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Misure di prevenzione patrimoniali e revocazione: Le Sezioni Unite chiariscono la nozione di nuova prova
Cassazione penale sez. un., 26/05/2022, (ud. 26/05/2022, dep. 17/11/2022), n.43668 (Lo Duca)
In tema di confisca di prevenzione, la prova nuova, rilevante ai fini della revocazione della misura ai sensi dell'art. 28 del D.Lgs. n. 6 settembre 2011, n. 159, è sia quella sopravvenuta alla conclusione del procedimento di prevenzione, essendosi formata dopo di esso, sia quella preesistente ma incolpevolmente scoperta dopo che la misura è divenuta definitiva; non lo e', invece, quella deducibile e non dedotta nell'ambito del suddetto procedimento, salvo che l'interessato dimostri l'impossibilità di tempestiva deduzione per forza maggiore.
Norme di riferimento
La sentenza integrale
RITENUTO IN FATTO
1. Con ordinanza del 30 marzo 2021 la Corte di appello di Caltanissetta ha rigettato l'istanza di revocazione della misura di prevenzione patrimoniale della confisca dei beni, disposta nei confronti del proposto L.D.G. e di G.R. con decreto della Corte di appello di Palermo del 26 ottobre 2018, divenuto irrevocabile il 9 maggio 2019.
1.1. L'istanza di revocazione della confisca era stata presentata nell'interesse di L.D.G., G.R. e L.D.S. ai sensi del D.Lgs. n.159 DEL 6 settembre 2011, art. 28, in relazione ad un fabbricato catastalmente identificato con la particella 1968, sub 1, sulla base di un duplice assunto: a) il Tribunale e la Corte di appello avevano erroneamente ritenuto che la parte prevalente delle opere di edificazione fosse intervenuta in epoca coincidente con quella della pericolosità sociale del proposto, individuata a partire dagli anni 2007-2008; b) nelle decisioni di merito si era affermato, diversamente da quanto in realtà accaduto, che fino al 2006 era stata realizzata solo la struttura portante dell'immobile, mentre il completamento che lo aveva reso abitabile era temporalmente collocabile in epoca successiva.
Al fine di dimostrare l'errore nella delimitazione temporale dell'attività di realizzazione dell'opera veniva allegata alla richiesta una produzione documentale basata su elementi di novità rappresentati da due aerofotogrammetrie, rispettivamente risalenti alle date del 20 agosto 2006 e del 30 maggio 2008, e da una consulenza tecnica di parte. Da tali documenti avrebbe dovuto desumersi, ad avviso degli istanti, che l'immobile sopra indicato, originariamente consistente in un magazzino, era stato trasformato ad uso residenziale mediante lavori di ristrutturazione ed ampliamento intervenuti tra il 1997 e il 2000, mentre nell'epoca ricompresa tra il 2000 ed il 2002 vi era stato realizzato un portico con un tetto a falde in struttura lignea, poggiato su pilastri in tufo "faccia a vista".
1.2. Nel rigettare l'istanza di revocazione, la Corte di appello ha escluso la ricorrenza dell'ipotesi prevista dall'art. 28, comma 1, lett. a), D.Lgs. cit., che contempla il caso della scoperta di prove nuove decisive, sopravvenute alla conclusione del procedimento, affermando che la consulenza tecnica espletata sulla base delle due aerofotogrammetrie non poteva essere ritenuta una prova nuova nei termini indicati dalla richiamata disposizione normativa, perché essa ben avrebbe potuto essere richiesta nell'ambito del relativo giudizio.
Nel rilevare che uno dei motivi di appello dedotti nel procedimento di prevenzione aveva avuto ad oggetto proprio la questione relativa alla retrodatazione delle edificazioni ad un periodo antecedente il 2009, l'ordinanza impugnata ha richiamato, ritenendolo pacifico, un orientamento giurisprudenziale secondo cui la prova nuova non è quella deducibile, ma per qualsiasi motivo non dedotta, nell'ambito del procedimento di prevenzione, affermando, sotto tale profilo, che non è possibile evocare un qualsiasi elemento favorevole e trasformare, in tal modo, un rimedio straordinario in una non consentita forma di impugnazione tardiva.
Al riguardo, in particolare, la Corte di appello ha posto in rilievo gli argomenti di seguito indicati: a) la prova nuova, anche se preesistente, è solo quella scoperta dopo che la misura è divenuta definitiva, o quella sopravvenuta rispetto alla conclusione del procedimento; b) l'istituto di cui all'art. 28 D.Lgs. cit. va assimilato a quello della revocazione di cui all'art. 395 c.p.c. e non a quello della revisione di cui all'art. 630 c.p.p.; c) quest'ultima disposizione va richiamata solo quanto alle forme che disciplinano il procedimento, poiché il legislatore non ha rinunciato a formulare una casistica autonoma delle ipotesi nelle quali può essere chiesta la revocazione della confisca; d) la necessità della scoperta successiva non implica una mera pregressa dimenticanza, dovendosi scoraggiare i comportamenti negligenti o tattici dell'interessato, laddove solo la forza maggiore potrebbe consentire di attribuire rilievo all'elemento di prova deducibile, ma non dedotto.
2. Avverso la richiamata ordinanza della Corte di appello di Caltanissetta è stato proposto ricorso per cassazione nell'interesse di L.D.G., G.R. e L.D.S., deducendo un unico motivo incentrato sulla violazione dell'art. 28, comma 1, lett. a), D.Lgs. cit.
Nel richiamare il contenuto della richiesta di revocazione, i ricorrenti censurano la soluzione interpretativa seguita dalla Corte territoriale, secondo cui, nonostante la genesi della revocazione della confisca risulti evidentemente derivata dall'istituto della revisione, gli interessi tutelati dalla prima sarebbero di diversa natura e presupporrebbero spazi di deduzione probatoria più stringenti rispetto alla seconda, al punto da escludere le prove deducibili, ma non dedotte nel giudizio.
Siffatta interpretazione della richiamata disposizione normativa, eccessivamente ancorata al dato letterale ed immotivatamente volta a negare rilevanza alle prove preesistenti, ma non dedotte, comporterebbe un ingiustificato sacrificio del diritto di proprietà, specie a fronte della decisività della prova allegata a sostegno dell'istanza di revocazione.
3. Con ordinanza n. 4292 del 22 novembre 2021, depositata il 7 febbraio 2022, la Quinta Sezione Penale ha rimesso il ricorso alle Sezioni Unite, prospettando l'esistenza di un contrasto di giurisprudenza.
3.1. Nel richiamare le divergenti posizioni espresse dalla giurisprudenza di legittimità in ordine all'ambito di applicazione dell'art. 28, comma 1, lett. a), D.Lgs. cit., l'ordinanza di rimessione ha preliminarmente posto in rilievo come tale disposizione abbia costituito una novità rispetto al previgente assetto normativo, poiché la L. n. 1423 del 27 dicembre 1956, non conteneva alcuna previsione in ordine all'ipotesi delle sopravvenienze probatorie rispetto al giudicato di prevenzione.
Una volta introdotta nel sistema la disposizione di cui all'art. 28 D.Lgs. cit., si sono formati due diversi orientamenti giurisprudenziali riguardo al profilo di novità della prova.
3.2. Alcune pronunce hanno seguito un'interpretazione restrittiva del concetto di "novità", qualificando come "nuove", e dunque rilevanti ai fini della revoca della confisca, solo le prove sopravvenute alla conclusione del procedimento di prevenzione, con l'esclusione di quelle ivi deducibili ma, per qualsiasi motivo, non dedotte (Sez. 2, n. 28305 del 25/06/2021, Bellinvia, Rv. 281803; Sez. 2, n. 28941 del 24/09/2020, Morgante, Rv. 279809; Sez. 6, n. 26341 del 09/05/2019, De Virgilio, Rv. 276075; Sez. 5, n. 3031 del 30/11/2018, Lagaren, Rv. 272104; Sez. 5, n. 28628 del 24/03/2017, Di Giorgio, Rv. 270238; Sez. 6, n. 44609 del 6/10/2015, Alvaro, Rv. 265081; Sez. 2, n. 11818 del 07/12/2012, Ercolano, Rv. 255530).
3.3. Un diverso orientamento ha mostrato invece maggiore apertura al concetto di novità della prova, ricollegandovi anche quella preesistente, ma non valutata neanche implicitamente, poiché scoperta dopo che la statuizione sulla confisca è divenuta definitiva (Sez. 1, n. 10343 del 05/11/2020, dep. 2021, Venuti, Rv. 280856; Sez. 5, n. 148 del 04/11/2015, Baratta, Rv. 265922).
3.4. Sulla base di tali considerazioni, la Quinta Sezione penale ha rimesso il ricorso alle Sezioni Unite per stabilire se, in tema di revocazione della confisca disposta ai sensi del D.Lgs. n. 159 del 6 settembre 2011 art. 28, debbano includersi nelle "prove nuove" decisive sopravvenute alla conclusione del procedimento anche le prove preesistenti che, sebbene deducibili nel giudizio, non siano però state dedotte e perciò valutate, in conformità alla nozione di prova nuova elaborata ai fini della revisione nel procedimento penale.
4. Il Presidente aggiunto, con decreto del 10 febbraio 2022, ha assegnato il ricorso alle Sezioni Unite e ne ha disposto la trattazione all'odierna camera di consiglio.
5. Nella sua requisitoria il Procuratore generale ha osservato che la revocazione della confisca di prevenzione, seppure storicamente riconducibile al rimedio della revisione della sentenza penale di condanna e "plasmata" su tale modello, non può, a seguito dell'introduzione del nuovo statuto delle misure di prevenzione, ritenersi "sovrapponibile", quanto all'ampiezza dei mezzi deducibili, a quell'istituto.
La revisione, infatti, diversamente dalla revocazione della confisca, è esperibile in ogni tempo e la relativa richiesta può essere fondata sulla deduzione di prove che, pur accessibili e dunque sottoponibili alla valutazione del giudice nel procedimento ordinario, abbiano assunto consistenza soltanto dopo la sua conclusione.
Deve escludersi, di contro, che nell'ambito del rimedio previsto dall'art. 28 D.Lgs. cit. sia possibile "riaprire la sequenza procedimentale sfociata nell'emissione di decreto di confisca definitivo in ragione dell'allegazione di prove che il proposto ed i terzi interessati avrebbero potuto e dovuto allegare tempestivamente. Le nuove prove che rendono ammissibile il rimedio straordinario sono quelle che non era stato possibile dedurre nel procedimento, perché riguardanti fatti decisivi e mezzi per dimostrarli all'epoca ignoti, e non anche quelle che, pur accessibili e dunque sottoponibili alla valutazione del giudice nel procedimento, abbiano assunto consistenza dopo la sua conclusione anche semplicemente con l'esperimento delle corrispondenti iniziative difensive" (Sez. 1, n. 1649 del 28/09/2021, Esposto, Rv. 282485).
Il Procuratore generale, in definitiva, ha concluso nel senso che al quesito di diritto formulato dall'ordinanza di rimessione debba darsi risposta negativa, con la conseguente declaratoria di inammissibilità dei ricorsi.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. La questione di diritto sottoposta all'esame delle Sezioni Unite è riassumibile nei termini di seguito indicati: "Se, ai fini della revocazione della confisca ai sensi del D.Lgs. n. 159 del 2011 art. 28, nella nozione di "prove nuove decisive, sopravvenute alla conclusione del procedimento" debbano includersi, o meno, anche le prove preesistenti alla definizione del giudizio che, sebbene deducibili in tale sede, non siano però state dedotte, e perciò valutate, in conformità alla nozione di prova nuova come elaborata ai fini della revisione nel procedimento penale".
2. Sul tema oggetto della questione rimessa alle Sezioni Unite si registrano due diversi orientamenti giurisprudenziali.
L'interpretazione dell'ambito di applicazione dell'istituto della revocazione della confisca, previsto dall'art. 28 D.Lgs. cit., è oggetto di un contrasto progressivamente formatosi in relazione alla definizione del concetto di "novità" della prova.
