronunciate dal Ma.Tr., aventi a oggetto il finanziamento in questione, assumessero penale rilevanza perché pronunciate "nell'ambito di una discussione il cui tema era costituito dalle indagini su fatti di corruzione condotte dalla Procura della Repubblica di Roma, che vedevano coinvolti, tra gli altri, Lu.La., Presidente di "ACEA", e Lu.Pa., noto imprenditore romano, con riguardo al progetto per la realizzazione del nuovo stadio della Roma, inchiesta che lambiva la giunta comunale romana, espressione del (Omissis)". L'avere inserito il discorso relativo al finanziamento lecito ricevuto dal Gi.Sa. in un "contesto" in cui si parlava di corruzione avrebbe ingenerato l'equivoco che il sindaco di M sarebbe da annoverare tra coloro che avevano preso una "mazzetta". Più precisamente, le frasi pronunciate dall'imputato avrebbero assunto penale rilevanza perché: "il finanziamento lecito percepito da Gi.Sa. per la sua campagna elettorale veniva equivocamente accostato ad attività corruttive con mercimonio delle funzioni pubbliche, ingenerando nel pubblico la convinzione dell'illiceità della condotta". Va, tuttavia, rilevato che: in quella trasmissione non si discuteva esclusivamente di corruzione; il comportamento del Gi.Sa. non era stato "accostato" a quello di persone accusate di corruzione. Con riferimento al primo profilo, va sottolineato che (come emerge dalla trascrizione degli interventi dei vari giornalisti intervenuti, riportati dalle sentenze di merito e dagli atti delle parti), l'oggetto della discussione era stato spostato anche (se non soprattutto) sul piano dell'etica e dell'opportunità politica. Non solo il Ma.Tr., ma anche gli altri soggetti intervenuti alla trasmissione avevano concentrato la loro attenzione sulla responsabilità politica dal Sindaco di R e degli altri componenti della giunta comunale, rispetto a un procedimento penale che aveva coinvolto persone da loro scelte per rivestire importanti ruoli nell'amministrazione comunale (erano state, ad esempio, poste in rilievo le presunte difficoltà a selezionare la classe dirigente da parte del "(Omissis)"). Quanto al secondo profilo, va evidenziato che la condotta del Gi.Sa. era stata specificamente "accostata" dal Ma.Tr. a quella del sindaco di R, che, in quella trasmissione, era stata sottoposta a vaglio critico sotto il profilo politico: dalle sentenze di merito e dagli atti di parte, non risulta che i giornalisti che partecipavano alla trasmissione avessero accusato di corruzione il sindaco della capitale. E, contrariamente a quanto sostenuto dai giudici di merito, proprio il raffronto con la specifica posizione del sindaco di R - che non era stato personalmente coinvolto sotto il profilo penale - conferma lo spostamento della discussione sul piano politico: l'imputato aveva "accostato" la posizione del Gi.Sa. non a quella di una persona che aveva "preso mazzette", ma a quella di un altro sindaco, di cui si stavano valutando le scelte, fiotto il profilo politico. I giudici di merito hanno dato grande rilievo alla frase: "Perché chiedere le dimissioni di un sindaco che non prende soldi e non chiedere le dimissioni di un sindaco che prende soldi?" Secondo i giudici di merito tale frase implicherebbe un'incontestabile sequenza logica: "Gli appartenenti al movimento 5 stelle non hanno preso mazzette; altri hanno preso soldi, Gi.Sa. ha preso 50.000 Euro; Gi.Sa. ha preso mazzette". Tale sequenza logica non è corretta, perché arbitrariamente attribuisce alla parola soldi il significato di mazzette. Attribuzione che non appare giustificata, perché l'imputato non aveva accostato il termine mazzette né al sindaco di R né a quello di M e, con riguardo a quest'ultimo, aveva specificato che il finanziamento da lui ricevuto era lecito. La sequenza logica corretta semmai, era: nessuno dei due sindaci aveva preso mazzette; uno dei due aveva ricevuto un finanziamento lecito da un soggetto poi interessatosi alla realizzazione degli stadi in quelle città; se si chiedono le dimissioni del sindaco che non ha preso né mazzette né finanziamenti leciti, per coerenza, si dovrebbero chiedere le dimissioni anche del sindaco che non ha preso mazzette, ma ha preso un finanziamento lecito. Anche il riferimento alle dimissioni e non a iniziative di carattere penale conferma che