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Indebita compensazione: obbligo di verifica delle condizioni del credito d’imposta acquisito tramite cessione

Indebita compensazione

Cassazione penale sez. III, 14/02/2024, n.24254

In tema di indebita compensazione, di cui all'art. 10-quater d.lg. 10 marzo 2000, n. 74, ove il debito tributario sia compensato con un credito d'imposta acquisito mediante cessione, è necessario che, prima della sua utilizzazione in compensazione e al momento dell'utilizzazione stessa, siano verificare le condizioni, oggettive e formali, che consentono tale utilizzo, sicché l'omessa verifica non esclude la sussistenza dell'elemento soggettivo del reato neanche nel caso in cui l'acquisizione del credito per cessione sia avvenuta da parte di soggetto diverso da colui che effettua la compensazione.

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La sentenza integrale

RITENUTO IN FATTO 1. Il sig. Bo.Ma. ricorre per l'annullamento della sentenza del 9 giugno 2023 della Corte di appello di Brescia che, in parziale riforma della sentenza del 15 dicembre 2021 del Tribunale di Brescia, pronunciata all'esito di giudizio ordinario e da lui impugnata, ha revocato il beneficio della sospensione condizionale della pena concesso in primo grado e dalla stessa Corte di appello con precedente sentenza del 14 giugno 2016, irr. il 12 giugno 2020, confermando nel resto la condanna alla pena (principale) di due anni di reclusione (oltre pene accessorie) per il reato di cui agli artt. 81, secondo comma, cod. pen., 10-quater D.Lgs. n. 74 del 2000, perché, quale legale rappresentante, dal 18 luglio 2016 al 17 gennaio 2017, della società One Business Development Srl, aveva omesso di versare le somme dovute a titolo di imposta per l'anno 2016 portando in compensazione un credito IVA relativo all'anno 2014 dell'importo di Euro 1.999.003,58, non risultante dalla relativa dichiarazione annuale. 1.1. Con il primo motivo deduce l'inosservanza e l'erronea applicazione degli artt. 192 e 234 cod. proc. pen. lamentando di essere stato condannato in assenza dei modelli F24, mai prodotti in giudizio. 1.2. Con il secondo motivo deduce l'inosservanza e l'erronea applicazione dell'art. 43 cod. pen. in relazione al dolo specifico di evasione dell'imposta richiesto ai fini dell'integrazione del reato di cui all'art. 10-quater D.Lgs. n. 74 del 2000 e lamenta il malgoverno degli elementi di prova da lui indicati a sostegno della propria assoluta buona fede e della regolarità della cessione del credito che la Corte di appello ha ritenuto superabili ipotizzando il dolo eventuale insito nell'accettazione del rischio della inesistenza (o comunque non spettanza) del credito portato in compensazione. Egli, prosegue, prima della assunzione della carica aveva effettuato tutti i controlli del caso, anche in relazione agli adempimenti fiscali, avendo agito nella piena consapevolezza di dar corso ad una operazione deliberata in sede assembleare e garantita da una perizia asseverata da un professionista. La decisione di compensare i crediti era stata presa prima che egli assumesse la carica di amministratore pro-tempore ed è stata preceduta ed accompagnata da precisi, puntuali e formalmente ineccepibili adempimenti formali che solo con il senno di poi si sarebbero rivelati non corretti. Al momento del fatto egli non avrebbe in alcun modo potuto rappresentarsi un quadro diverso da quello certificato da una perizia redatta da un noto professionista e deliberata in sede di specifica assemblea dinanzi ad un notaio. Tutta l'operazione è stata ideata, concretizzata e conclusa da persone diverse, è stata certificata da professionisti di fiducia scelti dal precedente amministratore senza che egli abbia mai potuto in qualche modo influire, cooperare o assumere qualsiasi decisione in proposito, essendosi comportato da mero esecutore di decisioni altrui e ciò sia che si ritenga che abbia operato quale "testa di legno", sia che abbia assunto poteri reali all'interno della società. CONSIDERATO IN DIRITTO 2. Il ricorso è infondato. 