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Qual è la distinzione tra lite familiare e violenza domestica? Il punto della Cassazione

Maltrattamenti

Cassazione penale sez. VI, 12/03/2024, n.17656

La linea distintiva tra violenza domestica e liti familiari è netta.
Si consuma il delitto quando un soggetto impedisce ad un altro, in modo reiterato, persino di esprimere un proprio autonomo punto di vista se non con la sanzione della violenza - fisica o psicologica, della coartazione e dell'offesa e quando la sensazione di paura per l'incolumità (o di rischio o di controllo) riguarda sempre e solo uno dei due, soprattutto attraverso forme ricattatorie o manipolatone rispetto ai diritti sui figli della coppia. Mentre ricorrono le liti familiari quando le parti sono in posizione paritaria e si confrontano, anche con veemenza, riconoscendo e accettando, reciprocamente, il diritto di ciascuno di esprimere il proprio punto di vista

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La sentenza integrale

RITENUTO IN FATTO 1. Il Tribunale di Siracusa, con la sentenza del 12 luglio 2021, pronunciata all'esito di giudizio abbreviato condizionato all'esame di un teste, ha assolto Va.Se. dal delitto di maltrattamenti ai danni della moglie e della figlia dell'età di 12 anni (capo a) per insussistenza del fatto; ha dichiarato improcedibile il delitto di violazione di domicilio (capo c) per mancanza di querela e, previa riqualificazione del delitto di tentata estorsione (capo e) in tentato esercizio arbitrario delle proprie ragioni, in continuazione con quello di lesioni aggravate (capo b), ha condannato l'imputato alla pena di un anno e due mesi di reclusione con sospensione condizionale della pena e non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale. Con la sentenza sopra indicata la Corte di appello di Catania, previo esame dibattimentale della persona offesa Ca.Ti. ha accolto l'appello del P.M. e condannato Sebastiano Va.Se. per il delitto di maltrattamenti aggravati, confermando nel resto la sentenza di primo grado. 2. Avverso la sentenza in epigrafe indicata ha presentato ricorso Va.Se., con atto sottoscritto dal suo difensore, articolando i motivi di seguito enunciati. 2.1. Con il primo deduce violazione di legge, in relazione agli artt. 192 e 533, cod. proc. pen., e art. 6 CEDU, e vizio di motivazione in quanto la Corte di appello di Catania, sentita la sola persona offesa, ha ribaltato la sentenza assolutoria di primo grado in assenza della doverosa motivazione rafforzata sia in ordine all'abitualità delle condotte vessatorie tenute dal ricorrente, da qualificarsi come liti familiari per motivi economici, sia rispetto al dolo del reato, così non apprezzando le ragioni giuridiche utilizzate dal Tribunale. 2.2. Con il secondo motivo deduce violazione di legge, in relazione agli artt. 192 cod. proc. pen. e 6CEDU, e vizio di motivazione con riferimento alla circostanza aggravante dell'aver commesso il fatto ai danni di minorenne, nonostante la sentenza di primo grado lo avesse escluso, valutando neutra l'espressione "fatti i fatti tuoi" ed evidenziando il solo episodio della rottura del telefono cellulare, peraltro sfornito di prova. 2.3. Con il terzo motivo deduce violazione di legge, in relazione agli artt. 152 cod. pen. e 6CEDU, e vizio di motivazione sulla base del rilievo per cui, in relazione ai delitti di cui ai capi b) e c), entrambi procedibili a querela, nelle more del termine per proporre ricorso in cassazione è intervenuta la remissione, seguita dall'accettazione dell'imputato, così da doversene dichiarare l'estinzione. 2.4. Con il quarto motivo denuncia vizio di motivazione in ordine al dolo del delitto di lesioni, fondato su formule di stile, in quanto generato da un mero gesto di stizza. 2.5. Con il quinto motivo deduce violazione di legge, in relazione all' art. 582 cod. pen., stante l'illegalità della pena irrogata che, in assenza di prognosi, doveva essere ritenuta di entità lievissima. 3. Il giudizio di cassazione si è svolto con trattazione scritta, ai sensi dell'art. 23, comma 8, D.L. n. 137 del 2020, convertito dalla L. n. 176 del 2020, in mancanza di richiesta nei termini di discussione orale. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso è infondato. 2. Il primo e il secondo motivo possono essere trattati congiuntamente e sono entrambi inammissibili per manifesta infondatezza. 2.1. L'art. 603, comma 3-bis, cod. proc. pen. stabilisce che "nel caso di appello del pubblico ministero contro una sentenza di proscioglimento per motivi attinenti alla valutazione della prova dichiarativa, il giudice dispone la rinnovazione dell'istruzione dibattimentale". A detto obbligo si aggiunge quello di adozione di "motivazione rafforzata", per cui il giudice d'appello che riformi totalmente la decisione di primo grado ha l'obbligo di delineare le linee portanti del proprio, alternativo, ragionamento probatorio e di confutare specificamente i più rilevanti argomenti della motivazione della prima sentenza, dando conto delle ragioni della relativa incompletezza o incoerenza, tali da giustificare la riforma del provvedimento impugnato (Sez. U, n. 33748 del 12/07/2005, Mannino, Rv. 231679; da ultimo Sez. 3, n. 16131 del 20/12/2022, dep. 2023, B., Rv. 284493), rendendo ostensibili i canoni di apprezzamento seguiti per consentire il controllo in sede di impugnazione (Sez. 3, n. 16131 del 20/12/2022, B., cit.). 