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Dirigente scolastica si appropria di somme versate in contante dalle famiglie: è peculato

Peculato

Cassazione penale , sez. VI , 21/03/2023 , n. 21986

In tema di peculato, quando una prestazione in denaro sia dovuta in favore della pubblica amministrazione, le modalità della consegna non rilevano ai fini dell'acquisizione al patrimonio dell'ente pubblico, con la conseguenza che, qualora il pubblico agente, dopo avere ricevuto direttamente la relativa somma in ragione della sua funzione istituzionale, se ne appropri ancor prima di riversarla nelle casse dell'ente, commette il reato di peculato e non invece quello di truffa aggravata ai sensi dell' art. 61, n. 9, c.p. , né quello di appropriazione indebita. (Fattispecie relativa ad appropriazione, da parte di una dirigente amministrativa dei servizi scolastici, di somme versate in contante dalle famiglie degli alunni a titolo di contributo per viaggi di istruzione e coperture assicurative).

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La sentenza integrale

RITENUTO IN FATTO 1. Con l'impugnata sentenza, la Corte di appello riduceva la pena inflitta all'imputata, confermando la condanna in ordine ai reati di peculato (capi A, B, C e D), nonché per il reato di cui all'art. 482, previa riqualificazione della condotta contesta al capo F), nonché al risarcimento dei danni in favore delle parti civili. L'affermazione di penale responsabilità concerneva plurime appropriazioni di denaro di cui l'imputata avrebbe avuto la disponibilità quale Direttore dei servizi generali ed amministrativi in alcuni istituti scolastici, in particolare, si assume che la P. avrebbe alterato la contabilità degli enti, emettendo falsi ordinativi di pagamento in suo favore, in tal modo appropriandosi di somme ingenti (capo A, C e D). Inoltre (capo B) si sarebbe appropriata delle somme versate in contanti dalle famiglie degli alunni a titolo di contributo per i viaggi di istruzione o per coperture assicurative, omettendo di destinarle alle predette finalità. 2. Avverso tale sentenza, la ricorrente ha formulato quattro motivi di impugnazione. 2.1. Con il primo motivo, deduce violazione degli artt. 420-ter e 178 c.p.p., non avendo la Corte di appello disposto il rinvio dell'udienza del 23 novembre 2022, nonostante l'imputata avesse documentato l'impossibilità di partecipare, in quanto doveva sottoporsi a trattamento di ovodonazione. Il mancato rinvio dell'udienza avrebbe determinato la nullità della stessa e della sentenza emessa, stante la comprovata esigenza sanitaria che non avrebbe in alcun caso consentito la presenza in udienza. 2.2. Con il secondo motivo, si deduce violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza del reato di peculato, in luogo della meno grave ipotesi di truffa aggravata. Per quanto concerne le condotte contestate ai capi A), C) e D), la ricorrente evidenzia come la ricostruzione dei fatti abbia dimostrato che la disponibilità del denaro era ravvisabile esclusivamente in capo al Dirigente scolastico, essendo questi l'unico soggetto legittimato ad assumere l'impegno di spesa, mentre al Direttore dei servizi amministrativi competeva unicamente la registrazione della spesa e la firma del mandato di pagamento congiuntamente al Dirigente. Secondo l'organizzazione amministrativa dei servizi scolastici, pertanto, il Direttore non ha alcun autonomo potere di disposizione del denaro, svolgendo funzione meramente contabile ed esecutiva rispetto alle delibere di spesa di competenza del Dirigente. L'esclusione della disponibilità diretta del denaro, del resto, sarebbe desumibile proprio dalle modalità descritte nell'imputazione, lì dove si contesta alla P. di aver falsificato i mandati di pagamento, condotta necessaria non già per occultare l'appropriazione, bensì per realizzarla, atteso che senza tale atto non avrebbe potuto conseguire il denaro. In relazione al peculato contestato al capo B), asseritamente commesso mediante l'appropriazione del denaro in contante versato dai genitori degli alunni, si sostiene ugualmente la non configurabilità del peculato, posto che tali somme non sono mai entrate a far parte delle disponibilità della scuola. Nel caso di specie, si potrebbe al più ipotizzare una truffa ai danni dei privati che hanno effettuato i versamenti. 