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Maltrattamenti: il concetto di reciprocità delle offese va distinto dalla mera litigiosità di coppia

Maltrattamenti

Cassazione penale sez. VI, 17/01/2024, (ud. 19/12/2023, dep. 17/01/2024), n.2111

Il concetto di reciprocità delle offese va distinto dalla mera litigiosità di coppia (la quale presuppone che le parti della relazione si confrontino, anche veementemente, ma su un piano paritetico, di reciproca accettazione del diritto di ciascuno ad esprimere il proprio punto di vista.

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La sentenza integrale

FATTI DI CAUSA 1. Con il provvedimento in epigrafe, il Tribunale di Roma, sezione per il riesame, accoglieva l'appello presentato ex art. 310 cod. proc. pen. dal Pubblico Ministero e disponeva l'applicazione nei confronti dell'indagata della misura cautelare dell'allontanamento dalla casa familiare con prescrizione di non avvicinarsi ai luoghi frequentati dalla persona offesa. 2. Avverso tale ordinanza ha presentato ricorso il difensore di Si.Mo., Avvocato D., deducendo due motivi. 2.1. Manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione in ordine alla valutazione di pericolosità dell'indagata. Il Tribunale ha ritenuto che l'indagata, per la sua indole e la personalità mostrata, non offra garanzie riguardo al fatto che si asterrà in futuro dal commettere ulteriori condotte maltrattanti verso il marito, ed ha fondato tale valutazione sostanzialmente sulla circostanza che il denunciante aveva riferito che la prevenuta avrebbe problemi di alcol - elemento suscettibile di avvalorare il giudizio che si tratti di persona priva di autocontrollo - nonché sulla circostanza che alcune condotte illecite sono state poste in essere dopo non soltanto la proposizione delle denunce, ma anche l'instaurazione di altro procedimento, elemento, quest'ultimo, indicativo di spregiudicatezza. Tuttavia, tali elementi sono insufficienti a denotare la pericolosità sociale dell'indagata. L'inattendibilità della persona offesa è emersa, infatti, in relazione all'episodio del 13/05/2023, quando l'uomo ha affermato che la ricorrente avrebbe sfondato la porta ed inveito contro di lui, mentre gli operanti hanno riferito della seconda circostanza, ma non anche della prima (lo sfondamento della porta). Ancora, nessun riscontro hanno trovato i problemi di alcol da cui sarebbe affetta Si.Mo. Quanto alla spregiudicatezza dell'indagata, il giudice dell'appello cautelare ha fatto impropriamente uso di elementi relativi a procedimenti penali diversi, non riuniti e, come tali, non adeguatamente valutabili in questa sede. Né si comprende perché il Tribunale abbia giudicato credibili le dichiarazioni dell'uomo, prive di riscontri esterni, e non quelle della ricorrente, posto che anche questa aveva presentato numerose denunce - querele a carico del marito per maltrattamenti e lesioni, allegando referto medico di pronto soccorso con codice rosa. Da tali denunce - querele sono peraltro scaturiti i procedimenti penali che vedono il marito indagato e Si.Mo. persona offesa (in realtà - viene precisato - entrambi i coniugi sono indagati per reciproci atti aggressivi). Il giudizio sulla sottomissione del marito all'indagata non è, dunque, condivisibile, come d'altronde era stato riconosciuto dal Giudice per le indagini preliminari. In generale, il provvedimento impugnato sarebbe illogico perché fondato esclusivamente sulle dichiarazioni dell'uomo, prive di riscontri, e non ha spiegato per quale ragione non consideri invece attendibili quelle della donna. 2.2. Inosservanza dell'art. 273 cod. proc. pen. in relazione alla ritenuta sufficienza dei gravi indizi di colpevolezza. Già il Giudice per le indagini preliminari aveva ritenuto debole la prova indiziaria, fondandola soltanto sulle affermazioni della persona offesa. Gli elementi addotti a supporto dell'applicazione della misura sono risultati contraddittori, insufficienti e fondati unicamente sulle dichiarazioni della persona offesa, quindi privi di riscontri. In particolare, quanto all'episodio del 13/05/2023, nulla esclude che l'uomo, dopo aver chiamato le forze dell'ordine, si sia mostrato volutamente remissivo e che invece l'indagata stesse reagendo - vuoi anche in modo spropositato - ai maltrattamenti poc'anzi subiti. 