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Maltrattamenti in famiglia: legittimo il divieto di avvicinamento al figlio minore vittima di violenza domestica, anche solo assistita

Maltrattamenti

Cassazione penale , sez. VI , 12/03/2024 , n. 20004

In tema di maltrattamenti in famiglia, è legittimo il provvedimento cautelare che disponga il divieto di avvicinamento dell'indagato al figlio minore vittima di violenza domestica, anche solo assistita, nonostante il diritto di visita riconosciuto dal giudice civile della separazione, dovendo ritenersi prevalenti, in funzione del best interest of the child, le ragioni di tutela del minore da ogni pregiudizio su quelle del soggetto maltrattante ad esercitare le prerogative genitoriali.

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La sentenza integrale

RITENUTO IN FATTO 1. Con l'ordinanza sopra indicata il Tribunale di Lecce, adito da Sp.Ma., indagato per il delitto di maltrattamenti ai danni della moglie e della figlia minorenne, ha accolto l'appello del P.M. avverso il provvedimento reiettivo del Giudice per le indagini preliminari di Brindisi, emesso il 3 ottobre 2023, con riferimento all'applicazione del divieto di avvicinamento alle persone offese nonché ai luoghi abitualmente frequentati da queste, con la prescrizione di non comunicare con qualunque mezzo, e trasmissione di copia dell'ordinanza al Tribunale per i minorenni di Brindisi. 2. Avverso il provvedimento ha presentato ricorso Sp.Ma. con atto sottoscritto dal suo difensore, articolando un unico motivo, il cui contenuto viene qui enunciato nei limiti strettamente necessari alla motivazione ex art. 173, comma 1, disp. att. coord. cod. proc. pen. Violazione di legge, con riferimento agli artt. 272 e 282-ter cod. proc. pen., e vizio di motivazione per assenza delle esigenze cautelari. Si assume, infatti, che il ricorrente ha un ottimo rapporto con la figlia, alla quale si è limitato a dare uno "schiaffetto", e che difetta il pericolo di reiterazione del reato, atteso che è la moglie ad avere comportamenti altalenanti - tanto da avere ritirato l'esposto contro il ricorrente ed acconsentito a vedere la bambina in deroga agli accordi di separazione. Si evidenzia, ancora, che l'indagato sta frequentando un Centro per uomini maltrattanti e il Sert e che i servizi sociali si sono espressi a favore degli incontri tra padre e figlia, tanto che lo stesso Giudice per le indagini preliminari ha valorizzato la sua decisione di allontanarsi dall'abitazione familiare rigettando la richiesta cautelare. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso, limitato alla sussistenza delle esigenze cautelari, è inammissibile perché generico. 2. Premesso che il controllo di questa Corte concerne il rispetto dei canoni della logica e dei principi di diritto che governano l'apprezzamento delle risultanze, l'ordinanza impugnata supera detto vaglio attraverso una ricostruzione, approfondita e immune da censure, delle ragioni del suo convincimento. La circostanza che Sp.Ma. abbia lasciato la casa familiare, anziché escludere il pericolo di reiterazione del delitto di maltrattamenti, è stata ritenuta correttamente un fattore di rischio "soprattutto in occasione delle visite del padre alla bambina" che il Tribunale civile, in sede di separazione consensuale, ha consentito in presenza purché sia presente la madre, ovverosia proprio la vittima a cui tutela è stata posta la misura cautelare. Il provvedimento impugnato ha fondato l'attualità del pericolo sul fatto che nonostante l'indagato, tossicodipendente, con precedenti e carichi pendenti per il medesimo delitto ai danni della stessa donna, estorsione e lesioni, fosse stato riaccolto dalla moglie dopo la denuncia per maltrattamenti del 2020, fidandosi dell'avvenuto percorso presso una comunità e delle sue promesse, al contrario, aveva ripreso le violenze anche nei confronti della bambina che veniva spesso picchiata, come comprovato dall'episodio videoregistrato che la mostrava scaraventata a terra da un forte schiaffo del padre. 3. Le conclusioni cui è pervenuto il Tribunale di Lecce nel ritenere che la separazione coniugale abbia aggravato le esigenze cautelari non solo rispetto alla donna, ma anche alla figlia della coppia, in costanza del diritto di visita del ricorrente, trovano conforto nei principi stabiliti da questa Corte, secondo una lettura convenzionalmente orientata delle norme in materia di violenza domestica anche alla luce della giurisprudenza della Corte EDU. 3.1. È stato evidenziato, nel caso di specie, che la violenza domestica è continuata e si è aggravata proprio dopo la separazione coniugale che, stante la natura discriminatoria del reato, rappresenta un atto di affermazione dell'autonomia e della libertà della donna, negate nella relazione di coppia dall'uomo maltrattante (Sez. 6, n. 46797 del 18/10/2023, T., Rv. 285542; Sez. 6, n. 23322 del 06/04/2023, C., non mass.). Si tratta di un dato, di comune esperienza, fatto proprio dalle Convenzioni internazionali (in questi termini v. il par. 42 della Relazione esplicativa della Convenzione di Istanbul, Convenzione del Consiglio d'Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica dell'11 maggio 2011, ratificata con la legge 27 giugno 2013, n. 77), ulteriormente avvalorato anche dalle sentenze di condanna pronunciate dalla Corte EDU nei confronti dell'Italia lì dove hanno rilevato che la separazione tra coniugi, intesa come scelta della donna di liberarsi dalle violenze subite, avesse aggravato quelle già presenti nella relazione maltrattante (Talpis contro Italia, 2 marzo 2017; Landi c. Italia, 7 aprile 2022; De Giorgi c. Italia, 16 giugno 2022; M.S. c. Italia, 7 luglio 2022; I.M. e altri c. Italia, 10 novembre 2022). Ciò vale soprattutto se si condivide un rapporto genitoriale, poiché, in situazioni di pregressa violenza domestica, sono proprio i figli a costituire per l'agente l'occasione o lo strumento per proseguire i maltrattamenti ai danni della persona offesa (Sez. 6, n. 9187 del 15/09/2022, dep. 2023, C., non mass.). 