2.3. Con il terzo motivo, deduce violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all'art. 85 c.p., essendo stata omessa o, comunque, non correttamente valutata l'incapacità - totale o parziale - di intendere e volere dell'imputata, affetta da ludopatia. Si rappresenta che la Corte di appello avrebbe disatteso le risultanze della CT di parte, limitandosi a valorizzare il fatto che la predetta ludopatia è stata certificata dalla ASL solo a partire dal 2016. Si censura, inoltre, la mancata ammissione della richiesta perizia, essendosi anche a tal riguardo ritenuta sufficiente la certificazione della ASL dalla quale emerge un disturbo ludopatico, senza che sia stato in alcun modo evidenziato un nesso di interdipendenza tra la malattia e le condotte delittuose poste in essere. 2.4. Con il quarto motivo, deduce violazione di legge e vizio di motivazione relativamente alla determinazione della pena, che poteva essere contenuta nel minimo edittale e con contenuti aumenti a titolo di continuazione. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso è infondato, pur dovendosi rilevare la parziale prescrizione. 2. Il primo motivo di ricorso, concernente la nullità derivante dall'omesso rinvio dell'udienza del 23 novembre 2022 per legittimo impedimento, è manifestamente infondato. Per consolidata giurisprudenza, l'impedimento a comparire dell'imputato, idoneo a giustificare un rinvio d'udienza, deve possedere i caratteri dell'assolutezza e deve essere effettivo, legittimo nonché riferibile ad una situazione non dominabile dall'imputato medesimo e a lui non ascrivibile, al fine di garantire il necessario bilanciamento con il principio di ragionevole durata del processo (Sez.3, n. 11460 del 5/12/2018, dep.2019, Salvucci, Rv. 275184; Sez. 5, n. 15407 del 24/2/2020, Stretti, Rv. 279088). Nel caso di specie, l'impedimento non poteva ritenersi assoluto in quanto il trattamento sanitario previsto in concomitanza con l'udienza non dipendeva da una patologia, bensì dalla libera determinazione dell'imputata di sottoporsi ad un procedimento di procreazione assistita, in quanto tale necessariamente frutto di una volontaria scelta. Del resto, l'imputata non ha dedotto l'assoluta impossibilità che il predetto trattamento potesse essere programmato in data non concomitante con l'udienza, né che l'eventuale differimento ad altra data - ugualmente utile ai fini dell'ottenimento del risultato - avrebbe compromesso il diritto alla salute della predetta. 3. Passando all'esame dei restanti motivi, si ritiene che sia pregiudiziale affrontare la questione concernente la dedotta mancanza di capacità di intendere e volere dell'imputata, in quanto affetta da ludopatia, posto che ove il motivo risultasse fondato, determinerebbe l'assorbimento degli ulteriori profili relativi alla corretta qualificazione giudica dei fatti ed il trattamento sanzionatorio. Sostiene la ricorrente di aver documentato, anche mediante una consulenza di parte, di essere affetta da ludopatia, disturbo comportamentale idoneo a compromettere la capacità di intendere e volere. La Corte di appello, oltre a non ammettere la richiesta perizia, si sarebbe limitata ad evidenziare che l'imputata, sottoposta a visita presso la Asl nel dicembre del 2019, avrebbe riferito di presentare il predetto disturbo comportamentale da tre anni prima e, quindi, dal 2016, epoca in cui molte delle condotte erano state già consumate (le condotte di peculato iniziano nel 2010). 3.1. Invero, la motivazione resa sul punto dalla Corte di appello è ben più articolata e non si limita affatto a circoscrivere il periodo temporale di sussistenza del disturbo. Richiamando correttamente i principi affermati da Sez. U, n. 9163 del 25/1/2005, Raso, Rv. 230317, i giudici di merito hanno ritenuto che ai fini del riconoscimento del vizio totale o parziale di mente, anche i "disturbi della personalità", che non sempre sono inquadrabili nel ristretto novero delle malattie mentali, possono rientrare nel concetto di "infermità", purché siano di consistenza, intensità e gravità tali da incidere concretamente sulla capacità di intendere o di volere, escludendola o scemandola grandemente, e a condizione che sussista un nesso eziologico con la specifica condotta criminosa, per effetto del quale il fatto di reato sia ritenuto causalmente determinato dal disturbo mentale. Proprio l'aspetto concernente la sussistenza del nesso causale tra il disturbo diagnosticato e la condotta è l'elemento ritenuto non sussistente, sulla base di una motivazione immune da censure. La Corte di appello, infatti, ha sottolineato l'assoluta insussistenza di elementi probatori sulla cui base poter affermare che effettivamente le ingenti somme oggetto di appropriazione siano state impiegate dall'imputata per sostenere il costo del gioco patologico. Si tratta di un'osservazione dirimente, posto che la ludopatia - oltre a dover presentare i requisiti propri del disturbo comportamentale - può in astratto essere idonea a ridurre o elidere la capacità di intendere e volere, ma solo a condizione che sia acquisita la prova che i reati siano stati commessi proprio a causa del predetto disturbo. Il nesso causale tra disturbo e commissione dei reati è stato escluso dalla Corte di appello, in considerazione dell'ampio arco temporale nel corso del quale le condotte illecite sono state commesse, molte delle quali ben prima che insorgesse la dedotta ludopatia. Peraltro, l'imputata risponde anche di reati che non hanno finalità di lucro e, quindi, rispetto a tali fattispecie non è possibile individuare un nesso causale tra disturbo e commissione degli illeciti. 