Il punto nodale della divaricazione ermeneutica è individuabile, in particolare, nella corretta delimitazione delle ipotesi in cui una prova che si intende dedurre dopo la conclusione del procedimento possa ritenersi "sopravvenuta" e "nuova", così da legittimare la revocazione della confisca di prevenzione.
2.1. Al riguardo è opportuno premettere che il previgente assetto normativo delle misure di prevenzione patrimoniali non contemplava il caso della sopravvenienza di elementi di prova decisivi, idonei ad infirmare il giudicato di prevenzione.
Prima dell'entrata in vigore del codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione (D.Lgs. n.159 del 6 settembre 2011), l'unico modello normativo di rilievo al fine qui considerato poteva rinvenirsi, infatti, nel disposto di cui alla L. n. 1423 del 27 dicembre 1956, art. 7, comma 2, che disciplinava l'istituto della revoca della misura di prevenzione personale, ancorché definitiva, nell'ipotesi di cessazione della causa che l'aveva determinata.
A fronte di tale lacuna del sistema, che la giurisprudenza tentava di colmare attraverso l'applicazione delle disposizioni di cui agli artt. 629 ss. c.p.p., le Sezioni Unite affermarono che all'istituto della revisione, così come previsto dal codice di rito, non poteva farsi ricorso per via analogica riguardo ai provvedimenti applicativi di misure di prevenzione personali adottati ai sensi della richiamata L. n. 1423 del 1956, in quanto l'interesse tutelato da quel mezzo straordinario di impugnazione poteva essere soddisfatto - se finalizzato al riconoscimento dell'insussistenza originaria delle condizioni legittimanti l'adozione del provvedimento di applicazione della misura di prevenzione - attraverso l'utilizzo della revoca prevista dall'art. 7, comma 2, legge cit. (Sez. U, n. 18 del 10/10/1997, dep. 1998, Pisco, Rv. 210041).
Tale conclusione veniva ritenuta costituzionalmente obbligata, ai sensi dell'art. 24, comma 3, Cost., per assicurare, attraverso l'istituto della revoca in funzione di revisione, un rimedio straordinario di impugnazione teso a riparare all'errore giudiziario.
Nell'impostazione delineata dalla Sezioni Unite Pisco emergevano, in particolare, due direttrici argomentative utilizzate al fine di legittimare l'attivazione dell'istanza di revoca: la novità degli elementi prospettati a sostegno della richiesta e, qualora fosse stato invocato il difetto genetico dei presupposti applicativi della misura di prevenzione personale, la non necessità che quegli elementi si riferissero ad eventi sopravvenuti alla sua adozione, purché si trattasse, in ogni caso, di circostanze non valutate nel corso del relativo giudizio.
Nel solco così tracciato si è in seguito posta un'altra decisione delle Sezioni Unite (Sez. U, n. 57 del 19/12/2006, dep. 2007, Auddino, Rv. 234955), la cui base argomentativa, sempre nella prospettiva di colmare la lacuna normativa derivante dall'assenza, nel sistema delle misure di prevenzione, di una impugnazione straordinaria corrispondente a quella della revisione del giudicato penale, ha ulteriormente ampliato gli effetti della richiamata linea interpretativa anche nel settore delle misure di prevenzione patrimoniali, sottolineando che, in caso contrario, sarebbe perdurata nel sistema una inaccettabile carenza di strumenti normativi in grado di dare attuazione al disposto di cui all'art. 24, comma 3, Cost., là dove si impone di determinare con la legge le condizioni e i modi per la riparazione degli errori giudiziari.
L'irreversibilità dell'ablazione, infatti, non esclude, secondo tale decisione, la possibilità della restituzione del bene confiscato in favore dell'avente diritto, ovvero la previsione di una eventuale forma riparatoria della perdita patrimoniale ingiustificatamente subita.
2.2. Tanto premesso, secondo un primo orientamento giurisprudenziale, essenzialmente formatosi, sulla scia delle richiamate sentenze Pisco e Auddino, in relazione all'originario modello processuale di riferimento delineato nell'art. 7, comma 2, legge cit., la revoca della confisca di prevenzione per difetto genetico dei suoi presupposti di adozione può disporsi in presenza di "elementi nuovi", non necessariamente sopravvenuti, purché mai valutati nel corso del relativo procedimento, stante il carattere di rimedio straordinario dell'istituto, che non può, di conseguenza, trasformarsi in un anomalo strumento di impugnazione (Sez. 5, n. 148 del 04/11/2015, Baratta, Rv. 265922).
Si colloca all'interno di tale indirizzo una serie di decisioni che, nell'affermare la sostanziale sovrapponibilità dell'istituto della revoca ex tunc a quello della revisione delle sentenze penali, fanno per lo più riferimento a casi di revoca in funzione di revisione della confisca per effetto della disposizione normativa di cui all'art. 7, comma 2, legge cit., in quanto ritenuta applicabile ratione temporis, e non a casi di revocazione della confisca successivamente prevista dall'art. 28 D.Lgs. cit. (Sez. 2, n. 41507 del 24/09/2013 Auddino, Rv. 257334; Sez. 2, n. 4312 del 13/01/2012, Penna, Rv. 251811).
Nello stesso senso si sono pronunciate altre decisioni (Sez. 6, n. 3943 del 15/01/2016, Bonanno, Rv. 267016; Sez. 2, n. 17335 del 27/03/2013, Perfetto; Sez. 1, n. 21369 del 14/05/2008, Provenzano, Rv. 240094), secondo cui la richiesta di rimozione del provvedimento definitivo deve muoversi nello stesso ambito della rivedibilità del giudicato di cui agli artt. 630 ss. c.p.p., postulando l'acquisizione di prove nuove sopravvenute alla conclusione del procedimento, che devono come tali individuarsi anche in quelle che, nemmeno implicitamente, siano state valutate.
Nella medesima prospettiva si è inoltre affermato, richiamando il principio stabilito da Sez. U, n. 624 del 26/09/2001, dep. 2002, Pisano, Rv. 220443, che in tema di confisca di prevenzione costituiscono prove nuove deducibili a fondamento sia della domanda di revoca ex tunc, ai sensi dell'art. 7 legge cit., sia della domanda di revocazione ai sensi dell'art. 28 D.Lgs. cit., elementi di prova preesistenti alla definizione del giudizio che, sebbene astrattamente deducibili in tale sede, non siano stati concretamente dedotti e perciò mai valutati (Sez. 1, 05/11/2020, n. 10343 Venuti, Rv. 280856).
Muovendo dalla premessa che la revocazione della confisca di cui all'art. 28 D.Lgs. cit. integra una disposizione tesa alla formalizzazione e al recepimento dell'operazione ermeneutica realizzata con riferimento all'art. 7 della legge previgente, la richiamata decisione afferma che entrambi gli istituti rappresentano la "proiezione", nello specifico settore delle misure di prevenzione, dell'istituto della revisione di cui agli artt. 629 ss. c.p.p., trattandosi di fattispecie finalizzate a rimediare, in via straordinaria, ad una sostanziale ingiustizia della decisione, secondo le modalità e le forme previste dalla legge.
Sulla base di tali argomentazioni, la sentenza Venuti osserva, in particolare, che è alla "prova nuova" elaborata ai fini della revisione nel procedimento penale che deve aversi riguardo nell'interpretazione di entrambe le citate disposizioni di legge, sottolineando che è "(...) nella conformazione giurisprudenziale dell'istituto "madre" della revisione delle sentenze - in ambito penale - che l'interprete è tenuto a rintracciare le linee ermeneutiche regolatrici dell'applicazione tanto della previsione di legge di cui alla L. n. 1423 del 1956 art. 7 che di quella del D.Lgs. n. 159 del 2011 art. 28, lì dove la disposizione legislativa si presti ad una "estrazione di significato" non del tutto univoca, come è sul terreno della richiesta di "novità" della prova posta a base della domanda di rivalutazione del giudicato (ex art. 630 c.p.p. comma 1 lett. c) e D.Lgs. n. 159 del 2011 art. 28 comma 1 lett. a)".
2.3. A tale orientamento estensivo se ne contrappone un altro, anch'esso formato da pronunce emesse in relazione a fattispecie disciplinate dalla previgente disposizione di cui all'art. 7 legge cit., che accoglie invece un'interpretazione restrittiva del concetto di "novità" della prova, qualificando come "nuove", e dunque rilevanti ai fini della revoca della misura di prevenzione della confisca, solo le prove sopravvenute alla conclusione del procedimento di prevenzione, escludendo quelle ivi deducibili ma, per qualsiasi motivo, non dedotte.
Secondo tale indirizzo interpretativo, l'istituto della revoca del provvedimento applicativo di misure di prevenzione con forza di giudicato costituisce una misura straordinaria, attivabile solo dinanzi all'emergere di una prova "nuova e sconosciuta" nel procedimento di prevenzione, tale da mutare radicalmente i termini della valutazione a suo tempo operata (Sez. 6, n. 44609 del 6/10/2015, Alvaro, Rv. 265081).
In particolare, si ritiene "nuova e sconosciuta" solo quella prova che, "nel quadro di un ponderato scrutinio degli elementi a suo tempo acquisiti", si presenta, sul piano sostanziale, come un fattore che determina "una decisiva incrinatura del corredo fattuale stesso sulla cui base era intervenuta la decisione" e che, sul piano processuale, risulta "sopravvenuta rispetto alla conclusione del procedimento di prevenzione".
Solo interpretando in questi termini il concetto di "novità" della prova, si afferma, l'istituto della revocazione del provvedimento di confisca affetto da invalidità genetica diviene lo strumento attraverso il quale rendere effettivo il diritto, costituzionalmente garantito, alla riparazione dell'errore giudiziario in cui è incorso il giudice nell'emanare un provvedimento ingiusto, evitando di trasformarsi in un mezzo attraverso il quale rivalutare elementi già considerati, oppure non valutati in quanto non dedotti, seppure deducibili nell'ambito del procedimento di prevenzione (Sez. 2, n. 11818 del 07/12/2012, Ercolano, Rv. 255530; Sez. 1, n. 20318 del 30/03/2010, Buda).
2.4. All'interno di tale orientamento restrittivo si collocano, inoltre, numerose decisioni che individuano la nozione di novità della prova - considerata rilevante sia fini della revoca ex tunc della misura, sia riguardo alla revocazione ex art. 28 D.Lgs. cit. - non solo in quella preesistente e scoperta dopo che la misura è divenuta definitiva, ma anche in quella sopravvenuta alla conclusione del procedimento di prevenzione, essendosi formata dopo di essa, con l'esclusione di quella deducibile e non dedotta nell'ambito del procedimento, a meno che - si precisa - non venga allegata dall'interessato l'impossibilità di tempestiva deduzione per la riscontrata sussistenza di ragioni di forza maggiore (Sez. 1, n. 1649 del 28/09/2021, dep. 2022, Esposto, Rv. 282485; Sez. 2, n. 28305 del 25/06/2021, Bellinvia, Rv. 281803; Sez. 6, n. 27689 del 18/05/2021, Mollica, Rv. 281692; Sez. 1, n. 12762 del 16/02/2021, Roberto, Rv. 280800; Sez. 5, n. 3031 del 30/11/2017, dep. 2018, Lagaren, Rv. 272104).
Si esclude, al riguardo, "(...) che chi (...) chieda la revoca (o, attualmente, la revocazione) possa colmare, a seguito di investigazioni difensive, l'insufficienza dell'apparato probatorio a discarico fornito nel procedimento esitato con l'applicazione della misura".
Entro tale prospettiva, in particolare, si è sottolineato (Sez. 5, n. 28628 del 24/03/2017, Di Giorgio, Rv. 270238) come l'art. 28 D.Lgs. cit., innovando il panorama normativo in precedenza disciplinato dall'art. 7, comma 2, legge cit., abbia avvicinato la revocazione della confisca di prevenzione all'istituto processual-civilistico della revocazione ex art. 395 c.p.c., in termini sia nominalistici che sostanziali.
