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Maltrattamenti in famiglia: l'aggravante di aver commesso il fatto in presenza di persona con disabilità non richiede riconoscimento dello stato di handicap

Maltrattamenti

Cassazione penale , sez. VI , 27/02/2024 , n. 11724

In tema di maltrattamenti contro familiari e conviventi, la configurabilità dell'aggravante di aver commesso il fatto in presenza o in danno di persona con disabilità non postula il previo formale riconoscimento dello stato di handicap secondo le procedure della l. 5 febbraio 1992, n. 104 , essendo sufficiente l'accertamento in sede penale, in base agli indici fattuali disponibili, dell'esistenza di minorazioni fisiche o psichiche incidenti sulle relazioni sociali della persona, tali da determinare uno svantaggio sociale o la sua emarginazione.

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La sentenza integrale

RITENUTO IN FATTO 1. Con la sentenza in epigrafe la Corte di appello di Torino, a seguito di gravame interposto dall'imputato Di.Ge.avverso la sentenza emessa in data 29 giugno 2022 dal Giudice per le indagini preliminari del locale Tribunale, in parziale riforma della decisione, riqualificata la recidiva come reiterata infraquiquennale, ha rideterminato la pena inflitta all'imputato dichiarato responsabile del reato di cui all'art. 572, comma 1 e 2, cod. pen. ai danni delle due figlie conviventi. 2. Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione l'imputato che con atto del difensore deduce: 2.1. Con il primo motivo erronea applicazione dell'art. 572 cod. pen. e vizio cumulativo della motivazione in relazione alla affermazione di responsabilità e in ordine all'elemento psicologico del reato con riferimento all'omessa considerazione della deduzione difensiva in appello in ordine alla reciprocità delle offese tale da escludere il delitto di maltrattamenti. 2.2. Con il secondo motivo erronea applicazione dell'art. 572, comma 2, cod. pen. e vizio cumulativo della motivazione non essendo sufficiente, ai fini della aggravante di aver commesso il fatto in danno di persona con disabilità ai sensi dell'art. 3 I. n. 104/92, la generica invalidità civile di cui alla legge n. 118/71 alla prima non assimilabile, essendo la figlia maggiore Erika Rita riconosciuta invalida civile e non portatrice di handicap ex art. 3 I. n. 104/92. 2.3. Con il terzo motivo erronea applicazione dell'art. 99, comma 4, cod. pen. e contraddittorietà della motivazione, essendo il Di Lorenzo, alla data di commissione del fatto, gravato da un solo precedente penale e, pertanto, non essendo recidivo. 2.4. Con il quarto motivo mancanza della motivazione in relazione alla determinazione della pena base decisamente eccessiva e all'aumento operato a titolo di continuazione del tutto privo di motivazione. 3. Disposta la trattazione scritta del procedimento, ai sensi dell'art. 23, comma 8, del d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, conv. dalla I. 18 dicembre 2020, e succ. modd., in mancanza di richiesta nei termini ivi previsti di discussione orale, il Procuratore generale e la difesa delle parti civili hanno depositato conclusioni scritte, come in epigrafe indicate. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso è complessivamente infondato e deve essere rigettato. 2. Il primo motivo è inammissibile in quanto costituisce generica censura in fatto alla ineccepibile affermazione di responsabilità in ordine alla sussistenza dell'elemento psicologico del reato di maltrattamenti fondata sulla consapevolezza da parte del ricorrente di persistere in un'attività vessatoria ai danni delle figlie consistita in violenze fisiche e in una sistematica e pesante condotta ingiuriosa e minacciosa, spesso trovandosi in stato di ubriachezza, condotta espressa anche fisicamente, lanciando e rompendo oggetti di casa, la cui valenza - del tutto correttamente - non è considerata elisa dal tentativo di risposta delle persone offese per salvarsi, in conformità al condiviso orientamento secondo il quale, in tema di maltrattamenti in famiglia, lo stato di inferiorità psicologica della vittima non deve necessariamente tradursi in una situazione di completo abbattimento, ma può consistere anche in un avvilimento generale conseguente alle vessazioni patite, non escludendo sporadiche reazioni vitali ed aggressive della vittima la sussistenza di uno stato di soggezione a fronte di soprusi abituali (Sez. 3, n. 46043 del 20/03/2018, Rv. 274519), in quanto il reato non è escluso per effetto della maggiore capacità di resistenza dimostrata dalla persona offesa, non essendo elemento costitutivo della fattispecie incriminatrice la riduzione della vittima a succube dell'agente (Sez. 6, n. 809 del 17/10/2022, dep. 2023, P., Rv. 284107). 