3.2. Ne' può costituire motivo di doglianza la mancata ammissione della richiesta perizia, posto che, per consolidata giurisprudenza, l'omessa effettuazione di un accertamento peritale non può costituire motivo di ricorso per cassazione ai sensi dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. d), in quanto la perizia non può farsi rientrare nel concetto di prova decisiva, trattandosi di un mezzo di prova "neutro", sottratto alla disponibilità delle parti e rimesso alla discrezionalità del giudice, laddove l'articolo citato, attraverso il richiamo all'art. 495 c.p.p., comma 2, si riferisce esclusivamente alle prove a discarico che abbiano carattere di decisività (Sez. U, n. 39746 del 23/3/2017, Rv.270936). La mancata ammissione della perizia, pertanto, si fonda sull'esercizio di una valutazione rimessa esclusivamente al giudice del merito, con la conseguenza che se il giudizio di fatto è sorretto - come nel caso di specie - da adeguata motivazione, è insindacabile in sede di legittimità. 4. Il secondo motivo di ricorso è infondato. La ricorrente censura l'omessa derubricazione dei reati di peculato nella meno grave ipotesi di truffa aggravata ai danni di un ente pubblico, sottolineando come difettasse il requisito della "disponibilità" del denaro oggetto di appropriazione. In particolare, la stessa ricostruzione dei fatti dimostrerebbe come la P. era venuta in possesso del denaro solo per effetto di artifici e raggiri, consistiti nella falsificazione delle firme dei dirigenti scolastici cui competeva, in via esclusiva, l'adozione dei mandati di pagamento (capi A, C, D). 4.1. La qualificazione della condotta presuppone l'esatta individuazione del sistema normativo concernente l'amministrazione delle somme di denaro da parte degli istituti scolastici. In base ai regolamenti di contabilità vigenti nel periodo di commissione dei fatti (D.M. 1 febbraio 2001, n. 44, art. 12, e D.M. 28 agosto 2018, n. 129, art. 17), i mandati di pagamento dovevano essere firmati congiuntamente dal dirigente scolastico e dal dirigente dei servizi amministrativi (indicato con l'acronimo DSGA), con la conseguenza che in capo ad entrambi deve riconoscersi la co-detenzione dei fondi assegnati all'istituto scolastico. Tale impostazione, recepita in entrambe le sentenze di merito, è stata oggetto di censura da parte della difesa, secondo cui il dirigente amministrativo non avrebbe avuto la disponibilità del denaro, proprio perché non ne poteva autonomamente disporre, occorrendo che il mandato fosse sottoscritto anche dal dirigente scolastico. In quest'ottica, pertanto, le false sottoscrizioni rientrerebbero appieno nella nozione di artifici rappresentanti l'elemento costitutivo della truffa e non già del peculato che, invece, presuppone la libera disponibilità del denaro. 4.2. L'individuazione del discrimine tra i reati di peculato e truffa aggravata ai danni dello Stato è questione ampiamente esaminata in giurisprudenza e, pur non senza qualche incertezza frutto anche delle peculiarità delle fattispecie concrete esaminate, l'orientamento consolidato ritiene che l'elemento distintivo tra il delitto di peculato e quello di truffa aggravata, ai sensi dell'art. 61 c.p., n. 9, va individuato con riferimento alle modalità del possesso del denaro o di altra cosa mobile altrui oggetto di appropriazione, ricorrendo la prima figura quando il pubblico ufficiale o l'incaricato di pubblico servizio se ne appropri avendone già il possesso o comunque la disponibilità per ragione del suo ufficio o servizio, e ravvisandosi invece la seconda ipotesi quando il soggetto attivo, non avendo tale possesso, se lo procuri fraudolentemente, facendo ricorso ad artifici o raggiri per appropriarsi del bene (Sez.6, n. 46799 del 20/6/2018, Pieretti, Rv. 274282; Sez. 6, n. 19484 23/1/2018, Bellinazzo, Rv. 273782; Sez.6, n. 10569 del 5/12/2017, dep.2018, Rv. 273395; Sez.6, n. 39010 del 10/4/2013, Baglivo, Rv. 256595). Applicando tali principi al caso di specie, ne consegue la corretta qualificazione della condotta in termini di peculato, dovendosi