Secondo la sentenza Di Giorgio, nel prevedere la revocazione della confisca "in caso di scoperta di prove nuove decisive, sopravvenute alla conclusione del procedimento", l'art. 28 D.Lgs. cit. ricalca quanto stabilito dall'art. 395 cit., là dove, nell'enunciare i casi di impugnazione per revocazione, quest'ultima disposizione prevede, nel comma 1, n. 3), l'ipotesi in cui "dopo la sentenza sono stati trovati uno o più documenti decisivi che la parte non aveva potuto produrre in giudizio per causa di forza maggiore".
Analogamente a quanto stabilito dall'art. 395 cit., inoltre, la richiamata disposizione di cui all'art. 28 evoca la necessità che la prova nuova, oltre che decisiva, sia "scoperta" successivamente all'adozione del provvedimento di confisca, implicando in tal modo "la incompatibilità di tale situazione con quella di un precedente atteggiamento meramente omissivo nella allegazione degli elementi", che l'interessato abbia assunto nel corso del procedimento conclusosi con il provvedimento di cui chiede la revocazione (in senso conforme Sez. 5, n. 32472 del 13/06/2019, Berardi, n. m.; Sez. 5, n. 18130 del 09/02/2018, Di Leo, n. m.).
Ne consegue, alla stregua di tale opzione esegetica, che potrà aversi la revocazione della confisca sia nel caso di prove decisive che, pur essendo preesistenti alla formazione del giudicato, siano state scoperte successivamente allo stesso, sia nel caso di prove scoperte dopo il passaggio in giudicato del provvedimento relativo alla confisca di prevenzione, perché effettivamente formatesi solo in seguito (Sez. 6, n. 31937 del 06/06/2019, Fiorani, Rv. 276472; Sez. 5, n. 28628 del 24/03/2017, Di Giorgio, cit.).
Sulla stessa linea interpretativa, inoltre, si sono poste decisioni che, nel rilevare l'affinità esistente fra l'istituto della revisione e quello della revocazione, ne hanno tuttavia sottolineato la diversa rilevanza nel contesto costituzionale, in relazione alla natura personale o patrimoniale degli interessi rispettivamente tutelati, affermando che per prova nuova deve intendersi anche quella preesistente e scoperta dopo che la misura della confisca è divenuta definitiva (Sez. 6, n. 27689 del 18 maggio 2021, Mollica, cit.; Sez. 6, n. 2190 del 29 ottobre 2020, dep. 2021, Notaro, Rv. 281143).
La prova nuova, rilevante ai fini della revocazione ex tunc, viene dunque individuata in quella sopravvenuta rispetto alla conclusione del procedimento e non anche in quella deducibile, ma, per qualsiasi motivo, non dedotta (Sez. 6, n. 26341 del 09/05/2019, De Virgilio, Rv. 276075), rimarcandosi, entro tale prospettiva, la differenza con il concetto di "novità" rilevante ai sensi dell'art. 630 c.p.p., comma 1, lett. c).
Nonostante l'espresso richiamo operato dall'art. 28 D.Lgs. cit. all'art. 630 c.p.p., si esclude infatti una possibile interferenza tra i due istituti in ragione del dato testuale emergente dall'art. 28, che prevede ipotesi tassative di "revisione della confisca" e richiede, quanto alla "scoperta di prove nuove decisive", che "siano sopravvenute alla conclusione del procedimento", laddove l'art. 630 cit., nel fare esplicito riferimento alle prove nuove non solo in termini di sopravvenienza, ma anche di scoperta, ammette esplicitamente quali prove nuove non solo quelle sopravvenute alla condanna, ma anche quelle ad essa preesistenti e conosciute in epoca successiva.
La conferma del carattere indefettibile della sopravvenienza della prova nel procedimento di prevenzione si ritiene evidente in forza della esplicita previsione, contenuta nell'art. 28, comma 3, D.Lgs. cit., di un termine di decadenza per la proposizione della richiesta di revisione, laddove l'attivazione del procedimento di revisione della condanna penale non è soggetta ad alcun limite temporale (Sez. 6, n. 26341 del 09/05/2019, De Virgilio, cit.).
La ratio di tale differente assetto normativo risiede, pertanto, nella diversità della natura e degli effetti del provvedimento definitivo oggetto dell'impugnazione, venendo in rilievo, nel caso della revisione della condanna, la tutela della libertà personale dal rischio di ingiuste compromissioni, e nel caso di revisione della confisca la tutela della proprietà privata, ossia di un bene che, seppure tutelato dall'art. 42 Cost., non assume la medesima rilevanza dell'altro, con la conseguente ragionevole diversificazione dei relativi modelli di disciplina.
Si collocano sostanzialmente all'interno della medesima impostazione ermeneutica anche altre decisioni (Sez. 2, 14 luglio 2020, n. 23928, Trupia, Rv. 279488; Sez. 2, n. 19414 del 12/03/2019, Ficara, Rv. 276063), secondo cui "prove nuove" sono non soltanto quelle sopravvenute alla conclusione del procedimento di prevenzione e non valutate dal giudice per essersi formate dopo l'applicazione della misura di prevenzione, ma anche quelle che, seppur preesistenti alla conclusione del procedimento di prevenzione, sono state scoperte dopo che il provvedimento di confisca è divenuto definitivo.
2.5. All'interno dell'orientamento restrittivo, dunque, emergono due distinte opzioni esegetiche, fondate sulla comune premessa logico-argomentativa secondo cui la forza di giudicato del provvedimento di confisca preclude la possibilità di rimettere in discussione, attraverso l'istituto della revocazione, atti od elementi già considerati nel procedimento stesso o comunque in esso deducibili e non dedotti, per poi seguire, in ordine alla individuazione della nozione di prova "nuova", prospettive tra loro non perfettamente collimanti: nel caso in cui il concetto di "novità" venga inteso in senso strettamente sostanziale, si intende per "prova nuova" solo quella che sopravviene alla statuizione di confisca e, come tale, viene scoperta successivamente al giudicato, perché dopo tale momento si è formata; nel caso in cui, diversamente, si attribuisca al concetto di "novità" un significato non solo sostanziale, ma anche conoscitivo, la prova nuova può individuarsi anche in quella preesistente alla statuizione definitiva della confisca, ma ad essa sopravvenuta perché solo successivamente scoperta dall'interessato.
3. Prima di esaminare le diverse implicazioni sottese alla risoluzione della questione oggetto del contrasto giurisprudenziale è opportuno volgere l'attenzione sulle caratteristiche del nuovo istituto previsto dall'art. 28 D.Lgs. cit.
3.1. La revocazione della decisione definitiva sulla confisca, munita di copertura sia a livello costituzionale (ex art. 24, comma 3, Cost.) che nelle fonti normative internazionali (ai sensi dell'art. 14, par. 6, del Patto internazionale sui diritti civili e politici - adottato dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite con Risoluzione 2200A (XXI) del 16 dicembre 1966 e ratificato nel nostro ordinamento a seguito della L. 25 ottobre 1977, n. 881 - e dell'art. 4, par. 2, Prot. 7CEDU, ratificato con L. 9 aprile 1990, n. 98), è stata espressamente introdotta nell'ordinamento a seguito dell'entrata in vigore del codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, emanato con il D.Lgs. n.159 del 6 settembre 2011.
Nell'intento del legislatore, la previsione del rimedio introdotto dall'art. 28 D.Lgs. cit. mirava a colmare un vuoto normativo all'origine di rilevanti problemi cui la giurisprudenza, come si è accennato, aveva tentato di porre rimedio in via interpretativa con le richiamate decisioni delle Sezioni Unite Pisco e Auddino.
Secondo la relazione illustrativa di commento al codice antimafia, la previsione di un rimedio ad hoc, delineato in tutti i suoi elementi distintivi (presupposti, ambito di operatività, soggetti legittimati, effetti e finalità), mirava a superare le incertezze legate alla sovrapposizione di strumenti di controllo che connotavano l'applicazione della previgente normativa: il sistema, infatti, consentiva la presentazione di una istanza di revoca in funzione di revisione della confisca da parte di coloro che avevano partecipato al procedimento di prevenzione e contemporaneamente permetteva ai terzi estranei, incisi dal provvedimento, di proporre incidente di esecuzione.
Evenienza procedimentale, questa, che rendeva particolarmente instabile il c.d. "giudicato di prevenzione", da un lato permettendo che i beni confiscati ritornassero, attraverso meccanismi di interposizioni ed intestazioni fittizie spesso difficilmente dimostrabili, nella disponibilità degli ablati, dall'altro lato rendendo impossibile, per i soggetti (nella maggior parte dei casi gli enti comunali) in favore dei quali erano stati destinati i beni confiscati, qualsiasi forma di investimento sui relativi compendi patrimoniali, in funzione del loro riutilizzo per finalità pubbliche o sociali.
Di qui, come posto in rilievo nella relazione illustrativa, l'esigenza di predisporre una disciplina che evitasse tali inconvenienti, bilanciando le opposte esigenze di tutelare gli interessati con la previsione delle necessarie garanzie e, al contempo, di consentire alla confisca di mantenere, dopo la sua "definitività", il connotato della "irreversibilità" degli effetti.
Il legislatore ha ritenuto di prevedere una disciplina unica, volta ad accomunare nella sua sfera applicativa sia i soggetti direttamente coinvolti nel procedimento di prevenzione, sia i terzi titolari di diritti sul bene, superando in tal modo "(...) il doppio binario "revoca/incidente di prevenzione"".
Entro tale prospettiva, dunque, la revocazione, come osservato dalla dottrina, si inserisce nel sistema delle misure di prevenzione assumendo i tratti di uno strumento che "mira a realizzare una non facile mediazione tra la tendenza autoconservativa del giudicato di prevenzione e la necessità di verificare l'errore giudiziario".
3.2. L'istituto viene comunemente fatto rientrare nella categoria dei mezzi straordinari di impugnazione, deponendo in tal senso, anzitutto, la sua collocazione normativa, posta all'interno del Capo III del Libro II del D.Lgs. n. 159 del 2011, ossia di un capo autonomo e distinto da quello che immediatamente lo precede, riservato alle impugnazioni ordinarie.
Per espressa indicazione del legislatore, inoltre, esso ha ad oggetto la "decisione definitiva sulla confisca di prevenzione" e mira alla riparazione di un errore giudiziario, tanto che la sua esperibilità è legata alla ricorrenza di un novum probatorio che, se palesato al momento del provvedimento impugnato, avrebbe condotto ad una decisione di segno inverso.
La revocazione, tuttavia, non si presenta come un'azione di annullamento, tipica dei rimedi straordinari, ma assume, come posto in rilievo dalla dottrina, un carattere "prevalentemente riparatorio/risarcitorio piuttosto che restitutorio".
L'art. 28, comma 4, D.Lgs. cit. stabilisce, infatti, che la corte di appello, in caso di accoglimento della richiesta di revocazione della confisca, "provvede, ove del caso, ai sensi dell'art. 46": disposizione, questa, che a sua volta disciplina la restituzione per equivalente, con la conseguenza che l'accoglimento della richiesta comporta per l'interessato il diritto alla corresponsione di una somma equivalente al valore del bene e non necessariamente la sua restituzione.
Al riguardo occorre verificare, in particolare, se sussistono in concreto le condizioni per una riparazione solo economica dell'errore giudiziario ovvero anche reale, tenuto conto dell'esigenza prioritaria di tutela dei soggetti (pubblici o privati) in favore dei quali sono stati destinati i beni confiscati, specie nell'ipotesi, espressamente prevista dall'art. 46, comma 1, D.Lgs. cit., in cui i beni medesimi "sono stati assegnati per finalità istituzionali o sociali, per fini di giustizia o di ordine pubblico o di protezione civile di cui alle lettere a), b) e c) dell'art. 48, comma 3, del presente decreto e la restituzione possa pregiudicare l'interesse pubblico".