3. Non è in contestazione il fatto che la società One Business Development Srl (già ICEM Lavorazioni Elettromeccaniche Srl) aveva portato in compensazione un credito IVA che non risultava dalla dichiarazione della relativa imposta dovuta per l'anno 2014. In particolare, dalla lettura della sentenza di primo grado, risulta che: (i) Tal Ab.Gi., titolare di omonima impresa individuale, nella dichiarazione annuale relativa all'imposta sul valore aggiunto dovuta per l'anno 2014 aveva annotato una fattura passiva dell'importo di Euro 50.000.000,00 al netto dell'IVA pari ad Euro 11.000.000,00; (ii) parte del credito d'imposta (pari ad Euro 8.700.000,00) era stato conferito dall'Ab.Gi. nella One Business Development Srl (all'epoca ancora ICEM) per l'acquisizione di una quota societaria, come da verbale di assemblea del 4 dicembre 2015; (iii) il credito era stato oggetto di perizia giurata del dott. Me.Vi. il quale - annotava però il Tribunale - non aveva rilevato che il volume di affari dell'impresa conferente ammontava a circa Euro 7.000,00; (iv) inoltre, la cessione del credito non era stata notificata all'Agenzia delle Entrate contestualmente alla richiesta di ICEM del suo rimborso; (v) l'intero credito conferito era stato utilizzato in compensazione dalla società negli anni 2015-2017 (con conseguente omesso versamento dell'imposta dovuta) ed il Bo.Ma., nel periodo della sua carica (18 giugno 2016 - 17 gennaio 2017), aveva effettuato plurime compensazioni per il complessivo importo di Euro 1.999.003,58 (di cui Euro 1.884.543,59 nel 2016 ed Euro 114.459,00 nel 2017). 3.1. La mancanza di spiegazioni alternative della condotta da parte dell'imputato (mai comparso in giudizio), la complessiva entità degli importi da lui compensati nel pur breve periodo di amministrazione della società, il ricorso deliberato e reiterato al mezzo illecito e fraudolento della compensazione depongono, secondo il Tribunale, per la sussistenza dell'elemento soggettivo quantomeno, ipotizzando che l'imputato si fosse prestato al compimento di operazioni illecite ordite da terzi, nella forma del dolo eventuale. 4. In sede di appello, l'imputato aveva dedotto che: a) il credito portato in compensazione era stato oggetto di perizia giurata del dott. Me.Vi., revisore contabile iscritto al Registro dei revisori legali; b) la situazione contabile e patrimoniale della società ICEM era stata ampiamente discussa nell'assemblea dei soci (Za., Ab.Gi. e Mi.) del 4 dicembre 2015 quando egli, nemmeno socio, non era ancora amministratore della società; c) quando aveva assunto la carica, nel luglio 2016, aveva certamente preso contezza, previa verifica attraverso propri professionisti, della situazione contabile e amministrativa della società e, tra gli altri, del verbale di assemblea del 4 dicembre 2015; d) quale nuovo amministratore non poteva mettere in dubbio la veridicità di quanto accertato dal dott. Me.Vi. e non aveva nemmeno gli strumenti per farlo, né avrebbe potuto rendersi conto della sproporzione tra il fatturato della ONE BUSINESS e l'entità del credito ceduto; e) egli si era limitato a dare esecuzione ad un'operazione organizzata e decisa da altre persone che l'avevano preceduto, nessuna delle quali è mai stata sottoposta a indagini nel presente procedimento; f) tutte queste considerazioni, insieme con la brevità del periodo della sua amministrazione, escludono in radice l'elemento soggettivo del reato, anche nella forma del dolo eventuale, tant'è vero che non appena si era reso conto della situazione, anche solo per un sospetto, aveva dato le dimissioni; g) non sono mai stati acquisiti al processo gli F24 utilizzati per effettuare le compensazioni. 