3. Disposta la trattazione scritta del procedimento, ai sensi dell'art. 23, comma 8, del d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, conv. dalla I. 18 dicembre 2020, e successive modificazioni, in mancanza di richiesta nei termini ivi previsti di discussione orale, il Procuratore generale ha depositato conclusioni scritte, come in epigrafe indicate. RAGIONI DELLA DECISIONE 1. Il ricorso è fondato e va accolto per le ragioni di seguito illustrate. 2. Sebbene con diversità di accento, riducibili a differenze meramente terminologiche, la giurisprudenza di legittimità è concorde nel richiedere, in caso di riforma in senso sfavorevole all'indagato della decisione impugnata, l'onere, per il giudice dell'appello cautelare, di adottare una motivazione dotata di maggior persuasività e credibilità razionale rispetto a quella riformata. In altri termini, premesso che la motivazione, in ragione della fase processuale e delle caratteristiche dell'appello (che si fonda sul medesimo materiale probatorio già valutato da altro giudice), non può raggiungere lo standard del "oltre ogni ragionevole dubbio", essa deve, nondimeno, confrontarsi con le ragioni del provvedimento riformato e giustificare, con assoluta decisività, la diversa scelta operata (ex multis, Sez. 3, n. 31022 del 22/03/2023, Necchi, Rv. 284982; Sez. 1, n. 47631 del 09/11/2022, La Rosa, Rv. 283784; Sez. 6, n. 17581 del 08/02/2017, Pepe, Rv. 269827; Sez. 1, n. 16029 del 27/01/2016, Mautone, Rv. 266622). 3. Ebbene, il requisito della maggiore persuasività e credibilità razionale della decisione resa dai Giudici del provvedimento impugnato rispetto a quello riformato non risulta integrato, nel caso di specie. 4. Il Giudice per le indagini preliminari aveva, infatti, ritenuto l'insussistenza dei gravi indizi, in virtù della palese situazione di reciprocità delle offese, argomentando: dalla denuncia - querela a firma della parte offesa (i cui allegati, peraltro, non erano stati messi a disposizione del giudice); dalle circostanze riferite dall'indagata in sede di interrogatorio in udienza di convalida, quando la stessa sosteneva di essere stata lei vittima delle violenze dei maltrattamenti posti in essere in suo danno dal marito, producendo a dimostrazione di quanto sostenuto tre denunce - querele sporte nei confronti del coniuge con allegate fotografie che riscontravano le percosse e aggressioni riferite; dagli elementi desumibili dall'avviso di conclusione delle indagini del 22/02/2023, emesso nell'ambito di altro procedimento, da cui si desume che i due sono indagati per reciproci atti aggressivi e per maltrattamenti commessi l'uno in danno dell'altro. 5. Dal canto loro, i Giudici dell'appello cautelare fondano il diverso convincimento sulla denuncia della vittima, la quale ha riferito tre episodi (occorsi rispettivamente il 13/05/2023, il 28/10/2022 e il 22/12/2022), al primo dei quali avevano. assistito altresì le Forze dell'ordine (la cui presenza non sarebbe stata, dunque, sufficiente a placare la furia dell'indagata, acuita dall'abuso di alcol), consistiti in ingiurie e minacce della donna, che inducevano l'uomo a cercare rifugio in altre parti dell'abitazione o, in alcuni casi, addirittura a pernottare altrove. I Giudici richiamano inoltre un altro procedimento penale, nel corso del quale l'uomo aveva dimostrato di aver subito un trauma alla regione auricolare sinistra, dell'orbita a destra, della scapola destra ed ecchimosi in sede dell'arto superiore di destra e trauma all'anca sinistra nonché escoriazione e contusioni multiple, giudicate guaribili in giorni 20, precisando, peraltro, che tale procedimento è a carico di entrambi i coniugi, ed aggiungendo come l'indagata, diversamente dal coniuge, ha continuato a porre in essere vessazioni ed aggressioni in danno del marito anche dopo aver ricevuto l'avviso di conclusione delle indagini. In definitiva, ravvisano l'abitualità delle condotte, evocando l'insegnamento di legittimità, secondo cui la reciprocità delle aggressioni non è sufficiente ad escludere la configurabilità del reato: elemento su cui si concentra in misura affatto prevalente la motivazione. 