3.2. In ordine alle violenze che sarebbero state esercitate da Sp.Ma. sulla figlia minorenne - sia direttamente che per avere assistito a quelle nei confronti della madre - e sul concreto pericolo che il suo diritto di visita costituisca un'occasione per reiterarle, il ricorso si limita a generiche rappresentazioni dell'affetto paterno e della frequentazione sia di un Centro per uomini autori di violenze che del Sert - di cui non è stata fornita documentazione dell'esito -, anche con richiamo ad una relazione dei servizi sociali, successiva ai fatti, che si sarebbero espressi favorevolmente "alla continuità degli incontri con il padre". Il Tribunale, nel ritenere "l'assoluta necessità di vietare qualsiasi forma di avvicinamento, allo stato legittimato dal diritto di visita disposto in sede di separazione consensuale" (pur senza braccialetto elettronico e con una distanza di soli 200 metri) ha operato un doveroso bilanciamento tra il diritto di visita del padre, stabilito in sede civile, e le esigenze di tutela della minorenne, che ne è stata vittima - sia diretta che come testimone di quelle praticate ai danni della madre (art. 572, ultimo comma, cod. pen.) -, ritenendo queste ultime prevalenti. 3.3. La conclusione cui è pervenuto il Tribunale del riesame, oltre a garantire che la persona offesa non venga posta in pericolo proprio dalla stessa Autorità giudiziaria, atteso che il Tribunale civile ha disposto che il diritto di visita del ricorrente avvenga obbligatoriamente alla presenza della moglie che ha dichiarato di essere vittima delle sue violenze, trova conforto, ancora una volta, nel principio, immanente all'ordinamento interno (artt. 2 e 30 Cost.) ed internazionale, del best interest of the child. Questo non solo è sancito dalla CEDU (artt. 3 e 8), ma soprattutto dalla Convenzione sui diritti dell'infanzia e dell'adolescenza (approvata dall'Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 20 novembre 1989 e ratificata dall'Italia con legge 27 maggio 1991, n. 176), il cui art. 3, paragrafo 1, stabilisce che "In tutte le decisioni relative ai fanciulli, di competenza delle istituzioni pubbliche o private di assistenza sociale, dei tribunali, delle autorità amministrative o degli organi legislativi, l'interesse superiore del fanciullo deve essere una considerazione preminente", e dalla richiamata Convenzione di Istanbul (artt. 26 e 48), soprattutto con riguardo all'art. 31, secondo cui, nei provvedimenti afferenti ai minori, devono essere prese in considerazione le eventuali pregresse azioni violente ad opera del genitore maltrattante (non solo nei casi di violenza diretta sui minori o da essi assistita, ma anche nei casi in cui la condotta violenta sia perpetrata esclusivamente in danno dell'altro genitore) e all'art. 51, che dispone che tutte le autorità - tra cui rientrano ovviamente i giudici civili in sede di separazione e divorzio - operino una corretta valutazione del rischio di reiterazione dei comportamenti violenti, per garantire sicurezza alle vittime di violenza domestica. Il diritto del minorenne a non subire pregiudizi, fatto proprio dall'ordinamento interno, penale e civile, è stato ulteriormente ribadito e rafforzato, proprio in fase di separazioni e divorzi, dalla c.d. riforma Cartabia (il D.Lgs. 10 ottobre 2022, n. 149 ha infatti previsto una Sezione del codice di procedura civile interamente dedicata alla "violenza domestica o di genere" ex artt. 473-bis, 40-46 cod. proc. civ.) sul presupposto che la sua tutela deve considerarsi sempre preminente rispetto ad interessi diversi od opposti, quali quelli del genitore che ha esercitato violenza (v., in tal senso, Corte EDU, I.M. e altri c. Italia, 10 novembre 2022, par. 111, ove si afferma che "Per quanto riguarda i minori, che sono particolarmente vulnerabili, le disposizioni stabilite dallo Stato per proteggerli da atti di violenza che rientrano nell'ambito di applicazione degli articoli 3 e 8 devono essere efficaci ed includere misure ragionevoli per prevenire i maltrattamenti di cui le autorità erano o avrebbero dovuto essere a conoscenza, nonché un efficace prevenzione per proteggere i minori da tali gravi forme di lesioni personali"). 5. Alla stregua di tali rilievi il ricorso deve essere dichiarato inammissibile e il ricorrente va condannato, ai sensi dell'art. 616 cod. proc. pen., al pagamento delle spese del procedimento e al versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende che si stima equo fissare nella misura indicata in dispositivo. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all'art. 28 Reg. esec. cod. proc. pen. Così deciso in Roma, il 12 marzo 2024. Depositato in Cancelleria il 20 maggio 2024.
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