5. Nel disattendere i rilievi difensivi, la Corte di appello, fatte proprie le considerazioni del primo Giudice, ha ulteriormente osservato che: a) pur non essendo presenti fisicamente i modelli F24, è stato acquisito al processo il loro elenco analitico redatto dall'Agenzia delle Entrate con l'indicazione, per ciascuno di essi, della data, del codice tributo, del periodo di imposta di riferimento, dell'importo a debito versato (pari ad Euro 0,00) e di quello a credito compensato; b) quando l'imputato aveva assunto la carica di amministratore della One Business Development Srl si trovava di fronte a una cessione di credito dell'importo di Euro 8.700.000,00 da ritenersi ictu oculi anomala anche agli occhi di uno sprovveduto; c) benché assistito da perizia di stima circa il suo valore e la sua effettiva esistenza, non poche perplessità derivavano dalla lettura stessa della relazione asseverata considerato che, da un lato, il volume di affari dell'impresa cedente era di soli Euro 7.000,00, dall'altro che l'atto di cessione del credito non era mai stato notificato all'Agenzia delle Entrate, né ne era stato mai chiesto il rimborso; d) la cessione del credito è opponibile all'Amministrazione finanziaria tramite la dichiarazione IVA a condizione che il relativo atto sia comunicato in copia autentica all'Ufficio; e) l'imputato non ha mai offerto una propria versione dei fatti allegando elementi concreti dai quali desumere che avesse disposizione dati che consentissero di superare le palesi anomalie; f) ha anzi proceduto, nel breve periodo della sua carica, a plurimi versamenti in compensazione dell'IVA dovuta utilizzando crediti ceduti per il rilevantissimo importo di Euro 1.999.003,58, quantomeno prevedendo ed accettando il rischio che il credito ceduto non potesse, con elevata probabilità, essere portato in compensazione. 6. Tanto premesso, il primo motivo è manifestamente infondato. 6.1. La fattispecie incriminatrice del reato di cui all'art. 10-quater D.Lgs. n. 74 del 2000 esige che si dia prova della inesistenza o non spettanza del credito e che questi sia stato a sua volta effettivamente portato in compensazione mediante il modello F24, determinando un omesso versamento di imposta integrale o parziale. Tuttavia, la condotta tipica, che esige, sul piano sostanziale, l'utilizzo di strumenti tipici per l'estinzione dell'obbligazione tributaria, non può essere confusa con la necessaria produzione in giudizio di tali strumenti. In buona sostanza, altro è il fatto descritto dalla fattispecie (che richiede, mediante il richiamo all'art. 17 D.Lgs. n. 241 del 1997, la compilazione del mod. F24), altra la prova richiesta per accertarlo: i due piani (elemento costitutivo del reato e prova tipica della sua esistenza) non necessariamente si sovrappongono in un sistema penale ispirato al principio generale di libertà della prova e del libero convincimento del giudice sia per i fatti-reato che per gli atti del processo. 6.2. Quanto alla materialità del reato, è certamente necessario l'utilizzo del mod. F24 quale strumento tipico di estinzione dell'obbligazione tributaria. E' stato al riguardo precisato (e deve essere ribadito) che il delitto di indebita compensazione di cui all'art. 10-quater, D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, richiede, sotto il profilo oggettivo, che il mancato versamento di imposta risulti formalmente "giustificato" da una illegittima compensazione, ex art. 17 D.Lgs. 9 luglio 1997, n. 241, operata tra le somme spettanti all'erario e i crediti vantati dal contribuente, in realtà non spettanti o inesistenti (Sez. 3, n. 15236 del 16/01/2015, Chiarolla, Rv. 263051 - 01, che ha escluso la configurabilità del reato in quanto l'imputato non aveva compilato alcun mod. F24 in cui avrebbe dovuto indicare il credito, inesistente o non spettante, da portare in compensazione; nello stesso senso, Sez. 7, n. 42758 del 08/09/2023, Maifredi, non mass). 6.3. Tuttavia, ai fini della prova del reato di cui all'art. 10-quater D.Lgs. n. 74 del 2000, non è necessaria la produzione in giudizio (e la acquisizione) dei modelli F24 effettivamente utilizzati per il pagamento dell'imposta dovuta, potendo tale prova essere fornita in qualunque altro modo. 6.4. Orbene, la Corte di appello ha dato atto dell'esistenza dei modelli F24 utilizzati per portare in compensazione i crediti non spettanti della società in quanto analiticamente riportati nell'elenco redatto dall'Agenzia delle Entrate, prova della quale non è stato nemmeno dedotto il travisamento, tanto più che, come detto, il ricorrente non ha mai contestato la materiale sussistenza del fatto, bensì la mancanza dell'elemento psicologico del reato. 7. Il secondo motivo è generico e manifestamente infondato. 