3.3. Diversamente dalla revoca di cui all'art. 7 legge cit., concepita dal legislatore quale atto di ritiro del provvedimento ad opera dello stesso giudice che lo aveva emesso, la competenza a provvedere in merito alla revocazione della decisione definitiva sulla confisca è stata attribuita, nelle forme previste dagli artt. 630 ss. c.p.p., "in quanto compatibili", alla corte di appello individuata secondo i criteri di cui all'art. 11 c.p.p., ispirandosi l'istituto al generale modello di riferimento rappresentato dalla revisione della sentenza di condanna.
Nonostante l'imprecisa formulazione del richiamo operato dall'art. 28, comma 1, D.Lgs. cit. alle "forme previste dagli artt. 630 e seguenti del codice di procedura penale", deve ritenersi che il legislatore delegato abbia inteso riferirsi, con l'uso del plurale, al procedimento di revisione nel suo complesso, le cui prescrizioni formali - pur non specificamente richiamate - sono da osservare compatibilmente con le peculiarità del procedimento di prevenzione.
In linea con le direttive stabilite dalla L. 13 agosto 2010, n. 136, recante delega al Governo per l'emanazione di un codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, il legislatore delegato ha disciplinato il nuovo istituto prevedendo che la revocazione possa essere proposta al solo fine di dimostrare il difetto originario dei presupposti per l'applicazione della misura, in presenza di ipotesi specificamente e tassativamente individuate: a) la scoperta di prove nuove decisive, sopravvenute alla conclusione del procedimento; b) l'ipotesi in cui i fatti accertati con sentenze penali definitive, sopravvenute o conosciute in epoca successiva alla conclusione del procedimento di prevenzione, escludano in modo assoluto l'esistenza dei presupposti di applicazione della confisca; c) il caso in cui la decisione sulla confisca sia stata motivata, unicamente o in modo determinante, sulla base di atti riconosciuti falsi, di falsità verificatesi nel giudizio ovvero di un fatto previsto dalla legge come reato.
Osservati nel loro insieme, i casi di revocazione delineati nell'art. 28, comma 1, D.Lgs. cit. "(...) restituiscono una configurazione del presupposto della revocazione correlata all'accertamento di un difetto originario dei presupposti della confisca, sicché restano del tutto estranee all'ambito di operatività dell'istituto patologie diverse da quelle riconducibili al genus indicato, quali, ad esempio, quelle afferenti all'iter procedimentale che ha condotto all'adozione del provvedimento ablatorio." (Sez. U, n. 3513 del 16/12/2021, dep. 2022, Fiorentino, Rv. 282474).
La ricostruzione del rapporto fra i primi due commi della suddetta disposizione è stata operata da questa Corte attribuendo al comma 2 una "valenza integratrice" dei casi espressamente previsti nel primo, sulla base del rilievo che il legislatore vi ha delineato una "fattispecie aperta", per ricomprendervi "(...) ipotesi diverse da quelle - espressione di elementi fattuali - delineate dal comma 1, purché riconducibili al medesimo tipo, ossia a fattispecie dimostrative della carenza originaria dei presupposti della confisca (...)", ferma restando l'irrilevanza, ai fini dell'idoneità a legittimare il ricorso alla revocazione, di fattispecie non espressive di un difetto originario di tali presupposti (Sez. U, n. 3513 del 16/12/2021, dep. 2022, Fiorentino, cit.).
Una specifica condizione, a pena di inammissibilità della domanda, è stata espressamente prevista dal legislatore nell'art. 28, comma 3, D.Lgs. cit., con riferimento alla necessità di agire in revocazione entro il termine di sei mesi dalla data in cui si è verificata una delle condizioni indicate, ovvero in un termine maggiore, qualora l'interessato dimostri di non averne avuto conoscenza per causa a lui non imputabile.
Diversamente dalla revisione delle sentenze di condanna, che ai sensi dell'art. 629 c.p.p. è ammessa "in ogni tempo", l'istanza di revocazione della confisca è soggetta, pertanto, alla previsione di un termine di decadenza individuato nel decorso di un semestre dalla verificazione di una delle cause espressamente indicate nell'art. 28, comma 1, D.Lgs. cit., la cui mancata osservanza viene sanzionata con l'inammissibilità dell'istanza.
L'istituto della revocazione, infine, è applicabile soltanto alle confische la cui proposta sia stata presentata dopo l'entrata in vigore del codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, ossia dopo il 13 ottobre 2011, mentre per i provvedimenti di confisca anteriormente adottati continua ad applicarsi il previgente art. 7 legge cit., secondo cui la competenza per la revoca deve attribuirsi all'organo giudicante che ha provveduto alla loro deliberazione (Sez. 6, n. 17854 del 27/05/2020, Lunetto, Rv. 279283; Sez. 1, n. 2945 del 17/10/2013, dep. 2014, Pipitone, Rv. 258599).
Per le misure di prevenzione personali continua invece ad applicarsi, in base alla disposizione di cui all'art. 11, comma 2, D.Lgs. cit., l'istituto della revoca, cui provvede, con efficacia ex nunc ovvero ex tunc, a seconda delle evenienze rispettivamente legate alla sopravvenuta cessazione di pericolosità del prevenuto o all'accertamento della sua originaria insussistenza anche per motivi emersi dopo l'applicazione della misura, la stessa autorità giudiziaria che ha adottato il relativo provvedimento.
4. Pur a fronte delle similitudini che traspaiono dal raffronto con i presupposti giustificativi del rimedio revocatorio del giudicato penale, il mezzo di impugnazione straordinario disciplinato dall'art. 28 D.Lgs. cit. se ne distacca in misura sensibile in ragione delle diversità sostanziali, strutturali e finalistiche dell'oggetto, costituito dal provvedimento che applica in via definitiva una misura di prevenzione patrimoniale.
4.1. Alla funzione tipicamente sanzionatoria del modello di riferimento costituito dalle sentenze di condanna corrisponde, in relazione al diverso paradigma della confisca di prevenzione, "la specifica finalità di sottrarre il bene al circuito economico originario, recuperandolo anche presso gli aventi causa a titolo universale, in caso di morte del soggetto pericoloso", poiché, pur con il "definitivo sganciamento della misura di prevenzione patrimoniale dalla condizione di attualità della pericolosità sociale", il presupposto ineludibile per l'applicazione della misura patrimoniale "(...) continua ad essere la pericolosità del soggetto inciso, ossia la sua riconducibilità ad una delle categorie soggettive previste dalla normativa di settore ai fini dell'applicazione delle misure di prevenzione" (Sez. U, n. 4880 del 2014, dep. 2015, Spinelli, Rv. 262602).
Al riguardo, inoltre, questa Corte (Sez. U, n. 3513 del 16/12/2021, dep. 2022, Fiorentino, cit.) ha posto in rilievo le caratteristiche di "irriducibile differenza" tra le norme penali e quelle che disciplinano la confisca di prevenzione, richiamando sotto tale profilo la sentenza della Corte costituzionale n. 24 del 27 febbraio 2019. In tale decisione, infatti, si accosta sul piano finalistico la confisca di prevenzione alla "confisca allargata" di cui all'art. 240-bis c.p. e se ne evidenzia, al contempo, l'estraneità allo statuto costituzionale e convenzionale delle pene, sottolineando, anche alla luce delle argomentazioni svolte da questa Corte nella menzionata sentenza Spinelli, che l'ablazione costituisce non già una sanzione, quanto piuttosto la naturale conseguenza dell'illecita acquisizione dei beni che ne formano oggetto.
Le fonti della tutela costituzionale e convenzionale delle misure di prevenzione patrimoniale vanno infatti ricercate, rispettivamente, nelle disposizioni di cui agli artt. 41 e 42 Cost. e nell'art. 1 del Protocollo addizionale CEDU in tema di protezione della proprietà, sottoscritto a Parigi il 20 marzo 1952 e ratificato nel nostro ordinamento con la L. 4 agosto 1955, n. 848.
Entro tale prospettiva la Corte costituzionale ha affermato, con la richiamata decisione, che la finalità dell'ablazione patrimoniale ha carattere ripristinatorio della situazione che si sarebbe verificata in assenza dell'illecita acquisizione del bene, il quale potrà essere così sottratto al circuito criminale e destinato, quanto meno ove non sia possibile restituirlo ad un precedente titolare che ne fosse stato illegittimamente spogliato, a finalità di pubblico interesse, come quelle istituzionalmente perseguite dall'Agenzia nazionale dei beni confiscati.
Nella elaborazione giurisprudenziale della Corte EDU sono parimenti rinvenibili numerose decisioni che escludono la natura sostanzialmente penale della confisca di prevenzione e ne inquadrano l'incidenza limitatrice sul piano del diritto di proprietà (Corte EDU, 05/10/2010, Bongiorno e altri c. Italia; Corte EDU, 15/06/1999, Prisco c. Italia; Corte EDU, 22/02/1994, Raimondo c. Italia), qualificandola come un'azione civile in rem finalizzata al recupero di beni illegittimamente accumulati dal loro titolare, in considerazione della sua ratio "compensatoria e preventiva" (Corte EDU, 12/05/2015, Gogitidze e altri c. Georgia).
Pur non avendo natura penale, il sequestro e la confisca di prevenzione sono misure che, come affermato dalla Corte costituzionale nella richiamata sentenza n. 24 del 2019, incidono pesantemente sui diritti di proprietà e di iniziativa economica.
Per tale ragione esse devono, secondo il Giudice delle leggi, "(...) soggiacere al combinato disposto delle garanzie cui la Costituzione e la stessa CEDU subordinano la legittimità di qualsiasi restrizione ai diritti in questione, tra cui - segnatamente a) la sua previsione attraverso una legge (artt. 41 e 42 Cost.) che possa consentire ai propri destinatari, in conformità alla costante giurisprudenza della Corte EDU sui requisiti di qualità della "base legale" della restrizione, di prevedere la futura possibile applicazione di tali misure (art. 1 Prot. addiz. CEDU); b) l'essere la restrizione "necessaria" rispetto ai legittimi obiettivi perseguiti (art. 1 Prot. addiz. CEDU), e pertanto proporzionata rispetto a tali obiettivi, ciò che rappresenta un requisito di sistema anche nell'ordinamento costituzionale italiano per ogni misura della pubblica autorità che incide sui diritti dell'individuo, alla luce dell'art. 3 Cost.; nonché c) la necessità che la sua applicazione sia disposta in esito a un procedimento che - pur non dovendo necessariamente conformarsi ai principi che la Costituzione e il diritto convenzionale dettano specificamente per il processo penale - deve tuttavia rispettare i canoni generali di ogni "giusto" processo garantito dalla legge (artt. 111, primo, secondo e comma 6, Cost., e 6CEDU, nel suo "volet civil"), assicurando in particolare la piena tutela al diritto di difesa (art. 24 Cost.) di colui nei cui confronti la misura sia richiesta".
4.2. Nell'estendere, con specifico riferimento alla misura patrimoniale della confisca di prevenzione, la prospettiva ermeneutica già tracciata per le misure di prevenzione personali nella richiamata sentenza Pisco, questa Corte ha chiarito, con la successiva sentenza Auddino, che "vi è un'incompatibilità strutturale tra la revoca ex nunc e la misura della confisca, essendo questa revoca ex nunc ipotizzabile soltanto per le misure di prevenzione di cui è costante l'esecuzione al momento in cui viene avanzata la relativa istanza", laddove tale incompatibilità è "(...) inesistente, quando venga avanzata una richiesta di revoca con effetti ex tunc, in contemplazione di una invalidità genetica del provvedimento".
La configurazione per via giurisprudenziale dell'istituto della "revoca in funzione di revisione" del provvedimento di confisca è stata fondata, dunque, sul rilievo che l'irreversibilità della misura ablativa non impedisce di accertare "(...) oggi per allora e nello spazio non precluso dalla definitività del provvedimento, l'originaria insussistenza dei presupposti che hanno condotto alla sua emanazione", ben potendo la revoca essere diretta non a far cessare gli effetti di una confisca legittimamente imposta, quanto, piuttosto, "(...) a farne palese un vizio di origine".