2.2. Nel caso di specie la sentenza impugnata è stata pronunciata previa rinnovazione dell'esame della persona offesa, il cui esito ha condotto i Giudici di merito alla riforma della sentenza di assoluzione non per un diverso apprezzamento dell'attendibilità delle dichiarazioni della testimone, peraltro già valutata tale dal Tribunale, ma in forza di una più puntuale descrizione dei fatti denunciati, della loro continuità e dell'aggravarsi delle violenze, fisiche (con pugni, pedate, spinte, lancio di oggetti) e verbali (pesanti insulti), di Va.Se. ai danni della donna e della bambina, anche in ragione della sua condizione di tossicodipendenza, che portava l'uomo a pretendere violentemente il denaro della moglie quando si trovava in crisi di astinenza. Alla rinnovazione istruttoria si è accompagnata anche la motivazione rafforzata, evincibile dall'analisi delle dichiarazioni della persona offesa, riscontrate sia da quelle della madre che dalla certificazione medica attestante le lesioni subite. A fronte di questi univoci elementi, sostanzialmente non contestati, la sentenza della Corte di Appello ha ribaltato l'esito assolutorio offrendo piena giustificazione della configurabilità del delitto di maltrattamenti. Infatti, grazie ad una lettura globale dei singoli episodi denunciati, come richiesto da questa Corte in ragione dell'abitualità del delitto e dei beni giuridici che tutela, la sentenza impugnata ha collocato le condotte di Va.Se. in una precisa modalità relazionale, discriminatoria e violenta, imposta ordinariamente alla moglie e alla figlia, volta ad imporre la propria autorità. Muovendo da tali premesse, la Corte distrettuale ha correttamente riformato l'errata valutazione, frammentaria e segmentata, operata dal Tribunale di Siracusa, là dove erano state qualificate come mere "liti familiari" una serie di condotte - ingiurie, umiliazioni, lancio di oggetti, danneggiamenti reiterati, lesioni, esercizio arbitrario delle proprie ragioni - commesse unilateralmente dal ricorrente, tossicodipendente, contro la donna e la minorenne. La prima sentenza, infatti, aveva erroneamente ritenuto legittime sia condotte ex se illecite che le relative modalità sopraffattone, umilianti e gravemente discriminatorie che ne avevano connotato la consumazione nel contesto familiare, finanche ai danni di una bambina. 2.3. Con un linguaggio deformante rispetto ai fatti accertati, la prima sentenza ha erroneamente sminuito, considerandole come meri "sfoghi d'ira estemporanei", le gravi violenze esercitate da Va.Se. sulla donna, anche alla presenza della figlia, quali zittirla e ingiuriarla, lanciarle sbarre di alluminio o suppellettili, limitandosi a valorizzare la circostanza che non avessero colpito nessuno; rompere il cellulare della bambina e sferrare alla moglie calci con le scarpe antinfortunistiche, definendo tali condotte come "litigi che nascevano per motivi economici", nonostante avvenissero durante le crisi di astinenza dell'uomo, che pretendeva di appropriarsi del denaro necessario alla vita familiare mentre la moglie tentava di evitarlo, subendone le violenze. 2.4. La sentenza impugnata, nel capovolgere quella del Tribunale di Siracusa, ha correttamente qualificato i fatti come maltrattamenti in adesione all'orientamento consolidato di questa Corte in materia di violenza domestica, anche alla luce delle fonti sovranazionali (Convenzione del Consiglio d'Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica dell'11 maggio 2011, ratificata con la legge 27 giugno 2013, n. 77, detta Convenzione di Istanbul) e della giurisprudenza della Corte EDU (sentenze Talpis c. Italia del 2 marzo 2017, I.M. e altri c. Italia del 10 novembre 2022; Landi c. Italia del 7 aprile 2022; M.S. c. Italia del 7 luglio 2022; De Giorgi c. Italia del 16 luglio 2022). Infatti, ciò che qualifica la condotta come maltrattante, in un necessario quadro di insieme, è che i reiterati comportamenti, anche solo minacciati ed operanti a diversi livelli (fisico o psicologico o economico) nell'ambito di una relazione familiare o affettiva, siano deliberatamente volti a ledere la dignità della persona offesa, ad annientarne pensieri ed azioni indipendenti, a limitarne la sfera di libertà ed autodeterminazione, a ferirne l'identità di genere con violenze psicologiche ed umiliazioni (Sez. 6, n. 30340 del 08/07/2022, S., non mass.), in quanto è il disegno discriminatorio a guidare l'autore del reato di violenza domestica, tale dovendosi intendere, secondo il preambolo della richiamata Convenzione di Istanbul, il deliberato intento di dominazione e controllo della libertà femminile per impedirla (Sez. 6, n. 