3. Il secondo motivo è infondato. Ritiene questa Corte che la sentenza ha correttamente rigettato la pertinente analoga deduzione sulla aggravante ritenendo che il verbale di accertamento della invalidità della figlia Erika era sufficiente a riconoscere l'aggravante medesima, riguardando i passi successivi i diversi benefici che la legge n. 104/92 riserva ai portatori di handicap. Invero, l'aggravante di cui all'art. 572, comma 2, cod. pen. riguardante «persona con disabilità come definita ai sensi dell'art. 3 dellq legge 5 febbraio 1992, n. 104» non richiede per la sua sussistenza il previo formale riconoscimento dello stato di handicap secondo le procedure della predetta legge, rinviando alla sola definizione della condizione personale. Secondo la disposizione richiamata «È persona handicappata colui che presenta una minorazione fisica, psichica o sensoriale, stabilizzata o progressiva, che è causa di difficoltà di apprendimento, di relazione o dì integrazione lavorativa e tale da determinare un processo di svantaggio sociale o di emarginazione». Pertanto, a prescindere dall'adozione del procedimento amministrativo, l'inquadramento della persona offesa quale soggetto disabile ben potrà essere conseguente all'accertamento in sede penale in base agli indici fattuali disponibili, che giustifichi la esistenza di minorazioni fisiche e psichiche incidenti sulle relazioni sociali della persona tali da determinare uno svantaggio sociale o la sua emarginazione. Pertanto, correttamente la sentenza ha ritenuto la parte offesa rientrante tra le persone soggette ad handicap in quanto affetta da disturbo depressivo cronico, disturbo di personalità NAS e sindrome delle gambe senza riposo (RNS) tanto da essere riconosciuta invalida al 67%, non avendo rilievo la mancanza di provvidenze di cui alla legge n. 104/1992. 4. Il terzo motivo è infondato. Al ricorrente è stata riconosciuta la recidiva reiterata infraquiquennale -ritenuta equivalente, insieme alla aggravante ex art. 572, comma 2, cod pen., alle attenuanti generiche -, escludendosi quella reiterata specifica e infraquiquennale originariamente considerata in quanto, secondo la Corte di appello, la sentenza di cui al capo 2 del certificato era passata in giudicato il 20.11.2021 "mentre il reato di maltrattamenti avrebbe avuto inizio nel 2020". Tuttavia deve essere, in via assorbente, osservato che la Corte di merito -diversamente dalla corretta valutazione del primo giudice - ha inopinatamente considerato, al fine di escludere la sentenza di cui al capo 2 del certificato penale ai fini della qualificazione della recidiva, la data di inizio della condotta criminosa e non quella della sua cessazione alla data del 31.12.2021 che designava la rilevanza della sentenza per armi e lesioni di cui al capo 2 del certificato penale in quanto passata in giudicato in data antecedente alla cessazione della condotta incriminata, per cui del tutto correttamente era stata ritenuta la recidiva reiterata specifica infraquiquennale. 5. Il quarto motivo è inammissibile. Quanto alla determinazione della pena base, la censura del suo discostamento dal minimo edittale è manifestamente infondata, essendo la pena base individuata nel minimo edittale. Quanto all'incremento operato a titolo di continuazione in ragione della commissione del fatto anche ai danni della seconda figlia Federica Deianira, la censura è del tutto generica rispetto alle ragioni sottese alla determinazione della pena (v. pg. 5 della sentenza) e alla molto limitata entità dello stesso incremento. 6. Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile ammessa al patrocinio a spese dello Stato, nella misura che sarà liquidata dalla Corte di appello di Torino con separato decreto di pagamento ai sensi degli artt. 82 e 83 D.P.R. n. 115/2002, disponendo il pagamento in favore dello Stato. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Condanna, inoltre, il ricorrente alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile ammessa al patrocinio a spese dello Stato, nella misura che sarà liquidata dalla Corte di appello di Torino con separato decreto di pagamento ai sensi degli artt. 82 e 83 D.P.R. n. 115/2002, disponendo il pagamento in favore dello Stato. Così deciso il 27 febbraio 2024. Depositato in Cancelleria il 20 marzo 2024.
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