il discorso era posto in termini eminentemente politici. Risulta, dunque, che l'imputato aveva espressamente qualificato come lecito il finanziamento in questione e aveva "accostato" la posizione del Gi.Sa. non a quella di una persona che aveva "preso mazzette", ma a quella di un altro sindaco, di cui si stavano valutando le scelte, sotto il profilo politico. Poi certamente aveva rappresentato in termini critici il fatto che un sindaco riceva un finanziamento da parte di un imprenditore che operi in un settore fortemente interessato agli appalti delle amministrazioni comunali, ma aveva posto tale critica sotto il profilo dell'opportunità politica, non sotto quello della penale rilevanza della vicenda. Essendo rimasto entro tali limiti, l'intervento del Ma.Tr. alla menzionata trasmissione televisiva costituisce esercizio del diritto di critica politica. Al riguardo, va ribadito che, in tema di delitti contro l'onore, costituisce legittimo esercizio del diritto di critica politica la diffusione, con mezzo di pubblicità, di giudizi negativi circa condotte poste in essere da amministratori pubblici, purché la critica prenda spunto da una notizia vera, si connoti di pubblico interesse e non trascenda in un attacco personale (cfr. Sez. 5, n. 4530 del 10/11/2022, Alloro, Rv. 283964; Sez. 5, n. 31263 del 14/09/2020, Capozza, Rv. 279909; Sez. 5, Sentenza n. 41767 del 21/07/2009, Z., Rv. 245430). Ebbene, nel caso in esame, la notizia relativa al finanziamento è stata ritenuta dai giudici di merito vera ed era sicuramente di pubblico interesse, atteso che era relativa alle risorse conferite da un privato a un candidato alle elezioni amministrative. L'intervento del Ma.Tr., infine, non aveva assunto il carattere dell'attacco personale al sindaco di Milano, atteso che la vicenda del finanziamento era stata criticata solo sotto il profilo dell'opportunità politica e rappresentata, più che altro, al fine di dimostrare - attraverso un paragone con il diverso atteggiamento che avrebbe assunto la stampa nei confronti del sindaco di Milano - la presunta sproporzione "degli attacchi" di carattere politico mossi al sindaco di Roma, con la conseguente richiesta di dimissioni. 1.2. Va, più in generale, rilevato che la giurisprudenza di legittimità, con riferimento alla diffamazione a mezzo stampa, ammette che il reato possa configurarsi anche quando il contesto della pubblicazione sia tale da determinare il mutamento del significato di una o più frasi altrimenti non diffamatorie (Sez. 5, n. 9839 del 26 marzo 1998, Scalfari, RV. 211527). Nel valutare il possibile mutamento di significato, però, bisogna far riferimento al "lettore medio", ossia a colui che non si fermi alla mera lettura del titolo e ad uno sguardo alle foto (lettore ed. "frettoloso"), ma esamini, senza particolare sforzo o arguzia, il testo dell'articolo e tutti gli altri elementi che concorrono a delineare il contesto della pubblicazione (Sez. 5, n. 10967 del 14/11/2019, Mauro, Rv. 278790; Sez. 5, n. 503 del 13/10/2022, Mattioni, n.m.). Il reato, dunque, può ritenersi integrato solo quando l'oggettivo significato non diffamatorio della frase, per il contesto nel quale viene inserita, possa sfuggire alla perspicacia e alla capacità del "lettore medio". Ritiene questo collegio che l'esposto orientamento giurisprudenziale possa trovare applicazione anche con riferimento alle trasmissioni televisive, ancor più nei casi, come quello in esame, in cui si tratti di programmi di approfondimento, realizzati attraverso l'intervento di giornalisti. Non sussiste, invero, alcuna ragione per differenziare significativamente la posizione del giornalista che scrive l'articolo sul giornale da quello che partecipa a un programma televisivo di approfondimento. Come nel valutare il possibile "mutamento" di significato di frasi pubblicate sulla stampa bisogna far riferimento al "lettore medio", cosi, nel l'effettua re l'analoga valutazione con riferimento alle frasi che il giornalista pronuncia nel corso di un programma televisivo, bisogna far riferimento alla perspicacia e alla capacità del "telespettatore medio". Il Procuratore generale, nella sua requisitoria, ha sostenuto che andrebbe valutata diversamente la posizione del telespettatore, che, per le particolarità del mezzo di