6. In particolare, l'ordinanza impugnata contrappone espressamente l'orientamento secondo cui il reato di maltrattamenti in famiglia (art. 572 cod. pen.) è configurabile anche là dove le condotte violente e vessatorie siano poste in essere dai familiari in danno reciproco gli uni degli altri (non prevedendo la disposizione in oggetto il ricorso a forme di sostanziale autotutela, mediante un regime di "compensazione" fra condotte penalmente rilevanti e reciprocamente poste in essere. Sez. 3, n. 12026 del 24/01/2020, M., Rv. 278968) ad altro insegnamento, in base al quale, ove le violenze, le offese e le umiliazioni siano reciproche, con un grado di gravità e intensità equivalenti, può venir meno la configurabilità del delitto (non necessariamente viene meno), dal momento che, ai fini della sua sussistenza, occorre che una parte infligga abitualmente vessazioni e sofferenze, fisiche o morali, a un'altra persona, che ne rimane succube, imponendole un regime di vita persecutorio e umiliante (Sez. 6, n. 4935 del 23/01/2019, M., Rv. 274617). 6. Tale contrapposizione è, tuttavia, più apparente che reale. Premesso che il concetto di reciprocità delle offese va distinto dalla mera litigiosità di coppia (la quale presuppone che le parti della relazione si confrontino, anche veementemente, ma su un piano paritetico, di reciproca accettazione del diritto di ciascuno ad esprimere il proprio punto di vista: Sez. 6, n. 37978 del 03/07/2023, B., Rv. 285273), tale reciprocità in tanto può rilevare, in quanto suscettibile (da sola o con altri dati) di definire un contesto dal quale si evinca che l'agente non ha indotto uno stato di vessazione nella persona offesa: elemento, quest'ultimo, che integra il risultato delle condotte penalmente rilevanti e che decide, quindi, in un'ottica per così dire retrospettiva, della natura "maltrattante" delle stesse. Infatti, le condotte di cui all'art. 572 cod. pen. possono essere anche, di per sé, non penalmente connotate, ma assurgono a rilevanza penale proprio in ragione dell'effetto che producono o che possono produrre nella vittima, sicché l'induzione di uno stato di vessazione finisce con il costituire - essa sì - elemento costitutivo, sebbene implicito, della fattispecie. La produzione di uno stato di vessazione è, d'altronde, richiesta dalla massima di diritto richiamata alla fine del paragrafo precedente, e ad essa si era correttamente richiamato, nel caso di specie., il Giudice delle indagini preliminari nel negare la cautela. quando, dopo aver ritenuto la reciprocità delle offese, aveva precisato che, in conseguenza di essa, non risultava adeguatamente indiziato che il marito era stato messo in condizioni di concreta sudditanza. 8 Ebbene, quest'ultima valutazione non risulta persuasivamente smentita dal Giudice dell'appello cautelare, il quale non fornisce sul punto una motivazione coerente e, a fortiori, più persuasiva di quella resa dal Giudice per le indagini preliminari, posto che lo stato di vessazione della persona offesa non può certamente risolversi nel mero "mutamento delle abitudini di vita" (che, non a caso, costituisce elemento della tipicità della diversa e meno grave fattispecie di stalking, di cui all'art. 612-bis cod. pen.) e, ancor meno, può essere desunto dalla mera circostanza che l'uomo avesse talvolta cercato rifugio in luoghi in cui non fosse presente la moglie, come si argomenta, invece, nell'ordinanza impugnata. 9 Allo scopo di consentire una compiuta indagine sul profilo, pretermesso nell'ordinanza, dell'induzione, ad opera dell'indagata, di uno stato di vessazione nel marito, da intendere come grave lesione della dignità, della identità e della libertà di autodeterminazione (vd. ancora Sez. 6, n. 37978 del 03/07/2023, cit.) del C., con l'effetto di eventualmente conferire alla motivazione forza argomentativa superiore rispetto a quella del provvedimento riformato, si impone l'annullamento con rinvio del provvedimento impugnato: non senza precisare, in conclusione, come tale approfondimento non possa trascurare le "concrete" condizioni di contesto, ivi comprese quelle di genere, suscettibili di concorrere alla produzione dell'offesa che deve discendere dai comportamenti dell'indagata. P.Q.M. Annulla l'ordinanza impugnata e rinvia per nuovo giudizio al Tribunale di Roma, competente ai sensi dell'art. 309, comma 7, cod. proc. pen. Così deciso il 19/12/2023. Depositato in Cancelleria il 17 gennaio 2024.
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