ritenere che il Direttore dei servizi amministrativi aveva una disponibilità concorrente con quella del Dirigente, ma tale potere condiviso non fa venir meno quel rapporto privilegiato e diretto con la res pubblica che costituisce il fondamento della maggiore offensività del peculato rispetto ad altre fattispecie di reato similari. A tale conclusione si giunge valorizzando il fatto che il regolamento di contabilità applicabile al settore in esame prevede una disponibilità congiunta del denaro, nella misura in cui stabilisce che i mandati di pagamento devono essere necessariamente firmati sia dal dirigente scolastico che dal direttore amministrativo, senza, peraltro, differenziare le finalità di tali congiunte determinazioni. In buona sostanza, non è neppure ipotizzabile che la normativa attribuisca ad un soggetto il potere di spesa ed all'altro un potere meramente esecutivo dell'altrui volontà, il che lascerebbe eventualmente spazio alla configurabilità della truffa aggravata, posto che i due soggetti coinvolti nella formazione dell'atto svolgono una funzione paritetica. Quanto detto consente di affermare che il direttore amministrativo e il dirigente scolastico avevano entrambi la disponibilità del denaro. Il fatto che il regolamento preveda l'esercizio di un potere concorrente, invero, non fa venir meno il presupposto della disponibilità, costituendo solo una forma implicita di reciproco controllo. Sulla base di tale premessa, è invocabile a sostegno della configurabilità del peculato quella giurisprudenza secondo cui tale reato e configurabile in relazione al denaro pubblico il cui possesso, per effetto delle norme interne dell'ente pubblico che prevedono "procedure complesse" e il concorso di più organi ai fini dell'adozione dell'atto dispositivo, fa capo congiuntamente a più pubblici ufficiali, anche se, taluni di quelli che partecipando alla emissione dell'atto finale del procedimento non dovessero concorrere nel reato, per essere stati indotti in errore da coloro che si sono occupati della fase istruttoria (Sez. 6, n. 30637 del 22/10/2020, De Luca, Rv. 279884; Sez. 6, n. 39039 del 15/04/2013, Malvaso). 4.3. Le richiamate pronunce si riferiscono a fattispecie caratterizzate dal riparto di ruoli istruttori e decisionali, nell'ambito dei quali l'adozione dell'atto finale è inficiato da un errore indotto dal pubblico agente privo di tale potere, ma ciò non incrina il principio di fondo che sorregge le predette decisioni, che fanno perno sulla rilevanza anche della disponibilità congiunta del bene oggetto di appropriazione. Deve, pertanto, affermarsi il principio secondo cui è configurabile il delitto di peculato anche nel caso in cui la disponibilità del denaro sia attribuita in maniera congiunta a più pubblici agenti, in quanto la previsione di forme di disposizione che richiedano una manifestazione di volontà da parte di entrambi integra una forma di controllo reciproco, senza che ciò valga ad escludere la co-detenzione del denaro. Applicando tale principio nel caso di specie, è corretto affermare che la condotta di falsificazione della firma del dirigente scolastico non integrava un raggiro finalizzato ad ottenere la disponibilità del denaro, bensì costituiva uno strumento per superare quella forma indiretta di controllo rappresentata dal requisito della "firma congiunta" sui mandati di pagamento. In buona sostanza, uno dei due soggetti aventi la disponibilità del denaro, apponendo la firma falsa dell'altro co-dententore, rendeva incondizionato il proprio potere di disposizione (si segnala che ad analoga conclusione, in una fattispecie del tutto sovrapponibile a quella in esame, è giunta Sez.6, n. 3920 del 20/1/2022, De Luise, n. m.). Deve altresì precisarsi che tutte le ipotesi di utilizzo di fondi pubblici contemplano la possibilità di controlli preventivi o successivi, senza che ciò escluda il riconoscimento della disponibilità del bene in capo al soggetto sottoposto all'altrui controllo. Ciò che rileva, invece, è il riconoscimento di un potere diretto con il bene di cui si dispone, posto che tale aspetto è quello che giustifica la maggiore offensività del reato di peculato, rispetto ad altre fattispecie, prima tra le quali la truffa aggravata. In quest'ultima ipotesi, infatti, il soggetto che si appropria del denaro agisce non avendo alcun rapporto diretto di disposizione, neppure in forma congiunta con altri pubblici agenti, il che rende la commissione del reato meno agevole e, per converso, espressione di una minore offensività. Il peculato, invece, proprio perché presuppone che l'appropriazione sia commessa da un soggetto che si trova in rapporto privilegiato con il bene - per effetto della diretta disponibilità dello stesso - è espressione di un maggiore offensività, tale da giustificare l'elevata risposta sanzionatoria. 