comunicazione, potrebbe essere indotto a cambiare velocemente il canale e ascoltare solo una parte della trasmissione. Nel caso del telespettatore, pertanto, andrebbe escluso il riferimento a parametri medi. Tale esclusione non appare giustificata. Invero, come il telespettatore può cambiare velocemente il canale e ascoltare solo una parte della trasmissione, così il lettore può girare velocemente la pagina, limitandosi a leggere solo il titolo o il sottotitolo dell'articolo, senza approfondirne il testo. E la diversa attenzione che si può prestare all'uno o all'altro mezzo di informazione potrebbe, al massimo, giustificare solo una diversa delineatura dei parametri medi di riferimento. In realtà, le ragioni poste a fondamento dell'orientamento giurisprudenziale formatosi con riferimento alla diffamazione a mezzo stampa sussistono anche per la diffamazione realizzata attraverso il mezzo televisivo. Si deve tenere presente che la questione attiene a frasi e notizie che - poste al di fuori del contesto in cui sono pronunciate - hanno un significato non diffamatorio e costituiscono espressione della libertà di manifestazione del pensiero. Con specifico riferimento alla diffamazione a mezzo stampa, questa Corte ha ritenuto che tale tipo di notizie, sebbene non abbiano un oggettivo significato lesivo dell'altrui reputazione, possano assumere penale rilevanza per il particolare contesto nel quale sono pubblicate, con conseguente limitazione della libertà di manifestare il pensiero. Tale diversa rilevanza, però, può essere riconosciuta solo quando il significato non diffamatorio della notizia non sia percepibile dal "lettore medio". Si deve, dunque, fare riferimento alla pervicacia e alla capacità di discernimento della "persona media" che utilizzi quel mezzo di informazione. Appare del tutto coerente - trattando sempre di notizie che solo per il particolare contesto nel quale sono inserite potrebbero assumere un significato diffamatorio - estendere quel parametro di riferimento anche; agli altri mezzi di informazione. Nel caso in esame, trattandosi di notizie diffuse attraverso una trasmissione televisiva, appare giustificato fare riferimento alla "persona media" che segua i programmi televisivi. Come per le notizie pubblicate a mezzo stampa si ritiene giustificato fare riferimento alla pervicacia e alla capacità di discernimento del "lettore medio", che non si fermi alla lettura del titolo e allo sguardo delle foto, ma esamini, senza sforzo o arguzia, il testo dell'articolo e di tutti gli altri elementi che concorrono a delineare il contesto della pubblicazione, analogamente, con riferimento alle notizie trasmesse con il mezzo televisivo, si deve fare riferimento alla pervicacia e alla capacità di discernimento della "persona media" che segua quel particolare mezzo di informazione, che non si fermi ad ascoltare solo il titolo del programma televisivo o una parte della notizia per poi cambiare canale, ma che, senza un particolare sforzo di attenzione, ascolti l'intervento del giornalista nella sua interezza. Ebbene, nel caso in esame, deve essere escluso che l'oggettivo significato non diffamatorio delle frasi pronunciate dal Ma.Tr. possa essere sfuggito al "telespettatore medio". Infatti, come detto, in primo luogo, il "contesto" non era quello di una trasmissione in cui si discuteva esclusivamente di fatti di corruzione, atteso che non solo l'imputato ma anche gli altri giornalisti intervenuti avevano spostato l'oggetto della discussione anche e soprattutto sul piano dell'etica e dell'opportunità politica. Ascoltando l'intero intervento del Ma.Tr., inoltre, emergeva in maniera chiara la natura politica delle sue critiche e il fatto che egli avesse rappresentato la vicenda del finanziamento, soprattutto, al fine di dimostrare la presunta sproporzione "degli attacchi" di carattere politico mossi al sindaco di Roma, con la conseguente richiesta di dimissioni. 1.3. Alla stregua delle considerazioni esposte, la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio, perché il fatto non costituisce reato. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata, perché il fatto non costituisce rssto. Così deciso, il 23 febbraio 2024. Depositato in Cancelleria il 28 marzo 2024.
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