Muovendo da tale impostazione ricostruttiva, la sentenza Auddino ha precisato che: a) la possibilità di rimozione è configurabile in relazione ad un provvedimento ormai definitivo, sicché deve ritenersi precluso "(...) rimettere in discussione con l'istanza atti o elementi già considerati nel procedimento di prevenzione o in esso deducibili"; b) la richiesta di rimozione del provvedimento definitivo deve "(...) muoversi nello stesso ambito della rivedibilità del giudicato di cui agli artt. 630 e ss. c.p.p. ", quindi in presenza di elementi volti a dimostrare l'originaria insussistenza di uno o più presupposti del provvedimento ablativo.
Nel passaggio motivazionale teste' menzionato, peraltro, la sentenza Auddino richiama espressamente, ai fini della individuazione dell'ambito di rivedibilità della confisca di prevenzione, il principio affermato in relazione alla revisione della condanna penale da Sez. U, n. 624 del 26/09/2001, dep. 2002, Pisano, cit., secondo cui rientrano tra le "prove nuove rilevanti a norma dell'art. 630, lett. c), c.p.p. " non solo quelle "(...) sopravvenute alla sentenza definitiva di condanna e quelle scoperte successivamente ad essa, ma anche quelle non acquisite nel precedente giudizio ovvero acquisite, ma non valutate neanche implicitamente, purché non si tratti di prove dichiarate inammissibili o ritenute superflue dal giudice": ciò, "(...) indipendentemente dalla circostanza che l'omessa conoscenza da parte di quest'ultimo sia imputabile a comportamento processuale negligente o addirittura doloso del condannato, rilevante solo ai fini del diritto alla riparazione dell'errore giudiziario".
In tal modo, nel risolvere in senso positivo il contrasto relativo alla possibilità di estendere alla confisca di prevenzione l'istituto della revoca predisposto dal legislatore nell'art. 7, comma 2, legge cit., la sentenza Auddino ha fatto ricorso ad argomenti potenzialmente in contraddizione fra loro e, pur muovendosi nella prospettiva dell'adempimento dell'obbligo riparatorio prefigurato dall'art. 24, ultimo comma, Cost., ha posto implicitamente le premesse di una nuova divergenza interpretativa: da un lato, infatti, individua una preclusione processuale nella cognizione di atti o elementi già considerati o comunque deducibili nel procedimento di prevenzione; dall'altro lato, determina un ampliamento della sfera applicativa della revoca sino a ricomprendervi, attraverso il parallelismo instaurato con l'istituto della revisione del giudicato penale, finanche le prove neppure implicitamente valutate.
Una divaricazione, questa, le cui implicazioni, come si è già rilevato (v., supra, il par. 2), hanno costantemente attraversato l'evoluzione della giurisprudenza sino a riemergere anche nella complessa fase di transizione dal previgente modello della revoca in funzione di revisione della confisca alla codificazione del mezzo di impugnazione straordinario attualmente previsto dall'art. 28 D.Lgs. cit.
Al riguardo, infatti, deve rilevarsi che sulla configurazione della revoca ex tunc della misura di prevenzione patrimoniale e sulla delimitazione del suo rapporto con l'istituto della revisione della condanna penale il percorso evolutivo della giurisprudenza di legittimità è stato tracciato in assenza di disposizioni normative che, anteriormente all'entrata in vigore dell'art. 28 D.Lgs. cit., regolassero in forma specifica e completa la materia in esame (Sez. 5, n. 28628 del 24/03/2017, Di Giorgio, cit.).
4.3. Con l'introduzione di un rimedio espressamente finalizzato alla rimozione della decisione definitiva sulla confisca il quadro normativo di riferimento è mutato, sicché i presupposti dell'impostazione ermeneutica progressivamente delineatasi attraverso l'evoluzione giurisprudenziale che ha condotto questa Corte alla individuazione dello strumento riparatorio della "revoca in funzione di revisione" devono essere ora integralmente riesaminati, per verificarne l'aderenza o meno rispetto alla nuova configurazione che il legislatore ha inteso dare all'istituto.
Sotto tale profilo deve in primo luogo rilevarsi che il codice antimafia non conosce affatto il mezzo di impugnazione basato sulla revisione, tanto che il legislatore, nella stessa denominazione del nuovo istituto ha utilizzato una formula lessicale - "revocazione della confisca" - che, da un lato, sembra evocare un'affinità con l'istituto processual-civilistico della revocazione delle sentenze pronunciate in grado di appello o in unico grado (ex art. 395, comma 1, nn. 2 e 3, c.p.c.), dall'altro lato, viene richiamata nella rubrica dell'art. 62 D.Lgs. cit., sia pure in relazione ad una diversa fase processuale (possibilità - riservata al pubblico ministero, all'amministratore giudiziario e all'Agenzia nazionale dei beni confiscati - di chiedere in ogni tempo la revocazione del provvedimento di ammissione del credito al passivo, quando emerga che esso è stato determinato da falsità, dolo, errore essenziale di fatto o dalla mancata conoscenza di documenti decisivi che non sono stati prodotti tempestivamente per causa non imputabile al ricorrente).
Proprio il riferimento ai documenti decisivi non tempestivamente prodotti per causa non imputabile alla parte, contenuto nell'art. 62 D.Lgs. cit., ricalca sostanzialmente l'ipotesi della revocazione prevista dall'art. 395, comma 1, n. 3, cit., ove pure si richiama l'evenienza legata al rinvenimento, successivo alla sentenza, di uno o più documenti decisivi che la parte non ha potuto produrre in giudizio "per causa di forza maggiore o per fatto dell'avversario".
Una locuzione, quest'ultima, che fonda la novità della prova documentale su un duplice ordine di requisiti: la decisività del dato probatorio e la sua incolpevole scoperta dopo l'adozione del provvedimento conclusivo da revocare.
A tale proposito questa Corte ha sottolineato la volontà del legislatore "(...) di sindacare e scoraggiare i comportamenti negligenti o tattici dell'interessato (...)" (Sez. 5, n. 28628 del 24/03/2017, Di Giorgio, cit.). Tale volontà si riflette a sua volta nelle analoghe disposizioni di cui all'art. 28, comma 1, lett. a) e comma 3, D.Lgs. cit., con la tassativa previsione di un termine semestrale per la proposizione della richiesta, salva la dimostrazione, da parte dell'interessato, di non averne avuto conoscenza "per causa a lui non imputabile".
Sebbene il riferimento dell'art. 395 cit. alle prove documentali costituisca, come osservato da questa Corte nella decisione da ultimo richiamata, "il frutto di ontologiche differenze tra procedimento civile e procedimento penale", la centralità ivi assegnata, ai fini della richiesta di revocazione, alla preesistenza della prova - che la parte non abbia potuto produrre prima della decisione per causa di forza maggiore o per fatto dell'avversario e che solo in seguito sia stata recuperata (Sez. 2, n. 15534 del 11/06/2008, Rv. 603749) - può apportare un utile contributo, sul piano dell'interpretazione logico-sistematica, alla ricostruzione del contenuto e dell'ambito di applicazione dell'art. 28, comma 1, lett. a), D.Lgs. cit.
Gli elementi testuali della disposizione teste' menzionata chiaramente rimandano, infatti, all'evenienza di prove decisive che vengono "scoperte", per essere "sopravvenute" alla conclusione del procedimento, ponendo così in rilievo l'inconciliabilità tra "scoperta" successiva e precedente atteggiamento omissivo nell'allegazione degli elementi.
Nella medesima prospettiva occorre inoltre considerare, come posto in rilievo da alcune decisioni di questa Corte (Sez. 5, n. 28628 del 24/03/2017, Di Giorgio, cit.; Sez. 6, n. 26341 del 09/05/2019, De Virgilio, cit.), che il generale richiamo operato nell'art. 28, comma 1, D.Lgs. cit. alle forme previste dall'art. 630 c.p.p. non consente di ritenere fra loro sovrapponibili i due istituti, poiché essi restano comunque diversi per presupposti sostanziali, disciplina, materia regolata e natura degli interessi tutelati, con la conseguente impossibilità di una soluzione ermeneutica volta a prefigurare un'automatica estensione alla prevenzione patrimoniale dell'ampia interpretazione del concetto di novità della prova elaborato da questa Corte in sede di revisione della condanna, a seguito della citata sentenza Pisa no.
Nell'articolazione testuale dell'art. 28, infatti, il riferimento alla revisione non opera in relazione alla complessiva disciplina dell'istituto, bensì unicamente, e sempre che risultino compatibili, "alle forme" che ne regolano il funzionamento ai sensi degli artt. 630 ss. c.p.p., non avendo il legislatore rinunciato a formulare una casistica autonoma delle ipotesi nelle quali può chiedersi la revocazione.
5. Ciò premesso, il Collegio ritiene di condividere la soluzione indicata dal secondo dei su richiamati indirizzi giurisprudenziali, per le ragioni e nei termini di seguito indicati.
Pur a fronte della riconducibilità della revocazione al modello storico della revisione della condanna penale e della comune prospettiva finalistica entro cui tali istituti si collocano in vista della predisposizione di mezzi di impugnazione idonei a rimuovere provvedimenti la cui adozione costituisce il risultato di un errore giudiziario, le divergenze obiettivamente rilevabili non solo dal confronto degli elementi testuali del quadro normativo, ma anche dalla complessiva disamina dei presupposti sostanziali delle materie regolate, dei criteri di giudizio e della natura degli interessi rispettivamente tutelati, non consentono di avallare l'insieme delle conseguenze che si vogliono far discendere dall'impostazione ermeneutica seguita dal primo orientamento.
5.1. L'interpretazione estensiva della nozione di novità della prova in materia di revisione della condanna penale non può essere automaticamente trasposta nell'area della prevenzione patrimoniale, sino ad abbracciare l'intero ambito di applicazione del diverso istituto della revocazione della confisca, rilevando in senso contrario, anzitutto, il dato testuale della norma che ne disciplina i casi, là dove si prevede, con specifico riferimento al momento della "scoperta" delle prove nuove (art. 28, comma 1, lett. a), cit.), che esse, oltre ad essere connotate dal carattere della decisività, siano "sopravvenute alla conclusione del procedimento".
In tema di revisione, come dianzi rilevato, il disposto di cui all'art. 630, comma 1, lett. c), cit. è costruito, invece, su una proposizione "avversativa" e presuppone una maggiore ampiezza operativa rispetto alla richiamata previsione dell'art. 28 D.Lgs. cit., poiché fa riferimento non solo al caso della sopravvenienza del novum dopo la condanna ma anche, in via alternativa, all'ipotesi della scoperta di prove nuove, così ammettendo espressamente che le prove nuove siano non solo quelle sopravvenute dopo la condanna, ma anche quelle già prima esistenti, delle quali, tuttavia, sia stata acquisita la conoscenza in epoca successiva.
La diversità delle relative formule lessicali, pur sottile nella individuazione delle rispettive aree semantiche, non può di per sé indurre ad escludere dalla nozione di prova nuova rilevante ai fini della revocazione l'ipotesi della sopravvenuta conoscenza di prove preesistenti, essendo il carattere di novità della prova ontologicamente rinvenibile anche nel caso della successiva "scoperta" di prove preesistenti.
L'affine architettura normativa dei due istituti, peraltro, non li rende pienamente sovrapponibili, né consente di dilatare il dato letterale del disposto normativo, sino ad includere nel novum probatorio decisivo per la revocazione l'ipotesi in cui gli elementi di prova non siano solo quelli preesistenti, ma addirittura quelli già acquisiti nell'ambito del procedimento di prevenzione (Sez. 6, n. 26341 del 09/05/2019, De Virgilio, cit.).
Al prodursi di tale effetto di generale assimilazione ostano le connotazioni strutturali del richiamato quadro normativo, che rispetto al procedimento di prevenzione espressamente prevede la sopravvenienza della prova nuova come condizione indefettibile al fine di giustificare la revocazione della decisione definitiva sulla confisca.