5. Infondato risulta anche l'ulteriore motivo di ricorso concernente l'ipotesi di peculato contestato al capo B), lì dove le modalità della condotta sono del tutto diverse. E' stato accertato, infatti, che l'imputata aveva ricevuto le somme in contanti versate dai genitori degli alunni a titolo di contributo per gite scolastiche ed assicurazioni, omettendo di riversarle nelle casse dell'istituto ed appropriandosene. Sostiene la difesa che tali somme non sarebbero mai entrate nella materiale disponibilità dell'ente e, quindi, la loro appropriazione non potrebbe dar luogo al reato di peculato, dovendosi al contrario ritenere che il denaro è rimasto di proprietà dei privati, tanto più che era destinato al pagamento di prestazioni rivolte direttamente in favore degli alunni. La tesi non è condivisibile, dovendosi rilevare come l'istituzione scolastica, nel richiedere un contributo in denaro ai genitori, diviene titolare delle somme riscosse con l'obbligo di rispettare la finalità pubblicistica connessa all'erogazione dei servizi in vista dei quali le somme sono state versate. In buona sostanza, l'ente non agisce quale un mero intermediario privato, bensì assume su di sé l'obbligo gestorio del rapporto (stipula assicurazioni, spese per gite scolastiche, servizi aggiuntivi forniti agli studenti) il che comporta che il denaro versato dai privati entra nel patrimonio dell'ente e l'eventuale appropriazione dà luogo al reato di peculato. Ne' assume rilievo che il denaro fosse materialmente versato nelle mani del direttore amministrativo, responsabile della successiva appropriazione. Invero, quando una prestazione di denaro sia dovuta in favore della pubblica amministrazione, le modalità della relativa consegna ed il fatto che la stessa avvenga direttamente nelle mani del pubblico agente, che se ne appropria ancor prima di riversare il denaro nelle casse dell'ente, non incidono sulla legittimità dell'acquisizione di tali cose al patrimonio dell'ente pubblico, con la conseguenza che, qualora costui, dopo averle ricevute in ragione della sua funzione istituzionale, se ne appropri, commette il reato di peculato e non quello di truffa aggravata, né quello di appropriazione indebita (in senso conforme si veda Sez.6, n,. 25913 del 30/3/2021, Ceramica, n. m.). 6. L'ultimo motivo di ricorso, concernente il trattamento sanzionatorio, è manifestamente infondato, dovendosi ritenere che la determinazione della pena base e degli aumenti per la continuazione è stata correttamente motivata, sottolineando l'entità complessiva delle appropriazioni, nonché la pervicacia dimostrata nella reiterazione delle condotte di reato. 7. Una volta accertata l'infondatezza dei motivi di ricorso, deve rilevarsi d'ufficio l'intervenuta prescrizione di alcune delle condotte contestate all'imputata. Tenuto conto dei periodi di sospensione (pari a 5 mesi e 11 giorni) e del limite edittale previgente rispetto all'innalzamento disposto con la novella dell'art. 314 c.p., il termine di prescrizione è pari a 12 anni, 11 mesi e 11 giorni, ne consegue che risultano prescritti i fatti di peculato commessi in epoca antecedente al 10 aprile 2010. L'effetto estintivo, pertanto, riguarda solo le prime due condotte di peculato descritte al capo A). 8. Alla luce di tali considerazioni, la sentenza va annullata senza rinvio limitatamente alle indicate condotte per le quali è intervenuta la prescrizione, con conseguente necessità di rideterminazione della pena, ferma restando l'irrevocabilità dell'affermazione della penale responsabilità ex art. 624 c.p.p. e la conseguente condanna della ricorrente alla rifusione delle spese di difesa sostenute dalle parti civili. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata quanto al capo A) limitatamente alle condotte anteriori al 10/4/2010 per essere il reato prescritto. Rigetta il ricorso nel resto e rinvia ad altra sezione della Corte di appello di Napoli per rideterminare la pena. Letto l'art. 624 c.p.p. dichiara la irrevocabilità della sentenza in ordine all'affermazione della penale responsabilità dell'imputata. Condanna, inoltre, l'imputata alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalle parti civili Casa di cura San Michele che liquida in Euro 3.686 oltre accessori di legge, nonché Ministero dell'istruzione e del merito, Istituto comprensivo "(Omissis) di (Omissis) che liquida in Euro 5000 oltre accessori di legge. Così deciso in Roma, il 21 marzo 2023. Depositato in Cancelleria il 22 maggio 2023
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