28217 del 20/12/2022, dep. 2023, G., non mass.; Sez. 6, n. 27166 del 30/05/2022, C., non mass.). Nei maltrattamenti posti in essere in ambito domestico, il giudice non solo è tenuto a valutare gli episodi che ritiene soggettivamente più gravi, perché colpiscono l'integrità fisica o costituiscono specifici reati, ma deve valorizzare e descrivere, in modo puntuale, il contesto diseguale di coppia in cui si consuma la violenza, anche psicologica, praticata dall'autore ed il clima di umiliazione e paura che impone alla vittima (Sez. 6, n. 27171 del 06/06/2022, F., non mass.). Al riguardo, la giurisprudenza più recente di questa Corte ha posto in rilievo il fatto che la confusione tra maltrattamenti e liti familiari avviene quando non si esamina e, dunque, non si valorizza l'asimmetria, di potere e di genere, che connota la relazione e di cui la violenza costituisce la modalità più visibile (v., in motivazione, Sez. 6, n. 37978 del 03/07/2023, B., Rv. 285273). Entro tale prospettiva si è affermato, in particolare, che qualificare l'intimidazione, la minaccia, le lesioni, i danneggiamenti, la coercizione di un uomo ai danni di una donna e di una bambina, in un contesto di coppia o familiare, come un comune "conflitto" non solo deforma dati oggettivi, ma viola i principi fondamentali dell'ordinamento, a partire dall'art. 3 Cost. che impone di ritenere le donne in una condizione paritaria, giuridica e di fatto, rispetto agli uomini, perché titolari del diritto alla dignità e alla libertà, cioè diritti umani fondamentali e inalienabili, che non possono subire lesioni, neanche occasionali, in base a costrutti sociali o interpretativi fondati sull'accettazione e la normalizzazione della disparità di genere. La linea distintiva tra violenza domestica e liti familiari è netta. Si consuma il delitto quando un soggetto impedisce ad un altro, in modo reiterato, persino di esprimere un proprio autonomo punto di vista se non con la sanzione della violenza - fisica o psicologica, della coartazione e dell'offesa e quando la sensazione di paura per l'incolumità (o di rischio o di controllo) riguarda sempre e solo uno dei due, soprattutto attraverso forme ricattatorie o manipolatone rispetto ai diritti sui figli della coppia. Mentre ricorrono le liti familiari quando le parti sono in posizione paritaria e si confrontano, anche con veemenza, riconoscendo e accettando, reciprocamente, il diritto di ciascuno di esprimere il proprio punto di vista (Sez. 6, n. 37978 del 03/07/2023, cit.; Sez. 6, n. 19847 del 22/04/2022, M., non mass.) e, soprattutto, nessuno teme l'altro. 3. Il terzo motivo è fondato, limitatamente al delitto di cui al capo E). Nelle more del termine per proporre ricorso in cassazione è intervenuta la remissione di querela della persona offesa, seguita dall'accettazione dell'imputato, in ordine ai delitti contestati ai capi B (lesioni aggravate) ed E (tentato esercizio delle proprie ragioni). L'estinzione del reato può essere pronunciata, con decurtazione dell'aumento sanzionatorio stabilito a titolo di continuazione in due mesi di reclusione, limitatamente al delitto di tentato esercizio delle proprie ragioni, ma non anche per quello di lesioni commesso ai danni della moglie "in occasione" del delitto di maltrattamenti, essendo le lesioni descritte nella condotta del reato di cui all'art. 572 cod. pen., tanto da diventare procedibili di ufficio perché aggravate ai sensi dell'art. 576, primo comma, n. 5), cod. pen. 4. Il quarto e il quinto motivo sono generici. Il ricorso non si confronta in alcun modo con la puntuale argomentazione contenuta nella sentenza impugnata, secondo cui la volontà dell'imputato di ledere la persona offesa risultava dalla dinamica del fatto, per come descritta dalla stessa persona offesa (lancio della cintura contro costei al fine di colpirla) e non contestata, ovverosia dall'avere costituito la "punizione" della donna per avere ella osato esprimere il proprio punto di vista, cui si aggiungeva la certificazione medica attestante la tumefazione dell'occhio, sì da escludere che fosse di entità lievissima, soprattutto per il contesto maltrattante in cui doveva ritenersi inserita. 5. Sulla base degli argomenti che precedono, il ricorso può essere accolto limitatamente all'estinzione per intervenuta remissione di querela riguardo al reato di cui al capo E), con il contestuale annullamento della sentenza senza rinvio limitatamente alla pena di due mesi di reclusione e rideterminazione della condanna inflitta a Va.Se. in complessivi anni due e mesi dieci di reclusione, con rigetto del ricorso nel resto. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente al reato di cui al capo E) perché estinto per intervenuta remissione di querela e per l'effetto elimina la pena di mesi due di reclusione, rideterminando la pena complessiva in anni due e mesi dieci di reclusione. Rigetta nel resto il ricorso. Così deciso in Roma il 12 marzo 2024. Depositato in Cancelleria il 3 maggio 2024.
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