Non è possibile dunque prescindere, ai fini dell'attuazione del rimedio revocatorio previsto per la confisca di prevenzione, dalla necessaria condizione che gli elementi di prova non siano stati già acquisiti nel corso del relativo procedimento.
Al riguardo, peraltro, nessun effetto preclusivo può trarsi dalla formulazione lessicale del testo normativo dell'art. 28, lett. a), D.Lgs. cit., poiché il lemma ivi utilizzato ("scoperta") comprende non solo la successiva formazione di elementi cognitivi prima inesistenti o in alcun modo oggettivamente rilevabili, ma anche la possibilità di una successiva acquisizione alla conoscenza - casualmente o a seguito di ricerca - di dati o fatti prima incolpevolmente ignorati.
La correttezza di tale soluzione ermeneutica è agevolmente rinvenibile anche alla luce della disciplina normativa della seconda ipotesi di revocazione di cui all'art. 28, comma 1, lett. b), D.Lgs. cit., che il legislatore delinea facendo riferimento ad uno specifico tipo di prova documentale (le sentenze penali definitive), per il quale si prevede, ancor più chiaramente, che possa essere integrato, in via alternativa, da quelle "sopravvenute" ovvero da quelle soltanto "conosciute" in epoca successiva alla conclusione del procedimento di prevenzione (sebbene preesistenti), così introducendo plasticamente una differenziazione tra le due connotazioni, accostate in forma disgiunta per la loro ontologica diversità (Sez. 5, n. 28628 del 24/03/2017, Di Giorgio, cit.).
"Sopravvenute", dunque, devono ritenersi le sentenze penali formate dopo la conclusione del provvedimento di prevenzione, mentre "conosciute in epoca successiva" sono quelle ad esso preesistenti.
Questa linea discretiva tracciata dal legislatore tra i profili inerenti, da un lato, alla materiale formazione della prova dopo la definizione del procedimento di prevenzione e, dall'altro lato, alla sopravvenuta conoscenza del pregresso dato probatorio (individuato nell'art. 28, comma 1, lett. b), D.Lgs. cit. con riferimento all'elemento documentale rappresentato dalle sentenze penali definitive), esplica la sua valenza, sul piano dell'interpretazione logico-sistematica dell'istituto, anche in relazione al caso enucleato nella precedente lett. a) della medesima disposizione normativa, ove in linea generale si fa riferimento, ai fini della delimitazione dell'ambito di applicazione dello stesso rimedio impugnatorio, a qualsiasi tipologia di "prova nuova".
Al riguardo, infatti, non può ragionevolmente ipotizzarsi una diversa connotazione dell'incidenza del novum probatorio ai fini della rimozione del giudicato di prevenzione, a seconda della specifica tipologia di prova che venga concretamente in rilievo nelle diverse evenienze al riguardo configurabili (si tratti di prova documentale o meno e, all'interno della prima, solo delle sentenze e non di altri documenti).
Sulla base del raffronto fra le due disposizioni deve inoltre ritenersi che il legislatore abbia inteso specificare, in relazione alla peculiare ipotesi di revocazione prevista nell'art. 28, comma 1, lett. b), D.Lgs. cit., la nozione di decisività della prova, stabilendo la regola secondo cui anche le sentenze penali definitive, come qualsiasi altro tipo di prova nuova, devono essere idonee a determinare, alla luce dei fatti ivi accertati, l'esclusione "in modo assoluto" dell'esistenza dei presupposti di applicazione della confisca.
Una regola, questa, il cui contenuto è sostanzialmente identico a quello che in linea generale deve caratterizzare "ogni caso" di revocazione (ex art. 28, comma 2, D.Lgs. cit.), dovendo la relativa richiesta essere comunque finalizzata a "dimostrare il difetto originario" dei presupposti per l'applicazione della misura ablativa.
5.2. Nella medesima prospettiva ermeneutica, incentrata sulla rilevanza parimenti attribuita dalla normativa convenzionale alle prove noviter repertae e a quelle noviter cognitae, si colloca la linea interpretativa tracciata dalla Corte EDU con riferimento al disposto normativo enunciato nell'art. 4, par. 2, Prot. 7 CEDU, che consente "(...) la riapertura del processo, conformemente alla legge e alla procedura penale dello Stato interessato, se fatti sopravvenuti o nuove rivelazioni o un vizio fondamentale nella procedura antecedente sono in grado di inficiare la sentenza intervenuta".
Nella sua elaborazione giurisprudenziale la Corte di Strasburgo ha affermato che nell'art. 4 Prot. 7 CEDU è rinvenibile una chiara distinzione tra il fatto di perseguire e giudicare una persona una seconda volta per il medesimo fatto, vietato dal primo paragrafo di tale disposizione (ne bis in idem), e la riapertura del processo in circostanze eccezionali, prevista dal suo secondo paragrafo (Corte EDU, Grande Camera, 08/07/2019, Mihalache c. Romania, n. 54012/10; Corte EDU, 12/07/2007, Vedernikova c. Russia, n. 25580/02; Corte EDU, 18/01/2007, Bulgakova c. Russia, n. 69524/01).
Ai fini della riapertura di un processo, in base alla richiamata norma convenzionale, rilevano, quali condizioni previste in via alternativa e non cumulativa, sia i fatti sopravvenuti che le nuove rivelazioni, ovvero la constatazione di un vizio fondamentale verificatosi nel corso della precedente procedura.
Al riguardo, in particolare, la Corte EDU ha precisato che le circostanze relative al caso, già esistenti durante il processo, ma rimaste ignote al giudice e conosciute solo successivamente alla definizione del processo, costituiscono le "nuove rivelazioni".
Le circostanze relative al caso, che insorgono solo successivamente al processo, integrano invece la nozione di "fatti sopravvenuti".
Una soluzione ermeneutica, quella così individuata nella giurisprudenza convenzionale, che appare concretamente idonea a garantire, se applicata in relazione alla riapertura dei procedimenti in materia di prevenzione patrimoniale, una ragionevole e non sproporzionata incidenza limitatrice sul piano della tutela del diritto di proprietà.
Entrambe le nozioni ricomprendono le nuove prove relative a "fatti pregressi" e rilevano, al fine di giustificare la possibile riapertura del procedimento, solo se idonee ad "inficiare" la sentenza intervenuta nei confronti della persona interessata.
5.3. V'e' da considerare, poi, la diversa connotazione che l'esigenza di stabilità della decisione rispettivamente assume nel cd. giudicato di prevenzione e in quello penale.
Al riguardo questa Corte ha affermato che "(...) nel caso del giudicato penale, è la natura dell'interesse tutelato, negativamente inciso dall'erronea statuizione che si intende privare di stabilità (per il) tramite (del)la revisione, che giustifica l'ampio spettro di deduzione probatoria riconosciuto dalla giurisprudenza", mentre "un'identica capacità di prospettazione, capace di assorbire i fatti dedotti ma non valutati e anche quelli non dedotti pur se per scelta difensiva, non sembra potersi giustificare laddove sia in gioco la definitività di una misura di prevenzione patrimoniale, pur in presenza della medesima esigenza di limitare gli effetti negativi correlati ad una erronea statuizione", poiché muta, "(...)e in termini di sensibile differenza, la posizione oggetto di tutela quale parametro di riferimento per verificare l'ambito di azione riconosciuta al soggetto assertivamente pregiudicato dalla statuizione definitiva erroneamente emessa" (Sez. 6, n. 27689 del 18/05/2021, Mollica, cit.; Sez. 6, n. 2190 del 29/10/2020, Notaro, cit.).
Si è già rilevato, infatti, che la confisca di prevenzione è "estranea allo statuto anche costituzionale proprio delle condanne che irrogano pene", assumendo, secondo la lettura che ne ha offerto il Giudice delle leggi con la sentenza n. 24 del 2019, "(...) una funzione meramente ripristinatoria rispetto ad acquisti effettuati dal pericoloso sociale senza un titolo validamente tutelabile, perché non conforme alle regole dell'ordinamento giuridico".
La tutela costituzionale assicurata ad entrambi i beni coinvolti non ne esclude, quindi, la diversità di rango, ben potendone derivare un differente bilanciamento rispetto alla generale esigenza di certezza garantita dalla stabilità del giudicato intervenuto sulle decisioni giurisdizionali definitive: la misura ablativa di prevenzione, per quanto destinata ad incidere su un diritto costituzionalmente garantito quale quello di proprietà, risente comunque della natura patrimoniale dell'interesse da tutelare, costituendo non già una sanzione, come sottolineato da questa Corte (Sez. U, n. 4880 del 2014, dep. 2015, Spinelli, cit.), quanto invece la naturale conseguenza dell'illecita acquisizione dei beni che ne formano l'oggetto.
Nello stesso senso si è espressa la Corte costituzionale (Corte Cost., sent. n. 24 del 2019), che nel richiamare la sentenza Spinelli ha rimarcato la presenza di "un vizio genetico" nella costituzione del diritto di proprietà in capo a chi ne abbia acquisito la materiale disponibilità" sulla base di un'illecita acquisizione, risultando "(...) sin troppo ovvio che la funzione sociale della proprietà privata possa essere assolta solo all'indeclinabile condizione che il suo acquisto sia conforme alle regole dell'ordinamento giuridico. Non può, dunque, ritenersi compatibile con quella funzione l'acquisizione di beni contra legem, sicché nei confronti dell'ordinamento statuale non è mai opponibile un acquisto inficiato da illecite modalità".
Nella medesima prospettiva si inserisce anche la giurisprudenza convenzionale, che esclude la natura sostanzialmente penale della confisca di prevenzione e ne inquadra l'incidenza limitatrice sul piano del diritto di proprietà, qualificandola come un'azione civile in rem finalizzata al recupero di beni illegittimamente accumulati dal loro titolare (da ultimo v. Corte EDU, 13/07/2021, Todorov c. Bulgaria, n. 50705/11).
Sotto questo versante, inoltre, è significativo rilevare come la posizione del proposto o del terzo interessato che siano stati erroneamente attinti da una misura ablativa sia considerata, anche da questa Corte, maggiormente affine a quella del soggetto leso da una decisione erroneamente assunta all'esito di una controversia civile, piuttosto che a quella del soggetto che ha subito una condanna penale
Per tali ragioni, dunque, le decisioni dianzi richiamate hanno posto in rilievo l'esigenza di differenziare la disciplina della base probatoria che può sostenere la domanda di revocazione da quella che, di regola, viene utilizzata per giustificare l'istanza di revisione del giudicato penale: la cornice di sistema che delinea il perimetro dell'intervento ablativo e l'interesse pubblicistico assunto dal bene confiscato in ragione della destinazione che gli viene data dopo la definitività del provvedimento di confisca giustificano, per la persona ingiustamente attinta da una misura ablativa, la possibilità che, ai sensi dell'art. 46 D.Lgs. cit., il suo diritto ad ottenere la restitutio in integrum delle utilità patrimoniali pretermesse finisca per trasformarsi in una mera pretesa patrimoniale equivalente (Sez. 6, n. 27689 del 18/05/2021, Mollica, cit.; Sez. 6, n. 2190 del 29/10/2020, Notaro, cit.).
Ne discende, quale logico corollario, che il regime delle prove preesistenti, siano esse quelle acquisite ma neppure implicitamente valutate, ovvero quelle mai dedotte nel corso del procedimento di prevenzione, presuppone una regola di giudizio diversa, "(...) che non può essere pedissequamente ricavata dal sistema di tenuta del giudicato penale" (Sez. 6, n. 2190 del 29/10/2020, Notaro, cit.).
5.4. Una impostazione ermeneutica, questa, la cui base argomentativa trova la sua ratio giustificativa anche nella richiamata sentenza Fiorentino, là dove, nel definire la questione relativa all'individuazione, a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 24 del 2019, del rimedio esperibile avverso il provvedimento definitivo fondato sulla pericolosità del proposto ex art. 1, comma 1, lett. a), D.Lgs. cit., ribadisce l'estraneità delle misure di prevenzione allo statuto costituzionale e convenzionale delle pene e pone in rilievo la peculiare connotazione assunta dal cd. giudicato di prevenzione in materia di misure patrimoniali, affermando che "(...) la sua configurazione come "giudicato debole" (per riprendere il sintagma coniato nel dibattito dottrinale) deve essere rivalutata, con riferimento alla confisca, alla luce del quadro normativo delineato dal D.Lgs. n. 159 del 2011".