7.1. Occorre innanzitutto prendere atto del fatto che il ricorrente in appello non ha devoluto il tema del dolo specifico del reato, bensì quello relativo alla propria consapevolezza della inesistenza/non spettanza del credito utilizzato in compensazione. Oggetto di cognizione, dunque, non è il dolo specifico di evasione, bensì quello relativo alla consapevolezza dalla non spettanza del credito utilizzato in compensazione. 7.2. Va altresì aggiunto che, secondo quanto affermano i Giudici di merito, il ricorrente non ha mai personalmente rappresentato in giudizio, mediante esame o dichiarazioni spontanee, le circostanze di fatto poste a base delle odierne deduzioni difensive. Sicché resta un mero postulato difensivo l'affermazione che egli avrebbe potuto dimettersi dalla carica proprio perché, magari, accortosi dell'illecito che, a suo dire, era stato organizzato e tramato prima del suo ingresso in società. Né egli spiega se (in quale parte e sotto quale specifico profilo) la motivazione della sentenza impugnata è manifestamente illogica, contraddittoria o insufficiente allorquando spiega che la notevole entità del credito portato in compensazione avrebbe dovuto indurre l'amministratore ad una più attenta verifica del credito stesso (da lui utilizzato per importi elevatissimi) e, soprattutto, gli fa carico - proprio per questo - di non aver verificato le condizioni oggettive della sua utilizzazione in compensazione. 7.3. Ed invero, ai sensi degli artt. 69, R.D. n. 2440 del 1923, 43-Z?/'s D.P.R. n. 602 del 1973, e dell'art. 1,D.M. Min. Fin., 30 settembre 1997, n. 384, due sono le condizioni cui un atto di cessione del credito tributario deve soggiacere per essere efficace nei confronti della (e opponibile alla) amministrazione finanziaria : (a) che risulti da atto pubblico o da scrittura privata autenticata da notaio; (b) che sia notificato nelle forme di legge. Sicché la cessione di un credito di un privato verso una pubblica amministrazione, posta in essere in forme diverse da quelle imposte dal R.D. 18 novembre 1923, n. 2440, art. 69, pur essendo valida nei rapporti tra cedente e cessionario, è inefficace nei confronti della pubblica amministrazione medesima, salva la facoltà di accettazione (così, Cass. civ. Sez. 5, n. 5493 del 06/03/2013, Rv. 625398, secondo cui la generale cedibilità dei crediti tributari si desume dal R.D. n. 2440 del 1923, art. 69; nel senso che, in tema di IVA, la cessione del credito d'imposta segue le ordinarie regole del codice civile e le peculiari disposizioni sulla contabilità generale dello Stato, che consentono la cessione di un credito nascente da un rapporto giuridico esistente ma non ancora richiesto a rimborso nella dichiarazione annuale al momento della cessione, fermo restando che quest'ultima produce nei confronti del fisco efficacia soltanto obbligatoria, in quanto il trasferimento del credito si realizza quando lo stesso si cristallizza in conformità alle norme tributarie, Cass. civ., Sez. 5, n. 27278 del 24/10/2019, Rv. 655546 - 01). 7.4. Prima di utilizzare in compensazione un credito di imposta, il cessionario deve verificare le condizioni oggettive e formali che consentono l'utilizzo del credito stesso a fini estintivi del proprio debito e tale incombente fa carico a chi (e nel momento in cui) intende utilizzare il detto credito. 7.5. Ne consegue che il ricorrente non può dolersi del fatto che la cessione sia stata deliberata ed effettuata prima dell'assunzione della sua carica poiché ciò non lo esonerava dall'onere di accertare la sussistenza delle condizioni formali per l'utilizzo del credito in compensazione al momento stesso dell'utilizzo. 7.6. Il che rende non manifestamente illogica la conclusione della Corte di appello secondo cui il ricorrente aveva quantomeno consapevolmente accettato il rischio della non spettanza dei crediti utilizzati ai fini della compensazione e rende anche generico il ricorso che neglige completamente tale aspetto della vicenda. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Così deciso in Roma, il 14 febbraio 2024. Depositata in Cancelleria il 19 giugno 2024.
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