Al riguardo, infatti, la citata pronuncia ha osservato che se, in relazione alle misure di prevenzione personali, l'art. 11 D.Lgs. cit. "(...) riprende pressoché alla lettera l'art. 7 della L. n. 1423 del 1956, sicché, su questo terreno, valgono ancora le conclusioni raggiunte dalle Sezioni Unite in ordine al ‘giudicato di prevenzioné e, segnatamente, in relazione all'operatività solo rebus sic stantibus della preclusione ad esso collegata (...)" (Sez. U, n. 600 del 29/10/2009, dep. 2010, Galdieri, Rv. 245176; Sez. U, n. 36 del 13/12/2000, dep. 2001, Madonia, Rv. 217668; Sez. U, n. 18 del 03/07/1996, Simonelli, Rv. 205262), a diverse conclusioni deve giungersi "(...) con riguardo alla confisca di prevenzione, per la quale il legislatore del 2011 ha introdotto un rimedio ad hoc, ossia la revocazione ex art. 28 del D.Lgs. n. 159 del 2011, per le ipotesi in cui l'interessato intenda far valere il ricorrere di ipotesi di anomalia genetica del provvedimento ablatorio, sottraendo, allo stesso tempo, tale provvedimento alla condizione di intrinseca "precarietà" collegata alla preclusione rebus sic stantibus in cui si sostanziava, e continua a sostanziarsi per le misure di prevenzione personali, il giudicato di prevenzione.
Dalla stessa relazione di accompagnamento al codice delle leggi antimafia può trarsi, del resto, una significativa conferma della speciale valenza che il legislatore ha inteso attribuire alla stabilità del giudicato di prevenzione, là dove si fa riferimento al divieto di retrocessione del provvedimento definitivo di confisca, con la conseguenza che "(...) eventuali ipotesi satisfattorie dei diritti del sottoposto o di terzi potranno avvenire esclusivamente "per equivalente"".
Analoghe considerazioni possono trarsi dal passaggio in cui si pone in risalto "(...) il rischio che, tramite interposizioni fittizie, spesso difficilmente dimostrabili, i beni confiscati possano rientrare nella disponibilità degli ablati. Da ciò sorge la necessità di fornire una disciplina compiuta, che da un lato assicuri agli interessati le necessarie garanzie, dall'altra consenta alla confisca di conservare, dopo la sua "definitività", il connotato della "irreversibilità"".
Muovendo dalla medesima prospettiva, in particolare, la sentenza Fiorentino ha chiarito che la disposizione di cui all'art. 28 D.Lgs. cit. "(...) ha introdotto uno specifico gravame straordinario riservato ai soli provvedimenti applicativi della confisca di prevenzione, con la "finalità di svincolare tale istituto dalla sfera di operatività di quello della revoca dei provvedimenti applicativi delle misure di prevenzione personali, misure qualificate da maggiore instabilità del giudicato (essendo, sotto questo profilo, parificabili alle misure cautelari personali regolate dal codice di rito)" e di "assicurare al provvedimento reale ablatorio un connotato di maggiore definitività e irreversibilità, dunque di maggiore stabilità (...)"".
5.5. La diversità della regola di giudizio, peraltro, può cogliersi anche in relazione alle peculiari connotazioni dello statuto probatorio del procedimento di prevenzione, che presenta rilevanti tratti di autonomia rispetto al giudizio penale (Sez. 6, n. 921 del 11/11/2014, dep. 2015, Gelsomino, Rv. 261842)
Sono infatti diversi: a) l'oggetto dell'accertamento, che nel primo è costituito dalla pericolosità del soggetto, desunta da specifiche circostanze; b) i relativi strumenti di verifica, attraverso la individuazione di circostanze aventi rilevanza indiziante ai fini della pericolosità; c) la finalità del procedimento, che nel giudizio di prevenzione è quella di garantire la sicurezza collettiva, non la repressione punitiva per i fatti di reato accertati.
Al riguardo, in particolare, occorre considerare che: a) l'azione di prevenzione può essere esercitata anche indipendentemente dall'esercizio dell'azione penale (art. 29 D.Lgs. cit.); b) l'art. 18 D.Lgs. cit. disciplina la prosecuzione dell'azione di prevenzione o l'esercizio di essa, in caso di decesso del soggetto socialmente pericoloso, nei confronti dei suoi eredi o aventi causa (Sez. U, n. 12621 del 22 dicembre 2016, dep. 2017, De Angelis, Rv. 270081); c) il sopravvenuto giudicato penale di assoluzione non integra automaticamente la causa di revocazione di cui all'art. 28, comma 1, lett. b), D.Lgs. cit., atteso che la misura di prevenzione patrimoniale può essere revocata solo ed esclusivamente se ìl processo penale abbia accertato, nel merito, l'assoluta estraneità del proposto ai fatti reato sulla base dei quali, essendo stato ritenuto pericoloso, era stata ordinata la confisca (Sez. 1, n. 13638 del 16/01/2019, Ahmetovic, Rv. 275244; Sez. 2, n. 31549 del 06/06/2019, Simply Soc. Coop., Rv. 277225).
Alla luce di tale autonomia di rapporti fra i due modelli cognitivi ben si giustifica, pertanto, la diversa valenza che può assumere la nozione di decisività del novum probatorio nel giudizio di revisione e in quello di revocazione della confisca.
Nel giudizio di revisione, infatti, l'acquisizione anche di una sola prova può giustificare la rimozione del giudicato di condanna, se la stessa risulti idonea, di per sé ovvero unitamente a quelle già valutate, a far sorgere almeno un ragionevole dubbio sulla colpevolezza del condannato. La prova nuova, pertanto, deve condurre all'accertamento, in termini di ragionevole sicurezza, di un fatto la cui dimostrazione evidenzi come il compendio probatorio originario non sia più in grado di sostenere l'affermazione della penale responsabilità dell'imputato oltre ogni ragionevole dubbio (Sez. 5, n. 34515 del 18/06/2021, Fadda, Rv. 281772).
Nel procedimento di revocazione, di contro, la valutazione relativa alla decisività della nuova prova si assesta su una soglia più avanzata, poiché la stessa può essere apprezzata, attesa la connotazione finalistica che deve orientarne la richiesta per effetto della previsione di cui all'art. 28, comma 2, D.Lgs. cit., solo nella prospettiva della sua stretta correlazione all'accertamento di un vizio genetico del provvedimento definitivo, ossia di un difetto originario dei presupposti per l'applicazione della misura patrimoniale.
5.6. Sotto altro, ma connesso profilo, devono svolgersi ulteriori considerazioni alla luce del disposto di cui all'art. 28, comma 3, D.Lgs. cit., la cui formulazione, come già rilevato, prevede che la richiesta di revocazione deve essere proposta, a pena di inammissibilità, entro sei mesi dalla data in cui si verifica uno dei casi che la consentono.
Nell'ipotesi descritta dalla richiamata lett. a), dunque, è possibile dedurre prove nuove, in relazione a fatti preesistenti o successivi alla conclusione del procedimento di prevenzione, a condizione che venga osservato il su indicato limite temporale.
In forza di tale sbarramento deve ritenersi che la scoperta della prova nuova costituisca, per l'interessato, il momento da cui decorre il termine per opporre alla definitiva statuizione della confisca elementi decisivi che nel corso del giudizio di prevenzione non era stato possibile allegare, nel rispetto delle cadenze individuate dal particolare modello procedimentale previsto nelle disposizioni di cui agli artt. 20, 23 e 24 D.Lgs. cit.: al proposto ed ai terzi interessati chiamati ad intervenire nel procedimento è infatti consentito, in presenza delle condizioni previste dall'art. 20, comma 1, D.Lgs. cit., di allegare qualsiasi elemento di prova idoneo a giustificare la legittima provenienza dei beni incisi dalla misura ablativa.
L'udienza camerale viene celebrata nel contraddittorio delle parti, dopo il sequestro, proprio al fine di consentire agli interessati l'allegazione di ogni possibile deduzione al riguardo.
Ne discende che l'istituto della revocazione non può costituire lo strumento per riaprire tardivamente una sequenza procedimentale ormai conclusa, deducendo quelle stesse prove che il proposto e gli interessati ben avrebbero potuto allegare in udienza (Sez. 1, n. 21537 del 11/03/2021, Esposito, Rv. 281226).
Dalla complessiva ricostruzione del disegno normativo può dunque trarsi la conclusione secondo cui le nuove prove che rendono ammissibile il rimedio straordinario devono individuarsi in quelle che non è stato possibile dedurre nell'ambito del procedimento, perché riguardanti fatti decisivi e mezzi per dimostrarli incolpevolmente sconosciuti al momento del giudizio.
La particolare disciplina delle deduzioni e l'intero assetto normativo del procedimento di prevenzione non consentono, quindi, di ritenere l'istituto della revocazione sovrapponibile - quanto all'ampiezza degli elementi di prova deducibili - alla ipotesi della revisione del giudicato penale prevista, in caso di nuove prove, dall'art. 630, comma 1, lett. c), cit.
Diversamente dalla prima, infatti, la revisione è esperibile al di fuori di limiti di ordine temporale, potendo rilevare per tale ultimo rimedio non solo le prove sopravvenute alla sentenza definitiva di condanna e quelle scoperte successivamente ad essa, ma anche quelle non acquisite nel precedente giudizio ovvero acquisite, ma non valutate neanche implicitamente, purché non si tratti di prove dichiarate inammissibili o ritenute superflue dal giudice, e indipendentemente dalla circostanza che l'omessa conoscenza da parte di quest'ultimo, come già affermato nella sentenza Pisano, sia imputabile ad un comportamento processuale negligente o addirittura doloso del condannato, rilevante solo ai fini del diritto alla riparazione dell'errore giudiziario (da ultimo v. Sez. 5, n. 12763 del 09/01/2020, Eleuteri, Rv. 279068).
La previsione di uno stretto termine decadenziale è strutturalmente incompatibile con il caso di una prova introdotta nel procedimento, ma, in ipotesi, neppure implicitamente valutata, dal momento che, in siffatta evenienza, sarebbe impossibile individuare il "dies ad quem" da cui far scattare l'operatività del termine (Sez. 6, n. 26341 del 09/05/2019, De Virgilio, cit.).
La scelta del legislatore - come emerge anche dalla relazione illustrativa del codice antimafia - trova la sua ratio giustificativa nell'intento di realizzare lo scopo di una tendenziale stabilizzazione del giudicato in materia di prevenzione patrimoniale, consolidandone gli effetti nel massimo grado possibile.
All'interno di tale impostazione ricostruttiva, la previsione della perentorietà del termine costituisce, come osservato dalla dottrina, una reazione del legislatore al pericolo di una "potenziale eternità dell'actio restitutoria", con la conseguente esigenza di sottrarre la certezza dei rapporti giuridici alla precarietà derivante dal rischio di una "inesauribile" rimessa in discussione delle statuizioni di confisca definitiva attraverso il meccanismo di reiterate richiese di revoca.
Nel disegno emergente dalla riforma del 2011, pertanto, la revocazione della confisca si discosta sia dall'istituto, pur affine, della revisione della condanna penale, sia dall'antecedente storico rappresentato dall'introduzione per via giurisprudenziale della revoca in funzione di revisione, in forza del decisivo profilo inerente alla tassativa previsione di un limite di ordine temporale ai fini della rivedibilità di una decisione che, in tesi, potrebbe parimenti costituire il frutto di un errore giudiziario, in ragione della preminenza discrezionalmente accordata dal legislatore al valore della certezza dei rapporti giudici insorgenti dal provvedimento definitivo di confisca.
6. Da tale impostazione ricostruttiva discende, quale logico corollario, che la revocazione della confisca di prevenzione può ritenersi legittimata dalle sole prove che siano ad essa sopravvenute (nel senso della loro materiale formazione), ovvero da quelle decisive che vengano incolpevolmente scoperte dopo che la misura sia divenuta definitiva (essendo, pertanto, originariamente preesistenti).
Non rilevano, pertanto, le prove deducibili ma non dedotte nell'ambito del procedimento di prevenzione.
Le prove nuove che rendono ammissibile il rimedio straordinario sono quelle formate dopo la conclusione del procedimento di prevenzione, ovvero quelle che non è stato possibile dedurvi, perché riguardanti fatti decisivi e mezzi per dimostrarli all'epoca incolpevolmente sconosciuti, e non anche quelle che, pur accessibili e dunque sottoponibili alla valutazione del giudice nel procedimento, abbiano assunto consistenza o un particolare significato dopo la sua conclusione, anche semplicemente sulla base dell'esperimento delle corrispondenti iniziative difensive (Sez. 1, n. 1649 del 28/09/2021, dep. 2022, Esposto, cit.; Sez. 2, n. 28305 del 25/06/2021, Bellinvia, cit.; Sez. 1, n. 21537 del 11/03/2021, Esposito, Rv. 281226; Sez. 6, n. 27689 del 18/05/2021, Mollica, cit.; Sez. 1, n. 12762 del 16/02/2021, Roberto, Rv. 280800; Sez. 6, n. 2190 del 29/10/2020, dep. 2021, Notaro, cit.; Sez. 2, n. 28941 del 24/09/2020, Morgante, cit.; Sez. 6, n. 17854 del 27/05/2020, Lunetto, Rv. 279283; Sez. 6, n. 26341 del 09/05/2019, De Virgilio, cit.; Sez. 5, n. 3031 del 30/11/2017, dep. 2018, Lagaren, cit.; Sez. 5, n. 28628 del 24/03/2017, Di Giorgio, cit.).
6.1. Assume in tal senso un rilievo centrale, come si è già osservato, il tenore letterale del disposto di cui all'art. 28, comma 3, D.Lgs. cit., che non lascia l'interessato libero di far valere ad libitum la prova decisiva non dedotta e non valutata in precedenza, ma stabilisce, a pena di inammissibilità, un termine massimo per la formulazione della richiesta di revocazione della confisca definitiva, strettamente ancorato al verificarsi di uno dei casi previsti nel comma 1 della richiamata disposizione.
La necessità di una successiva "scoperta" implica, pertanto, la incompatibilità di tale situazione con un precedente comportamento privo dell'ordinaria diligenza da parte dell'interessato, o con un suo atteggiamento meramente omissivo, ai fini della puntuale allegazione di elementi di prova nell'ambito del procedimento di prevenzione concluso con il provvedimento di cui, in seguito, si chiede la revocazione.
In altri termini, se, per un verso, deve escludersi che il legislatore abbia inteso attribuire rilievo alle prove acquisite ma non valutate, per altro verso deve ritenersi che quelle deducibili, ma non dedotte, possano supportare una richiesta di revocazione solo quando l'interessato adduca l'impossibilità di provvedere altrimenti per la riscontrata sussistenza di una "causa a lui non imputabile", secondo la previsione espressamente dettata nell'art. 28, comma 3, D.Lgs. cit.
6.2. Giova richiamare, sotto tale profilo, rispettivamente ai fini della verifica in ordine alle circostanze della successiva, incolpevole, scoperta di una prova preesistente, ovvero della corretta perimetrazione dei limiti di deducibilità della prova nell'ambito del procedimento di prevenzione, le tradizionali nozioni di caso fortuito (ossia ogni evento non evitabile con la normale diligenza e non imputabile al soggetto a titolo di colpa o dolo) e di forza maggiore (intesa come fatto umano o naturale al quale non può opporsi una diversa determinazione volitiva e che, per tale ragione, è irresistibile), secondo i principi al riguardo stabiliti da questa Corte (Sez. U, n. 14991 del 11/04/2006, De Pascalis, Rv. 233419), che attribuisce al caso fortuito la caratteristica della "imprevedibilità", individuando invece la nota distintiva della forza maggiore nell'elemento della "irresistibilità".
Per sua stessa definizione, infatti, la forza maggiore integra una situazione che, da un lato, non deve essere imputabile in nessuna maniera all'agente, dall'altro lato deve presentare un carattere assoluto, cioè non vincibile né in alcun modo superabile. E tale non può affatto considerarsi quella situazione che, con una normale manifestazione di impegno e diligenza, avrebbe potuto essere altrimenti superata (Sez. 5, n. 965 del 28/02/1997, Zarrella, Rv. 207387).
Grava, comunque, sul richiedente che adduca un'ipotesi di forza maggiore l'onere di provare un impedimento assoluto, ossia tale da rendere vano ogni sforzo umano, che derivi da cause esterne a lui non imputabili (Sez. L. n. 12712 del 28/02/2020, Giglio, Rv. 278706).
Connotazione comune ad entrambe le nozioni è rappresentata, in ogni caso, dalla "inevitabilità" del fatto, dovendo trattarsi di situazioni oggettivamente non riconducibili a comportamenti posti in essere dal soggetto interessato, salva l'ipotesi in cui questi risultino condizionati da fattori esterni in termini assoluti (Sez. 6, n. 26833 del 24/03/2015, Manzara, Rv. 263841).
6.3. Alla fondatezza della soluzione ermeneutica qui accolta non può validamente opporsi l'argomento basato sui pretesi effetti negativi della attuale delimitazione normativa dell'ambito di ricorribilità per cassazione del provvedimento di confisca, sul rilievo che, ai sensi dell'art. 10 D.Lgs. cit., il sindacato della Suprema Corte è ammesso solo per violazione di legge, sicché la possibilità di un pieno controllo sul giudizio rischierebbe di rimanere pregiudicata dall'omessa completa valutazione di elementi di prova pur esistenti, ma non esaminati o, comunque, incongruamente vagliati dal giudice di merito.
Un rischio, questo, da escludere, ove si consideri che, ai fini della perimetrazione dei vizi censurabili in sede di legittimità, nella nozione di violazione di legge viene ricompresa anche la motivazione inesistente o meramente apparente (Sez. U, n. 33451 del 29/05/2014, Repaci, Rv. 260246), che ricorre quando il provvedimento impugnato omette del tutto di confrontarsi con la prospettazione di un elemento potenzialmente decisivo, il quale, singolarmente considerato, sarebbe tale da poter determinare un esito opposto del giudizio (Sez. 6, n. 33705 del 15/06/2016, Caliendo, Rv. 270080).
7. In conclusione, la questione posta dall'ordinanza di rimessione va risolta enunciando il seguente principio di diritto: "In tema di confisca di prevenzione, la prova nuova, rilevante ai fini della revocazione della misura ai sensi dell'art. 28 del D.Lgs. n. 6 settembre 2011, n. 159, è sia quella sopravvenuta alla conclusione del procedimento di prevenzione, essendosi formata dopo di esso, sia quella preesistente ma incolpevolmente scoperta dopo che la misura è divenuta definitiva; non lo e', invece, quella deducibile e non dedotta nell'ambito del suddetto procedimento, salvo che l'interessato dimostri l'impossibilità di tempestiva deduzione per forza maggiore".
8. Alla stregua del principio di diritto sopra enunciato può ora procedersi all'esame dei motivi dedotti a sostegno del ricorso.
8.1. Come si è già osservato, i ricorrenti hanno fondato la richiesta di revocazione sul novum probatorio costituito da elementi documentali (due aerofotogrammetrie eseguite sull'area territoriale di riferimento il 20 agosto 2006 e il 30 maggio 2008, ma richieste dagli interessati il 24 giugno 2019) acquisiti dopo la irrevocabilità del provvedimento di confisca e dalle risultanze di una consulenza tecnica di parte espletata il 20 gennaio 2020, da cui emergeva che il bene immobile catastalmente identificato con la particella 1968 sub 1 era stato rifinito e completato nel 2002, ossia in un periodo in cui la pericolosità sociale del proposto non si era ancora manifestata.
A sostegno dell'istanza, inoltre, è stata allegata la documentazione relativa alla ricevuta del pagamento della fornitura di energia elettrica per il mese di ottobre 1999.
8.2. L'ordinanza impugnata ha preso in esame e correttamente disatteso le medesime ragioni di doglianza riproposte nel ricorso, escludendo la configurabilità dell'evocata ipotesi di revocazione prevista dall'art. 28, comma 1, lett. a), D.Lgs. cit. sulla base delle argomentazioni di seguito indicate: a) la richiesta di revocazione è stata fondata sulle risultanze di elaborazioni fotogrammetriche di riprese aeree rispettivamente eseguite nel 2006 e nel 2008, ma richieste solo in data 24 giugno 2019, ossia dopo che il provvedimento di confisca era divenuto definitivo, il 9 maggio 2019; b) le parti interessate ben avrebbero potuto svolgere preventivamente tali accertamenti e produrli nel corso del giudizio; c) gli elementi di novità allegati alla richiesta non sono stati tempestivamente dedotti, né gli odierni ricorrenti hanno allegato nel giudizio di revocazione l'impossibilità di produrli per una causa di forza maggiore; d) uno dei motivi di appello, inoltre, era stato formulato sulla base della prospettata retrodatazione degli immobili ad un'epoca antecedente l'anno 2009.
Analoghe considerazioni sono state svolte dalla Corte di appello con riferimento sia alle valutazioni espresse nella consulenza tecnica espletata sulla base delle predette aerofotogrammetrie, che alla documentazione attinente al contratto di fornitura di energia elettrica risalente al 1999, soggiungendo, riguardo a siffatto elemento documentale, che non v'era prova della sua riferibilità al fabbricato oggetto della richiesta di revocazione.
Nel richiamare la soluzione interpretativa accolta dall'orientamento giurisprudenziale qui condiviso, il provvedimento impugnato ha coerentemente escluso il carattere di novità della prova rilevante ai fini della revocazione della confisca, affermando che tale non può essere quella deducibile, ma non dedotta nell'ambito del procedimento di prevenzione, e che la necessità della scoperta successiva di una prova, anche se preesistente, implica la incompatibilità di tale evenienza con un comportamento meramente omissivo o negligente della parte interessata ai fini della relativa allegazione, poiché in caso contrario l'istituto della revocazione, che presenta il carattere di un rimedio straordinario, si trasformerebbe in una forma non consentita di impugnazione tardiva.
Deve altresì rilevarsi che, nel caso in esame, come posto in evidenza dal provvedimento impugnato, il tema di prova era stato già introdotto nel corso del procedimento di prevenzione e che le prove addotte erano tutte preesistenti alla formazione del giudicato che si intendeva superare attraverso l'istanza di revocazione.
Tali prove, infatti, erano nella diretta disponibilità dei ricorrenti (nel caso della documentazione attinente al contratto di fornitura di energia elettrica) o avrebbero potuto esserlo con un comportamento improntato all'ordinaria diligenza, ossia presentando nel corso del procedimento di prevenzione le medesime richieste che hanno portato all'acquisizione dei rilievi aerofotogrammetrici successivamente prodotti solo con l'istanza di revocazione.
Ne' sono state indicate, sotto tale profilo, ragioni oggettivamente idonee a precludere l'adempimento dell'onere probatorio nei termini dianzi precisati (v., supra, il par. 7.1.), impedendo agli interessati di provvedere alle medesime allegazioni documentali nel corso del procedimento concluso con l'adozione della confisca definitiva: è infatti irrilevante, al fine di escludere ogni valutazione di imputabilità delle conseguenze di tale inerzia, la circostanza che la disponibilità delle prove sia stata materialmente acquisita solo dopo la formazione del giudicato di prevenzione, laddove nulla si evidenzi in ordine ai motivi di tale tardiva acquisizione.
9. Al rigetto dei ricorsi, conclusivamente, consegue ex art. 616 c.p.p. la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 26 maggio 2022.
Depositato in Cancelleria il 17 novembre 2022
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